Mutuo a tasso variabile: scopri se hai diritto al rimborso

Negli anni passati i tassi di interesse dei mutui erano particolarmente convenienti, soprattutto quelli variabili che a un certo punto sono diventati negativi. Proprio tale fattore ha generato la controversia che ha portato a un’importante sentenza della Corte di Appello di Milano che ha riconosciuto il diritto al rimborso per migliaia di persone. Ecco chi può chiedere il rimborso se ha sottoscritto un mutuo a tasso variabile.

Mutuo a tasso variabile: la clausola Floor è vessatoria. Partono i rimborsi

Per capire la vicenda è necessario fare un passo indietro. Il tasso di interesse dei mutui è determinato da due fattori principali. Il primo è il costo del denaro che va a riflettersi sugli indici (Euribor per il mutuo a tasso variabile ed Eurirs per il mutuo a tasso fisso), a ciò si aggiunge lo spread che rappresenta il “guadagno per le banche”.

Si è anticipato che negli anni passati il tasso di interesse applicato ai mutui a tasso variabile, Euribor, ha avuto un indice negativo. Nonostante questo, chi aveva stipulato questa un mutuo a tasso variabile in molti casi non ha ricevuto il giusto vantaggio da questa condizione. In particolare coloro che hanno stipulato il mutuo con la clausola Floor ( o clause floor), questa prevede l’applicazione di un tasso minimo anche se l’indice Euribor scende al di sotto di tale quota. Nel 2016 la Banca d’Italia aveva invitato le banche a non inserire questa clausola, ma  molti istituti hanno continuato a proporre tale tipologia di contratto.

Ecco chi può chiedere il rimborso degli interessi del mutuo a tasso variabile

La Corte di Appello di Milano nella sentenza 2836 del 6 settembre 2022 ha sanzionato tale comportamento. La Corte ha statuito che se anche la clausola floor fosse correttamente indicata nel contratto, resterebbe comunque vessatoria e quindi espone le banche all’obbligo di risarcire i clienti che hanno sottoscritto tale tipologia di contratto. In base ai giudici di Milano, le banche nel momento in cui il tasso Euribor diventava negativo avrebbero dovuto scontare lo stesso sullo spread andando quindi a ridurlo. Questo avrebbe comportato una riduzione dell’importo della rata da pagare.

Nello scrivere la sentenza la Corte di Appello di Milano ha indicato anche l’obbligo di far pubblicare la sentenza sul maggiore quotidiano italiano per diffusione ( Corriere della Sera) e ha invitato le banche che hanno applicato la clausola a contattare i clienti a cui è stata applicata per il riaccredito delle somme in più versate. Il consiglio per chiunque abbia dubbi circa i tassi di interesse applicati al proprio contratto è  rivolgersi a uno specialista o alla propria banca al fine di chiarire se vi è diritto al rimborso degli interessi.

Leggi anche: Allarme mutui: a breve il tasso di interesse potrebbe salire vertiginosamente

Criptovalute e bitcoin: la Banca d’Italia mette in guardia dai rischi

Negli ultimi mesi abbiamo visto una costante perdita di valore per il bitcoin e le altre monete virtuali, questo ha indotto la Banca d’Italia a rendere nota un’informativa sulle cripto-attività, la stessa è diretta agli operatori e a coloro che hanno deciso di investire nelle monete virtuali.

Il documento della Banca d’Italia sul Bitcoin

Il bitcoin e le altre valute digitali, come Ethereum, fino a qualche mese fa erano considerate uno strumento sicuro per poter fare investimenti e soprattutto guadagni, ma negli ultimi mesi sono in tanti a registrare perdite. Le criptovalute hanno avuto successo perché spesso presentate come un mondo parallelo, e spesso antagonista, dove rifugiarsi per evitare gli scarsi guadagni legati all’economia reale. Hanno attirato una grande fetta di investitori spesso sfiduciati dagli investimenti tradizionali e hanno rappresentato una sorta di sostitutivo rispetto al trading che ha perso rispetto al boom degli anni passati.

Il documento della Banca d’Italia mira a fornire chiarimenti sulle opportunità offerte da questo strumento, ma anche sui rischi che vi sono connessi. Senza trascurare le norme applicate e quelle proposte.

Bitcoin: continua la discesa dei prezzi. Avviata l’indagine per insider trading

Cosa contiene il documento della Banca d’Italia sulle criptovalute?

Il documento si compone di 5 parti. La prima parte può essere considerata generale e va a definire l’ambito di applicazione delle tecnologie decentralizzate e cerca di definire il funzionamento della crittografia e del blockchain. Il secondo paragrafo mette a disposizione una panoramica sulle norme applicabili al settore e sulle proposte di legge presentate.

Tra le proposte vi è anche un rafforzamento dei controlli applicati a questo settore. In questo capitolo viene sottolineato che in capo ai VASP (Virtual Asset Service Provider) vige l’obbligo di verificare, conservare i dati e le comunicazionin anche relativi a operazioni sospette. Inoltre per gli stessi soggetti c’è l’obbligo di iscrizione nella sezione speciale del registro dei cambiavalute, operativa dal 16 maggio 2022, tenuto presso l’Organismo Agenti e Mediatori.

Il terzo capitolo punta invece sugli obblighi informativi vigenti in capo agli intermediari e sottolinea il fatto che le informazioni fornite agli investitori devono essere il più possibile trasparenti, chiare e dettagliate in modo che ci possano essere investimenti consapevoli. Il quarto capitolo punta soprattutto sui rischi connessi a questo settore. Infine, il quinto punta sulla sicurezza in particolare sul monitoraggio da parte delle varie autorità centrali bancarie, quindi Banca d’Italia, sull’andamento del mercato e sulle cripto-attività al fine di valutarne i rischi anche connessi alla stabilità finanziaria e sul corretto funzionamento sul sistema dei pagamenti.

Leggi anche: Le criptovalute devono essere inserite nella dichiarazione dei redditi?

Quali sono le cripto-attività sicure? I consigli

L’intero documento è improntato a una certa tutela e mira a far in modo che gli investitori siano consapevoli dei rischi. Sono definite cripto-attività quelle che hanno ad oggetto “ rappresentazioni digitali di valore o di diritti”, tali attività possono essere detenute, trasferite e memorizzate elettronicamente. Gli scambi possono essere da utente a utente oppure attraverso la presenza di intermediari.

Il mercato delle cripto-attività viene diviso in due parti. Da un lato ci sono le attività che hanno comunque alla base un asset reale, ad esempio una valuta, dall’altro ci sono le attività di investimento che non hanno alcuna connessione con la realtà economica defintite unbacked crypto-assets”,  l’esempio di tale tipologia di attività sono proprio i bitcoin.

Naturalmente la Banca d’Italia nel documento sottolinea come gli investimenti della prima tipologia siano più sicuri e più facili da gestire. Tra l’altro la Banca d’Italia sottolinea che l’informativa di trasmettere agli investitori deve appunto contenere anche tale indicazione e cioè che l’attività è scoraggiata dalla Banca d’Italia. L’investitore da questa indicazione dovrebbe evincere che trattasi di un’attività particolarmente rischiosa. Ribadisce che le cripto-attività costituiscono strumenti molto rischiosi e speculativi e che non possono essere utilizzati come strumenti di scambio o di pagamento. Esorta tutti a prestare attenzione in particolare nei confronti di coloro che praticano pubblicità ingannevole anche attraverso social media e influencer.

Non ottieni un prestito per la tua azienda? Prova con i Confidi

Le aziende per poter crescere e restare sul mercato hanno bisogno di investire, ma nella maggior parte dei casi non hanno abbastanza liquidità per poterlo fare senza chiedere prestiti e finanziamenti dedicati. Solitamente in questi casi ci si rivolge a una banca, ma anche qui non tutto è così semplice perché occorre fornire idonee garanzie e non sempre si ottengono risultati. In questi casi arrendersi non è proprio la scelta migliore, per tentare tutte le strade si può provare il Confidi.

Cos’è il Confidi?

Il termine Confidi è acronimo di Consorzio di garanzia collettiva dei fidi, nasce proprio con l’obiettivo di aiutare micro, piccole e medie imprese ad ottenere dei prestiti fornendo delle garanzie. La storia di questo istituto non è recente, sebbene se ne parli molto poco, infatti rientra nella famiglia delle associazioni di mutua assistenza nate nei primi anni Cinquanta. Naturalmente nel tempo i Confidi sono stati disciplinati dalla legge cercando di adattare la normativa alle esigenze e ai cambiamenti sociali. Attualmente questo istituto è regolato dal TUB, Testo Unico Bancario e dal D.L. 269/2003, convertito con modificazioni nella legge 326/2003 . Dal punto di vista della struttura sono dei Consorzi a cui le aziende/imprese possono partecipare attraverso una quota associativa. In cambio possono ottenere non prestiti, ma garanzie sui prestiti concessi dalle banche e dai vari istituti di credito.

Se vuoi conoscere la definizione di Micro, Piccola e Media Impresa, leggi l’articolo: Micro, Piccola e Media Impresa: definizione e differenze

Le tipologie di Confidi: Maggiori e Minori

Questi consorzi hanno una normativa diversa a seconda della tipologia, in ogni caso sono sottoposti a controlli esterni, vista la delicatezza della materia. Aderire a una tipologia o a un’altra per le aziende può fare la differenza, ma vedremo al termine della disamina che spesso, in base all’area geografica di ubicazione non vi sono molte possibilità di scelta.

I Confidi si dividono in: Maggiori e Minori

Caratteristiche dei Confidi Maggiori

Maggiori o vigilati (articolo 107 TUB), si tratta di Confidi vigilati dalla Banca d’Italia, devono avere un capitale sociale abbastanza importante, più è elevato il capitale disponibile e maggiori sono le garanzie che possono prestare. Naturalmente partecipare a essi consente di ottenere prestiti più facilmente e di maggiore entità proprio perché essendo vigilati dalla Banca d’Italia sono più affidabili. I Confidi vigilati sono considerati degli intermediari finanziari e devono essere iscritti al relativo albo. Possono avere un volume di affari pari o superiore a 150 milioni di euro.

Caratteristiche dei Confidi Minori

Minori o non vigilati, sono disciplinati dall’articolo 155 comma 4 del TUB, devono avere un fondo consortile di almeno 100.000 euro le aziende (in qualunque forma quindi imprese o società), per aderire devono versare una quota di importo minimo di 250 euro. La quota di ciascuna impresa/azienda però non può essere superiore al 20% del capitale sociale o fondo consortile.

Il volume di attività non può essere superiore a 150 milioni di euro e possono svolgere solo attività di prestazione di garanzie in favore di PMI e servizi connessi, devono intendersi come tali le consulenze comunque inerenti la garanzia stessa. Al fine di superare l’ostacolo della mancata sottoposizione a vigilanza da parte della Banca d’Italia sui Confidi Minori, è prevista l’iscrizione presso un Organismo dei Confidi Minori (OCM) con personalità giuridica il cui statuto sia approvato dal MEF, sentita la Banca d’Italia. L’Organismo vigila sui Confidi Minori, mentre la Banca d’Italia vigila sull’Organismo, quindi vi è comunque un controllo indiretto.

Una delle principali differenze tra i Confidi Minori e quelli Maggiori è lo spettro di attività che possono compiere, infatti i Maggiori oltre a prestare garanzie a PMI, possono anche gestire fondi pubblici di agevolazione, prestare garanzie a favore dell’amministrazione finanziaria dello Stato, sono abilitati a concedere forme di finanziamento anche a soggetti diversi dei soci, rispettando il limite massimo del 20% del totale dell’attivo.

Perché un’azienda dovrebbe aderire a un Consorzio di garanzia collettiva dei fidi?

Fatta questa piccola precisazione inerente le caratteristiche e la natura dei Confidi, si deve ora capire quali possono essere i vantaggi per le imprese nell’aderire a essi. I Confidi sono diretti ad aiutare micro, piccole e medie imprese a ottenere liquidità attraverso una garanzia prestata appunto da tale “intermediario”. Naturalmente la garanzia viene prestata attraverso i fondi che il consorzio scelto ha a disposizione. La garanzia però non viene prestata nei confronti di tutti, si è visto in precedenza che solo i Confidi Maggiori possono concedere i propri servizi anche a soggetti non associati e comunque in modo limitato.

Questo vuol dire che per poter ottenere i benefici l’azienda deve in primo luogo entrare nel consorzio versando la quota prevista e in un secondo momento potrà recarsi presso un istituto di credito, chiedere un prestito/finanziamento e proporre la garanzia da parte del Confidi. Deve però essere precisato che solitamente le quote da versare sono tre:

  • associativa;
  • per la gestione del fondo;
  • per il fondo rischi.

In questo modo sarà più semplice riuscire ad accedere ai fondi e questo perché la banca potrà avere il capitale garantito e se il debitore non dovesse pagare, sarà il Confidi a versare gli importi. Naturalmente il Confidi avrà la possibilità comunque di recuperare nel tempo le somme versate in luogo del debitore principale.

Come ottenere la garanzia

Ottenere la garanzia del Confidi però non è così immediato perché, chi vuole far parte del consorzio e godere dei vantaggi che può offrire deve in primo luogo presentare un’idonea documentazione che comprende il documento di identità del titolare dell’azienda, gli ultimi due bilanci aziendali e per le aziende giovani il business plan adottato. Per ottenere la garanzia del Confidi devono essere anche dichiarati eventuali finanziamenti in corso, esposizioni bancarie e fidi in corso. Una volta ottenuta la garanzia, ci si potrà recare in banca a chiedere il prestito e al termine dell’istruttoria, l’esito sarà comunicato al Confidi.

Distribuzione in Italia

Per conoscere i Confidi presenti nella propria zona è consigliato rivolgersi a patronati e soggetti che svolgono servizi in favore delle imprese. Purtroppo la situazione in Italia è piuttosto frastagliata infatti al 2019 si registravano 311 Confidi e di questi solo 35 iscritti all’Albo dei Confidi Maggiori, mentre la rimanente parte era sottoposta alla disciplina dei Confidi Minori con tutti i limiti visti. Purtroppo anche la distribuzione geografica lascia molto a desiderare, infatti 21 Confidi vigilati si trova nel Settentrione con una prevalenza di Lombardia e Veneto, mentre la metà dei Confidi minori si trova al Sud, questo vuol dire che per le aziende del Sud vi sono comunque minori possibilità di ottenere garanzie ai loro prestiti.

Segnalazione al CRIF senza preavviso del cattivo pagatore: si può fare?

Se ti sei accorto di essere stato segnalato al CRIF come cattivo pagatore anche senza aver ricevuto alcun preavviso, devi sapere che ci sono dei casi in cui questo è possibile. Ecco quando per la Corte di Cassazione è lecita la segnalazione al CRIF senza preavviso.

Cos’è il CRIF e quali segnalazioni raccoglie

Il CRIF è una società creditizia, la sigla è acronimo di Centrale Rischi Finanziari. Nel CRIF non sono iscritti esclusivamente coloro che risultano essere cattivi pagatori, ma anche i soggetti che hanno in corso dei pagamenti rateali, coloro che chiedono un prestito e un mutuo. In questa centrale sono inoltre registrati i pagamenti effettuati, gli eventuali ritardi e i mancati pagamenti e vuole essere un punto di riferimento per le banche e gli istituti di credito che prima di erogare prestiti, mutui, finanziamenti, possono valutare la solvibilità del richiedente.

Nel caso in cui si verifichi una situazione di effettiva crisi, questa non vi è nel caso di ritardo nel pagamento di una rata, si viene segnalati come cattivi pagatori sia al CRIF e sia alla Centrale Rischi della Banca d’Italia.

Per conoscere i dettagli sul funzionamento della segnalazione al CRIF quindi quando può essere eseguita e i limiti segnalati dalla Corte di cassazione, ti consiglio di leggere gli articoli:

Segnalazione CRIF e alla Centrale Rischi della Banca d’Italia: differenze

e l’articolo Segnalazione Centrale Rischi: cos’è e come funziona

Segnalazione al CRIF senza preavviso del cattivo pagatore

Per capire quando è possibile che non vi sia preavviso della segnalazione è necessario avere in considerazione diverse norme. La prima è generale, si tratta dell’articolo 4 delibera del Garante della privacy n. 8 del 2004 , il quale prevede che in caso di ritardi nei pagamenti, la banca unitamente ai solleciti di pagamenti, può inviare un avviso inerente l’imminente registrazione dei dati sui sistemi di informazione creditizia. I dati possono essere resi noti agli altri partecipanti a tali sistemi (cioè le altre banche che possono accedere a questo grande database) non prima che siano trascorsi 15 giorni dall’invio del preavviso.

Questa norma può però essere considerata di rango inferiore rispetto all’art. 125, comma terzo, del Testo Unico Bancario (TUB), come modificato dall’art. 1 D.Lgs. n. 141 del 2010. Questo infatti prevede che il preavviso di segnalazione come cattivo pagatore al CRIF debba essere fornita dal finanziatore al consumatore. Tale norma è inserita nel TUB, all’interno del capo II del titolo VI, “Credito ai consumatori” , quindi non vi sono dubbi sul fatto che si tratti di una norma specifica per questo particolare segmento di credito e non una norma generale. Infatti dall’ambito di applicazione del capo sono esclusi in modo specifico dall’articolo 122 i finanziamenti destinati all’acquisto e alla conservazione di diritti di proprietà su beni immobili esistenti i progettati e acquisto di terreni.

Ordinanza 39769/2021 sulla segnalazione al CRIF senza preavviso

Dall’applicazione letterale di questa norma fatta da alcuni giudici è emerso che in realtà il preavviso risulta obbligatorio solo nel caso in cui il ritardo nel pagamento o il mancato pagamento sia inerente un rapporto tra la banca e il debitore avente a oggetto un prestito che rientra nelle operazioni di credito al consumo e non negli altri rapporti. Ad esempio, secondo questa interpretazione restritttiva e letterale della norma, nel caso in cui il mancato pagamento sia inerente la rata di un mutuo per l’acquisto di casa, non trattandosi di credito al consumo è legittima la segnalazione al CRIF senza preavviso. Questa interpretazione ha trovato l’appoggio anche dalla Corte di Cassazione in una recente ordinanza, la 39769/2021.

Tale legittimità, in limitati casi, della segnalazione al CRIF senza preavviso non fa però venire meno l’eventuale risarcimento del danno legato a una segnalazione illeggittima che cioè non doveva avvenire. Il risarcimento può essere richiesto anche per il danno all’immagine, ma deve essere provato. Naturalmente la banca che nota mancati pagamenti può inviare in ogni caso il preavviso anche quando non è obbligata limitando così il rischio di richieste di risarcimenti.

Merito creditizio: cos’è, come si calcola e perché è importante

Più volte nell’affrontare le varie tematiche legate agli investimenti che le aziende hanno bisogno di fare per restare competitive sul mercato, abbiamo sottolineato che per loro è di vitale importanza avere accesso al credito. Abbiamo più volte sottolineato che in alcuni casi è possibile contare sulla garanzia dello Stato o di specifici fondi, ad esempio quelli Invitalia, per avere l’accesso al credito. A questo proposito occorre quindi chiudere il cerchio parlando del merito creditizio, infatti spesso le imprese vedono i loro progetti volatilizzarsi proprio perché non riescono ad accedere al credito. Dobbiamo quindi capire di cosa si tratta esattamente e come viene valutato dalle banche.

La disciplina sul merito creditizio

In linea generale occorre ricordare che, sebbene le banche siano soggetti privati, e di conseguenza hanno una certa autonomia di scelta, vi sono delle regole da rispettare. In primo luogo è necessario citare l’articolo 5 del TUB (Testo Unico Bancario), questo stabilisce che le banche hanno la responsabilità di una corretta erogazione del credito tenendo in considerazione non solo le esigenze dell’utenza, ma anche quelle delle imprese che si trovano inserite nel sistema. Inoltre le norme europee prevedono che le banche non assumano crediti eccessivamente rischiosi. Queste norme sono dettate per mantenere in equilibrio il mercato del denaro, anche tenendo in considerazione quello che è successo nel 2008 con i subprime e che ha scatenato una crisi economica globale.

In Italia a queste disposizioni si aggiungono le fonti normative secondarie dettate dall’Autorità Bancaria Europea (ABE), dalla BCE e dalla Banca d’Italia, le quali sottolineano la necessità per ogni banca di dotarsi di un regolamento sul merito creditizio in modo da evitare un’eccessiva personalizzazione dei servizi offerti.

Merito creditizio ed esposizione finanziaria della banca

Occorre sottolineare che quando una banca rifiuta un prestito non è detto che sia per un rating negativo del richiedente, infatti può essere dovuto anche a un’eccessiva esposizione della banca stessa, ecco perché è bene sempre andare a fondo e magari chiedere a un’altra banca. Inoltre il cliente ha sempre la facoltà di chiedere le motivazioni del rifiuto. Ci sono inoltre state pronunce della Corte di Cassazione che hanno sottolineato che un eventuale rifiuto della banca di motivare il diniego del prestito, potrebbe esporla a un’azione risarcitoria per violazione dell’obbligo di buona fede. Il cliente potrebbe inoltre chiedere la restituzione delle somme spese per la perizia tecnica realizzata su un eventuale bene da porre a garanzia.

Criteri per la valutazione del merito creditizio

Ritornando ai criteri con cui si valuta il merito creditizio.

Con il merito creditizio si valuta l’affidabilità economico -finanziaria di un soggetto che appunto richiede un prestito e viene comunemente espresso anche in forma di tasso di interesse, cioè la banca o istituto di credito determina quanto è rischioso prestare del denaro a un soggetto e più elevato è il rischio più alto è il tasso di interesse.

La prima cosa che la banca tiene in considerazione quando un imprenditore chiede un prestito è il flusso di reddito prodotto dallo stesso, si procede quindi alla valutazione dell’indebitamento pregresso, infatti una persona che ha già dei debiti avrà maggiore difficoltà a pagare quelli nuovi. Si passa quindi al vaglio anche degli insoluti pregressi, quindi debiti non estinti. Tra gli elementi tenuti in considerazione c’è anche il godimento di fonti finanziarie alternative e la possibilità che queste permangano nella disponibilità del richiedente per un lasso di tempo sufficientemente elevato. Vengono inoltre sottoposte a giudizio le garanzie che può offrire il richiedente. Questi sono solo i parametri principali, di fatto vi è un calcolo complesso che mira a determinare la solvibilità del richiedente.

Si è visto in precedenza che in caso di rifiuto immotivato la banca potrebbe essere esposta a pretese risarcitorie, in realtà queste possono sussistere anche nel caso in cui abbia valutato con superficialità il merito creditizio. Ad esempio la Corte di Cassazione con la sentenza 17268/2017 ha condannato la banca a risarcire il cliente in quanto aveva erogato un credito anche se la società si trovava in una situazione economico finanziaria che in realtà non consentiva tale concessione.

Il rating: classificazione

Il rating o merito creditizio si cataloga con una specifica graduatoria di cui spesso abbiamo sentito parlare anche in riferimento agli Stati la stessa prevede:

  • Tripla A elevata sicurezza;
  • AA sicurezza;
  • A ampia solvibilità;
  • BBB solvibilità;
  • BB vulnerabilità;
  • B elevata vulnerabilità;
  • Tripla C rischio;
  • Doppia C Elevato rischio;
  • C rischio molto elevato.

Tra le misure che agevolano l’accesso al credito è possibile ricordare: Fondo Nazionale Innovazione per supportare start up innovative

Dal MISE in arrivo 45 milioni di euro per innovazione tecnologica

 

 

Banche Centrali chiedono una stretta sui prestiti per gli accordi Basilea III

L’entrata in vigore del Trattato Basilea III potrebbe avere ripercussioni sul sistema bancario e in particolare cui criteri adottati dalle banche per concedere prestiti, che dovrebbero diventare più stringenti, proprio per questo il mondo dell’imprenditoria e i privati stanno entrando in fibrillazione temendo una stretta importante, ma perché  tali timori avanzano? Semplice: le Banche Centrali chiedono una stretta sui prestiti.

Cos’è il Trattato Basilea III

Basilea III è un accordo che va a disciplinare il mondo delle banche dell’Unione Europea e dell’intermediazione finanziaria in genere. L’esigenza di stipulare tale accordo nasce nel 2008 a seguito della crisi finanziaria causata proprio dalla cattiva gestione di prestiti e finanziamenti da parte delle banche che di fatto avevano creato titoli spazzatura fino alla deflagrazione del sistema che ha colpito tutto il mondo. Il trattato di Basilea III è appunto del 2010, entra in vigore nel 2013,  ma gli Stati completano il recepimento solo nel 2019 e di fatto non è mai entrato in vigore in tutte le sue parti. Intende disciplinare il mondo bancario in modo da evitare simili ricadute.

Il sistema di Basilea III si basa su tre pilastri, il primo riguarda il capitale che le banche devono avere a disposizione rispetto a quello effettivamente concesso in prestito, si istituisce quindi un’autorità di vigilanza il cui compito è controllare il rispetto delle norme, infine l’ultimo pilastro riguarda proprio il credito e i criteri di adeguatezza che le banche devono rispettare per poter concedere prestiti.

Il trattato Basilea III disciplina anche gli investimenti in oro e in particolare distingue tra il mercato dell’oro fisico e il mercato dell’oro virtuale, il primo riguarda le scorte di oro fisico realmente in possesso delle banche da considerare non a rischio. Questa caratteristica fa in modo che le banche non abbiano interesse a dichiarare quantità di oro eccedenti rispetto alle reali “scorte”  e di conseguenza siano meticolose nel concedere credito, visto che la possibilità di concedere credito dipende anche dalle scorte di oro, ritenuto da sempre bene rifugio.

Perché le Banche Centrali chiedono una stretta sui prestiti?

Questo in linea di massima è il quadro delineato dal Trattato Basilea III, ciò che negli ultimi mesi ha destato un po’ di allarme nel settore è la richiesta fatta alla Commissione Europea da parte della Banca d’Italia e dalle Banche Centrali di 24 Paesi dell’Unione Europea, esclusa la Francia, di aggiornare le regole inerenti l’adeguatezza del capitale sulle banche,  e di applicare le nuove regole sul rating adeguandosi proprio al Trattato Basilea III.

L’obiettivo finale dichiarato dalle Banche Centrali è quello di rendere più solida l’economia attraverso una drastica riduzione del rischio di insolvenza. Tra l’altro la Francia ha sottolineato, attraverso una nota del governatore della Banque de France, Francois Villeroy de Galhau, che in realtà sostiene il sistema delineato con gli accordi di Basilea III, ma non conviene sul momento in cui le Banche Centrali hanno deciso di accelerare questo importante passaggio.

Le motivazioni della richiesta di maggiore severità nel dare prestiti alle imprese sono state rese note nella stessa missiva, sottolineando che un maggiore rigore porta ad una maggiore capacità delle banche di sostenere l’economia, soprattutto in periodi difficili come quello generato dalla crisi Covid. Inoltre applicare in modo totale gli accordi di Basilea III facilita anche i rapporti tra le banche, l’invito finale all’Unione Europea è a non concedere più deroghe all’accordo Basilea III.

Tra gli elementi che aumentano il rischio che le banche concedano meno credito c’è il cambio delle regole per il calcolo del rating bancario, cioè della capacità dell’impresa di restituire effettivamente il prestito. Con criteri più rigidi diventa quindi difficile avere accesso al credito e questo potrebbe bloccare gli investimenti delle aziende in un momento cruciale per l’economia del Paese, che vede finalmente la crescita del PIL dopo anni difficili iniziati proprio con la crisi finanziaria del 2008.

Quando si viene cancellati dalla Centrale Rischi? Ecco i termini

Chi chiede un prestito e riceve un rifiuto giustificato da un’esposizione o da un debito in sofferenza segnalato alla Centrale Rischi si chiede sempre se tale segnalazione sia legittima e quando si viene cancellati dalla Centrale Rischi. Ecco una piccola guida per muoversi senza incappare in eccessiva burocrazia.

Quando si viene segnalati e quando si viene cancellati dalla Centrale Rischi

La Centrale Rischi, come abbiamo già visto, è una banca dati detenuta dalla Banca d’Italia, in essa sono segnalati i finanziamenti/prestiti eccedenti i 30.000 euro e le “esposizioni” o “sofferenze” di valore superiore ai 250 euro. Si è già detto che non c’è un criterio univoco per stabilire quando un’esposizione debba essere segnalata, la Corte di Cassazione ha stabilito che non può essere segnalato un semplice ritardo o uno scoperto in conto corrente. Le segnalazioni sono aggiornate mensilmente. L’ente creditore deve però smettere di segnalare un credito dal mese successivo rispetto a quando scende sotto la soglia dei 30.000 euro e quando il debitore sana la sua posizione. Questo però non vuol dire essere cancellati dalla Centrale Rischi della Banca d’Italia, infatti i dati saranno ancora forniti a coloro che ne facciano richiesta al fine di valutare il merito creditizio.

I dati restano disponibili per 36 mesi dall’ultima segnalazione, solo successivamente si viene cancellati dalla Centrale Rischi. Non tutti possono accedere a tali dati, ma solo i soggetti che in base alla normativa possono effettuare le segnalazioni, possono accedere ma non in modo indiscriminato, ma soltanto se hanno ricevuto una richiesta di prestito/ finanziamento. Trascorso il periodo dei 36 mesi la cancellazione dalla Centrale Rischi avviene in modo automatico, ma come cancellarsi dalla Centrale Rischi se trascorso tale termine i dati continuano a essere disponibili, oppure nel caso in cui si ritenga che la segnalazione non sia legittima? E’ bene sottolineare che le banche spesso rifiutano prestiti a coloro che sono segnalati.

Come cancellarsi dalla Centrale Rischi: contatta la banca che ha segnalato il debito

Se non si viene cancellati automaticamente dalla Centrale Rischi la soluzione più semplice e veloce è rivolgersi alla banca, o altro soggetto, che ha effettuato la segnalazione, basta recarsi semplicemente in filiale, naturalmente tale richiesta deve essere motivata. Se la banca contesta tale richiesta e quindi ritiene di non dover effettuare la cancellazione, il secondo passo è formalizzare tale istanza attraverso l’invio di un modulo per la richiesta di cancellazione dalla Centrale Rischi da inviare alla banca tramite raccomandata con ricevuta di ritorno oppure PEC.

Come cancellarsi dalla Centrale Rischi: rivolgiti all’Arbitro Bancario Finanziario

Naturalmente la banca anche in questo caso può continuare a ritenere la propria segnalazione sia conforme alla normativa e quindi non provvede a cancellare la segnalazione. A questo punto la soluzione è rivolgersi all’Arbitro Bancario Finanziario il cui compito è mediare tra clienti e banche al fine di risolvere in via stragiudiziale la questione. Deve essere sottolineato che negli ultimi anni l’attività dell’Arbitro Bancario Finanziario è stata davvero importante e risolutiva e in media i tempi di risoluzione delle controversie sono molto bassi, cioè solo 105 giorni. Infine, se neanche tale soluzione appare essere risolutiva, è possibile rivolgersi al tribunale ordinario per risolvere la questione in via giudiziale.

Deve essere sottolineato che solitamente non si arriva alle vie legali quando è necessario cancellarsi dalla Centrale Rischi per il decorso dei 36 mesi: la mancata cancellazione in questi casi è spesso un mero errore materiale. mentre è frequente il ricorso all’arbitro o al tribunale quando si ritiene che in realtà la sofferenza non dovesse essere segnalata, ad esempio perché si è trattato solo di un mancato pagamento, oppure perché il debitore non ha ricevuto il preavviso di segnalazione del proprio debito alla Centrale Rischi.

Segnalazione CRIF e alla Centrale Rischi della Banca d’Italia: differenze

Abbiamo visto nei precedenti articoli che coloro che hanno in corso dei finanziamenti possono essere segnalati alla Centrale Rischi della Banca d’Italia e abbiamo visto le condizioni in cui ciò si verifica e le conseguenza, ora vediamo la segnalazione al CRIF.

Cos’è il CRIF e differenze con la Centrale Rischi

CRIF è acronimo di Centrale Rischi di Intermediazione Finanziaria è una società che gestisce il SIC (Sistema di Informazioni Creditizie) e svolge un ruolo del tutto simile a quello della Centrale Rischi della Banca d’Italia, ma ha una gestione di tipo privato. Le informazioni contenute in CRIF sono fornite direttamente dalle banche ma su base volontaria e sono sempre le banche e gli altri soggetti di intermediazione a poter consultare il dati al fine di valutare la solvibilità di un potenziale cliente. La prima differenza quindi è data dal fatto che non vi è per le banche l’obbligo di trasmettere i dati, cosa che invece succede con  la Centrale Rischi, questo però non vuol dire che questo sistema sia meno affidabile perché ad oggi la CRIF riceve molto credito da parte delle banche e hanno aderito a questo sistema praticamente tutte.

La segnalazione al CRIF

Essere segnalati al CRIF non vuol dire essere cattivi pagatori, infatti vengono inseriti i dati anche relativi alle richieste in corso e alle erogazioni, in questo caso si potrà valutare la serietà del debitore tenendo in considerazione il suo comportamento durante il periodo del piano di ammortamento. Un’altra differenza riguarda le segnalazioni, anche in questo caso sono inserite le informazioni inerenti prestiti e mutui, fidi, carte di credito e leasing erogati a persone fisiche e giuridiche.

Si è visto in precedenza che la segnalazione alla Centrale Rischi avviene al superamento della soglia di censimento di 30.000 euro, in questo caso non vi è soglia,  ma occorre sottolineare un ulteriore aspetto. La segnalazione dei prestiti/mutui avviene esclusivamente con il consenso informato del contraente/debitore, consenso che invece non è necessario per la Banca d’Italia. Il consenso non è necessario nel caso in cui la segnalazione al CRIF non riguardi l’esistenza del prestito, ma la segnalazione per ritardi.

Quali ritardi sono oggetto di segnalazione CRIF

Abbiamo visto che per la Centrale Rischi della banca d’Italia non sono ben determinati i criteri per la segnalazione dei ritardi e quindi come “cattivi pagatori”, questo non succede con la segnalazione CRIF, infatti qui tutto è ben determinato, in particolare:

  • Primo ritardo nel pagamento relativo a un rapporto di credito: viene segnalato quando vi è il mancato pagamento per due mesi consecutivi. Viene inviato al debitore un preavviso di 15 giorni in modo che possa sanare la sua posizione ed evitare la segnalazione CRIF;
  • Ritardi successivi al primo: sono segnalati nella comunicazione mensile, quindi in questo caso non occorre che ci sia il mancato pagamento di due successive rate, la segnalazione è immediata.

Tempi di conservazione dei dati

I tempi di conservazione dei dati cambiano rispetto alla segnalazione Centrale Rischi e sono stabiliti dal Codice di Condotta, la prima cosa da dire è che le segnalazioni al CRIF riguardano tutti gli atti anche propedeutici alla concessione del credito. I termini di conservazione dei dati sono:

  • per le richieste di credito, le informazioni sono detenute per 180 giorni dalla data della richiesta.
  • Nel caso di un prestito non concesso o rinuncia, le informazioni restano archiviate e disponibili per 90 giorni dalla rinuncia/rifiuto;
  • Finanziamenti estinti regolarmente senza ritardi, i dati sono conservati per 60 mesi (5 anni) dal pagamento dell’ultima rata;
  • 1 o 2 rate non pagate regolarmente, questa informazione si conserva per 12 mesi decorrenti dalla regolarizzazione del rapporto, però in questi 12 mesi non devono esservi altri ritardi;
  • Ritardi nel pagamento di 3 o più rate, in questo caso le informazioni sono conservate per 24 mesi successivi rispetto alla regolarizzazione del rapporto. Per ottenere la cancellazione di questa particolare informazione è necessario che nei 24 mesi non sia maturato alcun ritardo;
  • Finanziamenti non rimborsati,  i dati sono conservati per 36 mesi dalla scadenza contrattuale.

Occorre fare una precisazione, infatti i dati ora forniti si riferiscono al periodo in cui il CRIF può rendere disponibili i dati ai soggetti interessati, ad esempio banche a cui a cui il soggetto a cui i dati si riferiscono ha chiesto credito, ma il CRIF può detenere tali dati, senza fornirli a terzi, per 10 anni, ciò in base al Codice di Condotta.

Note finali

Si è detto in precedenza che il soggetto che chiede un prestito può negare il consenso alla trasmissione dei dati inerenti la sua linea di credito al CRIF, ma la banca è altrettanto libera di non concedere il prestito/mutuo, finanziamento, ciò avvalendosi delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 141 del 2010 che richiede agli istituti di credito di verificare il merito creditizio prima di concedere liquidità.

Da questa disamina si può notare che banche e istituti di credito prima di erogare prestiti, finanziamenti, mutui, carte di credito, per verificare la solidità del richiedente e la sua capacità di rimborso, e quindi se è un potenziale cattivo pagatore, possono chiedere informazioni alla Centrale Rischi della Banca d’Italia, e se aderiscono al CRIF, possono accedere anche alle segnalazioni CRIF. Non è detto che se un soggetto non risulti segnalato alla Centrale Rischi, non risulti invece in quella del CRIF, anzi. Le banche possono inoltre trovare più informazioni attraverso il SIC perché, come visto, questa banca dati è più completa e permette di tracciare un profilo preciso del merito creditizio.

Si è visto che nel caso di errori nelle segnalazioni o mancata cancellazione (la cancellazione solitamente è automatica, non c’è bisogno di richieste) dalla banca dati della Centrale Rischi della Banca d’Italia, è necessario rivolgersi alla propria banca. Nel caso di segnalazione CRIF, invece è possibile procedere alla richiesta sia presso il CRIF, sia presso la banca che ha comunicato i dati. Il CRIF inizia una procedura per la verifica, che può anche essere lunga, ma fin da subito annota che in realtà quel determinato dato è oggetto di contestazione e questo può essere utile nella valutazione del merito creditizio.

Cancellazione dalla Centrale Rischi della Banca d’Italia

Chi vuole ottenere liquidità solitamente si reca presso intermediari come banche e altri soggetti abilitati, questi, prima di concedere il denaro fanno un’indagine presso le centrali rischi e tra queste vi è quella della Banca d’Italia. Purtroppo se vi sono segnalazioni negative è difficile ottenere credito, ma cosa fare se in realtà la segnalazione è errata? Ecco come ottenere la cancellazione dalla Centrale Rischi della Banca d’Italia.

La segnalazione: premessa

Abbiamo visto nel precedente articolo, che puoi visionare QUI, che persone fisiche e giuridiche che chiedono finanziamenti di importo superiore alla soglia di segnalazione, oppure che hanno uno scoperto superiore a 250 euro, vengono inseriti nel data base del Centrale Rischi gestita dalla Banca d’Italia (segnalazione a sofferenza). I dati si aggiornano ogni mese, quindi nel momento in cui il finanziamento scende sotto la soglia, oppure il soggetto segnalato riprende pagamenti regolari, l’intermediario/creditore non deve più segnalare quel determinato credito.

Si è anticipato nel precedente articolo che i dati relativi a una determinata persona (fisica o giuridica) possono essere richiesti dagli stessi soggetti abilitati a segnalare, ma solo nel caso in cui abbiano ricevuto la richiesta di un finanziamento e quindi, in via precauzionale, effettuano la richiesta prima di concedere credito al fine di valutare la solvibilità del richiedente. I dati che possono essere mostrati sono relativi agli ultimi 3 anni antecedenti alla richiesta di accesso ai dati. Questo implica che colui che ha estinto regolarmente un finanziamento o che ha sanato la propria posizione, ha diritto, trascorsi 36 mesi, a che siano cancellate le sue posizioni, ma cosa fare se ci si accorge che è attiva una segnalazione sebbene il credito sia estinto, sia sotto la soglia o la segnalazione è errata?

Come verificare la propria posizione presso la Centrale Rischi

Colui che decide di chiedere un prestito e ottiene un rifiuto motivato dalle segnalazioni presso la banca dati della Centrale Rischi della Banca d’Italia per verificare la propria posizione può semplicemente richiedere alla stessa Centrale quali dati detiene sul proprio conto. Se si accorge che le segnalazioni sono inesatte, oppure che non vi è stata una cancellazione già maturata, può ovviamente chiedere la rettifica.

La prima cosa da dire è che la cancellazione dalla banca dati della Centrale Rischi della Banca d’Italia può essere richiesta anche nel caso in cui ci sia una segnalazione errata o abusiva da parte dell’ente che ha segnalato il credito. Occorre ricordare infatti che la Corte di Cassazione ha stabilito che non ci può essere iscrizione di una segnalazione a sofferenza senza preavviso e che comunque non basta un semplice ritardo per attivare la segnalazione, ma è necessario valutare la situazione complessiva del debitore.

A chi rivolgersi per ottenere la cancellazione dalla Centrale Rischi

In questi casi non occorre rivolgersi alla Banca d’Italia che non ha alcuna responsabilità sulle segnalazioni e non ha l’obbligo di controllarle, cosa che sarebbe impossibile fare. Di conseguenza il cliente segnalato deve rivolgersi alla banca/ istituto di credito o altro intermediario al fine di richiedere la cancellazione della segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia. Si può fare questa richiesta recandosi personalmente alla filiale e segnalando l’errore.

Nel caso in cui la situazione sia controversa e quindi la banca ritenga di non dover cancellare la segnalazione, è necessario iniziare una procedura formale.  La prima tappa è inviare una richiesta scritta con l’uso di un modulo di cancellazione Centrale Rischi Banca d’Italia, lo stesso deve essere inviato al segnalatore tramite Raccomandata con Ricevuta di Ritorno, oppure tramite PEC.

Nel caso in cui non vi fosse alcun riscontro, può essere necessario rivolgersi a un arbitro bancario o finanziario che risolva la questione. Se neanche in tale sede si riesce a trovare una soluzione, è consigliato segnalare il problema alla Consob e, infine, rivolgersi al tribunale per ottenere un provvedimento d’urgenza ex articolo 700 del codice di procedura civile. Si tratta di un provvedimento cautelare che mira all’immediata cancellazione della segnalazione a causa dei danni che possono derivare dalla segnalazione stessa. In seguito viene intrapresa un’azione ordinaria che mira a determinare se effettivamente c’è stato un errore nella segnalazione, se la stessa è inesatta oppure se sono decorsi 36 mesi dall’ultima segnalazione.

La Banca d’Italia quando riceve la comunicazione che c’è stato un errore nella segnalazione  da parte di un intermediario, procede immediatamente alla correzione degli stessi. Non solo, ne dà comunicazione anche agli altri intermediari che avevano ricevuto i dati errati su un soggetto richiedente credito.

Segnalazione Centrale Rischi: cos’è e come funziona

Hai mai sentito parlare di segnalazione Centrale Rischi? Ecco cosa devi sapere su questa particolare procedura che può riguardare chiunque chieda un prestito/mutuo.

Cos’è la Centrale dei Rischi

La Centrale dei Rischi, anche conosciuta semplicemente come CR o CdR,  è una banca dati gestita dalla Banca d’Italia, in cui sono contenuti le informazioni inerenti il merito creditizio di coloro che hanno richiesto crediti e prestiti presso istituti finanziari e banche. L’obiettivo è fotografare la situazione debitoria delle famiglie  e delle imprese verso il sistema bancario e finanziario.  Sebbene sia vista con una certa diffidenza, in realtà non dovrebbe essere così, infatti questo database raccoglie i dati di chiunque chieda un prestito/mutuo, ciò ha una valenza positiva nella ricostruzione della storia creditizia di un soggetto, soprattutto quando è regolare nei pagamenti.

Fin da subito deve essere precisato che in Italia esistono altri archivi simili, ma non gestiti dalla Banca d’Italia, il più conosciuto è sicuramente il CRIF (Centrale Rischio Finanziario), in questo caso si tratta di una banca dati gestita da un soggetto privato a cui le banche possono o meno aderire, di fatto è ritenuto molto affidabile.

Funzione della segnalazione Centrale Rischi

Ritornando alla Centrale Rischi, deve essere sottolineato che ha due obiettivi. In particolare per coloro che hanno richiesto dei prestiti e dei finanziamenti e li hanno estinti in modo regolare  rappresenta una sorta di garanzia perché, se dovessero avere bisogno nuovamente di liquidità, ad esempio per investimenti, saranno ritenuti affidabili da banche e istituti di credito in generale.

Per le banche, la Centrale Rischi rappresenta un modo per valutare la solvibilità di coloro che richiedono un prestito e per determinare se concederlo e le condizioni a cui concederlo, ma anche per studiare soluzioni personalizzate. Ad esempio, un cliente può essere restio a dare informazioni su altri finanziamenti in corso, se  si recasse in banca e questa concedesse semplicemente il prestito senza valutare la capienza effettiva, potrebbe generarsi una posizione di sovraindebitamento, mentre il controllo della posizione di colui che ha chiesto il prestito può aiutare la banca a studiare soluzioni che il cliente può gestire al meglio, ad esempio con una rata piccola e un piano di ammortamento più lungo.

Gli intermediari possono chiedere informazioni esclusivamente sui loro clienti e su soggetti che si sono rivolti ad essi per chiedere un finanziamento, questo implica che non possono indagare su chiunque, ma solo su soggetti determinati.

Soggetti che agiscono nella Centrale dei Rischi

Presso la banca dati della Centrale Rischi sono inseriti:  finanziamenti come mutui, prestiti personali, aperture di credito e le garanzie.

L’inserimento di tali dati presso la Centrale Rischi avviene da parte di:

  •  banche;
  •  società finanziarie;
  • società di cartolarizzazione dei crediti;
  • organismi di investimento collettivo dei risparmi (OICR);
  •  Cassa Depositi e Prestiti.

La soglia di censimento e le segnalazioni a sofferenza

Affinché possa essere formalizzata la segnalazione è necessario che siano presenti delle condizioni. In questo caso si parla più propriamente di soglia di censimento, la stessa è stabilita in 30.000 euro di esposizione, soglia che però viene ridotta a 250 euro nel caso in cui il debitore risulti essere in sofferenza; si parla di “segnalazione a sofferenza”, per poterla effettuare in modo corretto occorre  una segnalazione preventiva al cliente. Per il mancato preavviso il cliente non può ottenere la cancellazione della segnalazione, se comunque oggettivamente valida, ma può ottenere un risarcimento per il mancato preavviso.

La segnalazione non viene più fatta nel momento in cui si estingue il debito oppure nel caso in cui l’ammontare dello stesso scende sotto la soglia di censimento. Le informazioni restano però registrate per tre anni decorrenti dal momento in cui cessano le condizioni per il censimento.

Precisazioni sulla segnalazione a sofferenza

Purtroppo i dubbi sorgono proprio sulla qualificazione di un debitore come “sofferente” perché non sono indicati dei criteri uniformi e proprio per questo vi è una certa discrezionalità da parte della banca creditrice. I criteri delineati dicono che non basta valutare un singolo rapporto contrattuale in sofferenza per determinare il verificarsi della soglia di segnalazione, ma occorre guardare la situazione complessiva del debitore.

Per la segnalazione con la soglia di 250 euro, non basta il ritardo nel pagamento di una singola rata, la Corte di Cassazione ha stabilito che un nominativo può essere iscritto presso la centrale rischi solo se si tratta di un’insolvenza conclamata, occorre inoltre un’indagine sulla natura delle difficoltà che affronta il debitore per capire se si tratta di una situazione meramente temporanea e quindi se il cliente può rientrare in breve tempo. La Corte di Cassazione ha inoltre stabilito che non si può procedere alla segnalazione alla Centrale Rischi nel caso di scopertura del conto corrente. La Corte ha ribadito che per la segnalazione alla centrale rischi occorra un’oggettiva situazione debitoria difficile da coprire.

Note sulla Segnalazione alla Centrale Rischi

Devono però essere fatte alcune precisazioni, infatti si viene segnalati alla CR non solo se si è debitori principali, ma anche nel caso in cui si assuma il ruolo di garante in una fideiussione e l’importo della fideiussione supera il limite per il censimento.

Un’altra precisazione riguarda i soggetti che possono accedere alle informazioni presenti presso la CR, si tratta dei soggetti che possono eseguire le segnalazioni (visti in precedenza), le autorità di vigilanza del settore ad esempio CONSOB e IVASS, ma nell’esercizio delle proprie funzioni e, infine, l’autorità giudiziaria nell’ambito di procedimenti penali in cui tali informazioni possano avere rilevanza.

Ognuno può inoltre accedere ai propri dati personali attraverso il sito della Banca d’Italia e registrandosi con le proprie credenziali, un codice SPID, CNS o CIE (Carta Identità Elettronica), naturalmente si può avere accesso solo alle proprie informazioni personali. Nel caso si persone giuridiche può accedere alle informazioni il legale rappresentante.

E’ bene ribadire che la Centrale Rischi gestita dalla Banca d’Italia deve essere disgiunta dal CRIF, di cui si parlerà a breve.