Bonus locazioni imprese turistiche: codice tributo per modello F24

Novità per gli imprenditori che vogliono avvalersi del credito di imposta maturato grazie al bonus locazioni imprese turistiche. Ora è arrivato il codice tributo per avvalersi della compensazione in caso di cessazione del credito.

Il bonus locazioni imprese turistiche

Con il decreto legge 34 del 2022, articolo 28, era stato previsto il bonus affitto imprese turistiche. Con una tempistica piuttosto lunga sono stati definiti i criteri per l’assegnazione del credito. Lo stesso spetta a fronte del versamento dei canoni di locazione nel periodo intercorrente tra il mese di gennaio e marzo 2022.

I termini per la presentazione della domanda sono due:

  • dal giorno 11 luglio 2022 al 28 febbraio 2023 per la generalità delle imprese del settore turistico;
  • dal giorno 15 settembre al 28 febbraio 2023 per le imprese che hanno attivato una partita iva per proseguire attività del settore turistico già esistenti o hanno posto in essere un’operazione che ha comportato una trasformazione aziendale nel periodo tra gennaio 2019 e la data dell’autodichiarazione. In questo caso gli eredi sono tenuti alla compilazione dei campi “Erede che prosegue l’attività del de cuius/trasformazione” e “Codice fiscale del de cuius/PARTITA IVA cessata” nel frontespizio.

Codice tributo per la compensazione del bonus locazioni imprese turistiche

Ora finalmente viene definito il codice tributo da utilizzare per la compensazione del credito riconosciuto. A dettare le regole è la Risoluzione 51 del 23 settembre 2022 dell’Agenzia delle Entrate. Deve essere ricordato che il credito di imposta può essere usufruito direttamente dal soggetto beneficiario, ma può anche essere ceduto, se costui accetta, al proprietario dell’immobile in luogo del pagamento dei canoni di locazione.

Il codice tributo è:

  • 6978 se è il beneficiario ad avvalersi della compensazione ( come prescritto nella risoluzione 37/E dell’11 luglio 2022);
  • “7741” denominato “CESSIONE CREDITO – Credito d’imposta in favore di imprese turistiche per canoni di locazione – articolo 5 del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4”.

Ricordiamo che, per poter cedere il credito, il soggetto cedente deve compilare la sezione III del Quadro A del modello di autodichiarazione. Si ricorda che non è ammessa la cessione parziale del credito, ma deve essere ceduto per intero.

Il cessionario deve comunicare l’accettazione del credito utilizzando le funzionalità messe a disposizione sul sito dell’Agenzia delle Entrate. Solo in seguito può utilizzare il codice 7741 attraverso l’uso del modello F24, sezione Erario, colonna “importi a credito compensati” o se l’agevolazione deve essere riversata, nella colonna “importi a debito versati”.

Leggi anche: Bonus locazioni imprese turistiche: domanda dall’11 luglio. Modello

Scarica la Risoluzione_n._51_del_23_settembre_2022

Un sostegno per famiglie che vivono in affitto, ecco di cosa si tratta

Dare una mano a chi non ha una casa propria e vive in una casa su cui paga un canone mensile di affitto. Questo ciò che da tempo il governo fa con misure di favore per queste famiglie. Naturalmente si tratta di misure collegate alla situazione economica della famiglia, ma le dotazioni finanziarie introdotte dal Ministero delle infrastrutture tramite il decreto Aiuti è imponente. E sono dotazioni recentemente implementate che si collegano alla miriade di benefici di questo genere che singole Regioni e singoli Comuni da tempo adottano.

Ripartiti i soldi per il benefit sui contratti di affitto

Con 100 milioni di euro in più aggiungi tramite il decreto Aiuti i soldi disponibili per il fondo affitti per il 2022 sono passati da 230 milioni di euro a 330 milioni di euro. In pratica dopo i già imponenti stanziamenti introdotti nella legge di Bilancio di inizio anno, il decreto Aiuti ha rincarato la dose, aumentando i fondi a disposizione per le famiglie. Adesso si è dato il via libera alla suddivisione delle risorse su base regionale. Infatti la ripartizione su base regionale è già stata prodotta e resa pubblica dai dati del Ministero delle infrastrutture. Per esempio in Basilicata sono stati messi in dote 3,7 milioni di euro come ha confermato il Sicet Cisl, cioè la branca della sigla sindacale per gli inquilini.

La nota del sindacato degli inquilini che fa capo alla Cisl sul bonus affitto

Con una nota il sindacato degli inquilini della Cisl ha spiegato come dovrebbe funzionare l’aiuto. Pare che nulla cambierà rispetto al passato, e quindi all’aiuto erogato nel 2021. Ciò che sostiene la Cisl è quanto ha confermato il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile durante un incontro proprio con le associazioni sindacali di categoria. Lo Stato quindi ha provveduto a dividere i soldi tra le varie Regioni che a loro volta sono chiamate a provvedere a fare altrettanto Comune per Comune.

I sindacati spronano la Regione ad adoperarsi presto

Come si legge sul sito “Lasiritide.it”, sono stati i rappresentati del sindacato ad annunciare l’avvenuta ripartizione dei fondi. Vincenzo Cavallo e Roberto Taratufolo, rispettivamente segretario generale della Cisl Basilicata e segretario generale del Sicet Cisl Basilicata, hanno sottolineato come il via libera ai versamenti per le famiglie deve passare in coordinamento con i versamenti dal fondo per la morosità incolpevole. La situazione di grave crisi economica con cui le famiglie hanno a che fare da tempo, impone questo genere di calcolo. I due sindacalisti confermano che mentre si attende la pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale, l’auspicio è che la Regione Basilicata si adoperi quanto prima per mettere a punto la struttura operativa. E si chiede alla Regione di collegare a questo incentivo anche gli incentivi regionali della stessa natura. Un modo per avere più risorse e per estendere la platea dei potenziali aventi diritto agli aiuti nel momento in cui vivono in casa d’affitto.

Infiltrazioni d’acqua in casa ed obblighi del proprietario o di chi paga l’affitto

Sicuramente non è raro che tra inquilino e proprietario della casa oggetto del contratto di affitto escano fuori contenziosi. Uno dei più comuni è senza dubbio il caso di infiltrazioni d’acqua nell’abitazione. Con l’inquilino che lamenta la scarsa manutenzione dell’edificio e con il proprietario che lamenta la scarsa attenzione alla casa da parte dell’inquilino. In materia di contratti di affitto i problemi che possono insorgere sono davvero molteplici. La presenza di acqua in casa non è certo una cosa positiva, ma su chi ricade la responsabilità risarcitoria? Una domanda lecita su cui occorre dare risposta basandoci sulle leggi vigenti e sulla normativa di riferimento.

Acqua in casa, di chi è la colpa tra proprietario e inquilino nei contratti di affitto?

L’inquilino è colui che prende una casa in locazione versando un canone periodico. Il proprietario è il padrone di casa, quello che incassa il canone. Sono le due parti del contrato di locazione, e che spesso finiscono in contenziosi e litigi, anche nel momento in cui la casa oggetto del contratto presenta problematiche relative alle infiltrazioni di acqua. Che siano semplici tracce di muffa o gocciolamenti veri e propri, fa poca differenza. L’acqua è una “brutta bestia”. Solo idraulici e tecnici sanno di cosa parliamo. Perché capire da dove l’acqua si infiltra è quanto di più difficile esista. Così come è difficile capire la causa scatenante l’infiltrazione. E come si legge sul sito “laleggepertutti.it”, vivere in una casa umida è un bel problema per chi la abita, ma lo è anche per il proprietario di casa, che prima o poi dovrà risolvere l’arcano.

Un tipico esempio di contenzioso nel contratto di affitto

La casa umida, con macchie di muffa o con gocciolamenti è una delle tipiche situazioni che portano proprietario della casa ed inquilino, a litigare. Certo, non è l’unico motivo, ma questo è senza dubbio uno di quelli più frequenti. Le normative vigenti prevedono regole ferree riguardo agli oneri in capo ad entrambe le parti in relazione a manutenzione straordinaria, ordinaria e così vie per l’immobile.

Per le infiltrazioni, i genere l’inquilino si lamenta della scarsa manutenzione a carico del proprietario. Quest’ultimo dal suo canto  accusa l’inquilino di non aver provveduto a segnalazioni tempestive di problemi, o ad aver rotto qualcosa in casa per negligenza. Il testo a cui attenersi in questi contenziosi è sempre il Codice Civile. Inoltre, il pro forma di queste evidenze viene implementato da diverse pronunce e sentenze dei Giudici di diversi Tribunali chiamati ad intervenire per dirimere queste controversie. Contenziosi che diventano più complicati se la casa in affitto oltre a inquilino e proprietario ha in mezzo il condominio. Con l’inquilino che per legge ha diritto al risarcimento dei danni da parte del proprietario, che a sua volta, come si legge sul già citato sito, a rivalersi sul condominio.

Cosa deve fare il padrone di casa di un immobile in cui si verificano infiltrazioni d’acqua

È il Codice Civile a stabilire le regole nel rapporto contrattualizzato tra proprietario di casa e relativo inquilino. Nel dettaglio parliamo dell’articolo n° 1585 del Codice Civile che cita letteralmente che “il locatore è tenuto a garantire il conduttore dalle molestie che diminuiscono l’uso o il godimento della cosa”. Come dire, se qualcosa non funziona in casa e questo comporta un vizio nel pieno godimento della casa da parte dell’inquilino, quest’ultimo ha il diritto di agire nei confronti del proprietario di casa. E le infiltrazioni di acqua rientrano in pieno in quegli eventi che portano l’inquilino a non godere in pieno della possibilità di utilizzare l’immobile. Vien meno il godimento generale del bene preso in affitto e messo sotto contratto.

Perché in alcuni casi anche il condominio è responsabile?

Sempre il Codice Civile, ma stavolta all’articolo n° 2051, tira dentro il condominio come responsabile di eventuali vizi nel pieno godimento di un determinato bene da parte dell’inquilino.

Sul condominio ricade l’obbligo di manutenzione delle parti comuni delle case, dai tetti alle grondaie, dai pluviali alle tubature, come da elenco allegato all’articolo n° 1117 sempre del Codice Civile. Certo, tirare dentro il condominio è una facoltà  del proprietario di casa. E per le infiltrazioni di acqua, per i motivi prima citati, è piuttosto complicato trovare al 100% la causa. Che sia il proprietario o il condominio, le prove devono essere certe.

Le infiltrazioni sono difficilmente provabili al 100%

Ma in questo caso, un condominio che viene tirato dentro in materia di controversie tra inquilino e proprietario per infiltrazioni di acqua, deve essere capace di dimostrare che le accuse non sono fondate. Deve dimostrare in pratica che le infiltrazioni non dipendono dalla scarsa manutenzione delle parti comuni di un edificio. La situazione è piuttosto complicata perché se si appura che l’infiltrazione provenga da una parte comune dell’immobile, come il tetto, allora è giusto tirare dentro il condominio. Ma se l’infiltrazione parte da un terrazzo di una casa privata, anche se in condominio, l’onere è in pieno del proprietario immobiliare.

Cosa deve fare l’inquilino per ottenere un risarcimento

Ricapitolando, se la casa diventa malsana, oppure se una parte di essa non è utilizzabile rispetto al contratto iniziale, l’inquilino può agire. Chi prende in affitto  un appartamento danneggiato dalla presenza di infiltrazioni può chiedere il risarcimento dei danni direttamente contro il responsabile delle infiltrazioni o al proprietario di casa. Nel primo caso si può chiedere il danno all’inquilino del piano superiore per esempio o al condominio se l’infiltrazione proviene da una parte comune dell’edificio. Nel secondo può chiedere i danni al proprietario. In entrambi i casi oltre al risarcimento si deve pretendere la rimozione della problematica.

Affitto casa ai giovani: quali agevolazioni fiscali sono previste?

Quali agevolazioni fiscali sono previste per i figli che vorrebbero prendere in affitto un’abitazione per conto proprio? I giovani tra i 20 e i 31 anni di età (non ancora compiuti) possono prendere in locazione un’unità abitativa intera oppure una porzione di essa e godere di benefici fiscali grazie a un’Irpef più bassa. È necessario il contratto di locazione e la legge di riferimento per l’affitto è la numero 431 del 1998. Il beneficio fiscale applicato all’Irpef è del 20%.

Quale detrazione fiscale si ottiene con l’affitto della casa ai giovani fino a 30 anni?

Il massimo della detrazione fiscale Irpef ottenibile dall’affitto di una casa ai giovani è pari a 2 mila euro. Quella di base, il minimo della detrazione ottenibile, anche per il 2022 rimane 991,60 euro. Il 20% di beneficio fiscale si applica mediante la percentuale del 20% sul canone di affitto pattuito. Più il canone di affitto è alto, maggiore è lo sconto fiscale applicando la percentuale prevista.

Quali sono i requisiti per beneficiare della detrazione fiscale del 20% sull’affitto della casa per i giovani?

Per poter beneficiare della detrazione fiscale del 20% sull’affitto della casa ai giovani è necessario possedere determinati requisiti. Innanzitutto il reddito complessivo non deve eccedere i 15.493,71 euro. Chi prende l’immobile in affitto, si ritiene, vi ci deve spostare la propria residenza. Quest’ultima, dunque, deve essere necessariamente differente da quella relativa alla casa principale dei genitori. Rispetto al passato, il beneficio fiscale si può sfruttare per quattro anni e non più per tre. L’età di chi prende in affitto la casa o una porzione di essa deve essere compresa tra i 20 e i 31 anni. Quest’ultima età non deve essere già stata compiuta.

Quale sconto fiscale si può ottenere per l’affitto di una casa per studenti universitari fuori sede?

Lo sconto fiscale del 20% sull’affitto di una casa per i giovani non è l’unico vantaggio ottenibile per chi sposti la propria residenza abituale. Infatti, è ancora in vigore lo sconto fiscale per gli studenti universitari fuori sede. Le condizioni di accesso all’agevolazione fiscale, nel 2022 sono rimaste invariate. Si può ottenere la detrazione fiscale Irpef del 19% sui canoni di locazione versati per l’alloggio universitario. Il beneficio fiscale ha il limite massimo di 2.633 euro. Il beneficio fiscale per gli studenti fuori sede si può applicare sui canoni di locazione inerenti i contratti previsti dalla legge numero 431 del 1998, ovvero:

  • i contratti di ospitalità;
  • gli atti di assegnazione in locazione o godimento stipulati con gli enti che non abbiano fini di lucro oppure con le cooperative.

Cosa fare per beneficiare dello sconto Irpef sulle locazione per i figli universitari fuori sede?

Per beneficiare della detrazione fiscale è necessario che lo studente studi a un’università che si trovi in un comune diverso di quello di appartenenza. L’università deve trovarsi in una provincia differente e distante non meno di 100 chilometri dal comune di residenza dello studente fuori sede. La detrazione fiscale non spetta nel caso di subaffitto. La detrazione fiscale spetta anche se l’onere viene sostenuto nell’interesse di famigliari a carico. L’importo limite di 2.633 euro rappresenta il massimo di spesa del quale può beneficiare ciascun contribuente, anche se riferito a più contratti di affitto intestati a più figli.

Quali limiti di reddito per beneficiare della detrazione fiscale sugli affitti di figli universitari fuori sede?

È importante far riferimento ai limiti di reddito inseriti per poter beneficiare della detrazione fiscale sugli affitti a favore di figli universitari fuori sede. Il limite complessivo del reddito non deve eccedere i 120 mila euro. Entro tale limite la detrazione fiscale è piena per poi decrescere, fino ad azzerarsi, in corrispondenza di redditi pari a 240 mila euro. La spesa di affitto sostenuta deve essere tracciata mediante le opportune modalità di pagamento.

Quali altre modalità di detrazione fiscale esistono sugli affitti?

Quelle esposte non sono le uniche modalità per beneficiare di detrazioni fiscali sugli affitti. È rimasta invariata la detrazione fiscale spettante agli inquilini di alloggi che siano adibiti ad abitazione principale. Infatti, per i soggetti che abbiano stipulato oppure rinnovato un contratto alle condizioni fissate dalla legge numero 431 del 1998, la detrazione fiscale rimane di 300 euro. È necessario che il reddito complessivo non sia eccedente la cifra di 15.493,71 euro. Se il reddito eccede tale limite ma non supera i 30.987,41 euro, la detrazione spettante scende a 150 euro. Se il contratto di affitto è a canone concordato, fermo restante i limiti di reddito sopra menzionati, la detrazione fiscale è pari, rispettivamente, a 495,8 euro e a 247,90 euro.

Detrazioni fiscali per affitto casa, altra residenza, per motivi di lavoro

Si può ottenere la detrazione fiscale anche nel caso in cui i lavoratori dipendenti debbano trasferire la propria residenza per motivi di lavoro. In questo caso è necessario che il trasferimento di residenza (necessario) avvenga in un’altra regione oppure in un comune differente dalla residenza precedente di non meno di 100 chilometri. Si può arrivare a uno sconto fiscale corrispondente a 991,60 euro purché il reddito non sia eccedente i 15.493,71 euro. La detrazione fiscale scende a 495,80 euro se il reddito eccede i i 15.493,71 euro, ma non deve essere comunque superiore a 30.987,41 euro.

Affitto, contratto non registrato risulta nullo: cosa fare per regolarizzarlo

I contratti di affitto abitativo non registrati risultano nulli. La relativa disciplina è fissata dalla legge numero 431 del 1998: l’affitto deve essere regolamentato sia per tutelare gli aspetti della locazione, dunque la durata e i canoni, sia per il recupero di quanto debba essere denunciato ai fini dell’imposizione fiscale.

Contratto di affitto non registrato: cosa significa che è nullo?

Un contratto di affitto non registrato, stipulato senza la dovuta forma scritta, è nullo. Il vizio può essere rilevato da una delle due parti o d’ufficio, ma non può essere utilizzato in giudizio. Sono altresì nulli i contratti di affitto a canone libero nei quali siano stati stabiliti dei patti volti a determinare un canone maggiore di quello che risulta dal contratto scritto e registrato. Similmente, risultano nulli anche i contratti che stabiliscono degli obblighi a carico di chi prenda in affitto l’immobile oppure dei vantaggi per chi affitta. Tali vantaggi si concretizzano in un corrispettivo maggiore a quello iscritto nel contratto.

Quali altri contratti di locazione sono nulli?

Risultano nulli anche i contratti di locazione conclusi alle condizioni delle organizzazioni di categoria che assegnino, a chi affitta, un canone maggiore di quello inserito nell’accordo. Analogamente, anche le scritture integrative riportate in un documento separato ma unito al contratto stesso, sono soggette a nullità.

Cosa deve fare chi affitta un immobile a uso abitativo in caso di nullità del contratto di locazione?

La disciplina che prevede la nullità del contratto di locazione di un immobile a uso abitativo, dispone che chi affitta abbia 30 giorni di tempo per procedere alla registrazione del contratto. I 30 giorni partono dalla sottoscrizione del contratto stesso. Nei 60 giorni successivi all’avvenuta registrazione del contratto, chi affitta ne deve dare comunicazione documentata di aver svolto l’adempimento. La comunicazione deve essere fatta pervenire sia all’affittuario che all’amministrazione del condominio.

Cosa può fare chi prende in affitto un locale a uso abitativo con contratto nullo?

Per un contratto di affitto di unità abitativa dichiarato nullo, chi ha preso in affitto l’immobile può chiedere che gli vengano restituite le somme pagate in maniera indebita. Il termine per la richiesta è fissato in 6 mesi dal momento in cui l’immobile oggetto di locazione viene riconsegnato. Dunque, il termine decorre dal momento del rilascio effettivo dell’unità abitativa e non da quando scade il contratto. Il che coincide, di norma, con la riconsegna delle chiavi.

Perché chi prende una unità abitativa può chiedere la restituzione delle somme?

La restituzione di quanto indebitamente percepito da chi affitta un immobile con contratto dichiarato nullo va a vantaggio di chi prende in affitto l’unità abitativa. Il motivo risiede nel fatto che la norma intende tutelare maggiormente la parte debole del contratto, ovvero chi prende in affitto l’immobile. Il conduttore, infatti, potrebbe non essere disponibile a esercitare i propri diritti per paura di possibili ritorsioni del locatore.

Contratto registrato tardivamente, chi prende in affitto l’immobile può chiedere la restituzione delle somme?

Nei fatti, la Giurisprudenza ha sanato buona parte delle nullità dei contratti di affitto determinate da un canone effettivo maggiore di quello riportato nel contratto e registrato tardivamente. La Cassazione a Sezioni Unite ha decretato che chi registra il contratto di affitto tardivamente, oltre il termine consentito, possa vedersi sanato il vizio del contratto stesso con effetti retroattivi. Pertanto, chi prende in affitto un immobile e paghi un importo superiore a quello risultante dal contratto registrato tardivamente, non può richiedere la restituzione delle somme pagate in più rispetto a quanto riportato nel contratto.

Contratto di affitto sanato da nullità e controlli ai fini del Fisco

Quanto ha stabilito la Cassazione vanifica pertanto l’azione del conduttore dell’immobile. Quest’ultimo è tenuto al pagamento di tutti gli importi pattuiti fin dal principio del contratto stesso, poi sanato. Per chi affitta l’immobile rimane invece la necessità di regolarizzare l’aspetto fiscale. Ovvero, chi registra tardivamente il contratto di affitto di un immobile a uso abitativo viene individuato come locatore da tenere sotto controllo per far venir fuori eventuali redditi che non siano stati dichiarati al Fisco.

Cosa avviene per i contratti di locazione di immobili abitativi in forma verbale?

Diverso è il caso in cui il contratto di affitto di una unità abitativa avvenga in forma verbale. Nei casi di controversie tra chi affitta e chi prende in affitto l’immobile è il giudice a stabilire quale deve essere il canone dovuto. E, pertanto, l’ammontare del corrispettivo dovuto non può essere superiore a quello minimo stabilito per i contratti di tipo transitorio.

Contratto di affitto transitorio: si può spostare la residenza?

Si può trasferire la residenza presso un’abitazione presa in locazione transitoria? La risposta è affermativa ma è necessario che vengano rispettate alcune condizioni che fanno capo alla tipologia di contratto di affitto e alla scadenza del periodo pattuito. Pertanto, è opportuno partire dal concetto di residenza e dalla motivazione che spinge a stipulare un contratto di affitto di durata limitata.

Cos’è la residenza?

Secondo quanto disciplina l’articolo 43 del Codice civile, la residenza è il luogo nel quale la persona ha dimora abituale. La norma prevede anche il caso in cui si tratti di un’abitazione non di proprietà, ma presa in affitto. Dunque, si può trasferire la residenza, ma il nocciolo della questione è per quanto tempo.

Perché si ricorre a un contratto di affitto transitorio?

Sui contratti di natura transitoria è opportuno far riferimento alla legge numero 431 del 1998 sulla disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili a uso abitativo. Infatti, l’articolo 5 dispone che “è legittima la stipula di contratti di locazione di natura transitoria anche di durata inferiore ai limiti previsti dalla legge (e, dunque, il riferimento è alle formule 4 + 4 o 3 + 2) per soddisfare particolari esigenze delle parti.

Il contratto di affitto transitorio: cos’è e durata

La questione dunque si pone proprio per la durata limitata del contratto di affitto transitorio. Si tratta di un contratto di locazione a uso abitativo con una durata massima fino a 18 mesi. Tuttavia, come dispone la legge numero 431 del 1998, la durata limitata rispetto a un contratto standard di affitto 4 + 4 o 3 + 2 deve essere giustificata da una determinata situazione, riguardante o l’inquilino o il proprietario, che può essere dovuta:

  • alla mobilità ricadente sulla professione che si svolge;
  • a esigenze di studio;
  • alla tipologia di contratto di lavoro come ad esempio apprendistato;
  • a periodi di formazione professionale;
  • alla situazione di ricerca di soluzioni professionali.

Documentazione delle esigenze di affitto limitate da giustificare

L’esigenza di ricorrere a un contratto di affitto di tipo transitorio per le motivazioni sopra riportate deve essere giustificata e documentata. In tal caso si fa ricorso a una specifica dichiarazione che può essere riconducibile sia al conduttore, ovvero a colui che va in affitto, che al locatore, ovvero a chi affitta l’immobile.

Durata di un contratto transitorio di affitto

Nella scelta di traferire la residenza verso un’abitazione presa in affitto con contratto transitorio è pertanto importante la durata. A tal proposito è opportuno ricordare che il contratto di affitto non può avere durata inferiore a un mese. Dall’altro lato, la durata non può essere superiore ai 18 mesi. In entrambi i casi, per periodi di affitto inferiori a un mesi o superiori ai 18, la clausola del contratto è nulla.

Registrazione del contratto di affitto

Ulteriore fattore inerente il contratto di affitto, da tener presente ai fini del trasferimento della residenza, è la registrazione del contratto. Infatti, il locatore ha 30 giorni di tempo per provvedere a registrare il contratto di affitto. Della registrazione, il locatore deve darne comunicazione al conduttore ed eventualmente all’amministrazione del condominio entro i successivi 60 giorni.

Contratto di affitto transitorio: si può stabilire la residenza nell’abitazione presa in affitto?

Con le dovute premesse riguardanti il contratto di tipo transitorio e le motivazioni che ne giustifichino l’adozione per l’affitto, si può affermare che è possibile stabilire la propria residenza nell’abitazione presa in locazione, anche se transitoriamente. L’immobile preso in affitto diventa, dunque, il luogo in cui la persona sceglie di avere la dimora abituale, ai sensi di quanto dispone l’articolo 43 del Codice civile. La legge, a tal proposito, non prevede  alcuna altra condizione.

Fino a quando si può mantenere la residenza in un’abitazione presa in affitto?

Il trasferimento della residenza nell’abitazione presa in affitto significa, dunque, che la residenza stessa coincide con l’abitazione abituale del conduttore. In tal senso, il trasferimento della residenza si configura non come scelta, ma come come conseguenza giuridica naturale a una situazione di fatto. A tal proposito, il conduttore può mantenere la nuova residenza nell’abitazione presa in affitto fintantoché il suo contratto di locazione mantenga il suo valore legale.

Bonus affitti: domanda prorogata al 6 ottobre 2021

Il bonus affitti può essere richiesto ancora per un altro mese. La data di sposta dal 6 settembre al 6 ottobre. Ma cos’è il bonus affitti?

Il bonus affitti: rinviato al 6 ottobre la presentazione della domanda

La domanda per il bonus affitti è slittata al 6 ottobre 2021. Questo vuol dire che c’è ancora un mese per poterla presentare. L’Agenzia delle entrate ha deciso di prorogare la scadenza per permettere ad un maggior numero di contribuenti di fruire dell’agevolazione. Anche perché molti si sono rivolti ai propri commercialisti o Caf, che per il periodo precedente erano in ferie. Pertanto ci sarà ancora un mese per godere di questa agevolazione.

In cosa consiste il bonus affitti?

Il bonus affitti è un contributo a fondo perduto introdotto dal Decreto Ristori ed in seguito ampliato dal Decreto Sostegni bis. Possono richiederlo tutti i propriatari di casa che hanno concesso una riduzione sul canone di locazione dell’inquilino che la detiene come abitazione principale. L’affitto deve essere regolato da un contratto di locazione registrato presso l’Agenzia delle entrate. Per accedere al bonus affitti i proprietari devono avere altri due requisiti:

  • avere un contratto di locazione stipulato almeno dal 29 ottobre 2020;
  • l’ubicazione dell’immobile deve essere in un comune con alta tensione abitativa.

Si tratta quindi di un aiuto per i proprietari che hanno dovuto ridurre il canone mensile per poter permettere all’inquilino di far fede ai suoi impegni. Misura dovuta alle difficoltà economiche legate alla pandemia da Covid-19.

Qual’è il valore del contributo e come presentare domanda

La cifra che ogni proprietario può incassare è pari al 50% dell’importo complessivo della cifra sottratta con la rinegoziazione del canone. In ogni caso, il rimborso non potrà superare il tetto dei 1.200 euro e ogni proprietario può presentare una sola domanda. Mentre per quanto riguarda le domande possono essere presentata in parte precompilata dall’Agenzia delle entrate ed inviata in maniera autonoma online. Prima occorre l’accesso alla propria area riservata sul portare dell’Agenzia, oppure tramite un intermediario autorizzato ad accedere al cassetto fiscale del locatore.

Chi paga l’affitto nel contratto di franchising? Casi particolari

Il franchising è un contratto che attira sempre più persone perché solitamente consente di ottenere un buon riscontro economico fin da subito, molti però si chiedono come funziona esattamente. In questo caso risponderemo a una domanda molto comune, cioè: chi paga l’affitto nel contratto di franchising?

Il franchising e i suoi vantaggi

Si è detto in precedenza che la legge che regola questo contratto è piuttosto scarna e ciò risponde al principio di libertà contrattuale delle parti. In definitiva il contratto di franchising può avere un contenuto variabile in base a chi riveste il ruolo di franchisor, che può dare all’affiliato una sorta di assistenza maggiore o minore. Si è visto che per entrare nella catena è necessario versare un fee o Royalty, naturalmente maggiore è il successo della catena di franchising e maggiore è anche l’importo richiesto. Il fatto di poter controllare il fatturato degli ultimi 3 anni costituisce una garanzia per chi vuole intraprendere questa strada.

In realtà spesso l’attività di supporto fornita dal franchisor in molti casi è davvero notevole, ad esempio in molti franchising, l’affiliante cura la formazione non solo del franchisee o affiliato, ma anche dei dipendenti che sono tenuti a seguire in modo costante corsi di formazione, è anche vero che spesso le attività di formazione devono essere pagate dal franchisee. Questa è una peculiarità di molti saloni di  bellezza/ parrucchieri che lavorano in franchising, in questo caso affiliati e dipendenti per poter mantenere l’affiliazione devono seguire i corsi di formazione e devono comunque sostenerne i costi.

Chi paga l’affitto nel contratto di franchising?

Ritornando ora ai locali e alla domanda iniziale, cioè: chi paga l’affitto nel contratto di franchising, occorre ricordare che nella maggior parte dei casi l’allestimento del locale viene fornito dal franchisor che fornisce, in base anche al tipo di attività, banconi e scaffalature,  ciò che invece non è compreso è l’affitto del locale che ricade invece sul franchisee. I motivi sono diversi, in primo luogo è di natura pratica, cioè il franchisee è colui che stipula il contratto di affitto e quindi è lui ad essere responsabile nei confronti del locatario per il pagamento. In secondo luogo si è visto che  le parti sono indipendenti, si tratta quindi di due imprenditori che sono in uguale posizione, cioè nessuno dei due è in rapporto di subordinazione con l’altro e di conseguenza il franchisee non è proprietario del marchio, ma è di sicuro proprietario dell’attività.

In alcuni casi le catene di franchising, soprattutto se appena nate o appena sbarcate in una zona, cercano di aiutare il franchisee nella ricerca del locale adatto, ma questa particolare attenzione non deve far ritenere che poi sia il franchisor a sostenere i costi di affitto.

Chi paga l’affitto del locale nel franchising Mc Donald’s?

Un po’ diverso è il caso di McDonald’s, infatti la nota catena di fast food ha una politica generalmente diversa, cioè individua la zona dove vuole investire, il bacino di utenza deve essere di almeno 50.000 persone, e nella maggior parte dei casi acquista anche l’immobile che vuole utilizzare o si occupa di averne la disponibilità. A questo punto avvia una selezione seria tra aspiranti gestori e affida la gestione del fast food a personale altamente qualificato, non basta avere soldi da investire, ma esperienza sul campo, un curriculum di un certo spessore. Per poter gestire un McDonald’s occorre superare diversi colloqui, fare delle prove pratiche e un training presso una sede per 12 mesi.

McDonald’s fornisce gli arredi, il locale, strumenti, naturalmente le ricette, offre formazione gratuita, ma il gestore oltre a dover corrispondere le royalities mensili, deve pagare anche l’affitto del locale con una formula particolare. Le royalities mensili sono pari al 5% delle vendite nette, a cui si aggiunge un contributo pubblicitario del 4%, sempre calcolato sulle vendite nette. L’affitto del locale varia e corrisponde a una forbice variabile dal 14% al 20% delle vendite nette.

Quanto costa un franchising McDonald’s? Purtroppo l’investimento è piuttosto alto, cioè 800.000 euro, sebbene solo 200.000 debbano essere versati fin da subito, insieme a 45.000 euro di fee. Chi vuole entrare nella catena deve dimostrare fin da subito di avere la disponibilità dei 200.000 euro iniziali, mentre potrà chiedere finanziamenti per la rimanente parte.

Franchising Yamamay: chi paga l’affitto del locale

La gestione Yamamay è completamente diversa, qui è il franchisee a dover provvedere al locale, quindi scaffalature, banconi, vetrine, informatizzazione, impiantistica e naturalmente l’affitto del locale, ma non paga royalty di ingresso, naturalmente l’investimento iniziale c’è perché gli arredi devono essere conformi. E’ necessario un locale di almeno 90 mq e solitamente i costi di allestimento sono intorno ai 50.000 euro, a questi occorre aggiungere la stipula di una fideiussione bancaria del valore di 35.000 euro in favore della società Yamamay. L’affiliazione ha una durata minima di 5 anni. Queste sono le condizioni di franchising 2021.

Questa divagazione sul McDonald’s e Yamamay ha lo scopo di dimostrare che non esiste una regola unica su chi deve pagare l’affitto nel franchising, ma è bene, prima di investire, discutere con la singola società tutte le caratteristiche del contratto e leggere bene ogni clausola.

Affitto, che passione

Nel primo semestre del 2016 i canoni di affitto delle grandi città sono cresciuti: +0,7% per i monolocali e i bilocali e +0,8% per i trilocali. Su tutte le tipologie, per la prima volta, si è visto un segnale positivo, attribuibile in larga parte a una diminuzione dell’offerta immobiliare e a una migliore qualità della stessa.

Nonostante ciò, anche nel semestre indicato, tra coloro che hanno spinto la domanda di immobili in affitto, si sono registrati numerosi casi di persone che non in grado di accedere al mercato del credito: giovani, monoreddito immigrati, ai quali si sono aggiunti gli studenti e i lavoratori fuori sede.

L’analisi demografica di quanti cercano casa in affitto ha evidenziato che il 38,6% ha un’età compresa tra 18 e 34 anni, il 30,9% tra 35 e 44 anni e il 61,3% è rappresentato da single.

Relativamente alle motivazioni che spingono all’affitto, il 61,1% di chi cerca questa tipologia di casa lo fa per trovare l’abitazione principale; seguono coloro che si trasferiscono per lavoro (35%) e coloro che si trasferiscono per motivi di studio e cercano casa vicino alla sede della facoltà frequentata (3,9%).

Rispetto al 2016 si nota una diminuzione della percentuale di quest’ultima motivazione. La spiegazione potrebbe essere la minor mobilità dovuta al fatto che gli studenti scelgono università più vicine al luogo di residenza.

La domanda di abitazioni in affitto si concentra in particolare sui bilocali (40,5%), a seguire il trilocale (35,6%). Quello che è cambiato sensibilmente col tempo è l’utilizzo del canone concordato, che si è attestato intorno al 22,9%, trovando sempre più consensi tra proprietari ed inquilini (in un anno è passato dal 18% al 22,9%).

A Milano spetta il primato della città con la più alta percentuale di persone che cercano casa in affitto per motivi di lavoro (63,5%) e con la più alta percentuale di single (79,5%). Verona è invece la città dove si registra la più alta percentuale di contratti stipulati con il canone concordato.

I potenziali locatari sono sempre più esigenti nella ricerca dell’immobile e si evidenzia una maggiore facilità di affitto per le soluzioni di “qualità”, intesa non solo come lo stato dell’immobile ma anche la qualità dell’arredamento, la presenza di ambienti luminosi e di servizi in zona.

Cresce l’interesse per gli immobili arredati o parzialmente arredati. La presenza del riscaldamento autonomo è apprezzata perché consente una riduzione dei costi condominiali. I proprietari stanno recependo questa esigenza e la qualità dell’offerta abitativa in locazione è in miglioramento.

Immobili, dove comprano gli stranieri

L’incertezza economica che ha caratterizzato gli ultimi anni ha avuto anche ricadute sul mercato immobiliare; in particolare gli stranieri trovano molto conveniente comprare casa in Italia.
Sono principalmente francesi, tedeschi e inglesi che storicamente arrivano nel nostro Paese per investire nel mattone, anche se con mete estremamente diverse: i tedeschi preferiscono zone in cui le loro seconde case possono essere molto sfruttate, come i laghi del nord Italia e la riviera romagnola, anche se ora a queste località si sono affiancate la costa del Veneto, quella della Liguria, il Conero Marchigiano e il Salento. Nel 47% dei casi l’investimento tedesco nel mercato immobiliare italiano si orienta nella fascia di spesa compresa fra i 200.000 e i 300.000 euro.

Stesso budget per i francesi, che però continuano a non volersi allontanare troppo da casa scegliendo la Liguria: fra Ponente e Levante si concentra il 21% delle richieste provenienti da questa nazione. Al secondo posto delle preferenze la Toscana, seguita da Roma: la capitale è il luogo in cui il 5% degli investitori francesi vorrebbe comprare casa.
Gli inglesi in Italia sono ormai numerosissimi e si concentrano in Toscana e nel centro Italia, nella zona collinare tra Siena e Firenze. La regione raccoglie il 29% delle richieste inglesi, staccando nettamente Venezia (19%) e Roma (18%), mentre Roma raccoglie il 16% delle preferenze. Il budget che stanziano gli inglesi per comprare casa in Italia è compreso fra i 300.000 e i 500.000 euro.

Un’analisi di Immobiliare.it ha però evidenziato altri due profili di acquirenti che recentemente si stanno interessando agli immobili nel nostro Paese: russi e austriaci. A disporre del budget più alto sono i primi, che nel 77% dei casi sono disposti a spendere non meno di 500.000 euro per la loro casa italiana, ma che in genere non ne spendono meno di 900.000.
Le loro ricerche si focalizzano su Roma e Sardegna, dove, neanche a dirlo, cercano ville di lusso. Anche gli austriaci sembrano sempre più interessati al mattone italiano: la ricerca più frequente è quella di un trilocale a Lignano Sabbiadoro, ma non disdegnano Veneto e Umbria.

Francesca SCARABELLI