Deducibilità dei contributi previdenziali anche per i familiari a carico e fondo pensione: come procedere?

Come procedere con la deducibilità dei contributi previdenziali versati per se stessi o a favore di familiari a carico nel modello 730 della dichiarazione dei redditi? Ci si riferisce sia ai contributi obbligatori che a quelli volontari. Tra questi ultimi sono inclusi anche i contributi di adesione ai fondi pensione che si possono dedurre dal reddito totale ai fini dell’Irpef. Leggiamo dunque quali sono le regole da seguire in sede di dichiarazione dei redditi, quali sono i limiti della deducibilità dei contributi e le condizioni affinché possano essere dedotti da quanto versato a favore dei familiari a carico.

Contributi previdenziali per i familiari a carico: come riportarli nel modello 730 per la dichiarazione dei redditi?

Per la deducibilità dei contributi previdenziali versati per se stessi o a favore dei familiari a carico si utilizza la Sezione II del quota E del modello 730, ai fini della dichiarazione dei redditi. In questa sezione, infatti, si possono iscrivere le spese e gli oneri ai quali si è fatto fronte durante l’anno di imposta. La condizione essenziale per la detraibilità è quella che prevede che i contributi non siano già stati inseriti dal datore di lavoro per determinare il reddito da lavoro dipendente o il reddito assimilato.

Quando è il datore di lavoro a procedere con la deducibilità dei contributi previdenziali?

In quest’ultimo caso, è il datore di lavoro a procedere con la deducibilità dei contributi previdenziali dal reddito imponibile. Le informazioni sulla deducibilità si possono leggere sulla Certificazione unica. Spetta, dunque, al contribuente procedere con una verifica della correttezza degli importi portati a deduzione rispetto agli ammontari riportati nel modello 730.

Contributi della previdenza obbligatoria e deducibilità nella dichiarazione dei redditi

Se si tratta di contributi della previdenza obbligatoria, si procede con la sottrazione dal reddito complessivo dell’importo dei contributi previdenziali obbligatori oppure volontari, versati alle varie gestioni previdenziali. La sottrazione può essere fatta fino alla concorrenza del reddito totale e anche a favore dei familiari a carico.

Familiari a carico, qual è il limite del reddito per procedere con la deduzione dei contributi?

Peraltro, sono considerati a carico (e dunque si può procedere alla deduzione dei contributi previdenziali versati a loro favore) i familiari che abbiano:

  • un reddito che non eccede i 2.840,51 euro;
  • i figli entro l’età di 24 anni che non abbiano un reddito eccedente i 4 mila euro.

Come si procede con la deduzione nel modello 730 di dichiarazione dei redditi dei contributi obbligatori versati per i familiari a carico?

Per procedere con la deduzione dei contributi obbligatori versati a favore dei familiari a carico si deve far riferimento alla Sezione II del modello 730, nel quadro E e al rigo 21. Anche in questo caso, è necessario che i contributi, volontari od obbligatori, non siano stati già dedotti dal datore di lavoro. In tale situazione, la verifica deve essere fatta confrontando quanto riportato nel modello 730 con il punto 431 della Certificazione unica. La verifica, pertanto, deve mirare a confrontare gli importi relativi a questa tipologia di oneri e ai corrispondenti importi.

Contributi volontari versati alla gestione previdenziale: quali sono e come procedere con la deducibilità?

Accanto ai contributi obbligatori versati alla gestione previdenziale, si possono dedurre anche quelli volontari. Si tratta, in particolare, dei contributi versati in via facoltativa alla gestione alla quale si appartiene e in ottica di ricongiunzione di periodi contributivi. Ma si applicano le stesse regole anche per i versamenti occorrenti per il riscatto della laurea, sia ai fini delle future pensioni che per la buonuscita. E, inoltre, nel caso di contributi versati per scelta volontaria. Rientrano tra i versamenti facoltativi anche i contributi versati dal coniuge superstite e intestati al coniuge defunto. In questo caso, si provvede a proseguire nella contribuzione a favore di eredi che possano beneficiare di trattamenti di pensione.

Quali sono i contributi previdenziali che non possono essere dedotti dalla dichiarazione dei redditi?

Non possono essere dedotti dalla dichiarazione dei redditi i seguenti contributi previdenziali:

  • importi versati all’Inps per richiedere l’abolizione del divieto di cumulo tra redditi da lavoro e pensioni di anzianità (ad esempio, quota 100 o quota 102);
  • somme versate all’Inps per regolarizzare periodi contributivi pregressi;
  • importi versati all’Inps per le sanzioni e i relativi interessi moratori dovuti per aver violato il versamento dei contributi.

Come dedurre i contributi versati al fondo pensione nella dichiarazione dei redditi?

Analogamente ai contributi obbligatori e facoltativi ai fini previdenziali, dalla dichiarazione dei redditi si possono dedurre anche i contributi versati al fondo pensione in vista della previdenza complementare. Relativamente a questa tipologia di contributi, e a differenza dei contributi obbligatori e facoltativi, il contribuente può non compilare il quadro E del modello 730 nel caso in cui non abbia contribuzione da far valere ai fini della dichiarazione dei redditi. Questa situazione si può verificare nel caso in cui mancano ulteriori contributi o premi non dedotti inerenti la previdenza complementare. In questo caso, nella Certificazione unica, al punto 413, non è riportato alcun importo.

Previdenza complementare, qual è il limite di deduzione dei contributi?

Invece, nel caso in cui il contribuente abbia pagato dei contributi alla previdenza complementare senza l’intermediazione del sostituto di imposta, risulta necessario compilare i campi del modello 730 relativi al quadro E. Il limite della deducibilità dei contributi versati al fondo pensione è di 5.174,57 euro. Nel caso in cui i contributi sono versati al fondo pensione per il tramite del sostituto di imposta, i relativi importi si ritrovano nel quadro E al rigo E 27. Il confronto si può fare con gli importi inseriti nella Certificazione unica, ai punti 412 e 413. In questo caso, i due campi si popolano se è stato riportato il codice “1” al punto 411. Infine, nel caso in cui i contributi sono stati pagati al fondo pensione senza ricorrere al sostituto di imposta, è il contribuente stesso a dover indicare l’importo dei versamenti e la relativa deducibilità.

Pensioni, conviene di più la ricongiunzione o il cumulo dei contributi?

Ai fini della pensione, quale conviene di più, la ricongiunzione o il cumulo dei contributi? Per rispondere alla domanda è necessario sapere che la ricongiunzione può comportare delle spese, ma un maggiore vantaggio in termini di assegno di pensione. Il cumulo, invece, è sempre gratuito ma assicura minori vantaggi per la futura pensione. L’esigenza di procedere con la ricongiunzione dei contributi o con il cumulo può presentarsi al superamento dei 60 anni per valorizzare gli anni di contributi versati in rapporto alla propria carriera lavorativa. E, inoltre, si possono unire le contribuzioni versate in differenti gestioni previdenziali.

Ricongiunzione dei contributi, che cos’è e come incide sulle pensioni?

Con la ricongiunzione dei contributi ai fini delle pensioni si procede ad accentrare in una sola gestione pensionistica i contributi versati presso diverse previdenze. Esercitando questa opzione, i contributi maturati vengono trasferiti nel fondo che accentra tutte le previdenze. L’operazione consente, dunque, di presentare domanda di pensione al fondo accentratore. La legge numero 29 del 1979 prevede la possibilità di concentrare i contributi tra le varie gestioni Inps in 2 modalità.

Come può avvenire la ricongiunzione dei contributi?

La prima direzione del ricongiungimento dei contributi ai fini delle pensioni è quella prevista dall’articolo 1 della legge numero 29 del 1979. Ovvero, il trasferimento dei contributi versati può avvenire per accentrarli dai fondi di gestione sostitutiva e alternativa all’Assicurazione generale obbligatoria (Ago) al fondo lavoratori del settore privato. Nei fondi alternativi rientrano, a titolo di esempio, anche i lavoratori ex Inpdap. La seconda modalità di trasferimento consente di spostare i contributi verso i fondi differenti dal fondo pensioni dei contribuenti del settore privato.

Ricongiunzione dei contributi, quanto costa?

Le due operazioni di ricongiunzione dei contributi hanno un costo. L’onere che il contribuente deve sostenere corrisponde al 50% della differenza tra l’onere teorico della ricongiunzione e il totale dei contributi e degli interessi inerenti trasferiti nel fondo accentrante. Tale meccanismo è disciplinato dalla circolare dell’Inps numero 142 del 2010.

Deducibilità dei costi sostenuti per la ricongiunzione dei contributi: come avviene?

L’operazione, in ogni modo, può avere un quale vantaggio per l’aspetto della deducibilità dei costi sostenuti per il trasferimento dei contributi. La deducibilità degli oneri dal reddito è disciplinata dalla lettera e), del comma 1, dell’articolo 10 del Testo unico delle imposte sui redditi. Si può procedere con la rateizzazione senza l’applicazione di interessi. Il numero delle rate è calcolato in tante mensilità quanto è il periodo di tempo della ricongiunzione. Pertanto, la ricongiunzione può essere richiesta anche quando il lavoratore è attivo sul lavoro.

Cumulo dei contributi ai fini delle pensioni, quando si può fare?

Il cumulo dei contributi era stato introdotto dalla legge numero 228 del 2012 e poi modificato integralmente dalla legge numero 232 del 2016 (legge di Bilancio 2017). La possibilità di procedere con il cumulo dei contributi è prevista per le seguenti tipologie di pensione:

  • pensione anticipata con i requisiti della riforma Fornero;
  • pensioni di vecchiaia;
  • inabilità;
  • pensione dei superstiti.

Il cumulo può essere esercitato per i contributi versati in tutte le gestioni previdenziali. Dunque, sia quelle private che quelle pubbliche e non vi è un prerequisito dei contributi stessi.

Cumulo dei contributi, si può utilizzare anche per le Casse previdenziali?

Il cumulo dei contributi può essere utilizzato anche per i versamenti effettuati presso le Casse professionali. In tal caso, il cumulo opera per i periodi lavorativi e contributi che non coincidono con altre gestioni previdenziali. L’obiettivo dello strumento è quello di permettere il raggiungimento dei requisiti richiesti per le pensioni anticipate, di vecchiaia, per la quota 102 (come previsto dalla legge di Bilancio 2022), per le pensioni ai superstiti e di inabilità. Devono essere, dunque, rispettati i requisiti fissati dalla legge Fornero (legge numero 214 del 2011) per le pensioni anticipate ordinarie e di vecchiaia. In merito alla pensione di inabilità, i requisiti sono fissati dalla legge numero 222 del 1984.

Quale differenza c’è tra ricongiungimento dei contributi e cumulo?

Rispetto a quanto abbiamo visto per il ricongiungimento dei contributi, con il cumulo non si ha il trasferimento dei contributi da una gestione previdenziale a un’altra. La pensione spettante viene calcolata per quote secondo i meccanismi previdenziali di ciascuna gestione previdenziale. La distinzione è stabilita dalla circolare dell’Inps numero 140 del 2017. Se un contribuente ha maturato anni di contributi entro il 31 dicembre 1995, l’assegno di pensione viene calcolato con il metodo retributivo ma secondo le regole fissate da ciascuna gestione previdenziale (ad esempio, Inps ed  ex Inpdap).

Pensione, quale conviene di più tra cumulo dei contributi e ricongiunzione?

Il trattamento pensionistico, dunque, sarà il risultato delle pensioni calcolate dalle due gestioni previdenziali. Inoltre, pur essendo gratuito, il cumulo pensionistico comporta minori vantaggi rispetto alla ricongiunzione in termini di assegno pensionistico.

Entro domani 16 maggio la scadenza dei contributi

 

Contribuenti chiamati alla cassa di ani 16 giugno. Si tratta di artigiani e commercianti. Infatti arriva il termine ultimo per il versamento dei contributi Inps per questo lavoratori autonomi. Ma è in rete anche l’istanza per ottenere l’esonero, o meglio, la compensazione da esonero.

Artigiani e commercianti, ecco la scadenza del 16 giugno

Ok era questi lavoratori autonomi, cioè per artigiani e commercianti, il 16 maggio 2022 è la data utile al versamento dei contributi previdenziali all’Istituto nazionale di previdenza sociale italiano. Si tratta della prima scadenza per i versamenti obbligatori all’Inps nel 2022. Ma ci sono anche i contribuenti esonerati. E l’Inps da loro istruzioni per l’eventuale richiesta di utilizzo delle eccedenze in compensazione.

Domande tramite cassetto fiscale per compensazione contributi Inps

È presentando domanda tramite il proprio Cassetto previdenziale che artigiani e commercianti potranno produrre istanza di esonero.

È l’alternativa all’obbligo di versare la prima rata dei contributi previdenziali 2022. Niente di nuovo perché l’Istituto ha fornito la circolare illustrativa (la n° 22, ndr), a febbraio.

La compensazione riguarda tutti gli artigiani ed i commercianti che nel corso dell’anno 2021 sono stati beneficiari dell’esonero dal versamento dei contributi come previsto dalla manovra finanziaria del 2020, cioè dalla legge n° 178/2020. Chi ha versato prima dell’ok alla domanda da parte dell’Istituto, adesso potrà beneficiare dello sgravio. Ma solo, come spiegato, presentando domanda. L’Inps ha voluto ribadire il concetto fornendo le spiegazioni per l’utilizzo della procedura, con un nuovo messaggio, il n° 688 del 2022.

È online infatti la domanda per la compensazione dell’esonero. E per le eccedenze nei versamenti, non ancora compensate con le rate dei contributi scadute nel 2021, ecco che viene concessa ad artigiani e commercianti quest’altra possibilità. Una possibilità che dovrebbe essere ammessa solo per la scadenza della prima rata dei contributi 2022, cioè proprio con la rata in scadenza domani 16 giugno.

La procedura autonoma con le credenziali SPID

Non ci sarà bisogno di rivolgersi a commercialisti e ragionieri, anche se chi vuole può affidarsi a loro essendo dei professionisti del settore abilitati. La procedura di compensazione può essere espletata anche tramite il proprio Cassetto previdenziale. Infatti in rete c’è l’area a tema dedicata che si chiama “Rimborso e compensazione contributiva”.

Ecco cosa accade alle Partite Iva che non versano i contributi all’Inps

Versare i contributi previdenziali è utile a tutti i lavoratori, sia dipendenti che autonomi. Ma se per i primi ci pensa il datore di lavoro, per i secondi occorre fare tutto da soli. I contributi servono per il futuro, per poter andare in pensione quando sarà il momento di lasciare l’attività lavorativa. Oltre che utile, versare i contributi è anche obbligatorio per legge. I contributi devono essere obbligatoriamente all’Inps, anche dal lavoratore autonomo e fin dall’avvio di una attività lavorativa. Non versarli oltre che dannoso per la pensione futura, può essere pericoloso dal punto di vista amministrativo.

I contributi previdenziali e la loro importanza

 

Trovarsi a 67 anni a provare ad andare in pensione, con la quiescenza di vecchiaia, ma verificare di non averne diritto. È ciò che spesso accade a chi non ha raggiunto il requisito minimo dei contributi da versare. Ma vale lo stesso per chi punta a prestazioni previdenziali anticipate quali la quota 100, la quota 102, la pensione anticipata ordinaria, la quota 41 e così via. In genere oltre ad una determinata età (ma a volte l’anagrafica non conta per misure di pensionamento anticipato),  è necessario raggiungere una determinata carriera contributiva. Per la pensione di vecchiaia servono 20 anni di contributi. CI sono poi 41 anni da raggiungere per la relativa quota 41, 42 anni e 10 mesi per le pensioni anticipate per gli uomini o 41 anni e 10 mesi per le donne. E poi, 38 anni per la quota 102 o la vecchia quota 100, 36 anni per i gravosi e l’ape sociale, 35 per opzione donna e lo scivolo usuranti, 15 anni per le deroghe Amato e perfino 5 anni per la pensione di vecchiaia contributiva.

Cosa succede se non si versano i contributi all’Inps

Fatta questa opportuna premessa, è evidente che versare i contributi sia assolutamente necessario. Basti pensare a chi si trova già a 67 anni di età ma senza aver completato i 20 anni di contributi. Questo lavoratore, nonostante l’età, non potrà accedere alla quiescenza. E se si tratta di un lavoratore autonomo che ha l’attività da oltre 20 anni, probabilmente dipende dal fatto che non ha provveduto, come regola vuole, a versare i contributi. Il primo effetto evidente del mancato versamento dei contributi anche se obbligatori, è il non poter andare in pensione. E non è cosa da poco già questa. La contribuzione previdenziale va interpretata come un autentico patrimonio. Ma per carenze economiche e mancanza di liquidità, spesso sono proprio i lavoratori autonomi a non adempiere questo obbligo.

Quando vanno versati i contributi dal lavoratore autonomo

I versamenti devono essere periodici, fatti cioè a cadenza trimestrale ogni anno di attività. Tutti devono versare, anche chi non è iscritto all’Inps ma ad un’altra cassa previdenziale come accade a determinati professionisti per esempio. I contributi per il lavoratore autonomo sono commisurati al reddito prodotto. E se il problema pensionistico futuro è già abbastanza rilevante, non è da meno il carattere sanzionatorio che la legge impone a chi non provvede a versare nei termini quanto dovuto.

Nel caso emergano mancanze o irregolarità nei versamenti contributivi, il lavoratore inadempiente deve versare oltre al corrispettivo dei contribuiti omessi, anche le relative sanzioni ed eventuali interessi.

La procedura a cui è assoggettato il lavoratore che non versa i contributi all’Inps

Che l’Inps non si renda conto che un lavoratore autonomo non ha versato i contributi è una speranza che resta vana visto ciò che accade oggi. L’incrocio delle banche dati consente all’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale italiano di avere ben chiaro il quadro di ogni contribuente, lavoratore autonomo compreso. I altri termini, è assai facile che l’Inps noti subito il mancato arrivo del corrispettivo dovuto dal contribuente.

Ed in genere l’Istituto Previdenziale parte con l’avviso bonario, in cui si segnala la carenza e si intima il contribuente a provvedere a sanare la situazione. Già con l’avviso bonario l’Inps specifica all’inadempiente che deve versare quel trimestre di contribuzione omessa, con l’aggiunta di determinati e prima calcolati interessi e sanzioni. Naturalmente parliamo di sanzioni ed interessi in misura ridotta vista la celerità dell’avviso da parte dell’Inps. Non si arriva a superare il 10% di somme aggiuntive da versare.

Anche le rate possono aiutare, ma se si perde altro tempo le sanzioni e gli interessi aumentano a dismisura

Partendo da un presupposto fisso, e cioè che chi non ha versato è in difficoltà (ma ci sono casi di omessi versamenti per semplice dimenticanza), l’Inps concede la possibilità di rientro rateale. Il lavoratore autonomo inadempiente potrà ottenere dall’Inps la rateizzazione delle somme dovute. La mancata risposta all’avviso bonario, cioè il protrarsi dell’omesso pagamento, porta a conseguenze ben peggiori. Una volta che l’Inps ha compreso che chi era inadempiente resta tale, non potrà che passare il credito vantato all’Agente della Riscossione. In pratica, si passa alla cartella esattoriale. Il debito contributivo del contribuente passerà a ruolo, cioè finirà nelle mani di Agenzia delle Entrate Riscossione.

E gli importi dovuti salgono esponenzialmente e si passa da quel 10% dell’avviso bonario, al30% op più di somme aggiuntive da versare.

La cartella esattoriale è una cosa da prendere con le pinze

Le conseguenze diventano ben più gravi per il lavoratore che non ha regolarizzato la sua posizione contributiva in precedenza e finisce nelle mani del concessionario alla riscossione. Parliamo infatti di cartelle esattoriali di Agenzia delle Entrate Riscossione. L’iscrizione a ruolo di un debito, anche contributivo, espone il lavoratore autonomo alle procedure per l’esecuzione forzata. L’Agenzia delle Entrate Riscossione ha il potere di passare a pignoramenti, espropri e confische. Conto corrente, veicoli e immobili diventano a rischio con il protrarsi del mancato pagamento.

Arrivare alla cartella esattoriale è sempre sconsigliabile proprio per via del potere dell’Agenzia delle Entrate Riscossione di passare alle maniera forti nei confronti di un contribuente inadempiente. Tra l’altro esistono anche strumenti che consentono rientri meno dolorosi per il lavoratore autonomo.

Ravvedimento operoso la soluzione

Per esempio, utilizzando il cosiddetto ravvedimento operoso, strumento con il quale il lavoratore può di fatto fare ammenda. In pratica, pagando un minimo di interessi e sanzioni, può mettersi a posto senza grossi danni. Va ricordato anche che pure le cartelle possono essere pagate a rate, sempre previo accordo con l’Agenzia delle Entrate Riscossione. Occorre presentare richiesta di rateizzazione. In questo caso, tranne che per provvedimenti di sanatoria delle cartelle come la rottamazione o il saldo e stralcio, le rate presuppongono il caricamento di ulteriori interessi. La somma da versare tende così a salire sempre di più.

Ecco perché anche il ravvedimento operoso può essere una soluzione più idonea a non appesantire più del dovuto una posizione debitoria per i contributi non pagati.

Aprire partita Iva quando si ha già un lavoro alle dipendenze: quali contributi si pagano?

Si può aprire una partita Iva quando si ha già un lavoro alle dipendenze? E quali contributi si pagano? La risposta alla prima domanda è affermativa. Per la seconda occorre verificare lo sconto sui contributi previdenziali. Si può aprire una partita Iva per svolgere una seconda attività cercando di incrementare i guadagni rispetto al lavoro che si ha alle dipendenze. E lo si può fare anche alle condizioni fiscali più vantaggiose del regime forfettario. Molto spesso è richiesto che il lavoro da autonomo non sia in concorrenza con quello svolto in azienda.

Cosa fare per aprire una partita Iva quando si ha già un lavoro alle dipendenze?

A queste condizioni, si può aprire una partita Iva sfruttando eventualmente anche i vantaggi fiscali del regime forfettario. Rispetto al lavoro alle dipendenze, con contribuzione previdenziale obbligatoria Inps, il lavoro autonomo è regolato dall’iscrizione alla Gestione separata Inps. Ed è a questa gestione che dovranno essere versati, pertanto, i contributi. Non sono previste delle esenzioni dei versamenti previdenziali. Tuttavia la percentuale dei versamenti contributivi è più bassa rispetto al caso in cui non si abbia un lavoro alle dipendenze, ma solo uno autonomo.

Qual è l’aliquota contributiva nel caso di partita Iva che ha anche un lavoro alle dipendenze?

Il caso dell’apertura di una partita Iva per svolgere un’attività autonoma è regolato dalla legge numero 335 del 1995. Al comma 26 dell’articolo 2 e successive modifiche, viene riportata la situazione nella quale ci si iscriva alla Gestione separata Inps da liberi professionisti, senza avere tuttavia una cassa previdenziale di appartenenza. In tal caso, l’aliquota contributiva della Gestione separata Inps è pari al 24 per cento, più bassa rispetto al caso in cui non si ha un lavoro alle dipendenze. Vi è, pertanto, un sconto sull’aliquota dei contributi, ma non vi è alcuna esenzione contributiva.

Quando vanno versati i contributi per le partite Iva che hanno un lavoro alle dipendenze?

Il versamento dei contributi delle partite Iva (anche a regime forfettario) che abbiano parallelamente un lavoro alle dipendenze deve effettuato mediante due acconti. Sia il primo acconto che il secondo hanno misura pari al 40% e devono essere effettuati entro le medesime scadenze riguardanti la dichiarazione dei redditi. È previsto un saldo che deve essere versato alla stessa scadenza del versamento del primo acconto.

 

Contributi previdenziali partite Iva: regole, scadenze e importi da pagare

Per i lavoratori autonomi che hanno una partita Iva per un’attività professionale o imprenditoriale vige l’obbligo di pagare i contributi all’Inps (o, in alternativa, alle Casse previdenziali di appartenenza). Lo stesso vale per i commercianti e gli artigiani, per i lavoratori dello spettacolo e gli sportivi professionisti. Quali sono le regole che i possessori di partita Iva devono seguire nei versamenti dei contributi previdenziali? E le scadenze e gli importi da pagare? Ecco una guida aggiornata per l’adempimento previdenziale dei lavoratori autonomi.

Contributi previdenziali delle partite Iva: cosa sono?

Il versamento dei contributi previdenziali dei lavoratori autonomi e possessori di partita Iva assicura gli assicurati dall’evento che non possano più esercitare la propria attività lavorativa perché non più idonei. I contributi vanno versati periodicamente e sono basati essenzialmente sul reddito prodotto nel corso della propria attività lavorativa. Quando il lavoratore autonomo non sarà più idoneo a proseguire la propria attività lavorativa, quando versato in forma di contributi previdenziali verrà restituito sotto forma di assegno temporaneo o di vitalizio.

Partite Iva, l’obbligatorietà di versare i contributi previdenziali per la pensione o per altre indennità

Essenzialmente, i contributi previdenziali versati dalle partite Iva sono spesso legati alla maturazione della pensione di vecchiaia o di altre formule di uscita anticipata dal lavoro. In ogni modo, i contributi previdenziali coprono anche altre altre indennità, come quella di maternità e l’invalidità. Il versamento dei contributi previdenziali da parte dei lavoratori autonomi è sempre obbligatorio. Tuttavia, a seconda della tipologia di attività esercitata, possono essere versati all’Inps oppure alle Casse previdenziali di appartenenza, nel caso in cui la propria attività professionale vi possa rientrare.

Cosa versano le partite Iva all’Inps di contributi previdenziali?

I contributi previdenziali che le partite Iva versano all’Inps o alle altre gestioni speciali sono chiamati “Contributi Ivs“. L’acronimo significa “invalidità, vecchiaia e superstiti”. Versano i contributi all’Inps varie categorie di lavoratori autonomi. Ad esempio, i professionisti con partita Iva ma privi di una Cassa previdenziale di appartenenza. Oppure i commercianti e gli artigiani, o gli imprenditori. Versano i contributi previdenziali all’Inps anche i lavoratori dello spettacolo e gli sportivi professionisti che appartengono alla gestione ex Enpals. Tutte le categorie hanno regole ben precise di versamento dei contributi, cosi come delle scadenze e dei criteri per la determinazione di quanto pagare.

Versamento dei contributi previdenziali all’Inps: la Gestione separata

La Gestione separata dell’Inps è la principale attività previdenziale dedicata a determinate categorie di professionisti e di lavoratori autonomi. Tutte le partite Iva hanno l’obbligo di iscriversi alla Gestione separata nel termine dei 30 giorni successivi alla data di apertura dell’attività. Lo stesso obbligo vige anche per i professionisti che esercitano una attività in maniera abituale, anche se non esclusiva. Per i professionisti, l’iscrizione alla Gestione separata dell’Inps è in alternativa a quella di una Cassa professionale previdenziale, nel caso sia prevista. Ad eccezione dei commercianti e degli artigiani, nella Gestione separata Inps non sono previsti dei contributi fissi da versare obbligatoriamente annualmente.

Partite Iva e lavoratori autonomi, quando si versano i contributi previdenziali alla Gestione separata Inps?

Partite Iva e lavoratori autonomi versano i propri contributi previdenziali a giugno e a novembre di ciascun anno. Il versamento coincide con il pagamento delle imposte, rispettando le scadenze previste dal meccanismo del saldo e dell’acconto. I versamenti previdenziali dipendono, in percentuale, dai compensi e dai redditi prodotti durante l’anno. Il massimo dei versamenti effettuabili per il 2022 è fissato in 105.014 euro. Esiste anche un minimale che consente di ottenere l’accredito di un intero anno di contributi. Per il 2022 il minimale è fissato a 16.243 euro.

Aliquote applicate per il versamento dei contributi delle partite Iva e dei lavoratori autonomi

Le aliquote applicate per il versamento dei contributi delle partite Iva e dei lavoratori autonomi sono state aggiornate per l’anno 2022. Ai professionisti con partita Iva, nono iscritti ad altre gestioni obbligatorie o risultanti pensionati è applicata l’aliquota del 26,23%; i pensionati e gli iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie versano contributi per il 24%. Nelle aliquote sono già inclusi i versamenti a titolo di assistenza pari, come gli anni scorsi, allo 0,72%. Per tutte le percentuali, l’Inps ha emesso la circolare numero 25 del 2022.

Contributi previdenziali di commercianti e artigiani: come funziona?

I contributi previdenziali versati dai commercianti e dagli artigiani si dividono in fissi e a percentuale. I contributi fissi sono determinati annualmente sul reddito minimale e sono da versare obbligatoria. Per la determinazione provvede l’Inps con circolare annuale. I contributi a percentuale si calcolano, invece, sul reddito eccedente il minimale di reddito all’anno e devono essere pagati con la stessa cadenza delle imposte. Le aliquote contributive di finanziamento dell’anno 2022 sono le seguenti:

  • il 24% per i soggetti che abbiano oltre i 21 anni di età;
  • il 22,8% per chi è sotto i 21 anni di età;
  • riduzione del 50% dei contributi per chi ha oltre i 55 anni di età e sia già pensionato.

Commercianti e artigiani, che cos’è l’aliquota previdenziale aggiuntiva dello 0,48%?

Oltre ai contributi previdenziali, si versa un’aliquota aggiuntiva fissata per il 2022 allo 0,48% che serve a finanziare gli indennizzi nei casi di cessazione delle attività commerciali. L’indennità, in questo caso, viene corrisposta nel caso in cui non siano stati raggiunti i requisiti per la pensione. Per redditi superiori ai 48.279 euro, l’aliquota è pari a un punto percentuale. Le scadenze previste per il versamento delle rate contributive sono fissate annualmente al 16 maggio, al 20 agosto, al 16 novembre e al 16 febbraio (dell’anno successivo).

Sportivi professionali e lavoratori dello spettacolo, quali contributi previdenziali si pagano all’Inps?

I lavoratori dello spettacolo e gli sportivi professionali versano i contributi previdenziali all’Inps, dopo la soppressione dell’Enpals. Sono due i fondi previsti, rispettivamente: il Fondo pensione dei lavoratori dello spettacolo (Fpls) e il Fondo pensione degli sportivi professionisti (Fpsp). La percentuale contributiva è pari al 33% delle retribuzioni minime giornaliere. Il calcolo tiene conto che una parte della percentuale previdenziale è a carico del datore di lavoro e l’altra del lavoratore. I committenti devono presentare denuncia dei contributi versati mediante modello F24.

Sconto contributivo, qual è il limite di retribuzione mensile per il taglio dello 0,8%?

Arrivano le istruzioni dell’Inps sull’applicazione dello sconto contributivo con tetto mensile della retribuzioni pari a 2.692 euro. Il limite rappresenta il limite massimo per applicare il taglio dello 0,8% dei contributi nella busta paga. Sulla tredicesima mensilità lo sconto contributivo opera solo se il suo ammontare non ecceda la stessa somma. Sono le indicazioni riportate nella circolare numero 43 dell’Inps del 22 marzo 2022. La nota comprende le indicazioni sull’applicazione dell’esonero di 0,8 punti percentuali sulla quota dei contributi previdenziali per la pensione di vecchiaia, per l’invalidità e per i superstiti a carico del lavoratori.

Sconto contributivo Inps, quali lavoratori possono accedere?

Secondo quanto chiarito dall’Inps sulla base dello sconto contributivo introdotto dalla legge di Bilancio 2022 (la legge numero 234 del 2021), possono accedere alla riduzione dei contributi tutti i lavoratori dipendenti di datori di lavoro privati e pubblici, indipendentemente dalla circostanza che assumano o meno la natura di imprenditore. Pertanto, il taglio dei contributi trova applicazione per tutto il periodo temporale di applicazione (dal 1° gennaio al 31 dicembre 2022) per tutti i rapporti di lavoro alle dipendenze a esclusione di quelli domestici (compresi gli apprendisti), purché venga rispettato il limite della retribuzione mensile.

Sconto contributivo, cosa succede se la retribuzione mensile risulta superiore al limite di 2.692 euro?

Ciò significa che la retribuzione imponibile ai fini previdenziali deve essere al massimo pari a 2.692 euro al mese. Se la retribuzione mensile risultasse eccedente, il lavoratore non avrebbe diritto alla facilitazione. L’unica eccezione al superamento del limite fissato mensilmente è rappresentata dalla tredicesima mensilità di dicembre. In questo caso, secondo le indicazioni fornite dall’Inps, si prospetta un doppio limite di pari importo.

Sconto contributivo, come considerare la retribuzione mensile e la tredicesima mensilità di dicembre?

Ovvero l’importo di 2.692 euro deve essere applicato, in via separata, sia alla retribuzione relativa allo stipendio ordinario, sia alla tredicesima mensilità. Pertanto, il limite non si deve eccedere né come tetto della retribuzione mensile ordinaria, né come mensilità aggiuntiva. Il controllo del doppio limite per l’applicazione dello sconto contributivo vale solo per il singolo mese e non per l’anno completo. Ciò significa che i contribuenti che speravano che l’applicazione del limite valesse per l’anno completo, ovvero un limite complessivo di 2.692 euro per 13 mensilità pari a 34.996 euro (con recupero a conguaglio delle mensilità non agevolate) dovrà rivedere i calcoli.

Sconto contributivo, perché non si può considerare il limite annuale e bisogna considerare il tetto mensile?

Su questo punto, infatti, l’Inps ha chiarito che l’interpretazione della norma non può ritenersi estensiva. Pertanto, il limite di 2.692 euro va inteso per la retribuzione mensile ordinaria, mentre per il rateo della tredicesima mensilità, il rispetto del limite deve essere calcolato come riferimento a un dodicesimo di 2.962 euro, pari a 224 euro.

Sconto contributivo, va applicato anche alla quattordicesima mensilità?

Per i contribuenti che ricevono anche la quattordicesima mensilità, l’Inps ha chiarito inoltre che il riconoscimento del taglio dello 0,8% dei contributi nel mese di erogazione della mensilità aggiuntiva non avviene se l’imponibile previdenziale mensile eccede il limite dei 2.962 euro. Pertanto, nel caso della quattordicesima, se il cumulo della retribuzione mensile e la quota aggiuntiva eccede la soglia di 2.962 euro, lo sconto dello 0.8% non deve essere applicato.

Sconto contributivo dello 0,8%, cosa avviene se il contribuente chiude il rapporto di lavoro prima della fine del 2022?

Cosa avviene se il rapporto di lavoro si chiude prima del termine del 2022 ai fini dello sconto contributivo e del taglio dello 0,8% sui versamenti? In questa situazione, l’Inps ha chiarito che devono essere valutate separatamente la retribuzione ordinaria e le quote della tredicesima liquidati. Il che significa che il mese del termine del rapporto di lavoro deve essere valutato come se fosse quello di dicembre 2022.

Sconto contributivo, cosa avviene se l’imponibile previdenziale si abbassa per un indennizzo dell’Inps?

Un caso singolare potrebbe capitare nel momento in cui l’imponibile previdenziale si riduca a causa di un evento per il quale l’Inps corrisponde un indennizzo. La situazione potrebbe presentarsi per i lavoratori che percepiscono una retribuzione lorda di 2.700 euro mensili e siano costretti alla malattia per alcuni mesi. Ottenere l’indennità dall’Inps potrebbe comportare la riduzione retributiva mensile al di sotto del limite di 2.962 euro. Di pari passo, l’aliquota contributiva pensionistica, pari al 9,19%, si ridurrebbe all’8,39%.

 

Pensioni quota 102, decorrenza dal 2 aprile 2022: ecco tutte le istruzioni

Prime indicazioni dell’Inps delle pensioni a quota 102. L’Istituto previdenziale, infatti, è intervenuto per chiarire le regole valide per questa formula di pensione anticipata con decorrenza della pensione a partire dal 2 aprile 2022. I requisiti di accesso alla quota 102 sono fissati nell’età di 64 anni e nel numero di anni di contributi pari a 38. Entrambi i requisiti devono essere maturati nell’arco dell’anno 2022. Inoltre, l’Inps ha formulato le ipotesi per le quali si potrà accedere alla quota 102 anche dopo il 2022.

Pensioni anticipate a 64 anni con quota 102, chi può accedere al prepensionamento?

Con la circolare numero 38 dell’8 marzo 2022, l’Inps ha fornito le istruzioni per le pensioni a quota 102. Possono accedere alla formula di pensionamento anticipato, in via sperimentale fino al 31 dicembre di quest’anno, gli iscritti:

  • all’assicurazione generale obbligatoria;
  • alla Gestione separata Inps;
  • alle formule esclusive e sostitutive gestite dall’Inps rispetto all’assicurazione generale obbligatoria.

Pensioni a quota 102, da quanto decorre il pensionamento anticipato?

Sulla decorrenza delle pensioni a quota 102, la prima data utile è per i lavoratori assicurati alle gestioni esclusive, come ad esempio il fondo dei dipendenti postali. Per questi soggetti, la decorrenza della quota 102 parte dal 2 aprile 2022. Per i lavoratori del settore privato, invece, la decorrenza inizia trascorsi i tre mesi dalla data di maturazione dei requisiti. Pertanto, la decorrenza della pensione non può essere anteriore alla data del 1° maggio 2022.

Pensioni con quota 102, quando decorre il trattamento per i lavoratori della Pubblica amministrazione e della scuola?

Per i lavoratori dipendenti della Pubblica amministrazione, la decorrenza è fissata in sei mesi dalla maturazione dei requisiti previsti. Pertanto, il trattamento di pensione sarà liquidato a partire dal 1° agosto 2022. Per il personale impiegato nella scuola e nell’Afam, si deve continuare a far riferimento alle disposizioni specifiche previste dal comma 9, dell’articolo 59, della legge numero 449 del 1997.

Maturazione requisiti di pensione a quota 102, come vanno considerati i contributi versati?

Per la maturazione dei diritto ad andare in pensione con quota 102, i contributi richiesti sono di almeno 38 anni. Per raggiungere questo requisito, la circolare Inps specifica che risulta “valutabile la contribuzione a qualsiasi titolo versata o accreditata in favore dell’assicurato, fermo restando il contestuale perfezionamento del requisito di 35 anni di contribuzione utile per il diritto alla pensione di anzianità, ove richiesto dalla Gestione a carico della quale è liquidato il trattamento pensionistico”. Inoltre, “i lavoratori che perfezionano i prescritti requisiti, nel periodo compreso tra il 2019 e il 2021, per la pensione quota 100, ovvero entro il 2022, per la pensione anticipata introdotta dalla disposizione in oggetto, possono conseguire il relativo trattamento pensionistico in qualsiasi momento, anche successivo alle predette date, al ricorrere delle condizioni previste”.

Pensioni a quota 102, diritto ‘cristallizzato’ per uscite anche dopo il 2022

Pertanto, chi perfeziona i requisiti di uscita per le pensioni a quota 102 nel 2022, potrà comunque richiedere di accedere alla misura anche dopo il termine di quest’anno. Il diritto alla quota 102, come per la quota 100, si intente pertanto cristallizzato alla maturazione dei requisiti di uscita richiesti maturati durante l’anno in corso.

Possibilità di cumulare i contributi per arrivare alla pensione a quota 102: ecco come

Come per la quota 100, anche per la quota 102 i lavoratori hanno la possibilità di cumulare i contributi. A tal proposito, l’Istituto previdenziale chiarisce che i lavoratori hanno la facoltà di cumulare i contributi accantonati in tutte le gestioni dell’Inps per arrivare ai 38 anni di versamenti richiesti. Inoltre, la circolare Inps chiarisce anche la possibilità dei riscatti contributivi. I lavoratori che avessero raggiunto nel 2022 il numero di anni di contributi previsti grazie al riscatto, potranno accedere alla pensione a quota 102. L’accesso è diretto, e può avvenire rispettando le finestre di uscita a seconda che si lavori nel pubblico o nel privato.

Accesso alla quota 102 per chi è titolare di assegno ordinario di invalidità

La circolare Inps, inoltre, chiarisce l’accesso alla pensione a quota 102 per chi fosse titolare di assegno ordinario di invalidità. Ci si riferisce all’istituto previsto dalla legge numero 222 del 12 giugno 1984. I soggetti che maturino i requisiti richiesti per la quota 102, hanno la possibilità di conseguire, mediante domanda, la pensione anticipata in argomento. Ciò può avvenire “subordinatamente alla cessazione della titolarità dell’assegno ordinario di invalidità, per mancata conferma o a seguito di revisione per motivi sanitari”.

Trattamento di fine rapporto (Tfr) o di fine servizio (Tfs) con la pensione a quota 102

L’erogazione delle indennità di Trattamento di fine rapporto (Tfr) per i lavoratori del settore privato o del Trattamento di fine servizio (Tfs) per quelli del pubblico, anche nel caso di uscita con le pensioni a quota 102, non è contestuale alla conclusione del rapporto di lavoro. Pertanto, i lavoratori interessati non riceveranno il Tfr o il Tfs a decorrere dal collocamento a riposo. Ma dalla data in cui il lavoratore avrebbe maturato il diritto al trattamento pensionistico secondo le disposizioni in vigore.

Quanto viene pagato il Tfr o il Tfs dalla data di pensionamento anticipata con quota 102?

La circolare, pertanto, chiarisce anche la decorrenza del Trattamento di fine rapporto o di fine servizio a decorrere dal collocamento a riposo con quota 102. “Il trattamento di fine servizio o di fine rapporto – si legge nella circolare Inps – sarà pagabile decorsi 12 mesi dal raggiungimento del requisito anagrafico utile alla pensione di vecchiaia ovvero dopo 24 mesi dal conseguimento teorico del requisito contributivo per la pensione anticipata”. Alla decorrenza dei 12 o dei 24 mesi, partono gli ulteriori tre mesi di intervallo temporale affinché l’Inps possa provvedere al pagamento della prestazione previdenziale.

 

Contributi agricoli più cari nel 2022

I contributi a carico delle imprese agricole per i dipendenti impiegati nel settore saranno più cari nel 2022. La percentuale di contribuzione totale è fissata infatti al 46,8465%. L’aumento dei contributi nel 2022 rispetto al 2021 è dovuto a quanto prevede l’articolo 3 del decreto legislativo numero 146 del 1997. Il provvedimento fissa le aliquote dovute dalle aziende agricole per il fondo pensioni dei lavoratori impiegati nell’agricoltura e vengono riviste anno per anno. La revisione delle aliquote contributive, dunque, va a modificare le percentuali fino a raggiungere quella della generalità dei datori di lavoro del settore.

Contributi agricoli del 2022, l’aumento dell’aliquota del fondo pensioni

Pertanto, l’aliquota da versare per i contributi delle pensioni (per invalidità, vecchiaia e superstiti, detta Ivs) aumenta dello 0,20% portandosi al 29,70% rispetto al 29,59 del 2021. Di questa aliquota pensionistica, il 20,86% è a carico dell’azienda e l’8,84% a carico del lavoratore agricolo. Quest’ultima percentuale è l’unica a carico del lavoratore. Le percentuali di aumento dei contributi agricoli sono riportate dalla comunicazione dell’Inps numero 31 del 2022.

Quali altre aliquote contributive sono a carico del datore di lavoro delle aziende agricole?

Le altre percentuali di contributi agricoli dovute dai datori di lavoro consistono:

  • nella quota base dello 0,11% (non è dovuta alcuna percentuale da parte del lavoratore agricolo);
  • nell’assistenza per gli infortuni sul lavoro per una percentuale del 10,1250%. Tale percentuale Inail è rimasta invariata rispetto allo scorso anno;
  • nell’addizionale per gli infortuni sul lavoro del 3,1185%, anche questa invariata e a carico del solo datore di lavoro;
  • nella percentuale per la disoccupazione pari all’1,41%;
  • nelle prestazioni economiche relative alla malattia per una aliquota dello 0,683%;
  • nella cassa integrazione per l’1,5%;
  • nel fondo di garanzia per il Trattamento di fine rapporto (Tfr) per lo 0,20%. Questa quota non è dovuta per gli operai con contratto a tempo determinato per i quali, dunque, l’aliquota complessiva dei contributi dovuti è ridotta al 46,6465%.

Contributi per la disoccupazione Naspi dovuti per gli operai agricoli dovuti anche dalle imprese cooperative

Inoltre, la legge di Bilancio 2022 (legge numero 234 del 30 dicembre 2021), al comma 221 dell’articolo 1, ha modificato e integrato il comma 1 dell’articolo 2, del decreto legislativo numero 22 del 4 marzo 2015. In base alla modifica, a partire dal 1° gennaio 2022, risulta estesa la tutela delle prestazioni di disoccupazione Naspi anche a favore degli operai agricoli a tempo indeterminato (Oti), agli apprendisti e ai soci lavoratori con contratto alle dipendenze delle cooperative e dei loro consorzi inquadrati nel settore dell’agricoltura. Il versamento della contribuzione di finanziamento Naspi è dovuto, pertanto, ai dipendenti, ai soci e agli apprendisti che trasformano, manipolano e commercializzano prodotti agricoli e zootecnici in prevalenza propri oppure conferiti dai loro soci secondo quanto dispone la legge numero 240 del 15 giugno 1984.

Contribuzione dovuta dalle imprese agricole per il finanziamento della Naspi: in cosa consiste?

In base a quanto spiegato dall’Inps, pertanto, dal 1° gennaio 2022 le imprese agricole, le cooperative e i loro consorzi operanti nel settore dell’agricoltura, devono versare la contribuzione di finanziamento Naspi per i lavoratori:

  • assunti a partire dal medesimo giorno a tempo indeterminato con qualifica di operaio agricolo;
  • già assunti in precedenza e ancora in forza alla data del 1° gennaio 2022 (secondo quanto spiegava la circolare Inps numero 2 del 4 gennaio 2022).

Tutti i lavoratori agricoli, per l’applicazione dell’aliquota di finanziamento della Naspi, non devono essere più assoggettati all’aliquota contributiva del 2,75% per la disoccupazione agricola secondo quanto prevedeva l’articolo 11 del decreto legge numero 402 del 29 luglio 1981. Il decreto è stato convertito, con modifiche, dalla legge numero 537 del 26 settembre 1981.

Riduzione dei contributi agricoli per le aziende del settore nell’anno 2022

Anche per l’anno 2022 sono previste le agevolazioni e le riduzioni per le imprese agricole che siano ubicate o che comunque operino in territori montani, classificati come particolarmente svantaggiati. Le stesse agevolazioni sono godute dalle imprese agricole situate nei territori delle aree della ex Cassa del Mezzogiorno. Pertanto, se i contributi agricoli sono dovuti nella misura del 100% dalle imprese del settore operanti in territori non svantaggiati, le riduzioni operano:

  • per le imprese agricole situate in territori particolarmente svantaggiati (ex zone montane) per il 75% con aliquota applicata a carico dell’azienda pari al 25%;
  • per le imprese dei territori classificati come svantaggiati. In questo caso la misura della riduzione è pari al 68%. Rimangono a carico dell’impresa agricola contributi per il 32%.

Colf e badanti, rimodulazione aliquote contributi Inps: chi ci guadagna?

Per colf e badanti, e per le famiglie datrici di lavoro, è tempo di rimodulazione delle aliquote ai fini dei contributi Inps. Per varie fasce di lavoratori domestici saranno versati più contributi previdenziali per ogni ora di lavoro. Per altre, invece, la rimodulazione delle aliquote porterà un minore versamento, con un risparmio per le famiglie. Ecco nel dettaglio chi ci guadagna e chi risparmia.

Colf e badanti, contributi Inps in rialzo per la rimodulazione delle fasce di aliquote

Rispetto allo scorso anno, nel 2022 saranno in aumento gli importi dei contributi dell’Inps per colf e badanti. L’aggiornamento delle tabelle dei contributi fatta dall’Inps per i lavoratori domestici riguarda sia chi ha un contratto a tempo indeterminato che determinato, con o senza la quota degli assegni familiari. In generale, per via dell’adeguamento all’aumentato livello dei prezzi (inflazione), gli importi nel 2022 cresceranno rispetto al 2021 da due a quattro centesimi di euro per ciascuna ora lavorata.

Colf e badanti, di quanto aumenteranno i contributi Inps nel 2022

In base agli aumenti del 2022, dunque, i contributi Inps passeranno da 1,43 a 1,46 euro per i colf e i badanti assunti con contratto a tempo indeterminato e una retribuzione effettiva di 8 euro per ogni ora. L’aumento dei contributi previdenziale include già la tredicesima mensilità e l’eventuale accordo circa il vitto e l’alloggio.

Colf e badanti, contributi Inps del 2022: quali famiglie risparmieranno con meno versamenti?

Non ci saranno aumenti ma risparmi, in relazione ai contributi Inps versati per i colf e le badanti che abbiano un rapporto di lavoro fino a 24 ore alla settimana. Per questi rapporti di lavoro, i domestici e le famiglie datrici di lavoro vedranno scendere i versamenti contributivi. Infatti, per le retribuzioni orarie che abbiano un valore compreso tra 7,45 e 7,60 euro per ogni ora, a esclusione della tredicesima mensilità, le famiglie risparmieranno 50 euro di contributi previdenziali ogni tre mesi.

Colf e badanti per 9 euro l’ora, quanti contributi Inps vanno versati?

Per i colf e badanti pagati tra 9,10 euro e 9,28 euro, il risparmio dei versamenti contributivi si attesterà sui 100 euro ogni tre mesi. Secondo l’Assindatcolf, le famiglie che avranno meno contributi Inps da pagare per colf e badanti saranno all’incirca 30 mila su un totale di 920 mila. Si tratta, in questo caso, di quasi un milione di famiglie che hanno regolarizzato il lavoro domestico dei propri collaboratori. La prima scadenza del 2022 per versare i contributi Inps ai colf e alle badanti è fissata all’11 aprile 2022.