Aumenti tariffe Poste Italiane da lunedì 24 luglio 2023

Con autorizzazione del 27 giugno 2023 da parte dell’Agcom prendono il via da lunedì 24 luglio gli aumenti per alcuni servizi messi a disposizione da Poste Italiane. Gli aumenti tariffe Poste italiane riguardano servizi che molti cittadini usano quotidianamente come raccomandate e spedizione pacchi.

Agcom, impatto minimo degli aumenti tariffe Poste Italiane

Nella delibera 160 del 2023 dell’Agcom ( Autorità Garante per le comunicazioni) viene sottolineato che gli aumenti richiesti e approvati per le tariffe di Poste Italiane sono dovuti alla necessità di recuperare le perdite registrate a causa dell’inflazione che in questi mesi ha colpito l’Italia. Nella stessa si sottolinea che gli aumenti sono in linea con le proposte della concorrenza, inoltre avranno un impatto minimo su famiglie e imprese e proprio per questo appare opportuno autorizzare gli stessi.

Le nuove tariffe Poste Italiane

Ecco le nuove tariffe sono:

1,25 euro per l’invio di posta ordinaria in Italia ( fino al 22 il costo è 1,20 euro);

– posta prioritaria, la nuova tariffa sarà in aumento di 10 centesimi rispetto al passato, si passa da 2,80 euro a 2,90 euro;

raccomandata fino a 20 grammi aumenta da 5,60 euro a 5,80 euro;

– la spedizione del pacco ordinario all’interno dei confini italiani passa da 0 a 3 kg aumenta 9,40 a 9,90 euro;

– spedizione di pacco fuori dall’Italia con peso compreso da 0 a 1 kg nella zona 1 aumenta da 24 euro a 24, 80 euro;

– nel caso di pre-accettazione online del pacco, il costo aumenta da 23 euro a 23, 80 euro;

– aumentano infine le spese di notifica delle multe per violazione del codice della strada.

– Aumenta anche la tariffa di contrassegno per bollettino, vaglia e assegno postale. Nel primo caso il prezzo aumenta da 2,27 a 3 euro. Per il vaglia si passa da 10,77 a 11 euro. Infine per l’assegno postale da 2,58 euro a 2,81 euro.

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RcAuto, allarme aumenti dall’Ivass

Il presidente dell’Ivass, Luigi Federico Signorini, in occasione della presentazione della relazione sull’attività svolta dall’Istituto nel 2022 ha reso noto che le polizze RcAuto sono in aumento. I rincari medi sono del 4%.

Non solo alimentari ed energia, anche per la RCAuto c’è l’allarme aumenti

Nell’ultimo anno l’aumento dei prezzi ha riguardato praticamente tutti i prodotti e i servizi, dai beni alimentari, alle tariffe di luce e gas, sembra essersi arrestata la corsa dei carburanti, ma anche in questo caso i prezzi risultano più alti rispetto a prima della crisi inflazionistica. Naturalmente trattandosi di aumenti generalizzati, non potevano essere risparmiate le polizze assicurative e a darne conferma è proprio Ivass, Istituto di vigilanza sulle compagnie di assicurazione.

In base a quanto dichiarato dal presidente dell’Ivass, nel primo trimestre del 2023 si è registrato un aumento medio delle polizze RcAuto del 4% su base annua. La polizza media è di 368 euro con forti differenze che permangono tra Nord e Sud Italia.

Al Sud aumentano le scatole nere per risparmiare sulla RCAuto

Differenze vi sono anche per quanto riguarda gli sconti ottenibili, in questo caso sono più elevati al Sud Italia dove raggiungono il 40,3%, mentre nel Nord-Est sono al 30,9%. Le differenze sono dovute a due fattori, il primo è che nelle zone del Nord-Est si parte da polizze molto basse e di conseguenza il margine di sconto è ridotto, mentre al Sud c’è un maggiore margine dovuto anche al fatto che sono aumentate in questi ultimi anni le installazioni di scatole nere sui veicoli.

La scatola nera è uno strumento in grado di combattere l’antipatico fenomeno delle truffe alle assicurazioni, infatti registrando numerosi dati sulla guida riducono l’impatto dei falsi incidenti o dei sinistri le cui conseguenze sono aggravate. La media nazionale di installazione di scatola nera sul veicolo è del 22%, ma al Sud si raggiunge una diffusione del 36%, segno che c’è il desidero da parte degli automobilisti di avere un comportamento virtuoso per ottenere sconti.

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Tari, nel 2023 arriva al stangata per la tassa sui rifiuti

Da Nord a Sud è ormai già allarme, aumenta la Tari, la tassa sui rifiuti e si arriva fino al 20% di maggiori importi dovuti dalle famiglie.

Tari, i Comuni stanno innalzando le tariffe per lo smaltimento dei rifiuti

Mentre i salari fanno fatica ad aumentare e vi è ancora incertezza sul settore energetico, sono numerose le famiglie che si trovano in difficoltà a causa degli aumenti che toccano tutti i settori, tra questi gli alimentari, ma non solo, infatti una nuova stangata riguarda la tari, tassa sullo smaltimento dei rifiuti urbani, che sta aumentando in molti Comuni d’Italia. Sono numerosi infatti quelli che stanno ritoccando le tariffe.

Ad annunciare gli aumenti della Tari sono già state molte città d’Italia, dislocate anche su zone in cui vi sono maggiori difficoltà economiche, ad esempio Napoli, ma anche Torino, Perugia, Padova e Ancona. Molto probabilmente andando ad analizzare i dati dei piccoli Comuni potremo accorgerci che anche per questi vale lo stesso principio e cioè che si sta procedendo ad aumentare la tassa sullo smaltimento dei rifiuti urbani.

Gli aumenti vanno nell’ordine medio del 4%, ma deve essere sottolineato che Napoli, città che da sempre ha problemi con i rifiuti, gli aumenti delle tariffe arrivano al 20%.

Aumenti a due cifre anche per la città di Viterbo dove i rincari dovrebbero essere del 10%.

Gli aumenti che riguardano praticamente la maggior parte dei Comuni d’Italia si pongono nella scia di aumenti generalizzati che vi sono stati anche negli anni passati, infatti in media per questo servizio ci sono stati aumenti del 6,7%.

Perché aumenta la Tari?

Tra le cause segnalate per tali aumenti vi è la raccolta differenziata che non decolla, infatti lo smaltimento di rifiuti indifferenziati è più oneroso per le casse dei Comuni. A ciò si aggiunge che proprio nelle città in cui il servizio è di pessima qualità aumentano i costi per raccolta e smaltimento. Tale inefficienza viene riversata sui cittadini, che si ritrovano così a pagare tasse elevate.

Roma e Milano in contro tendenza, scendono le tariffe.

Deve però essere registrato che Roma va in contro tendenza, infatti nel 2022 si è registrata una diminuzione delle tariffe del 6,5% per le utenze non domestiche e del 4% per le utenze domestiche. D’altronde sarebbe ben difficile spiegare gli aumenti viste le condizioni in cui versa la città. Una ulteriore riduzione delle tariffe che dovrebbe arrivare al 20% dovrebbe arrivare con l’attivazione del termo valorizzatore. Tariffe in discesa anche per la città di Milano.

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Aumenti a due cifre per il conto corrente. Quanto pagano gli italiani?

Gli italiani in questo periodo stanno facendo i conti con diversi aumenti e molti non si sono accorti che nel frattempo sono aumentati i costi di gestione del conto corrente, ma a quanto ammontano i rincari?

Indicatore dei costi complessivi del conto corrente segnala aumenti vistosi

Gli italiani sono ormai abituati all’uso del conto corrente, infatti si tratta del principale strumento attraverso il quale si riceve lo stipendio e che di conseguenza viene utilizzato per spese anche frequenti, per eseguire bonifici o piccoli trasferimenti. Nel tempo però le spese sono aumentate e si “nascondono” sotto diverse voci.

Secondo le stime fatte da facile.it, avendo come punto di riferimento l’ICC, Indicatore dei Costi Complessivi, gli aumenti oscillano tra l’8% e il 34%, insomma in alcuni casi possono essere davvero elevati. Questo vuol dire che i costi di gestione media di un conto corrente oscillano tra 27 euro e 152 euro l’anno. Ad esempio Poste Italiane per il suo conto corrente ha portato il costo del canone mensile da 4 euro a 6 euro, per questa sola voce ogni italiano che ha un conto presso Poste Italiane spenderà 24 euro in più e il costo annuale del solo canone raggiunge così 72 euro.

A questa voce devono essere aggiunte quelle relative a eventuali carte di debito e credito, ad esempio Poste italiane concede gratuitamente la prima carta bancomat, ma la seconda prevede un canone annuo. Devono quindi aggiungersi i costi delle varie operazioni.

Aumenti conto corrente: quanto incidono nelle tasche degli italiani?

Dai calcoli di Facile.it emerge che una famiglia con bassa operatività (64 operazioni l’anno) spende per le operazioni allo sportello 87,91 euro con un aumento rispetto al 2021 del 34%. Sono contenuti gli aumenti per le operazioni online (8%) ma comunque si spendono in media 39,10 euro. Salgono i costi per le famiglie con media operatività che spendono 152,32 euro allo sportello con rincari rispetto a un anno fa del 14%. Anche in questo caso con il conto online il costo è più contenuto, ma comunque in media 67,31 euro. Sono simili i costi per coloro che hanno una operatività elevata.

I conti corrente che appaiono più economici continuano a essere quelli online che però nelle persone più anziane generano sempre qualche apprensione in più.

Pensione di invalidità: la ministra Stefani annuncia nuovi aumenti

Tra i 20 disegni di legge collegati al DEF (documento di economia e finanza) c’è quello che prevede l’aumento della pensione di invalidità, potrebbero quindi a breve esserci importanti novità per tutti coloro che sono invalidi al 100%.

Pensione di invalidità importi e maggiorazioni

A rendere ufficiale che a breve potrebbero arrivare aumenti per la pensione di invalidità è la ministra delle Disabilità Erika Stefani. L’obiettivo è dare seguito alla sentenza della Corte Costituzionale 152 del 2020 che ha sottolineato l’inadeguatezza dell’importo della pensione di inabilità in quanto insufficiente ad assicurare il minimo vitale. Di conseguenza viola l’articolo 38 della Costituzione, il quale stabilisce che: Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.

In seguito a tale sentenza, dal novembre 2020 ci sono state leggere modifiche. In particolare ha fatto il suo ingresso nel nostro ordinamento un nuovo trattamento economico per gli invalidi civili al 100%, costoro se hanno ulteriori, determinati requisiti, percepiscono 651,51 euro (per 13 mensilità). Questo perché costoro possono ricevere una maggiorazione.

Tale importo è stato poi modificato tenendo in considerazione l’inflazione e in particolare ora, 2022, gli invalidi civili al 100% possono percepire: una maggiorazione mensile di 368,58 euro e un importo per invalidità civile rivalutato di 291,69 euro (per un totale di 660,27 euro).

Requisiti per ottenere la maggiorazione

Abbiamo però anticipato che la maggiorazione è legata a requisiti di reddito e vediamo ora quali sono:

  • nel caso in cui si tratti di pensionato solo, la maggiorazione spetta nel caso in cui il reddito complessivo sia non superiore a 8.583,51 euro;
  • se coniugato, il reddito non deve superare 14.662,96 euro.

Quali saranno i nuovi importi della pensione di invalidità?

In seguito all’annuncio della ministra Erika Stefani non è stato anticipato altro. Non è possibile oggi sapere quale sarà l’ammontare della pensione di invalidità in seguito ai nuovi aumenti e se gli stessi riguarderanno tutti gli invalidi, indipendentemente dal reddito o se saranno fissate ancora una volta le soglie. In realtà la ministra ha fatto riferimento esclusivamente alle quote base e di conseguenza l’aumento dovrebbe esserci per tutti, ma la differenza la farà sicuramente l’ammontare dell’incremento.

Per conoscere le differenze tra invalidità civile, inabilità e pensione di inabilità, leggi l’articolo: Pensione di inabilità: differenze con invalidità civile, assegno ordinario. Guida

Assegno ordinario di invalidità: nella trasformazione in pensione di vecchiaia cambiano gli importi?

Contributi artigiani e commercianti: arrivano gli aumenti dell’INPS 2022

Brutte notizie dall’INPS per commercianti e artigiani: con l’aumento dell’inflazione e la nuova aliquota stabilizzazione dell’indennizzo per la cessazione definitiva dell’attività, avranno un esborso di circa 200 euro in più. Ecco i dettagli sui contributi artigiani e commercianti.

Contributi artigiani e commercianti: aliquote

I chiarimenti arrivano con la circolare dell’INPS 22 del 2022 che ha adeguato i minimali e i massimali del reddito all’inflazione (che ha toccato l’1,9%) e ha aggiunto l’aliquota aggiuntiva dello 0,48% per la c.d rottamazione delle licenze, cioè il contributo per la cessazione definitiva dell’attività. L’aliquota aggiuntiva si applica solo ai commercianti. In passato l’aliquota per la rottamazione delle licenze era dello 0.09%. Oggi la nuova aliquota è divisa in due parti: 0,46% al fondo IVS (Invalidità, Vecchiaia, Superstiti) e 0,02% alla “Gestione dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli esercenti attività commerciali“.

Riassumendo le aliquote contributive:

  • aliquota contributiva artigiani 2022: 24%
  • aliquota contributiva commercianti 2022: 24,48%
  • giovani artigiani (coadiuvanti) fino a 21 anni aliquota contributiva 2022: 22,80%;
  • giovani collaborarori fino a 21 anni (coadiuvanti) aliquota contributiva 2022: 23,28%.

Previa domanda, coloro che hanno compiuto 65 anni e che sono già titolari della pensione a carico dell’istituto possono ottenere una riduzione del 50% dei contributi artigiani e commercianti.

Base imponibile e contributi minimi da versare

La base imponibile per i contributi artigiani e commercianti 2022 è il reddito dell’impresa dichiarato ai fini IRPEF nello stesso anno a cui si riferisce la contribuzione INPS.

Sono però previsti dei minimali e dei massimali.

Il minimale previsto per il 2022 è di 16.243 euro, mentre il massimale è di 80.465 euro per coloro che alla data del 31/ 12 /1995 avevano già versato contributi, mentre è di 105.014 euro per gli altri.

Ora vediamo quanto effettivamente dovranno versare artigiani e commercianti per i contributi INPS.

I contributi artigiani e commercianti ammontano nel minimo a :

  • 3.905,76 euro per i titolari artigiani e per i collaboratori di età superiore a 21 anni ;
  • 3.983,73 euro per i titolati commercianti e collaboratori di età superiore a 21 anni;
  • per i collaboratori artigiani di età inferiore a 21 anni i contributi ammontano a 3.710,84 euro;
  • per i collaboratori commercianti di età inferiore a 21 anni, i contributi ammontano a 3.788,81 euro.

Tutte le somme viste comprendono euro 7,44 del contributo maternità.

Per coloro che hanno un reddito di impresa superiore a 48.279,00 euro, per gli importi eccedenti e fino ai massimali prima visti, si applicano aliquote superiori, in particolare:

  • Artigiani: 25%;
  • commercianti: 25,48%;
  • giovani collaboratori artigiani fino a 21 anni: 23,80%;
  • giovani collaboratori commercianti fino a 21 anni: 24,28 %.

Per i lavoratori autonomi che hanno aderito al regime forfetario è prevista la riduzione del 35% rispetto alla contribuzione ordinaria INPS.

Quando devono essere pagati i contributi commercianti e artigiani 2022?

Per il pagamento dei contributi sul minimale sono previste 4 rate:

  • 16 maggio 2022;
  • 22 agosto 2022;
  • 16 novembre 2022;
  • 16 febbraio 2023.

I contributi dovuti sulla quota eccedente il minimale (pagamento eventuale) sono dovuti entro i termini di pagamento per le imposte sul reddito dell’anno di riferimento, quindi dichiarazione dei redditi 2023 su redditi 2022.

Gli aumenti sono nell’ordine di circa 133 euro per i commercianti (sul minimale) e 70 euro l’anno per gli artigiani (sempre sul minimale).

Ricordiamo che i mancati pagamenti dei contributi INPS porta all’applicazione di sanzioni, per saperne di più leggi l’articolo: Lavoratore autonomo non versa i contributi INPS: cosa succede?

Per informazioni su come pagare i contributi INPS c’è la guida: Contributi INPS e modello F24: come si possono pagare?

Gas e luce, aumenti record

Su Infoiva parliamo, per vocazione, di imprese e professionisti. Ma quando si tratta di mettere il dito nella piaga dello Stato ladro o degli aumenti del carovita, non ci dimentichiamo certo delle famiglie. Così come non si dimentica di loro la benemerita Ggia di Mestre, la quale, questa volta, ha puntato il dito contro la crescita spropositata della bolletta energetica.

Secondo l’associazione mestrina, infatti, tra il 2001 e il 2011 le bollette energetiche delle famiglie italiane sono aumentate del +48,3%. In termini assoluti, la maggiore spesa sostenuta è stata pari a 455 euro, spacchettati tra: 141 euro per l’energia elettrica, 314 euro per il gas. La variazione percentuale, invece, ha visto aumentare l’elettricità del +34,5% e il gas del +58,8%. Dati folli, se comparati all’aumento dell’inflazione nello stesso arco temporale: 15,7%. Complessivamente, il costo della bolletta energetica di una famiglia media italiana è stato, nel 2011, di 1.397 euro: quasi, dicono dalla Cgia di Mestre, lo stipendio mensile medio di un impiegato.

Con buona pace delle liberalizzazioni. Il settore del gas è stato infatti liberalizzato nel 2003 e da allora al 2011 le tariffe sono cresciute del 33,5%, contro un aumento medio dell’inflazione pari al 17,5%. Più calmo il settore dell’energia elettrica, liberalizzato dal 1° luglio 2007: da questa data alla fine del 2011, a fronte di un aumento del prezzo medio della luce dell’1,8%, l’inflazione è aumenta del +8,4% .

Commenta Giuseppe Bortolussi, segretario della CGIA di Mestre: “Per fortuna grazie alla liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica, gli aumenti sono stati in parte contenuti, anche se non dobbiamo dimenticare che i prezzi dei prodotti energetici sono fortemente condizionati dall’andamento dei costi delle materie prime e dal cambio euro/dollaro”.

Casa, gallina dalle uova d’oro. Per il Fisco

La casa diventa sempre più la croce degli italiani e la delizia del Fisco. Prima è toccato agli incrementi dell’Imu, adesso arrivano le maggiorazioni previste nel ddl sul lavoro per i proprietari di immobili che non applicano la cedolare secca.

Il risultato? Una doppia mazzata sulla rendita, che rischia però di riversarsi sugli inquilini in affitto, con un aumento dei cani stimato intorno al 20%. I conti li hanno fatti la Cgil e il Sunia, che hanno passato in rassegna gli effetti delle recenti misure di tassazione sulla casa, soprattutto per quanto riguarda famiglie in affitto con bassi redditi.

Secondo il sindacato, l’Imu per le seconde case, in assenza di una differenziazione per quelle date in affitto, vede aumenti che superano il 100% rispetto alla veccia Ici, “con il rischio serio che questi si riflettano sugli inquilini“. Calcola la Cgil che – secondo una parametro di riferimento medio dato da un’abitazione di circa 80 mq e ubicata in zona semicentrale – a Roma, per esempio, nel canale libero l’incremento è del 142%: da una vecchia Ici pari a 892 euro alla nuova Imu di 2.161, a fronte di un affitto mensile medio di 1.250 euro.

Per quanto riguarda Milano, invece, l’aumento dell’Imu è del 207%, per un totale di 1.958 euro e con un affitto medio mensile di 1.100 euro. A Bologna siamo al 198%, con un Imu pari a 1.915 euro a fronte di un affitto medio di 950 euro, mentre a Palermo si registra un +119% per un Imu pari a 834 euro rispetto a un affitto medio di 550 euro.

Laura LESEVRE

Pmi nella morsa fiscale: non facciamole soffocare

di Davide PASSONI

Da queste pagine non amiamo diffondere allarmismi. Pensiamo che la crisi vada affrontata di petto, a testa alta ma senza incoscienza. Eppure siamo comunque grati a chi, con la sua opera quotidiana di studio e analisi, mette in luce i tanti aspetti critici del nostro sistema economico e produttivo.

Questa volta tocca a Confesercenti, che con uno studio sulle ricadute fiscali degli ultimi provvedimenti governativi sulle Pmi ha messo in luce come tra queste stia crescendo la preoccupazione per la morsa nella quale vengono sempre più strette, fra balzelli che aumentano e i nuovi maggiori costi che rischiano di abbattersi, solo su di loro, dalla annunciata riforma del mercato del lavoro.

Un esempio? Secondo Confesercenti, un piccolo imprenditore – fatturato 50mila euro, con un locale dove operare di 100 mq. – dovrà sopportare un onere aggiuntivo annuo che oscilla fra i 3530 euro e i 5180 a seconda della località in cui opera. tanta roba, specialmente di questi tempi.

Una mazzata che è la conseguenza dell’aumento dei contributi sociali (450 euro nel 2012, fino a e 1200 nel 2018), dei costi amministrativi che seguono l’uscita dal regime dei minimi su 500mila situazioni (1500 euro), dell’aumento dell’Imu (dai 700 euro di Milano fino ai 1600 di Roma), della nuova tassa dei rifiuti (30 euro) e del mancato trasferimento sui prezzi di metà dell’aumento dell’Iva (850 euro).

Una pioggia di ritocchi che si può facilmente semplificare:
IVA: aumento dell’aliquota ordinaria (dal 20% al 23,5%) e di quella ridotta (dal 10% al 12,5%), per un maggior prelievo di 20 miliardi e 600 milioni;
Tassa rifiuti: +1 miliardo all’anno, che grava soprattutto su locali commerciali e laboratori artigiani;
Aumento contributi per artigiani e commercianti: tra i 1200 e i 2000 euro l’anno, totale di 2,7 miliardi di euro;
Spese di passaggio al regime semplificato: oltre 1500 euro l’anno.

Avete notato? Su quattro voci, tre parlano di aumenti di tasse e imposte. Ma dove vogliamo andare? Lo abbiamo già scritto ieri: costruire gli avanzi primari dello Stato senza cedere parte del patrimonio dello Stato stesso e senza alleggerire la pressione fiscale sulle imprese, per far ripartire la crescita, è un’operazione a perdere. Lo dice anche Confesercenti, secondo cui “è profondamente sbagliato e assai poco lungimirante caricare le Pmi di nuovi oneri sul lavoro proprio mentre è in atto un forte appesantimento degli oneri sul piano fiscale e i consumi calano in modo sempre più allarmante“.

Pensare di risanare i conti pubblici soprattutto per via fiscale – lo ha fatto il contestatissimo governo Berlusconi, lo sta facendo di nuovo e di più il governo Monti (ma pare che nessuno se ne accorga…) – è una prassi che genera mostri. Sia su chi si ritrova delle buste paga leggerissime, sia su chi queste buste paga le deve erogare. E magari scopre di non essere più in grado di farlo, perché da una parte la crisi e dall’altra il fisco vorace gli hanno portato via tutto. A volte persino la dignità e la voglia di continuare non solo a essere imprenditore, ma anche la voglia di vivere.

Benzina: in Italia la più cara d’Europa

Con un costo medio di 1,80 euro al litro l’Italia è diventato il Paese più caro d’Europa dove mettere benzina, per un pieno si spende in media il 12% in più che nel resto d’Europa, in un anno la differenza è di 350 euro. I dati arrivano dall’Associazione di consumatori Adoc.

“Un anno di rifornimenti costa in media 3240 euro ad un italiano, il 12% in più della media europea, con un aggravio di spesa pari a circa 350 euro annui – dichiara Carlo Pileri, Presidente dell’Adoc – l’Italia è il Paese europeo con i costi più alti dei carburanti, si spende il 10% in più che in Francia, il 7% in più che in Germania, il 20% in più della Svizzera e poco meno del 30% in più che in Spagna. Un pieno oggi costa 90 euro, in Europa mediamente si spendono 80 euro, in Svizzera si spendo circa 15 euro in meno ad ogni rifornimento. I continui aumenti, aggravati dalle maggiori accise e dal rialzo dell’Iva, stanno dissanguando le famiglie italiane. Non solo al momento di rifornirsi ma anche in tutti quei settori, dall’alimentare al turismo, direttamente collegati alle fluttuazioni del prezzo della verde. La spesa alimentare costa circa il 5% in più dello scorso anno, il turismo è in agonia. Ci auguriamo che attraverso l’applicazione corretta delle liberalizzazioni possano arrestarsi i continui rialzi inflattivi e che i consumi tornino a correre. Secondo le nostre stime i prezzi al consumo dei beni di prima necessità, primi fra tutti benzina e alimentari potrebbero subire una riduzione pari, complessivamente, al 7%. Una necessaria quanto agognata boccata d’ossigeno per i consumatori”.

Fonte: agenparl.it