Il Jobs Act per punti

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ama molto i social network e adora esprimersi con termini e locuzioni inglesi. Una di quelle che più è risuonata prima e dopo la sua entrata a Palazzo Chigi è Jobs Act, ovvero un piano lavoro che prevede, tra l’altro un contratto unico, un assegno universale per chi perde il lavoro con l’obbligo di seguire un corso di formazione professionale e di non rifiutare nuove proposte di lavoro, tutele crescenti, rappresentanza sindacale nei cda. Ecco un decalogo per meglio conoscere il Jobs Act

Apprendistato
Sarà semplificato e avrà meno vincoli. Cade l’obbligo di confermare i precedenti apprendisti prima di assumerne di nuovi.

Retribuzione
La retribuzione dell’apprendista, relativamente alle ore di formazione, ammonterà al 35% della retribuzione del livello contrattuale di inquadramento finale.

Contratti a termine
Viene innalzata da 12 a 36 mesi la durata del primo rapporto di lavoro a tempo determinato e non viene richiesto il requisito della causalità (il motivo dell’assunzione); fissato al 20% il limite massimo per l’utilizzo.

Proroghe più semplici
Sarà possibile prorogare i contratti a termine più volte.

Cassa integrazione
Vengono mantenute la cig ordinaria e straordinaria, con l’introduzione del cosiddetto “meccanismo premiante”: si abbassa il contributo di tutti ma si usa maggiormente la cassa.

Tutele crescenti
Punto tutto da chiarire. Secondo il testo, è possibile l’introduzione “eventualmente in via sperimentale, di ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti”.

Garanzia universale
Il sussidio è inserito nel ddl delega, per la cui applicazione ci vorranno almeno sei mesi. Questo sussidio ssorbirà Aspi e mini Aspi e sarà “graduato in ragione del tempo in cui la persona ha lavorato”.

Garanzia giovani
Partirà dalll’1 maggio e riguarderà almeno 900mila persone, con risorse per 1,5 miliardi.

Meno forme contrattuali
Riordino e snellimento delle attuali 40 forme contrattuali.

Smaterializzazione del Durc
Un intervento su cui Renzi punta molto: nel 2013 i Durc presentati sono stati circa 5 milioni.

Letta e Giovannini al lavoro per cambiare la Riforma Fornero

Il Governo Letta ha pochi giorni di vita ma le sue prime intenzioni sono già ben chiare: sia Enrico Letta sia Enrico Giovannini sono concordi nel dichiarare che la Riforma del Lavoro va cambiata al più presto.

Nonostante i tentativi operati dall’ex ministro Elsa Fornero, è necessaria maggior flessibilità, soprattutto quando si tratta di apprendistato e contratti a tempo determinato.
Tra i provvedimenti ai quali si sta pensando, c’è un’ulteriore riduzione delle pause tra un contratto a termine e l’altro, allungate dalla Riforma Fornero da 10 a 60 giorni per i contratti fino a sei mesi e da 20 a 90 giorni per gli altri, favorendo la proroga di contratti a termine.
Le pause dovrebbero essere ridotte anche per i contratti collettivi.

Giovannini vorrebbe intervenire anche sul causalone, che riguarda i contratti di durata superiore ad un anno, rendendo meno rigide le condizioni di applicabilità della causale, oppure sostituendola con un meccanismo diverso, ad esempio una soglia numerica di contratti a termine in azienda.

Neppure l’apprendistato rimarrà come Elsa Fornero l’aveva voluto, poiché si studia un modo per potenziarlo, magari rimuovendo i paletti per l’assunzione di nuovi apprendisti da sostituire con incentivi.
Ciò che spinge il Governo a modificare il provvedimento è il desiderio, e la necessità, di promuovere il lavoro giovanile.
I saggi propongono: miglior utilizzo dei fondi europei, credito d’imposta per i lavoratori a bassa retribuzione, da non limitare ai soli giovani, miglior alternanza dei periodo scuola-lavoro, introduzione di un apprendistato universitario, sul modello tedesco o austriaco, magari addirittura prevedendo corsi di laurea triennali sotto forma di apprendistato.

I temi del lavoro sono stati affrontati anche durante la tournèe che Enrico Letta ha effettuato spostandosi da Berlino a Parigi, fino ad arrivare a Bruxelles, durante la quale il neo presidente ha voluto rassicurare i partner europei sul rinnovato impegno dell’Italia nell’osservare i vincoli di bilancio ma senza dimenticare le riforme tanto annunciate.

Vera MORETTI

I Consulenti del Lavoro criticano la Riforma Fornero

Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, ha illustrato le criticità presenti nella Riforma Fornero: “Un elenco di criticità che fanno diventare illusoria la crescita dell’occupazione e che confermano la tendenza alla chiusura delle aziende. Il costo del lavoro è una delle componenti più gravose della gestione aziendale ed è miope, oltre che autolesionista, continuare a ignorarlo. I danni sono sotto gli occhi di tutti, bloccando sviluppo e occupazione. Noi consulenti del lavoro, che gestiamo mensilmente nei nostri studi le posizioni di 7 milioni di lavoratori, segnaliamo da tantissimo tempo questa criticità strutturale ma inutilmente; le attenzioni sono sempre rivolte ad altri problemi“.

Ad essere presi in considerazione sono soprattutto i casi definiti “eclatanti”, colpevoli di aver rallentato, se non addirittura bloccato, le assunzioni, con un conseguente aumento del tasso di disoccupazione.
L’assenza del provvedimento legislativo di proroga della mobilità per il 2013 e del relativo finanziamento comporta un blocco degli incentivi e, conseguentemente, dell’occupazione. Si tratta di uno strumento legislativo che nel tempo aveva consentito di ottenere ottimi risultati di occupabilità; pertanto, visto anche l’aggravarsi delle situazioni di difficoltà economica, per i datori poteva continuare a rappresentare un ottimo stimolo ad assumere“.

Questo significa che, per le assunzioni effettuate dal 2013 di lavoratori iscritti nelle liste di mobilità licenziati da aziende con meno di 15 dipendenti, così come per eventuali trasformazioni o proroghe effettuate nel 2013, non spettano le agevolazioni, perché la norma non è stata prorogata; in questi casi le agevolazioni sono subordinate ad un nuovo intervento legislativo.

I consulenti del lavoro puntano poi il dito contro i licenziamenti a pagamento: “L’Aspi sostituisce, migliorandolo, il trattamento di disoccupazione ma i maggiori oneri ricadono sulle aziende. Non si comprende perché, a fronte di una pur giusta tutela dei lavoratori, si danneggino i datori di lavoro che procedono ai licenziamenti, dovuti nella maggior parte dei casi all’impossibilità di far fronte a un costo del lavoro elevatissimo cui non corrispondono margini di utile adeguati. Parliamo del cosiddetto contributo di interruzione posto a carico del datore di lavoro che, per motivi diversi dalle dimissioni, decida di interrompere il rapporto in essere con il lavoratore dipendente assunto con contratto a tempo indeterminato. Il contributo di interruzione è dovuto da tutti i datori di lavoro indipendentemente dal numero di dipendenti occupati (quindi anche inferiore a 15), aggiungendo di conseguenza un nuovo onere contributivo anche in capo alle piccole imprese“.

Anche i contratti a tempo determinato subiranno inasprimenti, che spesso costringeranno i datori di lavoro ad abbandonare questa opzione, e una diminuzione della domanda di manodopera.

E’, poi, prevista la stipula di accordi collettivi o contratti collettivi finalizzata alla creazione di fondi di solidarietà bilaterali, nei settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale, volti ad assicurare ai lavoratori una tutela in costanza di rapporto nei casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa: “In mancanza degli accordi o dei contratti collettivi anzidetti, si procede all’istituzione di un fondo di solidarietà residuale -si spiega – tramite decreto del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, di concerto con il ministero dell’Economia e delle Finanze. In entrambi i casi, è stabilito che la gestione finanziaria di detti Fondi dovrà avvenire anche con una contribuzione a carico delle aziende datrici di lavoro“.

Inoltre, l’aliquota della gestione separata riferita ai titolari di altra posizione previdenziale obbligatoria, a partire dall’1 gennaio 2013 è aumentata dal 18% al 20%. Questa aliquota si applica agli associati in partecipazione e ai professionisti che non hanno l’obbligo di versamento ad altra cassa previdenziale.
A partire dal gennaio 2014 anche l’aliquota ordinaria della gestione separata subirà un incremento dall’attuale 27,72% al 28,72%.

Vera MORETTI

Apprendistato, questo sconosciuto…

di Davide SCHIOPPA

Paradossi di un’Italia che non vuole crescere. Non che non può, non vuole. Abbiamo uno dei mercati del lavoro più rigidi d’Europa, pur con tutta la buona volontà del ministro Fornero e della sua riforma, e quando si mettono sul piatto strumenti utili a togliere un po’ di gesso facciamo di tutto per non applicarli.

Parliamo, per esempio, del contratto di apprendistato, al quale Infoiva ha dedicato un focus nella settimana appena trascorsa. Lo abbiamo fatto proprio perché, da più parti, abbiamo letto del disappunto per la mancata o farraginosa applicazione della normativa che regola l’apprendistato e della conseguente difficoltà, da parte delle aziende, a proporre questa tipologia di contratto ai neolaureati o, comunque, ai giovani.

Abbiamo voluto vederci un po’ più chiaro, per capire quanto di vero ci sia in questo impasse e, in effetti, abbiamo constatato che sì, il problema esiste: uno strumento dalle buone potenzialità viene tarpato dalla troppa burocrazia. Ma che futuro ha un Paese così? Non che l’apprendistato sia la formula magica che risolve il problema della disoccupazione giovanile in Italia ma, chiediamo, perché non siamo capaci di fare bene una cosa dall’inizio alla fine? Perché siamo sempre il Paese delle cose fatte a metà? Ai giovani il compito di giudicarlo, quando si troveranno senza un futuro.

Leggi i risultati dello studio di Bachelor sugli annunci di lavoro per neolaureati

Leggi l’intervista al Professor Maurizio Del Conte dell’Università Bocconi

Leggi l’intervista al presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, Rosario De Luca

Leggi l’intervista a Enrica Carminati, responsabile di Fareapprendistato.it

Apprendistato, costruire i professionisti del futuro

 

Da contratto ‘snobbato’ perchè rigido e normativamente complesso a occasione unica per investire in capitale umano e costruire la propria impresa del futuro. Il contratto di apprendistato vanta un privilegio fondamentale per le aziende, di piccole come di medie dimensioni: l’opportunità di ‘cucirsi su di sè’ le figure professionali del domani, formandole, istruendole e dando loro gli strumenti per costruirsi una vera e propria professionalità.

Ma è davvero così? O sarebbero auspicabili altri metodi per favorire un interscambio fertile e di lunga durata tra scuole, università, centri di formazione e imprese?

Infoiva lo ha chiesto a Enrica Carminati, responsabile del progetto Fareapprendistato.it, un sito, realizzato in collaborazione con Adapt e il CQIA dell’Università di Bergamo, che ha lo scopo di promuovere e supportare la corretta implementazione in Italia dell’apprendistato, valorizzandone in particolare la valenza educativa e formativa.

L’apprendistato avrebbe dovuto essere il canale d’ingresso principale dei giovani nel mercato del lavoro, ma a oggi pare fatichi ancora a decollare? Perché? Quali sono i suoi limiti?
L’apprendistato sconta l’eredità di contratto “difficile” e “rigido”. In passato le imprese preferivano fare ricorso ad altri strumenti, magari anche più onerosi dell’apprendistato, perché quest’ultimo era complesso da gestire – a causa di un quadro normativo incerto, stratificato e a livello regionale frammentario – oltre che gravato da un eccesso di burocrazia e formalismo. Nel 2011, tuttavia, è intervenuta una profonda e organica riforma della disciplina del contratto di apprendistato, che ha superato molte delle criticità emerse negli anni, consegnando agli operatori un nucleo di regole certe, essenziali e immediatamente operative.
Il principale limite oggi è allora rappresentato dall’assenza, o comunque dall’insufficienza, di una corretta e diffusa informazione sul “nuovo” apprendistato, che ne metta in luce le grandi potenzialità, sia per il tessuto produttivo, sia per noi giovani. Proprio per questo il gruppo di ricerca di Adapt – Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del lavoro e sulle Relazioni Industriali – ha creato e cura il portale www.fareapprendistato.it, ove è possibile consultare liberamente documentazione utile e dialogare con chi studia e utilizza lo strumento.

Perché un’azienda dovrebbe scegliere questo tipo di contratto piuttosto che un altro?
Ci sono molteplici ragioni: innanzitutto per la possibilità di investire in capitale umano per costruire la propria impresa del futuro. Questo contratto consente alle imprese di intercettare giovani e giovanissimi al fine di formarsi “in casa” e in base agli effettivi fabbisogni quelle professionalità che spesso il mercato non offre. Inoltre, a seconda della articolazione tipologica che si attiva, può mettere virtuosamente in dialogo il mondo della scuola, dell’università e della ricerca con quello del lavoro, al fine di portare in azienda elevate competenze, che si traducono in competitività e sviluppo. Senza dimenticare, in questo momento di crisi, i generosi incentivi economici e normativi che lo accompagnano.

Ad oggi, alle piccole e medie imprese, conviene stipulare contratti di apprendistato?
Oltre ai vantaggi di cui si è detto, la legge di Stabilità per il 2012 ha introdotto uno sgravio contributivo del 100%, per i primi tre anni di contratto, per le imprese con meno di dieci dipendenti che hanno assunto o assumeranno fino al 31 dicembre 2016 apprendisti. Del resto sono proprio le realtà più piccole ad avere oggi più che mai la necessità, per rimanere nel mercato e crescere, di investire nel futuro, ottimizzando il bilancio tra costi e benefici.

Esistono, secondo lei, strumenti migliori per incentivare l’occupazione giovanile?
Io credo che nel nostro Paese non manchino i “buoni” strumenti, tra cui certamente l’apprendistato. Del resto sono state le parti sociali, unitariamente, a condividere, in intese siglate a partire dal 2010 con Governo e regioni, la necessità di rilanciarlo proprio per combattere i preoccupanti fenomeni della dispersione scolastica, della disoccupazione giovanile e del disallineamento tra domanda ed offerta.
Quel che serve, invece, sono serie e strutturate politiche a sostegno dell’occupazione giovanile, volte a creare un raccordo tra il mondo dell’istruzione e della formazione, da un parte, e quello del lavoro dall’altra, così da trasformare effettivamente il contratto di apprendistato in una leva di placement.

Il contratto di apprendistato è apprezzato dai giovani?
A volte il contratto di apprendistato è sottovalutato, perché ricondotto all’immagine del “garzone di bottega” o comunque associato, erroneamente, ad attività esclusivamente manuali e di basso profilo. Proprio nei giorni scorsi, sui giornali, si leggeva della volontà del Ministro Fornero di promuovere una campagna per rilanciarne l’immagine, oggi poco accattivante. La maggior parte dei giovani, tuttavia, si informa ed è consapevole che quello di apprendistato è un contratto stabile, che garantisce loro piene tutele e la possibilità di acquisire una professionalità facilmente spendibile nel mercato.

Qual è il vero problema del mercato del lavoro in Italia? Pensa sia ancora troppo rigido, specialmente per quanto riguarda i vincoli all’ingresso?
Rispondendo a caldo e di getto, direi che è l’eccessivo costo del lavoro, che influenza e condiziona le scelte imprenditoriali. Al di là di questo, non sono in grado di individuare l’origine ultima dei problemi del nostro mercato del lavoro e nemmeno di trarre a distanza di pochi mesi un bilancio sull’ efficacia e sulla bontà degli ultimi interventi legislativi, che certo hanno aggiunto rigidità in fase di ingresso. Da giovane che si muove in questo mercato e che vede tanti coetanei in difficoltà, penso che questo sia il momento per concentra le energie e attenzione sugli strumenti già operativi e che possono fare la differenza, se valorizzati, tra i quali appunto l’apprendistato.

Alessia CASIRAGHI

 

“Basta lacrime e sangue, ora produttività”

di Davide PASSONI

Apprendistato da panacea per i giovani a palla al piede del sistema? Via, non siamo drastici, il sistema è una palla al piede già di per sé, quello che manca sono regole chiare e certe. Sulle potenzialità inespresse del contratto di apprendistato, Infoiva ha sentito il presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, dott. Rosario De Luca.

L’apprendistato avrebbe dovuto essere il canale d’ingresso principale dei giovani nel mercato del lavoro, ma a oggi pare fatichi ancora a decollare? Perché?
Il problema sta nella diversa e, molto spesso contorta, applicazione nelle varie Regioni italiane. Non bisogna infatti dimenticare che la competenza è stata assegnata a livello regionale e questo non è d’aiuto. La nostra Fondazione Studi ha rilevato, tramite un’indagine eseguita su un campione rappresentativo di consulenti del lavoro, che sebbene sia possibile sottoscrivere il contratto d’apprendistato in tutte le regioni italiane, si scoprono ritardi nel varo degli strumenti che dovrebbero favorirne la diffusione con la conseguente reticenza dei datori di lavoro a farne uso a causa dei costi elevati e delle difficoltà burocratiche.

Come Consulenti del Lavoro, qual è la vostra posizione rispetto a questa tipologia di contratto?
Assolutamente favorevoli, nonostante le citate difficoltà operative che di fatto ne impediscono o ne rallentano la diffusione. C’è un affannarsi nel dichiarare populisticamente che l’apprendistato è il canale privilegiato per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Ma si tratta di pura teoria, non suffragata da alcun riscontro empirico, ma   accompagnata dai numerosi limiti che questo tipo di contratto comporta: dal numero massimo di apprendisti da assumere alla durata minima di 6 mesi.

Perché un’azienda dovrebbe scegliere questo tipo di contratto piuttosto che un altro? Ci sono, a suo avviso, strumenti migliori per incentivare l’occupazione giovanile?
L’apprendistato prevede agevolazioni contributive per l’azienda che lo utilizza. Però, con la riforma Fornero, i datori di lavoro possono assumere apprendisti beneficiando di detti sgravi solo se dimostrano di aver stabilizzato a tempo indeterminato una parte degli apprendisti assunti in precedenza. Purtroppo non sono rimasti molti strumenti ai giovani per entrare nel mondo del lavoro; in pratica c’è solo l’apprendistato, ma l’incompatibile e diversificata gestione regionale lo vanifica.

Pensa che il mercato del lavoro in Italia sia ancora troppo rigido, specialmente riguardo ai vincoli all’ingresso, nonostante gli sforzi del governo?
C’è ancora molto da fare  per consentire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. E questo problema, come gli altri, non si risolve assumendo scelte a tavolino , senza cioè riscontri concreti. I monitoraggi vanno effettuati prima di intervenire normativamente e non dopo, come invece avviene. Le nostre indagini, ad esempio, attestano che il 63% delle aziende ritiene “difficile” applicare la normativa di settore, mentre il 13% lo considera “inconveniente”.

Situazioni straordinarie come è quella attuale per le imprese, l’economia e il lavoro necessitano di iniziative e progetti straordinari: secondo voi il Paese e il governo stanno dando segnali positivi in tal senso?
Delle tante riforme fatte finora, nessuna incide efficacemente sui problemi reali del Paese che merita interventi strutturali di prospettiva. Per questo, dopo il periodo delle manovre di lacrime e sangue, è giunta l’ora della produttività e degli interventi di sostegno alle piccole aziende e ai lavoratori autonomi, che sono i veri sostenitori dell’occupazione in Italia. E questi interventi devono passare dalla madre di tutti gli interventi: la riduzione del costo del lavoro, che oggi tutti scoprono essere un problema; ma che noi danni definiamo come il freno inibitore della nostra economia.

Non è un Paese per apprendisti

di Davide PASSONI

Uno strano destino quello dell’apprendistato in Italia. Mentre il ministro Fornero sigla un memorandum con la Germania per favorirne l’applicazione e annuncia il varo di una sezione all’interno del sito www.lavoro.gov.it e di un indirizzo mail (apprendistato@lavoro.gov.it) dove inviare osservazioni, suggerimenti, segnalazioni, le aziende continuano a nutrire diffidenza nei confronti di quella che dovrebbe essere la principale forma di ingresso nel mercato del lavoro.

Lo dicono i dati di fatto, ma lo dicono anche studi e analisi ad hoc. Una delle ultime a scattare una fotografia impietosa dell’impasse in cui si trova l’apprendistato viene dall’Ufficio Studi di Bachelor, network internazionale per la ricerca e selezione di neolaureati, ed è stata effettuata sugli annunci di lavoro destinati ai giovani laureati, relativamente al III trimestre 2012: solo il 4,6% di questi annunci offre, come forma contrattuale, un apprendistato. Raffrontando le percentuali anno su anno, si vede che, rispetto al terzo trimestre 2011 – in concomitanza con la definizione del testo unico sull’apprendistato – l’aumento è stato assai poco significativo (era al 3,7%).

Secondo i dati elaborati da Bachelor, il 66% degli annunci è rivolta a neolaureati (da 0 a 12 mesi dalla laurea), per i quali vengono proposti soprattutto stage: nel il 75,9% dei casi contro il 75,6% del III trimestre 2011. Un abisso, rispetto alle proposte di apprendistato, di cui abbiamo parlato sopra. Se invece ci spostiamo sulla fascia di coloro che stanno tra i 12 e i 24 mesi dalla data di laurea, le cifre dell’apprendistato peggiorano ulteriormente: 3,9% contro un miserrimo 0,8 del III trimestre dello scorso anno. Per la fascia 24-48 mesi, il nulla: 0,2%.

Un trend comprensibile, che si contrae mano a mano che il candidato invecchia (pur senza un’esperienza specifica, questo è il paradosso…) ma che non nasconde le difficoltà che questo tipo di inserimento affronta per diventare a tutti gli effetti uno strumento per accelerare l’ingresso dei più giovani al mercato del lavoro.

Stupisce, in questo contesto, che una delle associazioni in prima fila nella promozione dell’occupazione e dell’ingresso al mercato del lavoro come Assolavoro (l’Associazione Nazionale delle Agenzie per il Lavoro), risponda a Infoiva che “al momento non ritiene di suo interesse approfondire l’argomento“. Scusate, se non ora quando? Mah… Buon lavoro alle agenzie per il lavoro.

Comunque, tornando alla ricerca di Bachelor, è vero che questa prende in esame solo i soggetti laureati, ma l’avvio asfittico dell’apprendistato interessa anche diplomati e non, perché il problema è strutturale non contingente. Quali garanzie può offrire alle aziende, in un momento complesso come l’attuale, una forma di inserimento valida sulla carta ma che sconta una complessità della disciplina e della gestione operativa degli apprendisti, oltre a enormi incertezze regolative?

Apprendistato tra luci (poche) e ombre (molte)

di Davide PASSONI

Il lavoro, questo sconosciuto. In un’Italia che fatica più degli altri Paesi avanzati a trovare un filo logico cui attaccarsi per uscire dalla crisi bastarda che attanaglia lei e l’economia globale, quello del lavoro è un tema più che caldo: rovente. Un tema sul quale quelli del Governo si stanno rompendo la testa da un anno a questa parte, da quando sono subentrati all’Esecutivo Berlusconi. E sul quale hanno partorito una riforma, la cosiddetta Riforma Fornero, con più ombre che luci.

Prima c’era stato il testo unico sull’apprendistato, entrato definitivamente a regime 6 mesi fa, con il quale si era pensato di dare maggiore forza e competitività a questa tipologia di contratto di inserimento, per dare più opportunità di ingresso sul mercato del lavoro ai giovani. Ora, a oltre un anno dal varo del Testo Unico, si cominciano a trarre i primi bilanci che, pare, non sono del tutto positivi.

Da più parti si sottolineano le troppe rigidità in uscita (tra le quali i costi per recedere dal contratto e l’impossibilità di far passare di livello l’apprendista), alcune regole che penalizzano la diffusione dell’apprendistato, la durata massima della formazione (3 anni fissati dalla legge, che diventano 5 nel settore dell’artigianato e per determinate qualifiche professionali), le lacune attuative per il cosiddetto “apprendistato qualificante”, destinato ai ragazzi tra i 15 e i 25 anni. Non stupisce dunque se, secondo un’indagine effettuata dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro, solo un’azienda su cinque pensa più facile avviare l’apprendistato di mestiere o professionalizzante per assumere giovani tra i 18 e i 29 anni.

La cosa paradossale, però, è che molte delle associazioni professionali o d’impresa attribuiscono all’apprendistato un valore e un’importanza molto alti; quello di cui si lamentano sono la burocrazia, la farraginosità delle procedure per accedervi, l’incertezza sul ruolo delle regioni e i loro ritardi. Insomma, tutte carinerie che ricadono nell’ambito del legislatore più che in quello delle imprese. Per cui ci risiamo: per quale motivo, chiediamo, quando lo Stato cerca di avere buone idee, all’atto della loro messa in pratica rovina tutto? Cercheremo di scoprirlo ascoltando la voce degli interessati, lungo tutta la settimana.

Professionisti, il 2012 è d’oro

E chi l’ha detto che in Italia il mercato del lavoro per i professionisti è sempre più ristretto? Probabilmente non Confprofessioni, che recentemente ha diffuso le cifre relative all’occupazione dei professionisti in Italia, incrociando i dati Inps sulle posizioni lavorative attive e le cessazioni tra l’1 gennaio e il 30 giugno 2012.

Risultato: nei primi sei mesi del 2012 sono stati creati quasi 40mila posti di lavoro negli studi di avvocati, notai, medici, dentisti, commercialisti, ingegneri e architetti. Nello specifico, si parla di quasi 32mila impiegati e oltre 6mila apprendisti. Cifre di tutto rispetto, ancora più significative se accostate a quelle delle cessazioni dei rapporti di lavoro nel medesimo periodo: 25.730 impiegati e 2.500 apprendisti, con il risultato di un saldo positivo che sfiora le 10mila unità, contro una cifra che, a livello nazionale e negli altri comparti, ha fatto registrare un -76mila nel medesimo periodo.

Quali, però, le professioni più attive? Vince a mani basse l’area economico-amministrativa – quella, per capirsi, popolata da commercialisti, consulenti del lavoro e studi amministrativi e gestionali -, con oltre 5600 assunzioni; in seconda posizione l’area sanitaria, in terza l’area tecnica (architetti, ingegneri, geometri, geologi), in quarta – strano? – l’area giuridica, che si aggiudica uno striminzito +210 assunti.

Dove vincono i nuovi professionisti? A sfatare una leggenda che li vuole principalmente al Sud, i dati di Confprofessioni parlano di un Nord che tira la volata all’occupazione negli studi professionali: sono infatti oltre 4.500 le assunzioni nette. Il Sud, comunque, si difende con quasi 2.500 nuovi posti di lavoro; fanalino di coda il Centro, con 1.803 nuovi occupati.

Infine, l’età. Secondo Confprofessioni sono i giovani che lanciano la ripresa dell’occupazione negli studi. La forma prediletta di ingresso nel mercato del lavoro è quella del contratto di apprendistato: sono oltre 3600 i nuovi apprendisti entrati in studio tra l’1 gennaio e il 30 giugno 2012.

Secondo il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella, “questi dati confermano la vivacità del settore professionale che, nonostante la crisi economica, riesce ancora a creare occupazione. Nel desolante quadro della disoccupazione in Italia, gli studi professionali hanno una forte attrattiva, soprattutto per i più giovani e per le donne che rappresentano quasi il 90% degli occupati“. Vero, ma non dimentichiamo che tanta parte di questo fiorire di professionisti è figlio di una crisi che ha espulso tanti di loro dal mercato del lavoro dipendente; il fatto che il mondo degli studi professionali riesca in qualche modo a riassorbirli è sicuramente un punto di merito. Vediamo di non far cessare la tendenza.

L’appredistato non decolla: colpa della normativa regionale

Tempi duri (anche) per gli apprendisti.

Un’indagine condotta dalla Fondazione Studi Consulenti del lavoro ha fatto emergere un problema del quale già si immaginava l’esistenza.
E, tra le cause, secondo Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi Consulenti del lavoro, c’è sicuramente la normativa regionale, colpevole di essere troppo carente e troppo eterogenea.

I dati, ricavati da un “campione” consistente di studi professionali che assistono un milione di aziende per un totale di 7 milioni di rapporti gestiti, dicono che addirittura nel 96% dei casi il contratto di apprendistato è impossibile da attuare.
Il motivo è, per il 60% degli intervistati, la difficoltà di applicazione della normativa di settore. A nulla serve dire che l’apprendistato è il maggior canale di ingresso, da parte dei giovani, nel mondo del lavoro. In concreto, infatti, ciò non accade.

De Luca, andando alla radice del problema, ha dichiarato: “È necessario però che i monitoraggi siano effettuati prima di intervenire normativamente e non dopo, come invece avviene. Ormai per entrare nel mondo del lavoro ai giovani non sono rimasti molti strumenti, ridotti all’osso dalle ultime riforme; in pratica ci sarebbe solo l’apprendistato ma che l’assurda gestione regionale nella maggior parte dei casi vanifica. È uno degli esempi dei danni al sistema-Paese recati dalla riforma costituzionale dell’art. 117, sul quale prima si interviene per riportarlo alla sua versione originale e prima si vedranno benefici in tutti i campi di applicazione“.

Vera MORETTI