Come richiedere un mutuo per acquistare casa?

Quando si decide di cambiare casa, spesso lo si fa per evitare di pagare un canone di locazione a vita che potrebbe essere sostituito da una rata di mutuo per acquistare una casa che però consente dopo un certo numero di anni, spesso medio-lungo, di diventarne il proprietario.

Quale documentazione chiede una banca

Esponendo l’intenzione di comprare una casa tramite mutuo, la banca o l’istituto di credito chiede per prima cosa la carta d’identità e il codice fiscale, in seguito il certificato di famiglia, di residenza, lo stato civile e in caso di matrimonio la presenza o meno di comunione dei beni.

Per capire quale possa essere il grado di solvenza del richiedente il mutuo casa, il mediatore creditizio chiede le ultime tre busta paga ricevute e l’ultimo Cud, oppure il modello 730 e 740. solitamente, è richiesto anche l’estratto conto di tutti i conti correnti posseduti e la movimentazione bancaria degli ultimi sei mesi. Se tra i redditi figura anche un immobile locato, ne chiede il contratto di affitto.

La perizia dell’immobile da acquistare

Poiché l’accensione di un mutuo prevede anche che venga accesa un’ipoteca sulla casa da acquistare, la banca manda un perito che verificherà il valore dell’immobile per stabilire anche la percentuale di mutuo concedibile che di solito non supera il 75%, salvo eccezioni e politiche particolari da parte dell’istituto di credito.

Se si è in possesso di tutti i requisiti per l’accettazione del mutuo e se dopo la perizia si evince che la cifra richiesta è congrua al valore dell’immobile, solitamente la banca concede il mutuo. Tuttavia, ci sono da stabilire le condizioni del mutuo, ossia, la sua durata e l’importo della rata da versare alla banca.

Anche il perito chiede dei documenti per effettuare la perizia dell’immobile, ad esempio il documento che ne attesta la proprietà e la sua storia catastale.

Il richiedente è chiamato a fornire il rogito notarile ed eventualmente l’atto di mutuo. E’ necessario fornire al perito di cui si serve la banca, anche la planimetria catastale cartacea o scannerizzata della casa che s’intende acquistare tramite mutuo. E’ fondamentale fornire la visura ipotecaria e catastale, inoltre, se ci sono stati recenti lavori edilizi.

I tempi e la concessione del mutuo

Raccogliere tutta la documentazione, effettuare la perizia e verificare il tutto per dare una risposta al richiedente, necessita di circa tre settimane. Se tutte le verifiche danno un responso positivo da parte della banca, il mutuo viene concesso e il richiedente entra in possesso di una somma da restituire in modo rateizzato che consente di procedere all’acquisto dell’immobile.

Al momento dell’accensione del finanziamento, la banca emette un assegno circolare intestato al venditore che potrà in questo modo provvedere alla chiusura della compravendita davanti a un notaio.

Quando si può chiedere un mutuo

Nel momento in cui si decide di comprare una casa, è importante iniziare a pensare per quanto tempo si è disposti a pagare un mutuo, quale importo di rata si vuole o si può pagare in quanto sostenibile, informarsi sui tassi d’interesse e sulle possibili clausole per far sì di scegliere il mutuo più adeguato alle proprie esigenze.

Ovviamente, prima di recarsi in banca ci si deve mettere d’accordo con il venditore sull’eventuale caparra confirmatoria da erogare, e il prezzo a cui poter chiudere la trattativa, quindi l’accettazione della proposta che potrebbe prevedere anche la fase intermedia del compromesso nel quale viene erogato un ulteriore pagamento.

Tra tutte le verifiche compiute dalla banca per decidere se concedere o meno il mutuo è quella della solvibilità del richiedente. Solitamente, si guarda al reddito che deve essere almeno pari a tre volte la rata del mutuo.

Il richiedente il mutuo deve sempre mettere in conto le spese che dovrà affrontare soprattutto per quanto concerne l’imposta di registro dovuta all’atto di acquisto e le spese notarili.

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Modello 730/2021, scadenza il 30 settembre: novità e proroghe

Oramai ci siamo, giovedì 30 settembre è l’ultimo giorno utile per presentare la dichiarazione dei redditi effettuata da pensionati e lavoratori dipendenti pubblici e privati, ovviamente per l’anno d’imposta 2020. Vediamo quali sono le novità e le ultime cose da sapere per la presentazione del modello 730/2021.

Mod. 730/2021: presentazioni alternative causa errori

Il 30 settembre 2021 scade il termine per la presentazione del modello 730 (anno d’imposta 2020) per i pensionati e i lavoratori dipendenti. Ci sono ancora delle novità da conoscere e c’è anche il tempo per correggere eventuali errori effettuati nella compilazione.

Ricordiamo che il modello 730/2021 si può presentare all’Agenzia delle Entrate o al proprio sostituto d’imposta o un Caf oppure a professionisti abilitati. A seguito della presentazione è bene conservare per cinque anni i documenti che riguardano detrazioni e deduzioni indicati nel modello 730. Infatti, il Fisco può in qualsiasi momento effettuare dei controlli che per la presentazione di quest’anno, sono possibili fino al termine del 2026.

Nel modello 730/2021 possono esserci alcuni errori, in tal caso, il contribuente ha tre opzioni tra cui scegliere:

  • presentare un Modello 730 Rettificativo, ma solo se l’errore è stato commesso da chi ha prestato l’assitenza fiscale;
  • presentare un Modello 730 Integrativo, ma solo se il contribuente è sicuro di aver omesso tutti i dati compilativi, tale modello può essere inoltrato entro il 25 ottobre 2021;
  • presentare Modello Redditi Persone Fisiche in caso il contribuente non riuscisse ad effettuare la presentazione del 730 entro il settembre, quindi, potrà farlo entro il 30 novembre 2021.

Modello 730/2021: le novità

Le ultime novità che riguardano la presentazione del 730/2021 fanno riferimento alle detrazioni originate per fronteggiare i danni economici provocati dall’emergenza coronavirus. La prima detrazione riguarda il Superbonus 110%, messa in atto per la riqualificazione energetica degli edifici.

Oppure, la detrazione del 90% concernente il Bonus Facciate e ancora la detrazione del 30% per le erogazioni liberali in denaro e in natura con lo scopo di finanziare interventi di contenimento e gestione dell’emergenza da Covis-19.

Inoltre, c’è la riduzione del cuneo fiscale che riguarda il trattamento integrativo di 600 euro in sostituzione del bonus Renzi di cui hanno fruito i lavoratori dipendenti e alcuni redditi assimilati, il cui reddito complessivo non abbia superato i 28.000 euro e fino a 40.000 euro.

Un’altra novità è data dalla nuova casella “Codice Stato Estero”. I contribuenti che si avvalgono in dichiarazione dell’agevolazione prevista per gli impatriati e per docenti e ricerctori che vengono a svolgere la loro attività in Italia, devono indicare, per l’appunto il codice dello Stato in cui erano residenti prima di trasferirsi in Italia.

Nel modello 730 arriva anche il credito d’imposta per il Bonus Vacanze, sempre che sia stato usato entro il 31 dicembre 2020 è possibile usufruire di una detrazione del 20% rispetto alla spesa sostenuta.

Infine, c’è anche il credito d’imposta per monopattini elettrici e servizi di mobilità elettrica: per i soggetti che rottamano almeno due autovetture è riconosciuto un credito d’imposta di importo massimo di 750 euro per le spese sostenute dal 1° agosto 2020 al 31 dicembre 2020 per l’acquisto di monopattini elettrici, biciclette elettriche o muscolari, abbonamenti al trasporto pubblico, servizi di mobilità elettrica in condivisione o sostenibile.

Come sapere se una persona è pignorata?

Sapere se una persona è pignorata è possibile. Ad oggi, esistono tanti elenchi pubblici che riportano le condizioni economiche. Tramite il registro dei protesti reperibile alla Camera di Commercio, ma anche a quello dei fallimenti che si può consultare liberamente in tribunale.

Ci sono anche i registri immobiliari che danno la possibilità a chiunque di conoscere terreni e abitazioni intestate a una persona senza che questa ne sia al corrente. Quindi, chi vanta un credito verso qualcuno e intende avviare un pignoramento nei suoi confronti, c’è la possibilità di chiedere l’autorizzazione al Presidente del tribunale, una volta notificato l’atto di precetto, di consultare l’anagrafe tributaria per conoscerne i redditi, le auto intestate e i conti correnti.

Premesso ciò, come si viene a conoscenza del fatto che possano esserci procedure di esecuzione forzata? Ossia, se una persona è pignorata? Ogni creditore vuole regolarsi prima di intraprendere un pignoramento, se e quante possibilità di vittoria sussistono. Anche nelle cancellerie dei tribunali, i registri delle procedure esecutive sono suddivise a seconda della procedura. Infatti, sappiamo che ci sono registri dei pignoramenti immobiliari, mobiliari e quello presso terzi.

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Come sapere se una persona ha la pensione o uno stipendio o un conto corrente pignorato

Non è affatto semplice scoprire se una persona ha uno stipendio, un conto corrente o una pensione pignorata. D’altronde, il datore di lavoro o il direttore delle Poste o della banca non possono fornire tali informazioni a terzi, in quanto rientrano nei dati sensibili del dipendente/cliente.

Chi avvia un pignoramento c/o terzi, dopo la notifica dell’atto di pignoramento, riceve dal terzo pignorato la comunicazione circa l’esistenza di denaro da queste detenute per conto del debitore. Tale informazione viene inoltrata tramite una raccomandata o PEC all’avvocato creditore procedente, che comunica se ci sono altri pignoramenti in corso.

Per sapere se una persona ha lo stipendio, il conto corrente o la pensione pignorata, il secondo modo è da rimettere agli avvocati. Ciò accade perché essi hanno la possibilità di consultare i registri del tribunale delle cancellerie dell’esenzione forzata. Tutti i debitori che hanno un pignoramento in corso risultano nei predetti registri.

Se queste informazioni vengono date è per permettere anche ad altri creditori di insinuarsi in un pignoramento avviato presso terzi per avere la possibilità di partecipare alla procedura ed eventualmente alla divisione delle somme di denaro pignorate dall’ufficiale giudiziario.

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Come sapere se una persona ha un pignoramento mobiliare o immobiliare

Per il pignoramento mobiliare si può fare lo stesso discorso fatto per quello presso terzi. L’unico modo per venire in possesso di tale informazione è la consultazione degli elenchi del tribunale dei pignoramenti in corso e verificare, a none del soggetto in questione, se è stata già avviata l’esecuzione forzata.

Altro discorso per sapere se una persona ha una casa pignorata, infatti, in tal caso avviene la trascrizione nei pubblici registri. E’ sufficiente effettuare una visura ipocatastale presso l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate competente del territorio, per scoprire quali immobili sono intestati alla persona in questione e, successivamente, verificare se, a carico di questi, è iscritta un’ipoteca e/o una procedura esecutiva. Stesso discorso vale per i terreni, magazzini o altri tipi di immobili.

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Quando la proprietà privata può essere espropriata?

Secondo la Costituzione italiana, la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, ma ne prevede anche l’esproprio, tramite compenso, per motivi di pubblica utilità. Se ne deduce che la proprietà privata non è intoccabile, in quanto le pubbliche amministrazioni, come lo Stato o i Comuni, possono acquisirla sotto forma terreno o fabbricato già preesistente per esigenze di interesse generale.

Il Testo Unico (D.P.R. n.327/2001) stabilisce le modalità con cui la pubblica amministrazione può effettuare la proprietà dei beni privati, fissando le condizioni con le quali deve avvenire l’espropriazione e il relativo indennizzo. E cominciamo proprio dal famigerato compenso.

Indennità di esproprio

La legge prevede che per motivi di pubblica utilità, la proprietà privata può essere espropriata nella sua totalità o per parte dei sui beni dalla pubblica amministrazione che compenserà il proprietario con una giusta indennità o compenso. Spetterà alla legislazione speciale stabilirne l’entità.

Partiamo dall’offerta di esproprio che deve essere commisurata al valore reale di mercato del bene. Diversi criteri entrano in gioco per calcolarne l’ammontare. Per prima cosa, l’ubicazione del terreno o fabbricato, la natura di edificabilità del fondo o la sua destinazione agricola, o comunque tutte le altre possibilità di utilizzo. Il compenso dell’esproprio deve essere congruo, in quanto deve costituire un reale ristoro per il proprietario che subisce l’esproprio come compensazione della perdita del bene.

L’importo dell’indennizzo viene calcolato provvisoriamente dall’amministrazione precedente. Se l’espropriato lo accetta senza alcuna contestazione, il compenso verrà aumentato del 10% in caso di terreno edificabile, del 50% in caso di fondo agricolo ed è triplicato se esso è coltivato dal proprietario espropriato in qualità di coltivatore diretto o imprenditore agricolo.

Si parla di cessione volontaria del bene, se il proprietario accetta l’indennità provvisoria offerta dalla pubblica amministrazione, quindi, non si parla di esproprio. Con la cessione volontaria del bene verranno stabilite anche le modalità di versamento al proprietario espropriato della somma riconosciuta a titolo di indennità provvisoria.

La procedura di espropriazione

Il procedimento di espropriazione si articola in vari passaggi che coinvolgono direttamente il cittadino proprietario del bene. Per prima cosa, il Comune, lo Stato o altre pubbliche amministrazioni, individuano l’area di pubblica utilità su cui realizzare le opere pubbliche e di conseguenza sceglie i beni da espropriare. A questo punto, appone un vincolo preordinato di esproprio seguito entro il termine massimo di cinque anni dalla dichiarazione di pubblica utilità. Diversamente, il vincolo perde efficacia, a meno che non venga reiterato, nel qual caso il proprietario ha diritto all’indennità anche se il bene non è stato ancora espropriato.

La dichiarazione di pubblica utilità giunge solamente quando il progetto definitivo dell’opera da realizzare sui terreni privati è stato approvato, mentre il vincolo preliminare presuppone l’avvenuta approvazione del progetto urbanistico in cui l’opera si inquadra, come il piano regolatore generale e le sue varianti.

Entro 30 giorni dalla dichiarazione di pubblica utilità, l’amministrazione deve quantificare l’ammontare dell’indennità di esproprio e comunicarla proprietario, al quale vengono concessi altrettanti giorni di tempo per rifiutare l’offerta che, altrimenti si considera accettata. In quest’ultimo caso, egli ricevere immediatamente un acconto pari all’80% del compenso con saldo a seguito del decreto di esproprio.

Come contestare l’indennità di esproprio

Se il proprietario rifiuta l’indennità calcolata in via provvisoria dall’amministrazione, si aprirà un contenzioso da svolgersi in sede amministrativa o giudiziaria, ove la decisione è affidata a un collegio di tre periti per la determinazione dell’indennità definitiva.

In tal caso, l’espropriato deve farsi assistere da un avvocato, ma anche da un tecnico di fiducia designato che discuterà con gli omologhi tecnici incaricati dall’amministrazione pubblica al fine di quantificare il valore del bene sul mercato per un indennizzo quanto più equo e aggiornato possibile.

Per eventuali controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione del compenso di esproprio sono di competenza del giudice ordinario. Entra in gioco il giudice amministrativo della giurisdizione quando viene contestato il diritto dell’amministrazione di procedere all’espropriazione per pubblica utilità.

L’occupazione d’urgenza

L’indennità di esproprio viene calcolata ordinariamente o con un procedimento accelerato, il quale può portare a un’occupazione d’urgenza preordinata all’esproprio. Tale urgenza si si realizza quando l’inizio dei lavori è considerato non differibile (infrastrutture strategiche oppure più di 50 espropriati). In tali ipotesi, l’immissione nel possesso del bene da parte della Pubblica Amministrazione procedente viene anticipata rispetto al momento di emissione del decreto di esproprio e di pagamento del corrispettivo economico.

L’indennità stabilita provvisoriamente, viene comunicata in un apposito decreto, mediante il quale il proprietario può proporre opposizione alla stima entro 30 giorni dalla presa di possesso da parte della PA nelle modalità già indicate. Se l’espropriato accetta riceverà l’80% in acconto e il saldo gli verrà pagato al momento dell’emanazione del successivo decreto di esproprio.

Il decreto di esproprio

Con l’emissione del decreto di esproprio da parte dell’amministrazione precedente, si concretizza il passaggio definitivo del diritto di proprietà dall’espropriato alla PA, esecutivo dalla data di immissione in possesso, che dovrà essere documentata nell’apposito verbale.

L’espropriazione è illegittima solo se effettuata al di fuori della procedura sopra decritta, in tal caso il proprietario può esigere il risarcimento del danno o la restituzione del terreno, e l’azione deve essere esercitata entro il termine di prescrizione di cinque anni, come per tutti i fatti illeciti.

Si può vendere una casa senza l’accordo di tutti gli eredi?

Quante volte è capitato di ricevere un’immobile in eredità e di non riuscire a venderlo perché non tutti gli eredi sono d’accordo? Qual è la procedura da seguire e quale la migliore soluzione per tutti?

Gli eredi non sono d’accordo nel vendere un immobile: cosa fare?

Non è certamente una novità, più eredi ricevono e accettano in successione una casa, ma fatalmente non tutti concordano nel venderla, nonostante nessuno di loro la utilizzi. Ognuno ha le sue motivazioni: qualcuno vuole vendere per realizzare un guadagno economico, qualcun altro ha un legame affettivo con l’immobile e preferisce non farlo, un altro ancora non ha bisogno di monetizzare subito e magari preferisce attendere che il valore della casa possa crescere in quel dato mercato immobiliare.

Presupponendo che ci sono due eredi che sono convinti di voler mettere in vendita l’immobile, diversamente da altri tre eredi, ma tutti e cinque possiedono la stessa quota, come possono comportarsi i primi due? Stiamo parlando di una comunione ereditaria che si manifesta quando tutti gli eredi hanno ricevuto a pari quota il patrimonio del defunto.

Solitamente, quando ci sono più eredi, nessuno è d’accordo sulla stessa modalità: per esempio vendere l’immobile e dividere il ricavato in parti uguali, in modo da chiudere la pratica, oppure locare la casa e dividersi in parti uguali la rendita. Ma c’è sempre chi per un motivo particolare non concorda, magari uno vorrebbe realizzare un guadagno impossibile da ottenere in quelle condizioni di mercato, ma può anche succedere che semplicemente per discordia o per dispetto nei confronti di altri eredi, uno di essi non voglia vendere. La stessa cosa può succedere nel caso ci sia la proposta di qualche erede di dare l’immobile in locazione.

E’ brutto da dire, ma la cruda verità è ricorrere ad una causa legale (basta la volontà di un erede) con l’intenzione di arrivare alla divisione giudiziale. Tuttavia, prima di notificare l’atto introduttivo del giudizio di divisione giudiziale è necessario aver azionato il procedimento di mediazione obbligatoria (che è condizione di procedibilità del giudizio stesso, e che può essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza).

Nel momento in cui il tentativo di mediazione cade nel vuoto, la domanda giudiziale di divisione va proposta con atto di citazione nei confronti di tutti gli eredi. A questo punto, il giudice del tribunale valuterà se è possibile trovare un accordo tra tutti gli eredi. Ad esempio, uno di essi potrebbe prevedere una divisione in natura dell’immobile oppure l’acquisto, da parte di uno solo degli eredi delle quote degli altri.

E se non si trovasse un accordo pacifico, come procederà il giudice? Per prima cosa, si verifica se esiste la possibilità di suddividere la proprietà in più unità immobiliari, cosa che però, è di solito fattibile solo con case molto grandi. A quest0 scopo viene nominato un perito che esamina tutte le possibili soluzioni tecniche. L’iter ha come obiettivo dividere il bene in natura assegnando a ciascun erede una porzione particolare dell’intero bene su cui potrà vantare la proprietà esclusiva.

Nel caso nemmeno questa soluzione dovesse essere possibile, il magistrato verifica se uno degli eredi è interessato ad acquistare l’intera proprietà della casa, liquidando agli altri eredi le rispettive quote in denaro. Se così dovesse essere si procede a quantificare il valore del bene in base a una perizia disposta dal tribunale stesso.

Se più di un erede è interessato a diventare proprietario esclusivo del bene, il giudice valuta quale sia l’interesse maggiormente meritevole di tutela. Su questo ha ampio potere discrezionale, tanto da poter privilegiare gli interessi di chi già ci vive dentro (ammesso che ci sia) oppure favorire l’erede con una quota superiore di eredità.

Nell’ipotesi in cui nessuno dei coeredi abbia intenzione di comprare l’immobile, si procede alla vendita all’asta del bene, con incanto. Quest’ultima soluzione è la meno conveniente, infatti, con questa tipologia di operazione l’immobile viene svalutato.

Ma qual è la soluzione migliore?

Non c’è dubbio che la vendita è la soluzione ideale, tolte le spese il ricavo netto della vendita viene diviso equamente tra gli eredi e tutto si conclude nel migliore dei modi.

La vendita all’incanto è una delle peggiori soluzioni, in quanto come tutti gli immobili messi all’asta, il valore effettivo ne esce nettamente svalutato e il guadagno di ogni erede sarà palesemente inferiore.

Aprire una causa legale comporta delle spese che si aggiungono ad altri costi come ad esempio la parcella del professionista che diventa custode l’immobile in caso di frazionamento, per non parlare delle spese notarili e della consulenza tecnica da pagare per effettuare la divisione.

Volutamente, in questo articolo abbiamo detto e ribadito alcune situazioni e concetti a costo di farne un pot pourri che in cucina corrisponde a uno stufato di carne e verdure assortite, altrimenti consistente in un componimento musicale o letterario messo insieme con più pezzi eterogenei.

In poche parole, se tutti gli eredi non concordano nel porre in vendita la casa, qualsiasi altra scelta sarà più onerosa.

 

Cosa possono pignorare ad un nullatenente?

Soprattutto in questi tempi di crisi economica acuita dall’emergenza coronavirus, molte persone indebitate si chiedono cosa gli possano pignorare i creditori non avendo nulla. In effetti, la domanda appare più che lecita, su cosa può rivalersi un creditore insoddisfatto se il suo debitore è nullatenente?

In realtà, il tema va affrontato a seconda del tipo di debito contratto. Infatti, per le obbligazioni contratte con i privati, ad esempio le banche, i fornitori, il padrone di casa, valgono delle regole differenti rispetto ai debiti di natura fiscale, la quale presenta dei limiti di pignoramento molto più stringenti. Quindi, sicuramente rischia di più chi ha contratto debiti con soggetti privati.

Cosa può fare il creditore se il debitore non paga

Di fronte a un debitore che non vuole o non può estinguere il suo debito, il creditore può solo attaccarsi al pignoramento. Prima di fare ciò, deve procurarsi un titolo esecutivo, in pratica un documento che attesti il suo credito. Ad esempio, potrebbe trattarsi di una sentenza anche se solo di primo grado, di un decreto ingiuntivo per cui il debitore non si è opposto, ma anche una cambiale o un mutuo stipulato tramite atto notarile.

Premesso ciò, con il titolo esecutivo nelle proprie mani il creditore notifica al debitore tramite l’ufficiale giudiziario di un tribunale. Stiamo parlando del cosiddetto atto di precetto, il quale costituisce un invito a pagare entro 10 giorni e che avverte che in caso di mancata adempienza, si ricorrerà all’esecuzione forzata.

Al creditore tocca effettuare un ennesimo step, cioè rivolgersi ad un ufficiale giudiziario per fare forza al pignoramento dei beni del debitore. Pignoramento a parte, il creditore non può fare altro, certamente non può denunciare il debitore mal pagatore.

In effetti, rifiutarsi di pagare non costituisce reato, ma solo un illecito civile per cui un creditore, oltre al pignoramento, può chiedere solo il risarcimento del danno.

In realtà, potrebbero ricorrere due reati:

  • la truffa, nel caso una persona induce in errore l’altra, raggirandola per sottrarle qualcosa. Qui, si configura l’intento fraudolento con azioni mirate a camuffare la realtà;
  • insolvenza fraudolenta, che si materializza quando il debitore nasconde al creditore la sua capacità a pagare. Ad esempio, il dipendente che firma un prestito sapendo di venire licenziato a breve, ma omettendolo al creditore.

Le tre forme di pignoramento

Chi non vuole pagare può subire, in linea di massima, solo un pignoramento. Esso consiste nell’avvio di un’apposita procedura amministrativa diretta ad apprendere i beni del debitore per poi metterli all’asta cercando di recuperare i soldi che potrebbero soddisfare le proprie esigenze.

Il creditore non può presentarsi a casa del debitore prendendo ciò che gli pare e tenendolo per sé. Tuttavia, potrebbe farlo con i beni che hanno un valore accertato, ad esempio l’oro.

Sono tre le forme di pignoramento che possono essere messe in atto:

  • beni mobili (mobili di casa);
  • beni immobili (terreni e case);
  • crediti verso terzi (stipendio, pensione, conti correnti).

Spetta al creditore decidere che tipologia di pignoramento scegliere da portare avanti. Solitamente, effettua la sua scelta sulla base di informazioni ricevute utilizzando terze persone del mestiere, o trovandole da sole, oppure tramite l’Anagrafe tributaria che consiste in un registro informatico dell’Agenzia delle Entrate che indica tutti i redditi di proprietà dei contribuenti. conti correnti inclusi.

Se non hai nulla, cosa possono farti?

Accertato che il debitore è nullatenente, il creditore può solo sperare che le cose si smuovano in futuro. Ad esempio, sperare che il debitore erediti qualcosa di concreto o che possa trovare un lavoro per pagare. Infatti, nel momento in cui il debitore diventi solvibile, è possibile effettuare un pignoramento.

Per evitare che scatti la prescrizione (10 anni per i crediti derivanti da contratti che scendono a 3 per i professionisti e risalgono a 5 per i crediti derivanti da danni e altri atti illeciti, si consiglia al creditore di inviare periodicamente una diffida di pagamento al debitore, tramite raccomanda A/R o attraverso una PEC.

Il pignoramento mobiliare: unico tentativo dell’ufficiale giudiziario

Il creditore che difficilmente riuscirà a sapere se ci sono soldi od oggetti di valore nella casa del debitore, può far avviare un pignoramento mobiliare da parte dell’ufficiale giudiziario che ha solo un tentativo di individuare oggetti pignorabili di un certo valore.

Il creditore può anche pignorare un quinto di un eventuali stipendio o pensione del debitore. Oppure, può rivalersi sul conto corrente, ma con un grande limite. Infatti, se esso costituisce un appoggio alla pensione o allo stipendio, il creditore può pignorare solo la parte eccedente il triplo dell’assegno sociale.

Cosa può fare l’Agenzia delle Entrate se sei nullatenente?

Se il creditore è il Fisco, le condizioni sono ancora meno stringenti. Nel senso che, qualora il debitore abbia una casa di proprietà, essa non può essere soggetta a pignoramento. E’ vietato pignorare la prima casa per il mancato pagamento di cartelle esattoriali. Fanno eccezione le abitazioni di lusso che rientrano nelle categorie catastali: A1, A8 e A9.

Tuttavia, anche se il debitore è in possesso di una seconda casa, il pignoramento immobiliare da parte del Fisco entra in atto solo per debiti superiori a 120.000 euro. Ma esiste un’altra scappatoia, ossia, se il debitore paga debiti per una somma che fa scendere l’asticella del debito complessivo sotto i 120.000 euro, può dormire sonni tranquilli in quanto le case tornano a non essere pignorabili.

Cosa fare in caso di recesso dal contratto di locazione?

Recedere anticipatamente da un contratto di locazione è possibile. Ma in quali forme e come fare se una delle due parti (proprietario e inquilino) vogliono effettuare il recesso?

Il recesso dal contratto di locazione

Sia il proprietario dell’immobile concesso in locazione, sia l’inquilino che lo occupa in affitto, possono trovarsi nelle condizioni di dover recedere da un contratto di locazione in modo anticipato. Ovviamente, la legge prevede dei casi specifici in cui può verificarsi tale recesso. Analizzandole, vedremo che la normativa tutela maggiormente il conduttore, concedendo meno possibilità, quindi, condizioni più stringenti per il locatore dell’immobile.

La durata del contratto

Innanzitutto, la sottoscrizione di un contratto di locazione tra il proprietario dell’immobile e l’inquilino prevede l’indicazione della sua durata. Normalmente, la legge la fissa sulla bassa del tipo di canone adottato (libero, concordato, transitorio, turistico…). Ma nel lasso temporale previsto dal contratto, è permesso il recesso di una delle due parti prima della scadenza dello stesso.

Cosa accade quando a recedere dal contratto di locazione è l’inquilino

Il conduttore può recedere anticipatamente dal contratto di locazione rispetto alla scadenza stabilita. E’ bene precisare che devono ricorrere gravi motivi che giustifichino la richiesta di recesso, in tal caso l’inquilino deve fornire un preavviso di sei mesi al proprietario dell’immobile. Tuttavia, capita spesso che il termine di preavviso si possa derogare all’interno del contratto sfuggendo ai sei mesi convenzionali.

La norma non chiarisce nello specifico cosa intenda per gravi motivi, di conseguenza è necessario seguire le indicazioni della Corte di Cassazione. Ed è proprio quest’ultima a precisare che i sopraggiunti gravi motivi debbano essere giustificati da fatti indipendenti dalla propria volontà, essendo imprevedibili e che la prosecuzione del rapporto renderebbe la propria situazione oltremodo gravosa. L’evento imprevisto deve essere economicamente oneroso o psicologicamente gravoso.

Se il conduttore non è in grado di documentare il grave motivo, il locatore può chiedere un rimborso per il danno subito dal recesso anticipato rispetto alla scadenza stabilita dal contratto di locazione. Tuttavia, il risarcimento non può essere chiesto se il proprietario dell’immobile riesce a locare immediatamente la casa traendone un vantaggio.

Gravi motivi di recesso anticipato: i casi principali

Ribadendo che i gravi motivi devono avere le peculiarità dell’imprevedibilità e involontarietà, ecco alcuni casi per cui l’inquilino può recedere in anticipo dal termine fissato per il contratto di locazione:

  • Trasferimento del posto di lavoro in un luogo molto distante dall’abitazione;
  • Problemi familiari che impongono il trasferimento;
  • La perdita dell’occupazione con la conseguente grave necessità di dover abbassare le spese di locazione;
  • Problemi strutturali alla casa o di condominio, di cui il proprietario non si cura o che affronta poco e male.

Cosa accade quando a recedere dal contratto di locazione è il proprietario dell’immobile

La legge, seppur in modo molto più stringente, prevede anche per il locatore la possibilità di recesso anticipato, premesso che sono necessari anche per lui sei mesi di preavviso. Infatti, il proprietario della casa può recedere dal contratto alla prima scadenza utile (4 anni per il contratto libero e 3 anni per il contratto a canone concordato) solo per giustificato motivo, tra cui rientrano i seguenti casi:

  • Il locatore ha bisogno dell’immobile per sé o la sua famiglia;
  • Il conduttore ha disponibilità di traslocare in un appartamento simile nello stesso comune;
  • L’inquilino non occupa in maniera continuativa l’appartamento senza darne spiegazioni;
  • L’appartamento è ubicato in un edificio gravemente danneggiato che necessitò di ristrutturazione o addirittura di ricostruzione;
  • Il proprietario vuole vendere l’immobile e non ha a disposizione altri appartamenti. In questo caso il conduttore può fruire del diritto di prelazione.

Se entro 12 mesi dall’uscita dell’inquilino, non si verifica la motivazione indicata dal proprietario utile per recedere anticipatamente dal contratto di locazione, il conduttore ha la possibilità tornare nell’alloggio avvalendosi del precedente contratto. Oppure, può scegliere di ottenere un rimborso complessivo di 36 mensilità.

In realtà, il locatore può recedere anticipatamente dal contratto di locazione, anche senza giustificato motivo, ma una volta superata la prima scadenza del contratto e sempre con un preavviso di sei mesi.

 

Si può vendere un immobile con ipoteca?

Vorresti vendere casa, ma su di essa grava un’ipoteca. Puoi farlo lo stesso? La risposta è affermativa, ma come puoi ben immaginare, l’intera procedura, pur essendo possibile, non costituirà una passeggiata di salute.

Se hai esigenza o necessità di cambiare casa, ma non sei nelle condizioni di estinguere il debito che la riguarda, esistono diversi iter per farlo, sempre nel rispetto delle relative norme di legge. Infatti, la vendita di un immobile ipotecato è fattibile a determinate condizioni che validano il rogito notarile e riuscendo ad aggirare l’ostacolo dell’acquirente che è rappresentato dal timore di comprare una casa sulla quale pende un debito.

Occupiamoci, dunque, di come vendere un immobile ipotecato analizzando gli step necessari che portano a buon fine tale trattativa.

Cos’è un’ipoteca immobiliare?

Per prima cosa, dobbiamo fare luce sul concetto di ipoteca immobiliare. L’ipoteca consiste in un diritto reale posto a garanzia dei creditori che, vantando tale diritto hanno la possibilità di rifarsi sul bene ipotecato nel caso di insolvenza da parte del suo debitore. L’ipoteca su un immobile si concretizza con la sua iscrizione nei pubblici registri come pubblicità.

L’ipoteca dura circa 20 anni, ma è nella facoltà del creditore di rinnovarla con lo stesso grado, anche prima del termine prestabilito. In assenza di rinnovo, l’ipoteca decade.

E’ bene chiarire che quando un creditore iscrive un’ipoteca sulla casa, la proprietà di quest’ultima resta sempre al debitore.

Come vendere un immobile con ipoteca

Come accennato poc’anzi, è possibile vendere un immobile ipotecato attraverso diverse modalità, ma non senza problemi. Infatti, l’atto di vendita di una ipotecata è da ritenersi valida solo se il compratore è a conoscenza della presenza dell’ipoteca. In caso contrario, l’acquirente potrebbe richiedere la risoluzione del contratto.

Invece, in caso di vendita della casa ipotecata, chi compra il bene lo fa con l’ipoteca compresa. Ciò vuol dire che se il debitore non onora il suo debito, la banca può pignorare l’immobile nonostante il passaggio di proprietà avvenuto. Anche chi ha acquistato una casa ipotecata, può a sua rivenderla a un terzo, il quale, anch’esso lo farà comprensivo dell’ipoteca.

Ma, parliamoci chiaro: chi ha interesse a comprare una casa su cui grava un’ipoteca, con il rischio di subire il pignoramento della stessa in quanto il debitore potrebbe non pagare più il suo creditore? Spesso, si ricorre ad un acquisto agevolato, proprio per via dell’ipoteca accesa sull’immobile in questione, ma anche pagare un prezzo basso potrebbe non convincere a realizzare l’acquisto.

Sulla base di questi presupposti, spesso, il debitore si affida ad un’agenzia immobiliare che può gestire al meglio queste particolari situazioni e tentare di portare a termine, comunque, l’affare. Solitamente, un’agenzia immobiliare si avvale della pubblicità, della capacità di relazionarsi in modo serio e trasparente al potenziale acquirente, di non applicare alcuna commissione per il venditore.

Vendere una casa ipotecata: la strada della bonifica

Una delle procedure più utilizzate per vedere un immobile su cui grava un’ipoteca è recarsi da un notaio, nel quale il venditore, una volta incassato il prezzo di’acquisto della casa, in accordo con l’altra parte ne bonifica una parte al creditore fino a copertura del proprio debito e, contestualmente, il creditore s’impegna a liberare dell’ipoteca l’immobile venduto.

Ovviamente, per eseguire questa particolare operazione, davanti al notaio devono presentarsi il debitore che vende la casa, il creditore in veste di titolare dell’ipoteca e naturalmente il compratore dell’immobile.

Validità della vendita di una casa ipotecata

Il presupposto principale per realizzare una vendita di questo tipo, è che il compratore sia al corrente dell’ipoteca, ancora prima della firma di un compromesso, per poter rendere valida la vendita. Nel preliminare di compravendita, il debitore può impegnarsi a cancellare l’ipoteca entro un certo lasso temporale prestabilito, ossia, prima o al momento di concludere l’atto notarile.

Se l’acquirente dell’immobile non è messo al corrente dell’ipoteca su di essa accesa, può chiedere lo scioglimento del contratto e la restituzione del prezzo pagato, con l’aggiunta del risarcimento del danno. Oppure, può mantenere la proprietà del bene e ottenere la restituzione di una parte o dell’intero prezzo pagato. O ancora, può sospendere il pagamento del residuo.

Cosa succede se l’acquirente dell’immobile ipotecato subisce il pignoramento?

Se il compratore si trova con la casa ancora ipotecata in quanto il debitore non ha continuato a pagare per estinguerla, il creditore può rivalersi contro l’immobile nonostante nonostante il passaggio di proprietà, pignorando l’abitazione intestata al nuovo proprietario.

Qualora l’acquirente subisca un’esecuzione forzata, ha tre scelte tra cui optare:

  • avvalersi della facoltà di pagare i creditori ipotecari;
  • rilasciare la casa ipotecata;
  • liberare l’immobile su cui grava ancora l’ipoteca.

In ogni caso, l’acquirente può chiedere il risarcimento dei danni, nel caso si dimostri di non essere stato messo al corrente della presenza dell’ipoteca e di esercitare il diritto di subingresso nelle ipoteche iscritte dal creditore soddisfatto su altri beni del debitore.

 

Quando non si paga l’IMU sulla seconda casa

Abbiamo già trattato l’argomento IMU prima casa, chi deve pagare questa imposta e che ne è esente, capendo che sono pochi i casi in cui il versamento della tassa è dovuta. Stavolta, vogliamo capire quando non si paga l’IMU sulla seconda casa oppure in quali casi il proprietario può fruire di varie riduzioni dell’imposta.

IMU seconda casa: quando non si paga

Nella maggioranza dei casi, l’IMU sulla seconda casa è dovuta, e in ogni caso non esistono condizioni per cui si è interamente esenti dal pagamento. Tuttavia ci sono diversi in cui il proprietario dell’immobile non è tenuto al versamento integrale della tassa, potendo fruire di alcune agevolazioni e riduzioni.

Prima di entrare nel merito della questione, precisiamo che l’IMU seconda casa rappresenta un tributo comunale dovuto da tutti coloro che possiedono un immobile che non sia prima casa (a meno che non rientri nelle abitazioni principali che rientrano nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, ossia per le abitazioni di tipo signorile, in ville, oppure castelli e palazzi di pregio storico e artistico.

Agevolazioni IMU seconda casa: pagamento ridotto

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 1263 Corte di Cassazione del 21 gennaio 2021), ha stabilito che a volte basta presentare un’autocertificazione con la quale si dichiara che l’immobile è disabitato o concesso in comodato d’uso gratuito a parenti, o ancora concesso in locazione a canoni molto bassi rispetto al normale valore di mercato.

In questi casi il proprietario deve presentare domanda al Comune nel quale è ubicato l’immobile per ottenere una riduzione sull’imposta dovuta del 50% che vale per tutto il periodo in cui sussistono tali condizioni, di ottenere una riduzione della tassazione del 50% “per tutto il periodo per il quale sussistono le condizioni suddette.

Il Dpr 445/2000 interviene in deroga sulla disposizione normativa vigente in materia di pagamento IMU seconda casa, secondo la quale le condizioni di inagibilità o inabitabilità dell’immobile devono essere necessariamente accertate dall’ufficio tecnico comunale con perizia a carico del proprietario.

Per gli immobili inagibili e inabitabili la Cassazione ha stabilito una riduzione del 50% dell’imposta da pagare, e nei casi in cui lo stato di inagibilità è noto anche al Comune, si arriva all’esenzione dal pagamento dell’imposta nella sua totalità, anche se il proprietario non ha presentato la richiesta di ottenere la riduzione dell’Imu.

La riduzione dell’Imu del 50% per la seconda casa quando si tratta di immobile concesso in comodato d’uso gratuito ai figli o ai genitori, sempre che questi soggetti la utilizzino come abitazione principale e che la casa in questione non sia registrata al catasto come abitazione rientrante nelle categorie di lusso (A/1, A/8 e A/9).

Possono beneficiare della riduzione del 50% dell’Imu anche gli immobili considerati di interesse storico e artistico come previsto dall’articolo 10 del D.L. n. 42 del 2004. Anche in questo caso per ottenere la riduzione dell’Imu bisogna presentare la dichiarazione Imu entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello per il quale viene calcolata l’imposta.

Una riduzione dell’Imu è prevista anche nei casi di immobili dati in locazione, a patto che si tratti di un contratto con canone concordato secondo la legge 431/1998. In questo caso la riduzione sarà del 75%.

Infine è prevista l’esenzione totale dal pagamento dell’Imu sulla casa familiare che viene assegnata al genitore affidatario dei figli.

Ricordiamo che in ogni caso è sempre importante verificare le delibere e i regolamenti comunali che potrebbero applicare riduzioni minori o maggiori dell’imposta, a seconda delle situazioni e dei bilanci.

Gli immobili di pensionati residenti all’estero

A seguito della Legge di Bilancio 2021, a partire da quest’anno, i pensionati che sono fiscalmente residente all’estero e proprietari di un immobile sul territorio italiano, potranno godere di alcune riduzioni sui costi della proprietà. Per la precisione, la decurtazione dell’IMU seconda casa è pari al 50%, a condizione che tale immobile non venga locato oppure concesso in comodato d’uso, e che i proprietari siano titolari di pensione maturata in regime di convenzione internazionale con l’Italia.

Calcolo IMU seconda casa

L’aliquota IMU per le seconde case e le loro relative pertinenze è pari allo 0,86 per cento. I comuni, con deliberazione del consiglio comunale, possono aumentarla fino all’1,06 per cento o diminuirla fino all’azzeramento.

Ma vediamo insieme quali sono i passaggi da fare per calcolare l’IMU sulle seconde case:

  • individuare la rendita catastale, ottenibile dalla visura catastale e reperibile nel rogito, nell’ultima dichiarazione dei redditi oppure online attraverso il sito dell’Agenzia del territorio.
  • Sommare la rendita catastale al 5% del suo valore (quindi moltiplicare il valore della rendita catastale per 1,05).
  • Moltiplicare questo risultato per un coefficiente, valore che varia a seconda della tipologia dell’immobile, per ottenere la base imponibile. Per esempio per le seconde case rientranti nella categoria catastale A3, il coefficiente da utilizzare è 160.
  • Ottenuta la base imponibile si dovrà aggiungere l’aliquota che è stata decisa dal comune di riferimento.

 

Come funziona un atto di pignoramento

L’atto di pignoramento dà inizio al processo di espropriazione forzata. Si tratta del primo atto esecutivo che si pone l’obiettivo di vincolare determinati beni del debitore per il soddisfacimento del diritto del creditore precedente e di tutti gli altri che dovessero venire fuori successivamente.

Il pignoramento: come può essere

Principalmente, il pignoramento si distingue per l’oggetto. Infatti, può essere di tipo immobiliare, mobiliare, o presso terzi per crediti e beni che sono nella loro disponibilità (il pignoramento del saldo creditore di un conto corrente).

I passaggi che portano all’atto di pignoramento

Quando il creditore è un soggetto privato, arriveranno le lettere dal suo legale o da una società di recupero crediti a cui è stato affidato il compito di recuperare il credito. In caso di mancata risposta del debitore che evidentemente non vuole o non può pagare, viene avviata la procedura legale.

Per prima cosa, il decreto ingiuntivo ottenuto dal giudice competente e notificato dall’ufficiale giudiziario o via posta. Dopodiché, un atto di precetto predisposto dal legale del creditore e notificato allo stesso modo del decreto ingiuntivo. Infine, il pignoramento di beni immobili e mobili o di pensioni e stipendi del debitore (la notifica è la stessa dei primi due casi).

L’atto di pignoramento consiste proprio nell’intimazione da parte dell’ufficiale giudiziario al debitore di evitare qualsiasi atto volto a sottrarre alla garanzia del credito precisamente i beni che si assoggettano all’espropriazione e i frutti di essi.

All’atto di pignoramento ci si arriva dopo che il creditore ha provveduto a notificare il titolo esecutivo e il precetto. E’ bene precisare che la notifica del pignoramento deve essere effettuata entro 90 giorni da quella del precetto, nel caso di mancato inizio d’esecuzione, il precetto diventa inefficace.

Qualora venga effettuata un’opposizione al precetto, il termine resta sospeso e riprende a decorrere.

I contenuti del pignoramento

L’atto di pignoramento indica il credito per cui l’ufficiale giudiziario deve procedere e i beni che sono oggetto di pignoramento. Tramite l’atto in questione, il debitore è obbligato a dichiarare residenza o domicilio eletto. È necessario rendere noto che potrà essere chiesto al giudice dell’esecuzione competente la sostituzione dei beni e dei crediti pignorati con una somma di denaro (conversione).

In questo ultimo caso, la somma dovrà essere pari all’importo del credito dovuto al creditore procedente e agli intervenuti, comprensivi del capitale, degli interessi, delle spese e dei costi di esecuzione. La richiesta dovrà essere depositata in cancelleria prima che il giudice disponga vendita o assegnazione dei beni, corredata da un anticipo di minimo 1/6 della somma dovuta.

Beni pignorati insufficienti a soddisfare i crediti

Può capitare che i beni pignorati non bastino a soddisfare i creditori, o che il procedimento di liquidazione sarà lungo e oneroso. In tal caso, il debitore viene invitato a indicare “altri” beni personali pignorabili, dove sono reperibili e le generalità di eventuali terzi debitori su cui vanta crediti. L’omessa o falsa dichiarazione può costituire reato.

In caso di inserimento di altri creditori e conseguente insufficienza del patrimonio del debitore pignorato, il creditore procedente può richiedere all’ufficiale giudiziario di procedere.

Se il debitore è un imprenditore commerciale e il pignoramento risulta insufficiente, l’ufficiale giudiziario è autorizzato ad accedere alle scritture contabili, tramite l’ausilio di un nominato esperto.

Su richiesta del creditore, il giudice può valutare e autorizzare la ricerca dei beni da pignorare in via telematica.

Pagamento, conversione e riduzione del pignoramento

Per evitare il pignoramento il debitore può versare tutto nelle mani dell’ufficiale giudiziario (debito+spese) che questi dovrà consegnare al creditore. Se si tratta di beni tangibili pignorati, il debitore potrà consegnare all’ufficiale giudiziario una somma pari all’importo del credito e delle spese con l’aggiunta del 20%.

Il debitore può sostituire i crediti pignorati con del denaro comprensivo di capitale interessi, spese, prima che il giudice ne ordini la vendita o l’assegnazione.

Il giudice può provvedere anche alla riduzione del pignoramento, una volta sentiti i creditori e quando il valore dei beni pignorati è superiore all’importo dei crediti e delle spese.

Il pignoramento perde di efficacia in assenza di domande di vendita o assegnazione dei beni entro 45 giorni dal compimento.