L’università degli sceicchi è Made in Italy


di Mirko ZAGO

La Qatar Foundation è un’organizzazione non-profit fondata nel 1995 dallo sceicco del Qatar (dal chilometrico Amir Sheikh Hamad bin Khalifa Al-Thani) che si propone di potenziare l’educazione, la scienza e lo sviluppo della comunità. La mission è scritta a chiare lettere in tutto il materiale promozionale dell’associazione e recita: “support Qatar on its journey from a carbon economy to a knowledge economy by unlocking human potential“, ovvero incentivare il passaggio da un’economia che prevede il rilascio di anidride carbonica nell’atmosfera ad una economia basata invece sulla conoscenza.

La fondazione ha identificato in un’impresa italiana il partner ideale per la costruzione di un campus universitario internazionale si tratta della veronese Stone Italiana, azienda leader nella produzione di quarzo e marmo ricomposto. Si tratta di una commessa dal valore importante, la cifra dell’appalto è pari infatti a 4milioni di euro, che in un periodo come questo rappresentano un importante investimento e garanzia di successo. Si tratta inoltre di una commissione prolungata nel tempo. A questa prima seguiranno infatti i lavori necessari a completare le altre tre strutture che completeranno il campus.

In particolare l’azienda veneta dovrà fornire 30.000 metri quadri di pavimento, 28 chilometri di battiscopa e 1.300 set bagno (comprendenti piano lavabo e mensole varie) per la costruzione di un campus universitario da 33.000 metri quadri e 1.200 posti letto all’interno dell’Education City di Doha, del valore di 332 milioni di dollari.

L’amministratore delegato Roberto Dalla Valle commenta così: “La sfida è stata quella di rispettare alla lettera i canoni estetici e quelli ambientalistici fissati, che prevedevano l’utilizzo di materiali a base di vetro riciclato per realizzare motivi molto complessi. Non è stato facile, ma alla fine siamo riusciti a trovare le 500 tonnellate di vetro necessarie e a soddisfare ogni richiesta.” Va ricordato infatti che la struttura già esistente è opera di architettura avanzata che ha fuso sapientemente stile tipicamente arabo con una declinazione contemporanea, serve quindi estrema professionalità e cura in ogni parte del lavoro (chi fosse interessato alla struttura dal punto di vista architettonico trova un approfondimento qui).

La Stone Italiana è un esempio pregiato di successo nell’internazionalizzazione. La sua partecipazione al “Project Qatar 2012“, il principale appuntamento fieristico dell’area per il settore edile che si terrà in primavera, la incoronerà regina delle imprese italiane impegnate in un Paese che dà garanzia di ottenere proficui guadagni anche per il futuro. Stone Italiana è arrivata a farsi apprezzare dagli esperti di interior design grazie alla qualità del prodotto e la capacità di realizzare soluzioni custom made. Per arrivare a tanto l’azienda, nata nel 1979, ha adottato una politica pressante di investimenti in ricerca e sviluppo soprattutto tra il 2007 e 2009 (periodo in cui oltretutto imperversava la crisi) e adottato la giusta attenzione per i temi ambientali, orientandosi ad un utilizzo saggio delle risorse e prediligendo materiale a basso impatto ambientale.

L’impegno italiano rappresenterà con buona probabilità un buon pretesto per intraprendere ulteriori rapporti commerciali. Si è già sicuri di riuscire a soddisfare le esigenze di sua altezza lo sceicco e non si dubita possa trattarsi di un ottimo biglietto da visita per sottolineare ancora una volta l’eccellenza del Made in Italy e del nostro know how.

Internazionalizzazione, il partner ideale è l’India

di Mirko ZAGO

L’ internazionalizzazione è una delle più ardue sfide per le imprese italiane. I territori su cui puntare gli occhi sono gli ormai conosciuti paesi del Bric, Brasile, Russia, India, Cina, mercati che fino a poco tempo fa erano considerati in via di sviluppo e che adesso sono invece cresciuti a ritmo così sostenuto da diventare un rifugio quasi sicuro per le numerose imprese che in terra propria patiscono la crisi.

La potenza del Bric

Questi paesi secondo le stime di EPFR Global, hanno attirato fondi azionari per 5,8 miliardi di dollari nella prima settimana di febbraio. Dando uno sguardo al MSCI Emerging Markets Index si nota un incremento del 15% durante i primi mesi di quest’anno rispetto al precedente periodo, con una performance considerata la migliore a partire dal 1991. Si tratta di una corsa considerata da alcuni analisti pericolosa, la crescita è infatti talmente elevata da far temere speculazioni e rischi per la situazione futura. Quel che è certo che allo stato attuale delle cose i Paesi identificano nel Bric la destinazione più favorevole per gli investimenti in titoli azionari e continueranno ad investire qui ancora per molto.

Se il Brasile e la Cina sono ormai mercati assodati, meno attraente appare al momento la Russia per via degli scontri politici che si stanno vivendo dalle ultime elezioni. Si parla invece meno dell’India, forse vista ancora lontana rispetto alle altre due neo potenze. A Roma pochi giorni fa si è tenuto un’interessante conferenza dal titolo “Continente India: i nuovi hub produttivi e commerciali per le Pmi italiane” organizzata da Ambasciata indiana a Roma e Unindustria.

I settori più promettenti

L’incontro è stato il presupposto per delineare un profilo del paese-continente: crescita del Pil del 7% nel 2011, 400 aziende italiane che già hanno investito aprendo filiali nel suo territorio, secondo paese al mondo per velocità di crescita dei consumi, caratteristiche che fanno dell’India un partner molto appetibile per le imprese pronte a cogliere la sfida. In particolare è il settore alimentare ad aver mostrato i segnali di crescita maggiori triplicando addirittura il suo valore in comparazione con il 2010, buone performance si registrano anche per macchinari e apparecchi industriali, prodotti farmaceutici, computer ed apparecchi elettronici.

Vi sono molte opportunità di crescita per le Pmi italiane che vogliono “sconfinare” soprattutto per i settori dell’automotive, delle energie rinnovabili, della logistica, degli accessori moda nonostante i grandi centri di produzione indiani ruotino attorno al settore meccanico, petrolifero, farmaceutico e tessile presente nello stato del Gujarat; quello delle biotecnologie e rinnovabili in Tamil Nadu; e l’hub industriale della citta’ di Pune nello Stato di Maharashtra, strategico per la meccanica e l’automotive come ricordato dal Presidente della Piccola Industria di Unindustria Angelo Camilli.

Analisi prima di gettarsi a capo fitto

Rimangono validi i consigli di un’attenta analisi prima di lanciarsi a capo fitto in un’impresa che potrebbe trasformarsi in catastrofica se non accompagnata da corrette valutazioni e adozione dei giusti mezzi.  Il prodotto buono, da solo, non è garanzia di successo su questi territori. E’ necessario approfondire  il funzionamento del sistema istituzionale, la distribuzione ma anche la mentalità commerciale per presentarsi con le carte in regola per vincere la sfida. Esistono numerosi advisor specializzati in internazionalizzazione ai quali è bene affidarsi per diminuire il rischio di gravi errori. Per comprendere la portata del fenomeno internazionalizzazione si possono consultare i dati dell’Istituto per il commercio estero  che identifica 5.800 investitori attivi sui mercati internazionali, un totale di 17. 200 imprese estere partecipate con un numero di dipendenti totali pari a 1.120.550 unità. Nel 2005, quando l’internazionalizzazione nel 55% dei casi parlava ancora lingue europee (Francia, Germania e Gran Bretagna in primis), le imprese affiliate realizzavano un fatturato di 322 miliardi di euro.

 

Al riparo dagli attacchi informatici, con il cloud si può

di Mirko ZAGO

Nella già difficile vita delle imprese si nasconde un’insidia tanto subdola quanto pericolosa. Questa minaccia è rappresentata dagli attacchi informatici che possono mettere a repentaglio l’organizzazione di un’impresa, specialmente se piccola. Se le grandi aziende posseggono infatti un team dedicato alla sicurezza, con interventi mirati anche in tempo reale, la piccola impresa raramente dispone di un servizio così sviluppato ed è costretta a subire i maggiori danni.

Hacker è una parola inglese che ha un significato simile a “rompere con l’accetta”. Lo scopo primario dei cosiddetti “white hats” è infatti quello di verificare il funzionamento di sistemi informatici, software, reti ecc. capendone i meccanismi, smontandoli, cercando di comprendere quali sono i punti di forza e quali quelli di debolezza, scardinandone le porte. Un ruolo quasi lodevole e ricco di etica, se non fosse per l’esistenza della controparte ovvero dei “black hats” i cappelli neri.

Il loro intervento può essere realmente dannoso nel momento in cui attaccano database aziendali, siti internet, backup…immaginate che nel bel mezzo della notte, il vostro sito aziendale, magari un e-business e il vostro database di clienti venisse completamente cancellato. Oltre alla perdita di denaro per le mancate vendite, dovreste sostenere un  intervento repentino di ripristino talvolta molto costoso, augurandovi che non vi siano di mezzo altri dati. Che accadrebbe infatti se di mezzo ci fossero anche dati sensibili? Indirizzi, numeri telefonici, anagrafiche, o peggio numeri di carte di credito?

Anche tralasciando visioni eccessivamente apocalittiche si intuisce comunque la necessità di ricorrere al riparo con ogni mezzo investendo seriamente in sicurezza. Al contrario di quanto si creda i servizi on the cloud possono rappresentare una soluzione efficace, in quanto prevedono backup continui e solitamente i dati sono replicati su più data center. Inoltre chi fornisce questi servizi solitamente garantisce la massima sicurezza, accollandosi tutte le spese necessarie per garantire un servizio di qualità a prova di hacker.  Per le imprese che non sfruttano questo tipo di soluzioni le strade da percorrere sono diverse, ma il comune denominatore è rappresentato dal motto “non si è mai troppo al sicuro”. I semplici antivirus non sono più sufficienti, servono firewall adatti, sistema di backup efficiente, modifica delle password a intervalli prestabiliti, attenzione a tutte le misure attuate per la preservazione della privacy e molto altro ancora, solo per avere un minimo di sicurezza.

Di questi temi si è recentemente parlato alla Security Conference 2012 di IDC a Milano e Roma. Fabio Rizzotto, IT Research Director di IDC Italia ha commentato in merito: ” Continui attacchi e tentativi di violazione dei sistemi informativi aziendali non sono più un’eventualità, ma la normalità. Non è più questione di se questi attacchi arriveranno, ma di quando“. Il mobile, il social e il cloud hanno modificato l’approccio alla sicurezza: “Stanno infatti emergendo importanti problematiche che travalicano il mero atto del proteggersi e che interessano molto da vicino le sfere della governance e della compliance, problematiche destinate ad accentuarsi ulteriormente con il diffondersi del modello cloud, soprattutto nella sua declinazione pubblica“.

Quel che è certo è che la sicurezza rappresenta una parola chiave sempre più interessante perchè necessaria che ha aperto a nuovi orizzonti di business. “Dai 27,31 miliardi di dollari del 2010 il giro d’affari generato da questo settore è balzato a 29,99 miliardi nel 2011 e IDC stima che sfiorerà i 32,82 miliardi nel 2012“, sono queste le stime diffuse durante le conferenze. La nuova frontiera prevede interventi relativi alla percezione da parte degli utenti, tra essi è infatti ancora elevata la percentuale di chi ritiene che ad esempio il cloud possa nascondere rischi maggiori per la tutela dei dati, quando invece è vero il contrario.

La Business Software Alliance ha posto l’Italia al sesto posto nella Cloud Scorecard, una lista dei Paesi con le migliori performance in termine di cloud computing, considerando di primaria importanza le nostre leggi di tutela per la privacy. Matteo Mille, presidente di Bsa Italia commenta: “Una serie di segnali, come la collaborazione con le Fiamme gialle e alcuni Tribunali, permette di essere moderatamente ottimisti su norme e leggi affinché il cloud computing possa essere utilizzato in uno Stato come l’Italia dove le aziende potrebbero beneficiare di servizi ‘on the cloud’ che sono accessibili da realtà locali e permettono anche alle piccole e medie imprese di ottenere vantaggi riservati alle grandi aziende”.

 

Credit crunch, imprese quasi salve

di Mirko ZAGO

Le imprese italiane sono sotto la morsa del credit crunch. Il termine anglosassone che ormai riecheggia sulle pagine dei quotidiani e in rete da qualche mese, è diventato una vera minaccia per le piccole e medie imprese, ancora una volta sotto la stretta della difficoltà di accedere al credito. Come se non bastasse l’eccessivo tempo perso a batter cassa specie alla pubblica amministrazione, che ancora si macchia della colpa di ritardi ingiustificabili, partecipa a mettere quotidianamente in ginocchio decine di attività produttive.

Dinnanzi ad una situazione così preoccupante, sono ormai intervenuti tutti, dai politici, agli amministratori, ai responsabili d’impresa con risultati felici sulla carta ma sconfortanti nella realtà, questa la situazione fino a ieri. La decisione dell’ inasprimento dei requisiti patrimoniali delle banche da parte dell’Europa con l’entrata in vigore imminente di Basilea 3, ha creato non poca confusione nell’humus delle banche italiane, che si sono sentite colpite ingiustamente, dopo la promozione a pieni voti a seguito degli stress test della scorsa estate. Ripatrimonializzare potrebbe voler dire chiudere ancor più i rubinetti dei prestiti alle imprese. Le imprese piccole e medie, che rappresentano il 92% del tessuto impreditoriale nazionale, già stremate da continui rallentamenti si vedrebbero d’improvviso costrette a sopportare d’improvviso gli effetti di una tirata di freno a mano.

Dalla Banca d’Italia si viene a sapere che negli ultimi 3 mesi del 2011, i prestiti erogati dal sistema bancario alle imprese hanno subito una diminuzione dell’1,5% e nelmese di dicembre addirittura 2,2%. La Cgia di Mestre come molti altri, denuncia: “Questi dati confermano che ci troviamo di fronte ad una vera e propria stretta creditizia. Le banche hanno chiuso i rubinetti del credito ed in una fase recessiva, come quella che stiamo vivendo in questo momento, corriamo il rischio che il nostro sistema produttivo, costituito prevalentemente da piccole e piccolissime imprese,  collassi”. Il segretario Giuseppe Bortolussi prosegue: “Nel 2011 le insolvenze in capo alle imprese italiane hanno toccato gli 80,6 miliardi di euro, con un incremento rispetto l’anno precedente pari al + 36%. Questa situazione ha sicuramente indotto molti istituti di credito a ridurre i prestiti soprattutto a quelle realtà produttive che non erano più in grado di dimostrare una certa affidabilità”. La difficoltà a reperire capitali è un dramma per il 51,3% delle imprese. Il fatto che l’86,2% di esse non si affiderà ad isituti di credito per reperire risorse illustra chiaramente la scarsa fiducia e la difficile situazione in cui ci si trova. Non fosse anche per gli aumenti registrati in agosto del costo medio dei nuovi finanziamenti alle imprese, salito al 3,4 per cento (una maggiorazione di mezzo punto percentuale).

Come riuscire a librarsi in volo dunque, visto le premesse pessime? Spiragli ci sono per quanti riescono ad arricchire il proprio biglietto da visita, dimostrando alle banche di possedere una buona capacità di esportazione, un ottimo business plan articolato e al tempo stesso credibile e possibilità e volontà di investire nell’innovazione. Fondamentali saranno anche gli interventi politici. Ambra Redaelli, presidente del comitato regionale Piccola Industria e responsabile credito per Confindustria Lombardia rende noto che “alla luce delle persistenti difficoltà Confindustria e Abi si stanno confrontando per valutare le iniziative per uscire da questa crisi: la riapertura della moratoria, che è stata tanto utile durante la prima crisi, sarà riproposta per chi non ne ha ancora usufruito”.

Al fine di rimediare ai ritardi nei pagamenti, alcune banche come ad esempio Mps, stanno prevedendo strumenti ad hoc che aiuteranno le imprese a far fronte ai tempi intermedi tra la richiesta di pagamento e l’incasso concreto. Altri soggetti che possono compartecipare a risolvere i problemi sono la cassa depositi e prestiti, le regioni, le camere di commercio, i confidi, il fondo italiano di investimento, la Sace, senza contare la Banca Europea e il Fondo Europeo per gli investimenti che sono responsabili dello sblocco di gran parte dei fondi salva imprese. Anche la politica sta finalmente dando risposte concrete. Il governo Monti ha disposto  sei miliardi di euro per ridurre il debito della Pa verso i privati e previsto l’adozione entro sei mesi dei decreti per attuare la direttiva Ue. Una virata verso il salvataggio, giusto ad un passo dallo scontro con l’iceberg.

Le applicazioni Google pensate per le Pmi

di Mirko ZAGO

Il gigante Google ha da poco investito nel potenziamento dei servizi dedicati alle imprese. Al centro dell’offerta vi sono una serie di applicazioni innovative, che possono rappresentare soluzioni intelligenti per districarsi tra le mille necessità organizzative quotidiane. L’obiettivo commerciale è palesemente quello di sconfiggere il rivale Microsoft che con il prodotto Exchange, detiene la quota maggiore di utilizzatori nel segmento. Le offerte sono veri e propri pacchetti di “apps”, suddivise a seconda della dimensione dell’azienda e conseguenti bisogni. Ricordiamo che la proposta che stiamo illustrando (“business”) si avvicenda ad altre simili, indirizzate all’utente medio, in questo caso l’utilizzo è gratuito, ad università ed enti di formazione e perfino alla pubblica amministrazione ed enti.

Vediamo in dettaglio l’offerta

Innanzitutto saltano all’occhio i vantaggi, che a detta della stessa Google, sarebbero incredibilmente appetibili. Citando i principali troviamo la possibilità di utilizzare software on the cloud, quindi non serve un hardware potente tanto meno il download di ingombrante software. E’ tutto lì “sulla nuvola” a portata di click e di upgrade. Altro vantaggi sembrano i costi, che da dichiarato sarebbero mediamente corrisponderebbero ad un terzo rispetto a quanto proposto dalla concorrenza (per dimostrarlo Google mette a disposizione una calcolatrice comparando i suoi servizi con quelli proposti da Microsoft http://www.google.com/apps/intl/it/business/messaging_value.html).

Nel pacchetto business spicca poi la dimensione della casella mail (con funzionalità avanzate) per i dipendenti, ben 25 Gb. Attenzione è stata risposta anche nella accessibilità da remoto, le applicazioni sono perfettamente accessibili dunque anche da smartphone e tablet. Il tempo di upload è garantito per il 99,9% con la sicurezza che i dati siano conservati su più data center protetti, al fine di evitare cancellazioni e perdite (si stima che gli utilizzatori di Microsoft Exchange subiscano 60 minuti al mese di inattività non pianificata, contro i 15 minuti di chi si affida a Google).

Evidenziamo i punti forti invece relativi alla sicurezza:

  • Strumenti personalizzati per filtrare messaggi in entrata e spam, forniti da Postini, per completare potenti filtri di spam che funzionano automaticamente senza configurazione iniziale.
  • Strumenti personalizzati, forniti da Postini, che consentono di filtrare la posta in uscita senza diffondere informazioni sensibili.
  • Regole di condivisione delle informazioni personalizzate per determinare in linea di massima che tipo di condivisione sia consentita ai dipendenti con Google Docs, Google Calendar e Google Sites.
  • Requisiti di lunghezza della password personalizzati e indicatori visivi di efficacia per consentire ai dipendenti di scegliere password sicure.
  • Connessioni SSL con Google Apps per garantire un accesso HTTPS sicuro.
  • Archiviazione della posta elettronica facoltativa, con conservazione fino a dieci anni.
Anche il pieno controllo amministrativo e dei dati, così come la piena integrazione con il sistema di IT già presente sembra essere all’avanguardia:
  • L’API Single Sign-On (SSO) consente di connettere Google Apps al tuo sistema di autenticazione esistente.
  • Le API e l’utilità di provisioning degli utenti collegano Google Apps al tuo sistema di directory utenti.
  • Le funzionalità di routing e gateway dell’email consentono di utilizzare Google Apps insieme alla soluzione di posta esistente.
  • Le API e l’utilità di migrazione della posta ti consentono di trasferire i tuoi messaggi dalla soluzione di posta elettronica esistente verso Google Apps.
Il tutto condito dalla piena personalizzazione di loghi e colori nelle applicazioni, account utente personalizzati sul dominio Internet dell’azienda, la certezza (da contratto) che la proprietà intellettuale dei dati rimane all’azienda. Non poteva mancare un’assistenza 24 ore su 24 per 7 giorni la settimana che saprà conquistare chi teme di acquistare qualcosa a scatola chiusa e poi non saper come venire a capo dei problemi tecnici a cui si potrebbe andare incontro.
Vediamo ora in dettaglio come si differenziano le diverse offerte tarate sulle dimensioni dell’organizzazione.
Piccole imprese: pacchetto base costituito da Gmail for Business, Google Calendar, Google Documenti, Google Sites
Medie imprese: l’offerta si arricchisce di Google Cloud Connect per Microsoft Office che rende possibile la modifica collaborativa di documenti; assistenza e
Grandi imprese: oltre all’assistenza costante, si offre la Certificazione ISAE 3402 Tipo II (controlli, i processi e i criteri adottati per la protezione dei dati) e l’integrazione nell’infrastruttura esistente.
Le soluzioni hanno un costo di 4 € al mese per utente oppure 40 € per utente all’anno. Tutte le caratteristiche contrattuali e voci di spesa sono riassunte in questo prospetto. Ricordiamo che è possibile usufruire di un mese di prova gratuita per testare le potenzialità. Sono numerose le aziende che già si sono affidate a Google Apps, tra queste Jaguar, Land Rover, Permasteelisa Group.

Professionisti, sfruttate i gruppi d’acquisto per far business

di Mirko ZAGO

Se l’arte di ingegnarsi può apportare vantaggi lavorativi e incentivare forme di business accogliamola a braccia aperte. Si fa un gran parlare in rete dei gruppi di acquisti, unioni di persone che sfruttando le potenzialità del web 2.0 (banalmente orientato al social, non me ne vogliano gli esperti per l’eccesso di pressapochismo) si incontrano in uno spazio virtuale e cercano di creare un “match”, una corrispondenza tra la loro richiesta di acquisto di prodotti ed un’offerta ad hoc caratterizzata da sconti succulenti resi possibili in quanto la transazione si basa su un ampio numero di vendite concentrate nel tempo. Si tratta alla fin dei conti di rivendere prodotti a prezzo di stock, a singole persone, sfruttando il web per reclutare la domanda e agevolare il processo di vendita e consegna. A sostegno di queste imprese si sono moltiplicati nel tempo numerosi market place che offrono con costanza “deal del giorno”, offerte limitate e speciali che durano poche ore e vengono confermate solo al raggiungimento di un certo numero di ordini (Groupon, Groupalia, Let’s Bonus ecc. Si basano su tale dinamica).

Ma facciamo un passo indietro e soprattuto, con uno sforzo maggiore, varchiamo i confini virtuali e ritorniamo coi piedi nel mondo reale, in particolare nel mondo fatto di famiglie, problemi domestici e orde di professionisti e tecnici pronti a risolverli. Idraulici, elettricisti, giardinieri, pulitori di scarichi, caldaisti sono tanto necessari quanto odiati per due ovvi motivi, uno se ci affidiamo a loro significa che abbiamo un problema, e già di per sè questo basta a scaldare gli animi all’interno di una famiglia, due il momento di saldare il conto toglie a molti l’appetito. Servirebbe un modo che agevolasse entrambi i soggetti, da un lato le famiglie desiderose di risparmiare e costrette ad interventi di manutenzione (se la decisione non è autonoma è la legge a pensarci) e dall’altro i professionisti onesti e seri che lavorano duro per portare a termine gli interventi a regola d’arte cercando di non far piovere sul bagnato con i loro corrispettivi per la prestazione d’opera.

Alcuni dei modi per risparmiare sono sfruttare le offerte dei vari siti di deal sperando nella promozione di questo tipo di interventi. Ma le opportunità sono purtroppo sporadiche. Ci si può affidare ai gruppi di acquisto territoriali, ma l’informazione è scarsa e la loro organizzazione spessso non ottimale. Da qualche tempo le iniziative nascono sempre più spesso direttamente per opera degli stessi professionisti che racimolano clienti in numero sufficiente da garantire la stessa prestazione ma a prezzi inferiori rispetto al rivolgersi singolarmente alla concorrenza.

Non si tratta certo di sprovveduti, questi signori magari senza saperlo sfruttano le migliori strategie del marketing diretto e curano tutte le 4 P del marketing mix (Philip Kotler) compresa la quinta rappresentata dalle partnership come vuole la nuova scuola. Solitamente l’iter è questo. In prossimità di interventi di manutenzione obbligatoria (ad esempio la pulizia della caldaia citando l’esempio che mi ha toccato personalmente) il tecnico (o un team – “Partnership”) contatta un certo gruppo di famiglie selezionate in base alla vicinanza geografica, solitamente ci si concentra su piccoli quartieri (“Place”). Le tecniche usate spaziano dalle telefonate, alla pubblicità su cassetta delle lettere, fino ad arrivare a mail ed sms (“Promotion”). Viene proposto l’intervento di riassetto, pulizia, manutenzione (“Product”) ad un prezzo solitamente più basso (“Price”) qualora si decidesse di aderire in toto seguendo le decisioni degli altri vicini. Alla data prefissata, il tecnico in una volta sola visita le case del quartiere per la felicità prima di tutto sua, ma anche delle famiglie che così possono risparmiare qualche euro. Banale, semplice e tremendamente efficace, e allora perchè è ancora così poco diffusa questa pratica? L’ingegno italico si vede fin dalla quotidianità, purchè non si esageri… il richiamo a dentisti e avvocati che si “svendono” online fa riflettere.

Niente botti nelle maggiori città italiane

di Mirko ZAGO

Mancano poche ore al saluto dell’anno nuovo e come da tradizione, migliaia di persone stanno preparando i loro personali arsenali di botti con cui dare il benvenuto al 2012. Gli avvertimenti della guardia di finanza e le immagini di persone ferite prontamente riproposte nei tg del primo giorno dell’anno non servono a placare il gusto di far esplodere ordigni all’impazzata nella nottata “festaiola” per eccellenza. Quest’anno per ovviare al problema si sono messi d’impegno i primi cittadini di diverse città che con ordinanze speciali hanno messo al bando l’utilizzo di fuochi d’artificio sul suolo pubblico. Uno dei primi Comuni a imporre tale decisione è stato Venezia. Chi verrà trovato a sparare botti dovrà pagare una sanzione che varia da 25 a 500 euro. Si sono adeguati al capoluogo veneto anche Torino, Bari, Palermo. In un secondo momento hanno deciso di vietare i “fuochi” anche Modena, Pesaro, Asti, Olbia e Milano, quest’ultima più attenta all’ambiente. La polvere da sparo rilasciata nell’aria infatti partecipa ad aumentare gravemente le pericolose Pm10 (le polveri sottili responsabili di gravi danni per i polmoni dei cittadini) già elevate a causa dello smog da automobili (infatti il sindaco del capoluogo lombardo ha deciso di bloccare la circolazione del traffico in occasione dei festeggiamenti).

I botti di capodanno oltre ad arrecare danno all’ambiente, a provocare gravi incidenti alle persone (complice la scarsa prudenza e forse l’abuso di alcool che ostacola la percezione del pericolo), sono anche responsabili della morte ogni anno di circa 5mila animali che presi dallo spavento scavalcano recinzioni e si gettano in strada dove spesso finiscono per essere investiti, se non colpiti direttamente da mortaretti o feriti a morte per colpa dei fuochi inesplosi. Una vera e propria tragedia denunciata dalle associazioni per la difesa degli animali che da anni di batte per un esame di coscienza di chi utilizza materiale esplosivo durante il saluto al nuovo anno.

L’ombra della Camorra

Dall’altro capo della medaglia, la riduzione dell’utilizzo dei botti alimenta la crisi del settore mettendo in ginocchio i piccoli laboratori artgiani che con maestria confezionano ogni anno i giochi pirotecnici che affascinano grandi e piccoli con emozionanti giochi di luce. Si tratta di un’arte spessa ripagata con la vita, le condizioni di lavoro precarie in cui imperversano i lavoratori di questi laboratori, spesso più simili a baracche che a fabbriche, sono delle vere e proprie polveriere che di tanto in tanto esplodono, guadagnandosi gli onori della cronaca e riportando in auge il dibattuto tema della sicurezza nei posti di lavoro. Si stima che la vendita di botti legali sia calata quest’anno del 30-40%  secondo i grandi importatori di fuochi d’artificio del napoletano. “Le vendite sono calate proprio tra il trenta e il quaranta per cento. Eppure i prezzi sono identici a quelli dello scorso anno. In pratica, i negozi autorizzati per la vendita di questi articoli, hanno si acquistato, ma senza fare un riassortimento. Segno che la merce è rimasta sugli scaffali” – racconta sulle pagine del Mattino di Napoli Raffaele Perfetto, titolare della Perfetto Srl, la più grande azienda distributrice del Sud Italia. Se questa volta la Cina non è un vero concorrente sleale in quanto alimenta un mercato legale che promette buoni profitti anche dalla rivendita, (“…I fuochi cinesi, sono ben fabbricati, sicuri e hanno un prezzo davvero interessante, impensabile per quelli di produzione italiana” – aggiunge Perfetto) il vero concorrente è la Camorra. Dietro alle bancarelle abusive spesso si nasconde la mafia che fa cassa inquinando il mercato pulito. A rimetterci sono le imprese serie, i venditori regolari, i consumatori che si affidano a prodotti pericolosi e non garantiti.

Il fotovoltaico non brilla più. Lasciano BP e due aziende tedesche

Sono ben due le aziende che in questo periodo hanno dichiarato bancarotta. Si tratta di grandi aziende “green” con base in Germania, esperte nella produzione e installazione di pannelli fotovoltaici, non gli ultimi arrivati insomma. Solon e Solar Millennium dopo anni d’oro hanno dovuto fare i conti con l’imperversare della crisi anche nel settore delle energie alternative, un settore che sembra essere sempre rigoglioso ma che deve scontrarsi con l’enorme concorrenza nata negli utlimi anni. La prima, azienda con sede a Berlino, produttrice di moduli fotovoltaici e la seconda con sede in Baviera, esperta invece nalla progettazione di centrali termodinamiche sono o meglio erano delle potenze del mercato. Solon in particolare sbarcata in borsa già nel 1998, era un pioniere del comparto, con all’attivo numerosi contratti anche governativi.

I governi rivestono un ruolo fondamentale nel sostenere la domanda attraverso politiche che premiano chi utilizza energia pulita e offrendo cospicui incentivi per l’installazione di impianti per la produzione dienergia alternativa. Ma che succede quando i governi decidono di chiudere i rubinetti dei finanziamenti? I cittadini sono molto meno propensi a convertire i loro vecchi impianti di riscaldamento, preferendo conservare qualche soldo nella saccoccia e rimandando l’investimento a tempi migliori. Di certo l’ambiente non trarrà vantaggio ma non si tratta di nulla di così grave. Allargando lo sguardo al mondo produttivo ci si accorge però che dietro a tali politiche dei governi nazionali si celano lavoratori che perdono il lavoro, aziende sul lastrico, e perfino erosione dell’immagine del Paese. Non tutte le colpe sono dei governi ovviamente. L’elevata concorrenza, specie asiatica, rende difficoltosa l’esistenza sul mercato di aziende europee, portando i margini di guadagno a ridursi all’osso.

Un piccolo raggio di sole “Made in Germany” se ne va e con esso la certezza che il futuro dell’energia sia da ricercare nel sole. In queste ore sono stati confermati i rumors circa l’abbandono di British Petroleum verso investimenti nel solare. Sarebbe la stessa azienda in una comunicazione ai dipendenti ad ammettere la volontà di abbandonare, dopo 40 anni di presenza, il mercato del fotovoltaico “a causa dei profondi cambiamenti avvenuti nell’energia solare a livello mondiale negli ultimi anni e BP non è stata capace di generare i margini necessari per affrontare le sfide poste dall’evoluzione dei mercati“. E’ già dal 2009 che l’azienda valuta la chiusura di questo ramo d’attività, periodo in cui ha rinunciato a diverse attività manifatturiere in Spagna. Ci auguriamo che a sostegno del solare giungano risposte chiare e immediate da parte dei governi e istituzioni sovranazionali che garantiscano continuità ai progetti di autonomia energetica intrapresi nel tempo. Ad oggi è di circa 19 Giga Watt la potenza installata in Europa con 27 milioni di metri quadri di pannelli solari installati. Entro il 2012 si conta di arrivare al 10% del fabbisogno complessivo, un traguardo importante, ci auguriamo che quelli di questi giorni siano solo incidenti di percorso.

Mirko Zago

 

“Sconfinamenti”, a rischio il credito per le imprese

di Mirko ZAGO

Cambiano le regole in tavola per le imprese e per le banche a partire dal 1 gennaio del nuovo anno. E’ lo spinoso tema degli sconfinamenti bancari ad essere interessato dalla nuova normativa europea con ripercussioni tanto sugli istituti bancari quanto per le imprese che ricorrono ad essere per i finanziamenti. Prima di passare ad illustrare i cambiamenti facciamo un po’ di chiarezza su cosa si intende per sconfinamento.

Cos’è lo sconfinamento?

Nel caso in cui l’importo degli addebiti del cliente che usufruisce di un servizio bancario ecceda quello degli accrediti, il conto assume un saldo debitore per il cliente. Ciò significa che la banca ha anticipato a quest’ultimo le somme necessarie ad eseguire pagamenti e si verifica di conseguenza lo scoperto di conto. Lo scoperto di conto va distinto dallo sconfinamento che ricorre quando il c/c è assistito da un fido. Il fido rappresenta un vero e proprio finanziamento. Lo scoperto di conto ha carattere episodico e necessita il pronto rimborso delle somme utilizzate a debito; il fido rappresenta una somma di denaro che la banca ha concesso al cliente e che questi può utilizzare liberamente; richiede la sottoscrizione di un apposito contratto che ne regola l’ammontare e le condizioni (ad esempio: tasso di interesse). L’utilizzo del conto oltre il limite di fido genera lo sconfinamento di conto” (tratto dal sito della Banca d’Italia).

Fino ad oggi gli sconfinamenti hanno avuto vita tutto sommato facile. La normativa prevedeva infatti una segnalazione di sconfinamento solo nel caso in cui lo scoperto durasse più di 180 giorni. Le banche dunque sono sempre state molto tolleranti rispetto a sfori del fido concesso, senza richiedere entro questo termine, l’apertura di nuovi contratti di prestito di denaro. Tutto ciò era permessa fino ad oggi da Basilea 2. Si tratta di un accordo internazionale sui requisiti patrimoniali delle banche. In base ad esso le banche dei Paesi aderenti devono accantonare quote di capitale proporzionali al rischio derivante dai vari rapporti di credito assunti oltre che rispettare certe direttive e standard di qualità.

L’anno nuovo porta grandi cambiamenti. Le tempistiche per la segnalazioni calano infatti a 90 giorni. Le banche quindi potranno pazientare solo 3 mesi e non più 6 prima di effettuare la segnalazione. Per il credito retail e verso gli enti pubblici resta invece in vigore la deroga permanente; in questo modo le banche potranno utilizzare sistemi di rating interni continuando a segnalare gli sconfinamenti dopo 180 giorni, almeno fino all’introduzione di Basilea 3 nel 2013.

Cosa comporta per un’azienda essere “segnalata”?

Un’azienda considerata “past due” (insolvente per superamento del limite di tempo concesso allo scoperto) potrebbe vedersi revocare il credito concesso dalla banca, un immediata richiesta di esposizione oltre che una segnalazione a tutti gli istituti bancari della posizione “pericolosa” dell’impresa. In sostanza il nominativo dell’azienda sarà inserita nella La Centrale dei rischi. Si tratta di uno strumento  istituito nel 1962 ed operativo dal 1964, ha l’obiettivo di supportare il sistema bancario nella gestione delle politiche di prestito e di controllo dei rischi creditizi. Si intuisce che essere inseriti in questo indice equivale a azzerare le possibilità di vedersi concesso credito.

Anche le banche avranno però delle ripercussioni negative.  I crediti sconfinati infatti devono essere dichiarati “crediti deteriorati” che richiedono un aggravio di requisiti patrimoniali e nuovi accantonamenti. In sostanza l’accorciamento dei tempi, seppur importante per elevare gli standard, potrebbe aggravare la situazione economica delle imprese che già non godono di ottima salute, stretti dalla morsa fiscale.

Quale situazione si prospetta?

Serve naturalmente in fase iniziale una informazione efficace sui rischi che si possono correre. In tal senso l’Abi e le associazioni di categoria  Assoconfidi, Confagricoltura, Confedilizia, Cia, Coldiretti, Confapi, Confindustria e Rete imprese Italia  hanno firmato un protocollo  “Comunicazione alle imprese sull’entrata in vigore dei nuovi termini per la segnalazione degli sconfinamenti bancari – past due” con l’intento di salvaguardare le imprese e il sistema bancario congiuntamente. Dall’altro lato i Confidi cercheranno di garantire prestiti ponte delle banche alle imprese per i 90 giorni che queste perdono con le nuove tempistiche. “Una misura legata all’emergenza di questo periodo, nella consapevolezza però che la certezza dei pagamenti sia una buona regola per tutti”, assicura Antonio Lo Monaco, segretario nazionale Federconfidi.

Confindustria per i Giovani, stage da mille euro

Confindustria coinvolge i giovani neolaureati a partecipare ad uno stage retribuito finalizzato a capire le dinamiche operative della confederazione e l’organizzazione del network che raduna oltre 148 mila imprese associate con il progetto “Confindustria per i Giovani“. Dopo il successo dell’iniziativa dello scorso anno “Cento Giovani per Cento anni” attraverso la quale l’Associazione degli Industriali ha voluto celebrare i cento anni dalla fondazione investendo sui giovani neolaureati ad alto potenziale coinvolgendoli in uno stage di 12 mesi accompagnato da formazione in aula.

L’iniziativa di quest’anno rimane sostanzialmente simile ma con alcune novità importanti. Rimane identico l’obiettivo che punta al coinvolgimento dei giovani nel mondo imprenditoriale e dell’associazione degli industriali: “L’intervento di formazione, che prevede una considerevole esperienza di formazione sul campo (attraverso stage presso la sede centrale di Confindustria, le Associazioni Industriali, le aziende associate e le strutture collegate a livello europeo ed internazionale), è finalizzato a favorire l’inserimento dei giovani neolaureati all’interno della Struttura, supportandoli nella comprensione delle dinamiche organizzative ed istituzionali del network associativo. I giovani neolaureati, al termine del percorso formativo, saranno così in grado di presidiare le competenze e le conoscenze relazionali e tecniche necessarie per un eventuale inserimento nelle diverse realtà organizzative ed aziendali. Per i partecipanti il programma rappresenta in ogni caso un’importante opportunità formativa ed una possibilità di entrare in contatto con aziende e strutture afferenti al Sistema Confindustria”.

Cambiano leggermente le modalità, che prevedono un percorso più agevole e snello dal punto di vista della durata, fissata in 6 mesi, in cui i giovani selezionati svolgeranno attività pratiche presso una o più sedi del Sistema di Rappresentanza. Saranno dedicate 8 giornate di formazione in aula alle quali si affiancheranno opportunità di formazione in modalità e-learning organizzate da Master 24, Il Sole 24 Ore Formazione per accrescere l’arricchimento culturale dei partecipanti e le loro abilità tecniche. I giovani avranno la certezza di entrare in un percorso serio e di essere seguiti scrupolosamente. Lo stage rispetterà realmente i presupposti formativi a cui tende, garanzia rafforzata da attività di tutoring e counselling durante l’intero percorso formativo attuato da professionisti di LIUC/LBS e Confindustria. Durante il periodo formativo, ai giovani verrà dato accesso ad una biblioteca virtuale, attraverso un sito dedicato, per approfondimenti su tematiche rilevanti.

Il progetto “Confindustria per i Giovani” prevede un trattamento economico di tutto rispetto. Per i 50 ragazzi che accederanno allo stage è riconosciuto un rimborso spese a copertura della quota di partecipazione (pari a 2mila euro) ed inoltre anche un rimborso spese mensile pari a mille euro lordi.

Modalità di partecipazione

Per poter concorrere alla partecipazione del progetto occorre presentare entro e non oltre il 10 dicembre domanda esclusivamente online (http://www.confindustriaperigiovani.it/). Verrà chiesto di compilare un form relativo alla propria carriera di studi e competenze lavorative pregresse e caricare un file (deve essere uno con i coda tutti i  documenti richiesti) contenente curriculum, certificato di disoccupazione o autodichiarazione di inoccupazione, certificato di laurea, diploma ed eventuali certificati che attestino la conoscenza delle lingue. A seguire si dovrà sostenere una prova scritta che permetterà di accedere ai colloqui motivazionali, ultimo scaglione prima della “vittoria”. Il tutto avverrà entro febbraio 2012, mese di partenza dello stage. La commissione a cui spetta la decisione è costituita da membri di Confindustria, Uninpiego Confindustria, Luiss Business School, Università Carlo Cattaneo – LIUC ed SFC – Sistemi Formativi Confindustria.

Requisiti

Aver conseguito un diploma di laurea, laurea magistrale e/o dottorato di ricerca non prima del 1 marzo 2011 ed entro il 10 dicembre 2011. Costituirà titolo preferenziale la laurea in materie tecnico scientifiche ed economico giuridiche. Al fine della graduatoria si considereranno anche: età del richiedente, curriculum vitae e accademico del laureato, risultati di test scritti, esito del colloquio motivazionale. I test psicoattitudinali prevedono domande di logica, cultura generale e lingua inlgese. Per partecipare al percorso occorre non possedere nessun rapporto di lavoro subordinato/parasubordinato, stage o lavoro autonomo.

Quali sono le opportunità e le finalità

Lo stagista verrà inserito all’interno dei diversi contesti organizzativi del sistema e parteciperà alle attività che vi verranno svolte, con lo scopo di introdurlo alla cultura di impresa e alla conoscenza delle dinamiche istituzionali e organizzative. Le sessioni di formazione frontale in aula hanno l’obiettivo di fornire a tutti i partecipanti una base comune di conoscenza del Sistema ma soprattutto di favorire l’integrazione e “il senso di appartenenza” alla stessa organizzazione tra loro.

Finalità del progetto da quanto si apprende dal sito dedicato all’iniziativa sono:

-introdurre 50 giovani selezionati al sistema delle imprese e della sua Rappresentanza;

-costruire un percorso formativo centrato sulla comprensione delle dinamiche organizzative ed istituzionali del network associativo confederale;

-contribuire a creare una rete di relazioni sul territorio fondamentale a rendere efficace l’azione associativa, partendo dalla generazione più giovane.

Per maggiori informazioni si può contattare  confindustriaperigiovani@confindustria.it

Mirko Zago