Pensione di vecchiaia: come cambia in base all’aspettativa di vita?

Tra gli aspetti più importanti per costruire una buona pensione di vecchiaia, sicuramente gli indici di aspettativa di vita rientrano tra gli elementi decisivi. L’aspettativa di vita, in particolare, condiziona l’accesso alla pensione di vecchiaia. Nel dettaglio, l’aspettativa di vita potrebbe ritardare o, nella migliore delle ipotesi, lasciare inalterati i requisiti di accesso alla pensione di vecchiaia.

Aspettativa di vita per il calcolo dei requisiti delle pensioni, in cosa consiste?

Il requisito richiesto per accedere alla generalità delle pensioni o il requisito contributivo per le pensioni dove non è richiesto l’elemento anagrafico, è adeguato ogni due anni all’aspettativa di vita media calcolato dall’Istat. Qualora risultasse un aumento della speranza di vita, l’età pensionabile si incrementa fino a un massimo di tre mesi; contrariamente, se dai dati Istat viene riscontrato un decremento dell’aspettativa di vita, il requisito anagrafico rimane bloccato con scomputo delle riduzioni nell’adeguamento successivo.

Pensioni di vecchiaia, quali sono i requisiti anagrafici di uscita nel 2022?

Per la pensione di vecchiaia, l’attuale requisito anagrafico è fissato a 67 anni di età. Tale requisito, già calcolato nel precedente biennio, nel 2022 rimarrà inalterato. Per il biennio successivo, ovvero per i lavoratori in uscita dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2024, è stato già confermato che il requisito anagrafico rimarrà invariato. Tale riscontro dei dati demografici dell’Istat sull’aspettativa di vita deriva dall’aver preso in considerazione, nel calcolo della speranza di vita, del primo anno (il 2020) della pandemia da Covid-19. L’emergenza sanitaria ed economica ha determinato il conseguente decremento dell’aspettativa di vita. L’andamento in decrescita della speranza di vita non implicherà, dunque, un aumento dell’età per la pensione.

Pensioni, in che modo l’aspettativa di vita condiziona l’accesso al pensionamento?

L’aspettativa di vita contribuisce all’accesso della pensione dal 2009. Si tratta di una variabile che manda in avanti, incrementando l’età di uscita, l’accesso alla pensione di vecchiaia. La speranza di vita collega in maniera diretta i requisiti anagrafici (o contributivi) degli ingressi agli adeguamenti Istat. Inoltre, il fattore statistico viene attualmente aggiornato ogni due anni, mentre in passato l’aggiornamento avveniva ogni triennio. Dunque l’aggiornamento dei requisiti di pensione avvengono con maggiore frequenza rispetto a quanto succedeva nei primi anni di introduzione del meccanismo della speranza di vita.

Pensioni di vecchiaia e aspettativa di vita: come funziona il meccanismo di adeguamento?

I dati dell’Istat sulla speranza di vita vengono consolidati da decreti del ministero dell’Economia e delle Finanze ogni due anni. Nel caso in cui i dati demografici dell’Istat fanno registrare dei miglioramenti della vita, in particolare nella lunghezza della della durata della stessa, differisce in avanti l’ingresso al trattamento di pensione dei lavoratori. La tutela nel meccanismo dell’aspettativa di vita consiste nel massimo di maggiorazione, per ciascun biennio, di tre mesi. Il prossimo incremento della pensione di vecchiaia, quello del 2025-2026, potrebbe pertanto portare a una pensione di vecchiaia di 67 anni e tre mesi. Non di più.

Pensioni anticipate, come funziona con la speranza di vita?

Laddove non vi sono requisiti anagrafici, l’aggiornamento della speranza di vita incide sull’altro requisito, quello contributivo. È il caso della pensione anticipata dei soli contributi che, attualmente si raggiunge con:

  • 42 anni e dieci mesi di contributi per gli uomini, a prescindere dall’età di uscita;
  • 41 anni e dieci mesi di contributi per le donne, indipendentemente dall’età di uscita.

I requisiti di uscita per la pensione anticipata rimarranno inalterati fino a tutto il 2026. Il blocco dei requisiti richiesti è stato introdotto con il decreto numero 4 del 2019, lo stesso provvedimento che ha decretato la sperimentazione di tre anni di quota 100. Il prossimo aggiornamento dei requisiti contributivi è previsto a partire dal 1° gennaio 2027.

Pensioni di vecchiaia, come condiziona le uscite dei liberi professionisti? L’eccezione alla speranza di vita

All’interno della previdenza dei liberi professionisti, spetta a ogni Cassa previdenziale interpretare e adeguare i propri requisiti all’aspettativa di vita. Per alcune Casse previdenziali, come l’Enpacl dei consulenti di lavoro, non c’è una diretta correlazione tra aumenti della speranza di vita e incremento dei requisiti di pensionamento. Vi è piuttosto una maggiore gradualità nell’applicare gli adeguamenti e gli incrementi della speranza di vita.

Pensioni di vecchiaia liberi professionisti, il caso dei consulenti del lavoro

I requisiti per la pensione di vecchiaia dei consulenti di lavoro risultano modificati dalla speranza di vita con adeguamenti differenti rispetto a quanto succede per la pensione pubblica. Tuttavia, l’età necessaria per andare in pensione di vecchiaia dei consulenti del lavoro è fissata a 69 anni nel 2022 e a 70 anni a partire dal 2025. La contribuzione necessaria è pari a 5 anni di versamenti, ma occorre guadagnare una pensione minima annuale di 10.920 euro. Pertanto, se all’età di uscita per la pensione di vecchiaia non venisse raggiunto il requisito economico della pensione, l’accesso al trattamento si sposterebbe in avanti finché non si maturi il requisito richiesto. È previsto un limite di età, in ogni modo, per il raggiungimento di questo requisito.

Aspettativa di vita, come determina chi può andare in pensione anticipata di vecchiaia per invalidità?

Gli adeguamenti periodici dei requisiti anagrafici dettati dalla speranza di vita non si applicano ai lavoratori che perdono il titolo abilitativo per raggiunti limiti di età. La speranza di vita, tuttavia, si applica alla pensione di vecchiaia anticipata per invalidità. Quest’ultima formula di uscita è riservata ai dipendenti del settore privato con un indice di invalidità di almeno l’80% e si può agganciare non più a 55 anni di età per le donne e a 61 per gli uomini come in passato, ma alle rispettive età di 56 anni e di 61 anni. La misura, infatti, consiste in una deroga al requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia ordinaria, e non per uno specifico trattamento per invalidità.

 

 

Coltivatore diretto, come iscriversi all’Inps e quante giornate lavorative servono per i contributi?

Quante giornate di lavoro servono al coltivatore diretto ai fini dell’iscrizione all’Inps? Per rispondere a questa domanda è necessario collocare esattamente la figura del coltivatore diretto tra i lavoratori autonomi del settore agricolo. L’articolo 2083 del Codice civile inserisce il coltivatore diretto tra i piccoli imprenditori. Si tratta “dei coltivatori diretti del fondo, degli artigiani, dei piccoli commercianti e di coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia”.

Quali attività svolge tipicamente il coltivatore diretto?

Le attività che svolge il coltivatore diretto, considerato piccolo imprenditore agricolo, sono disciplinate dall’articolo 2135 del Codice civile. L’articolo specifica che “è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse”. Inoltre, per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine”.

Quali sono le attività connesse svolte dal coltivatore diretto?

Le attività connesse a quelle principali del coltivatore diretto riguardano “le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, alla conservazione, alla trasformazione, alla commercializzazione e alla  valorizzazione che abbiano a oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.

Cosa serve al coltivatore diretto per l’iscrizione all’Inps?

Per potersi iscrivere all’Inps, al coltivatore diretto serve una capacità occupazionale di almeno 104 giornate di lavoro all’anno. La capacità occupazionale deve essere verificata nel complesso dei fondi condotti oppure, nel caso dell’allevamento, sul numero dei capi. Per il calcolo è necessario far riferimento alle tabelle ettaro-coltura.

Coltivatore diretto, come fare domanda di iscrizione all’Inps?

Nel caso in cui il coltivatore diretto rispetti tutti i requisiti sopra citati, il titolare del nucleo familiare può richiedere l’iscrizione all’Inps per se stesso e per i suoi familiari. Sia per le coltivazioni che per l’allevamento è occorrente scaturire un fabbisogno di almeno 104 giornate di lavoro per ciascuna attività da assoggettare alla contribuzione previdenziale. Per poter presentare la domanda è necessario agire per via telematica mediante la procedura “ComUnica”. L’accesso è possibile dal Registro delle imprese. Qui bisogna assolvere ai vari adempimenti per avviare una nuova impresa, e procedere con le successive cancellazioni o modifiche.

Quando va inviata la comunicazione di iscrizione all’Inps dal coltivatore diretto?

La comunicazione all’Inps da parte del coltivatore diretto va inviata entro il termine di 90 giorni dalla data in cui ha iniziato l’attività economica. Risulta valido, sempre nei 90 giorni, anche il termine in cui il coltivatore ha acquisito i requisiti che implicano l’obbligo contributivo. Infatti, l’inizio di un’attività agricola potrebbe non coincidere con la data di decorrenza dell’obbligo contributivo. Ad esempio, se si coltiva un terreno che non ha bisogno di 104 giornate di lavoro all’anno, ma meno. Potrebbe successivamente necessitarne e quindi far scattare l’obbligo contributivo.

Cosa avviene quando il coltivatore agricolo si iscrive all’Inps?

Nel momento in cui il coltivatore diretto fa la domanda telematica all’Inps, l’Istituto previdenziale adotta il provvedimento di iscrizione e comunica il codice identificativo. Tale codice serve a rendere univoca l’azienda per gli adempimenti contributivi.

Coltivatore diretto, quando non è obbligatoria l’iscrizione al Registro imprese?

Può verificarsi che non sia obbligatoria l’iscrizione al Registro delle imprese da parte del coltivatore diretto. Ciò avviene nell’ipotesi formulata dal comma 3, dell’articolo 2, della legge numero 77 del 1997 che disciplina il mancato obbligo per i piccoli produttori agricoli appartenenti al regime Iva di esonero degli adempimenti di cui parla il comma 6 dell’articolo 34, del decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1973.

Coltivatore diretto, come ci si cancella dalla gestione previdenziale Inps?

La cancellazione dalla gestione previdenziale Inps avviene mediante le stesse modalità e negli stessi termini dell’avvenuta iscrizione. Tuttavia, non è sufficiente presentare la documentazione della cessazione dell’attività economica, il certificato di certificazione del numero della partita Iva e di cancellazione dal Registro delle imprese. Infatti, la fine dell’obbligo contributivo termina per il coltivatore diretto per quattro situazioni:

  • il decesso;
  • per la sopravvenuta inabilità al lavoro che deve essere certificata dalle strutture pubbliche sanitarie adeguate;
  • perché è stato ceduto il terreno;
  • per l’inizio di un’altra attività.

Cosa avviene ai fini previdenziali se il coltivatore diretto ha anche altre attività?

La cancellazione dagli obblighi contributi all’Inps non va confusa con il caso in cui il coltivatore diretto svolte anche altre attività. In questo contesto, il requisito dell’abitualità sussiste purché quella da coltivatore diretti risulti l’attività prevalente. Per il calcolo della prevalenza bisogna rifarsi all’articolo 2 della legge numero 9 del 1963. Infatti, per la norma, in caso di esercizio contemporaneo di più attività lavorative, ai fini contributivi si considera quella prevalente quando la prestazione di lavoro del nucleo familiare sia di almeno un terzo di quella occorrente per le normali necessità di allevamento del bestiame o di coltivazione dei fondi.

Le 10 novità del 2022 su lavoro, reddito di cittadinanza, pensioni e contributi

Lavoro, reddito di cittadinanza, contributi e riduzioni dei versamenti, pensioni, apprendistato, ammortizzatori sociali, riduzione dell’orario di lavoro, crisi aziendali e Cigs: ecco quali sono le novità che arriveranno con la legge di Bilancio e che saranno in vigore per tutto il 2020.

Reddito di cittadinanza: stretta sui rifiuti di lavoro e più controlli per i furbetti

La legge di Bilancio 2022 ha stanziato un miliardo di euro aggiuntivo per la misura del reddito di cittadinanza del prossimo anno. La dote complessiva andrà oltre gli 8,8 miliardi di euro. Ne beneficeranno 1,37 milioni di famiglie. Tra le novità della Manovra la stretta sui rifiuti delle offerte di lavoro: al primo rifiuto del fruitore scatterà una sottrazione di 5 euro al mese, al secondo il beneficio verrà revocato. La prima offerta può rientrare nel raggio di 80 km (oggi 100 km) dalla residenza del percettore del reddito di cittadinanza. La seconda offerta di lavoro può capitare ovunque, in tutta Italia. Ulteriore novità interessa la partecipazioni alle attività in presenza e ai colloqui. La partecipazione è su base mensile e se il beneficiario si assenta ingiustificatamente perde il sussidio. Più controlli sono previsti per i furbetti del reddito.

Per l’apprendistato arriva lo sgravio totale contributivo per le piccole e medie imprese

Tra le novità del lavoro, c’è quella dell’apprendistato formativo e dello sgravio totale dei contributi se svolto nelle piccole e medie imprese. Lo sgravio totale dei contributi alle Pmi fino a nove dipendenti verra riconosciuto per i contratti di apprendistato di primo livello relativi:

  • alla qualifica e al diploma professionale;
  • al diploma di istruzione secondaria superiore;
  • al certificato di specializzazione tecnica superiore.

Gli anni di sgravio totale dei contributi per le piccole e medie imprese saranno pari a tre. Negli anni successivi l’aliquota applicata è pari al 10%.

Cigs, per le crisi aziendali fino a 12 mesi in più

Per le crisi aziendali ci saranno 12 mesi in più di Cigs. In particolare, per i lavoratori che già si trovano in Cigs per processi di riorganizzazione o di crisi aziendali, scatterà il sostegno. Ne beneficeranno le imprese con oltre 15 dipendenti. Nei rapporti con i sindacati, le aziende dovranno definire i programmi volti alla rioccupazione oppure all’autoimpiego dei lavoratori in Cigs.

Con i contratti di espansione in pensione con 5 anni di anticipo

Confermato sia per il 2022 che per il 2023 il contratto di espansione che consente ai lavoratori di andare in pensione con cinque anni di anticipo. Dal 1° gennaio 2022 per l’accesso alla misura di scivolo pensionistico è necessario che l’impresa datrice di lavoro abbia almeno 50 addetti al suo interno, rispetto ai 100 previsti ad oggi. I lavoratori potranno ridurre i requisiti richiesti sia con obiettivo della pensione di vecchiaia (uscita a 62 anni anziché a 67 anni) o della pensione anticipata (uscita con almeno 37 anni e 10 mesi di contributi). Si potrà richiedere anche la riduzione dell’orario di lavoro fino a un massimo di 18 mesi utilizzando la Cigs.

Pensioni a 62 anni per le aziende in crisi: in attesa del decreto sulle modalità

In alternativa, le aziende in crisi potranno accedere al fondo messo a disposizione dal ministero per lo Sviluppo Economico (Mise) per l’uscita anticipata dei lavoratori a partire dai 62 anni di età. Il fondo avrà una dote di 150 milioni di euro per il prossimo anno, di 200 per il 2023 e di altrettanti per il 2024. Al momento è necessario attendere il decreto interministeriale dello Sviluppo Economico, dell’Economia e del Lavoro per conoscere le modalità di fruizione del fondo. Il provvedimento arriverà entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di Bilancio 2022.

Contratti di solidarietà, la riduzione dell’orario di lavoro sale all’80%

Sale fino all’80% la riduzione dell’orario di lavoro dei contratti di solidarietà. Si tratta di situazioni aziendali nelle quali si utilizzano i contratti di solidarietà per evitare gli esuberi del personale. Il minore impiego dei dipendenti attuale è del 60%, applicato all’orario giornaliero settimanale oppure mensile. Anche nel 2022 l’incremento all’80% di riduzione oraria dovrà essere confermato, come avviene attualmente, attraverso la contrattazione collettiva aziendale.

Ammortizzatori sociali a tutti i lavoratori subordinati

Tra le novità previste per il 2022 c’è l’estensione degli ammortizzatori sociali alla globalità dei lavoratori subordinati. Saranno inclusi anche i lavoratori con un’anzianità ridotta di lavoro di trenta giorni, ma anche i lavoratori a domicilio e gli apprendisti. Il contributo salirà di importo a più o meno 1.200 euro mensili. Per la previdenza è prevista la contribuzione dello 0,90% della retribuzione (un terzo a carico del subordinato).

Aziende che delocalizzano, 90 giorni per la procedura di messa in sicurezza dei lavoratori

Per aziende che abbiano almeno 250 addetti arriva la procedura di 90 giorni per la delocalizzazione. Si tratta di chiusure anche di stabilimenti, di filiali, di uffici, di sedi, di reparti autonomi ubicate nel territorio italiano. Se il licenziamento coinvolge almeno 50 addetti, sarà necessario che l’azienda entro 60 giorni disponi un piano per gestire la crisi. Il piano deve essere inviato al ministero del Lavoro, alle regioni, all’Anpal e ai sindacati. Nei successivi 30 giorni enti e ministeri possono accettare il piano proposto dall’azienda. In caso di mancata presentazione del piano, all’azienda saranno comminate multe salate.

Riduzione dei contributi alle lavoratrici madri ed esonero giovani

In arrivo nel 2022 anche l’esonero dei contributi alle lavoratrici madri. La misura permetterà alle aziende dell’esonero del 50% dei versamenti contributivi previdenziali seguendo due regole:

  • la prima è la riduzione dei contributi della metà a decorrere dalla data del rientro della lavoratrice che ha utilizzato il congedo obbligatorio di maternità;
  • la seconda è la durata, fissata in un anno, delle decontribuzione, sempre a partire dal rientro della lavoratrice madre.

La legge di Bilancio conferma, anche per il 2022, l’esonero contributivo per le imprese che stabilizzano i giorni under 36. L’esonero avviene anche per la stabilizzazione con contratto di lavoro a tempo indeterminato dei lavoratori impiegati in aziende dove risulta attivo un tavolo negoziale di gestione della crisi aziendale. In quest’ultimo caso non vi è un limite di età.

Contributi ridotti anche per i redditi fino a 35 mila euro

La riduzione dei contributi interesserà anche i contributi delle imprese private per tutto il 2022. Lo sconto è dello 0,8% sulle 13 mensilità. Il massimo della retribuzione rientrante nello sconto è fissata a 2.692 euro mensili, corrispondenti a 35 mila euro all’anno lordi. La misura non verrà, tuttavia, applicata ai lavoratori domestici (colf, badanti, babysitter).

Colf e badanti, come si calcola la tredicesima di dicembre e i contributi di fine anno?

Colf, badanti e lavoratori domestici a dicembre riceveranno la tredicesima mensilità. Ma non è solo quella l’unica rata che le famiglie datrici di lavoro devono versare. Infatti, il datore di lavoro entro i primi giorni di gennaio deve effettuare il versamento all’Inps dei contributi previdenziali a favore dei lavoratori relativi all’ultimo trimestre dell’anno. Vediamo nel dettaglio tutti i versamenti a favore dei colf e delle badanti.

Come si calcola la tredicesima a colf e badanti che va versata entro dicembre?

La tredicesima a colf, badanti e lavoratori domestici va calcolata e versata in prossimità del Natale o, in ogni modo, entro la fine del mese di dicembre. Per il calcolo è necessario rifarsi all’articolo 39 del Contratto nazionale di lavoro domestico. La tredicesima corrisponde esattamente a una mensilità aggiuntiva. E va calcolata sulla retribuzione globale del lavoratore incluse le indennità sostitutive di vitto e di alloggio, qualora il lavoratore conviva con la famiglia datrice di lavoro.

Come si calcola la tredicesima per un lavoratore domestico assunto da meno di un anno?

Se il lavoratore domestico è assunto da meno di un anno, è necessario riparametrare il calcolo della tredicesima sui mesi effettivi di lavoro durante l’anno. Pertanto, la famiglia datrice di lavoro deve versare al lavoratore tanti dodicesimi quanti sono i mesi in cui colf e badanti hanno lavorato nell’anno.

Calcolo della tredicesima a colf e badanti pagati a ore o mensile

Diverso è il calcolo nel caso in cui colf e badanti siano assunti con contratto a ore. In questo caso, si deve moltiplicare la paga oraria per il numero di ore che il lavoratore svolge durante la settimana. Il risultato va moltiplicato per 52 (che sono le settimane dell’anno) e infine dividere per 12. Nel caso in cui il lavoratore venga pagato mensilmente per il lavoro svolto, la tredicesima corrisponde esattamente a una mensilità normale.

Quando matura la tredicesima per un lavoratore domestico?

Diventa importante precisare che la tredicesima dei colf e badanti matura anche nel caso di assenze per:

  • infortunio sul lavoro;
  • malattia;
  • maternità;
  • malattia professionale.

In questi casi è necessario tener conto dei limiti dei periodi di conservazione del posto di lavoro e anche delle parti non liquidate dagli enti predisposti.

Versamenti Inps a colf e badanti ultimo trimestre dell’anno, entro quando la famiglia deve farli?

La famiglia datrice di lavoro deve effettuare i versamenti Inps dell’ultimo trimestre dell’anno a favore di colf, badanti e lavoratori domestici entro il 10 gennaio. In particolare, è questa la data per i versamenti Inps relativi ai mesi di ottobre, novembre e dicembre 2021. In caso di non rispetto di questa scadenza, il datore di lavoro subirà l’applicazione di sanzioni pecuniarie.

Avvisi PagoPa dall’Inps per il versamento dei contributi a colf e badanti

È l’Inps che invita tutte le famiglie datrici di lavoro a effettuare i versamenti con gli avvisi PagoPa. Negli avvisi Inps sono presenti il codice di avviso, quanto bisogna pagare, la data di scadenza entro la quale effettuare il pagamento e le istruzioni su come versare i contributi.

Come effettuare i versamenti dei contributi dell’ultimo trimestre dell’anno a favore di colf e badanti?

Il versamento dei contributi Inps a favore di colf e badanti dell’ultimo trimestre dell’anno può essere effettuavo in varie modalità. In particolare:

  • servendosi dei servizi telematici on line, attraverso il portale dei pagamenti disponibile sul sito dell’Inps;
  • attraverso gli uffici postali, le banche e gli altri istituti di pagamento che aderiscono al sistema PagoPa;
  • mediante il sistema bancario Cbill. Si tratta di un servizio offerto dalla banca presso la quale si ha un conto corrente, alternativo ai canali tradizionali, che permette ai cittadini e alle imprese di consultare e pagare online bollettini e avvisi di pagamento PagoPa.

Pagamento contributi ai lavoratori domestici, si possono ottenere due copie di ricevuta

Tutti i sistemi di pagamento sopra elencati relativi ai contributi da versare a favore dei lavoratori domestici permettono:

  • ai datori di lavoro di verificare che il pagamento sia stato effettuato;
  • a colf e badanti di ottenere l’accredito dei contributi sulla propria posizione lavorativa.

Per ogni versamento effettuato, si possono ottenere due copie di ricevuta del pagamento effettuato. Una delle due copie si può consegnare al lavoratore domestico.

Agevolazioni fiscali, decontribuzione e incentivi: ecco le misure 2022 per l’agricoltura

La legge di Bilancio 2022 ha assegnato risorse per complessivi 2 miliardi di euro al settore dell’agricoltura. La fetta più grossa delle risorse andrà alla gestione del rischio, con 940 milioni di euro da assegnare. La rimanente parte riguarderà le agevolazioni fiscali e gli incentivi di varia natura da destinare alle imprese.

Fondi al settore agricolo dalla legge di Bilancio 2022: la gestione del rischio

Circa metà delle risorse che il governo ha assegnato all’agricoltura nella legge di Bilancio 2022 andrà al fondo mutualistico nazionale (per 690 milioni di euro) e al sistema delle assicurazioni agevolate (per 250 milioni di euro). La gestione del rischio affrontata dal governo per il comparto agricolo mira a favorire l’equilibrio tra le varie forme di copertura da parte delle aziende del primario e per i differenti settori produttivi.

Fondi agli agricoli per gli eventi avversi

In particolare, con la gestione del rischio il governo andrà incontro agli agricoli per rendere sostenibile lo strumento assicurativo. I fondi della legge di Bilancio verrano impiegati per equilibrare gli alti premi assicurativi. Inoltre, si andranno a coprire le richieste delle imprese e dei lavoratori del settore in merito ai risarcimenti per i frequenti eventi avversi.

Misure fiscali, decontribuzione, esenzione Irpef: ecco le leve sul settore agricolo per il 2022

La metà delle risorse che il governo ha stanziato nella legge di Bilancio 2022 per il settore agricolo andrà alle misure fiscali e agli incentivi. Più nel dettaglio, saranno quattro le leve fiscali previste per l’agricoltura:

  • esenzione dell’Irpef sui redditi domenicali e agrari per il 2023 per 237 milioni di euro;
  • proroga al 2022 della decentribuzione a favore dei giovani coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli professionali. L’età per l’esonero contributivo non deve superare i 40 anni. L’esonero dei contributi da versare all’Inps ai fini previdenziali è totale;
  • proroga per tutto il prossimo anno della percentuale di compensazione Iva incrementata al 9,5% sulle cessioni di suini e bovini vivi;
  • proroga per altri 3 anni del bonus verde e detrazione ai fini dell’Irpef del 36%. La detrazione interessa le spese sostenute per sistemare le aree scoperte private, in particolare come incentivo per il settore florovivaistico.

Incentivi all’agricoltura dalla legge di Bilancio 2022: 120 milioni al distretto cibo

Variegata è la quota delle risorse assegnata dalla legge di Bilancio 2022 per gli incentivi all’agricoltura. In primis è previsto un finanziamento da 120 milioni di euro per i distretti del cibo. L’incentivo è a favore dei distretti agroalimentari e rurali e delle diverse formule di produzione locale e di prodotti biologici. I criteri per l’assegnazione delle risorse alle imprese agricole sono stabiliti dal bando Mipaaf.

Finanziamenti ai fondi agricoli per il 2022: risorse anche per pesca e acquacoltura

Per le imprese che producono e commercializzano mais, soia e leguminose saranno destinate risorse per 10 milioni di euro. La legge di Bilancio 2022 andrà dunque a rifinanziare il fondo per la competitività delle filiere agricole. Altri 10 milioni di euro andranno al fondo per i cereali. Le risorse andranno a favore degli agricoltori che producono frumento duro e che sottoscrivano il contratto di filiera triennale. Altri 80 milioni di euro andranno a finanziare il fondo per lo sviluppo e per il sostegno delle filiere agricole, della pesca e dell’acquacoltura. Altri 80 milioni e mezzo di euro sono destinati al fondo Ismea.

 

 

Cartelle esattoriali, quali vanno pagate entro il 30 novembre 2021?

Il decreto Fiscale numero 146 del 2021 ha messo ordine ai pagamenti delle cartelle esattoriali dei contribuenti con la scadenza entro il 30 novembre 2021 di quelle insolute. Ma è necessario verificare quali siano esattamente i termini e a quali cartelle si deve far riferimento con il versamento. La norma riguarda anche i mancati pagamenti nei termini della rottamazione ter (i cosiddetti “rottamati decaduti”).

Cartelle, scadenza del 30 novembre 2021 per le rate non pagate nel 2020 e 2021

Proprio l’articolo 1 del decreto Fiscale disciplina la rimessione in termini per la rottamazione ter e il saldo e stralcio. La norma, nel dettaglio, è a vantaggio dei contribuenti che non abbiano rispettato i termini per i pagamenti delle rate secondo il calendario di dilazione dettato dal decreto “Sostegni bis” (il decreto legge numero 73 del 2021).

Entro quando vanno pagate le rate della rottamazione ter e saldo e stralcio del 2020 e 2021?

A questi debitori, che non abbiano eseguito i versamenti delle rate del 2020 e del 2021 della “Pace fiscale”, si può evitare la decadenza pagando entro il 30 novembre 2021 tutte le rimanenti rate. Al termine di novembre, pertanto, si sommano sia le rate che erano in scadenza nel 2020 che le rate a saldo del 2021 sospese per l’emergenza sanitaria.

Fisco, alla scadenza del 30 novembre 2021 vanno pagate cartelle, Ipef, Irap, Ires e contributi previdenziali

La scadenza delle cartelle fiscali, alla quale il decreto offre un periodo di tolleranza che da calendario è fissato al 6 dicembre 2021, è la stessa di altri adempimenti. Infatti, al 30 novembre è fissato anche il pagamento dell’acconto delle imposte dirette, Irpef, Irap e Ires. Alla stessa data scadono altresì le imposte sostitutive e gli adempimenti legati ai contributi previdenziali. In caso di difficoltà di liquidità, i contribuenti non potranno procedere a dilazionare ulteriormente il debito residuo (le rate rimanenti) delle cartelle oltre la scadenza del 30 novembre.

Cartelle ricevute dal 1° settembre al 31 dicembre 2021: 150 giorni per pagare

Il decreto Fiscale disciplina anche l’estensione dei termini di pagamento per le nuove cartelle esattoriali. Si tratta degli avvisi di pagamento che i contribuenti hanno ricevuto a partire dal 1° settembre 2021 o che potrebbero ricevere entro la fine dell’anno. Rispetto all’ordinaria normativa, i termini per il pagamento sono stati allungati dal decreto. Dunque, anziché i consueti 60 giorni di tempo dalla notifica, i contribuenti possono pagare entro 150 giorni. Resta invariato il termine per presentare ricorso. Infatti, l’impugnativa può avvenire entro il consueto periodo di 60 giorni.

Pagamento rate esattoriali in essere all’8 marzo 2020: come procedere con il versamento?

Più complessa è la disciplina all’articolo 3 del decreto legge numero 146 del 2021. La norma riguarda l’estensione della rateazione per i piani di dilazione. Nell’articolo si fa riferimento alle cartelle in essere al giorno 8 marzo 2020 con la previsione di due situazioni. La prima situazione è quella di allungare il termine di decadenza a 18 rate non pagate, rispetto alle 10 precedentemente previste. La seconda riguarda i contribuenti che alla scadenza del 30 settembre 2021 non hanno provveduto ai pagamenti di quanto dovuto. A fine settembre era previsto il versamento minimo di nove rate, più quella di settembre, per non incorrere nella decadenza del piano di rateazione.

Fisco, pagamenti entro il 2 novembre 2021: vanno versate almeno tre rate

Pertanto, per le cartelle in essere al giorno 8 marzo 2020, la decadenza del piano di rateazione viene determinato dal mancato versamento di 18 rate, anziché di dieci, anche non consecutive. A questi contribuenti il decreto consente di regolarizzare i propri versamenti pagando il nuovo minimo di rate per non incorrere nella decadenza entro il 31 ottobre 2021. Non considerando il 31 ottobre (domenica) e lunedì 1° novembre per la festività , il termine ultimo per il pagamento slitta al 2 novembre 2021.

Quali rate e cartelle i contribuenti devono pagare entro il 2 novembre 2021?

Entro domani 2 novembre 2021, pertanto, i contribuenti dovranno pagare il numero minimo di rate sospese di tutte quelle in scadenza durante l’emergenza sanitaria. Pertanto, i contribuenti che non abbiano effettuato dei pagamenti, potranno farlo nel numero minimo di tre rate. Si tratta di una rata in scadenza pregressa più le rate corrispondenti ai mesi di settembre e di ottobre 2021.

Riscatto laurea, quando è meglio richiederlo? Casi dopo il titolo o successivamente

È meglio fare richiesta del riscatto della laurea subito dopo aver conseguito il titolo, o comunque in giovane età, oppure successivamente, magari in prossimità della pensione? In base a quanto si spende per il riscatto della laurea, si potrebbe dire che usufruendo del riscatto agevolato previsto dal decreto legge numero 4 del 2019, potrebbe essere indifferente il momento in cui richiedere il riscatto degli anni di studio universitari.

Quanto costa riscattare la laurea con il metodo agevolato?

Infatti, il costo previsto per il riscatto della laurea dal decreto 4 del 2019 è standard. Si pagano circa 5265 euro per ogni anno del corso di studio da riscattare. L’importo totale, peraltro, è pagabile in 120 rate mensili. Dunque in dieci anni. E quanto si paga per il riscatto della laurea è totalmente detraibile dalle tasse. Il vantaggio, anche in termini fiscali, è dunque considerevole. Diverso è invece il caso in cui si scelga di pagare il riscatto della laurea con l’onere ordinario.

Il metodo tradizionale per pagare il riscatto della laurea ai fini della pensione

Infatti, qualora si scegliesse di pagare il riscatto della laurea con il metodo tradizionale, l’operazione ha un costo pari al 33% delle retribuzioni avute negli ultimi 12 mesi prima della presentazione della domanda. Il risultato va moltiplicato per il numero di anni del corso di laurea. Qualora si riscattassero solo alcuni anni (dunque non tutto il corso di laurea sostenuto), il minor costo verrebbe compensato dalla riduzione proporzionale del beneficio ai fini della pensione.

Quanto costa il riscatto della laurea con il metodo tradizionale?

Il metodo tradizionale del riscatto della laurea potrebbe presentare un costo estremamente variabile. Dipende dal reddito che il richiedente ha percepito nei 12 mesi precedenti la domanda di riscatto. Ad esempio, un contribuente giovane, di poco più di 30 anni, che percepisce una retribuzione annua lorda (Ral) di circa 40 mila euro, potrebbe trovare più conveniente, in termini di costi, il meccanismo agevolato previsto dal decreto legge numero 4 del 2019. In linea generale, più si va avanti con l’età e meno azzeccata potrebbe rivelarsi la scelta del metodo tradizionale per il riscatto della laurea. Infatti si presuppone che la carriera lavorativa di un contribuente porti a stipendi sempre più alti fino ad ottenere il massimo della retribuzione in prossimità della pensione.

Quanto conviene riscattare la laurea per la pensione futura?

Ammettiamo che una contribuente, nata nel 1988, abbia conseguito la laurea quinquennale nel 2012 ed abbia iniziato a lavorare nel 2014. Considerando gli adeguamenti alla speranza di vita, la contribuente potrà accedere alla pensione di vecchiaia nel 2059. Sempre nello stesso anno potrà andare in pensione anticipata con i soli contributi ai requisiti vigenti al giorno d’oggi. Ovvero 41 anni e 10 mesi di versamenti fatti. Sia per la pensione di vecchiaia che per quella anticipata i requisiti sono soggetti, tuttavia, all’adeguamento alla speranza di vita. Pertanto i calcoli sono svolti in uno scenario previdenziale che potrebbe cambiare totalmente nel tempo.

Quanto si può ridurre di anni di lavoro con il riscatto della laurea?

La stessa lavoratrice, avendo iniziato a lavorare dopo il 1996, rientra nel metodo di pensione dei contributivo puri. In questo regime, è possibile andare in pensione anticipata a 64 anni con 20 anni di contributi minimi, purché la futura pensione sia di 2,8 volte superiore all’importo dell’assegno sociale. Con questo canale di uscita, la contribuente andrebbe in pensione nel 2056. Il riscatto della laurea le consentirebbe, però, di anticipare l’uscita dal lavoro al 2053. In tal caso, dunque, il riscatto della laurea, oltre a permettere di beneficiare di un assegno di pensione più corposo, consentirebbe alla contribuente di andare in pensione prima rispetto all’anno previsto per la maturazione dei requisiti previdenziali.

Riscatto laurea, fuori dal calcolo le settimane in cui il contribuente ha lavorato durante gli studi

Per i contribuenti che volessero riscattare gli anni universitari è necessario chiarire che dal calcolo del costo del riscatto devono essere escluse le settimane lavorate coincidenti con quelle degli studi. Dunque, se durante gli anni universitari sussistono periodi nei quali il contribuente ha lavorato, ad esempio, per 30 settimane, è possibile procedere con la richiesta del riscatto della laurea ma è necessario dedurre le settimane lavorate. Il calcolo prevede che un corso di laurea di 5 anni sviluppi 260 settimane. Il periodo di riscatto, pertanto, sarà dato dalla differenza tra 260 settimane di studio e le 30 settimane lavorate.

Riscatto laurea e militare ai fini dei contributi per la pensione

Spesso coincidente, o di poco antecedente o successivo, al corso di laurea è l’anno in cui si è svolto il servizio militare o civile. Per il riscatto del servizio militare è necessario verificare l’anno in cui è stato svolto. Il riscatto avviene in maniera gratuita se il servizio è stato reso entro il 2005. Il servizio militare svolto tra il 2006 e il 2008, invece, consente di avere la copertura presso la gestione separata dell’Inps. Se il militare è stato svolto dal 2009 in poi, il riscatto è a pagamento e il costo si calcola con il metodo ordinario (allo stesso modo del riscatto della laurea).

Riscatto anno militare coincidente con il corso di laurea

Peraltro, il riscatto del periodo di servizio militare o civile coincidente con il periodo di corso degli studi universitari non può essere riconosciuto due volte ai fini del riscatto stesso. Pertanto, il periodo coincidente può essere riscattato una sola volta. La scelta in questo caso compete al contribuente su quale dei due periodi riscattare.

Cosa avviene se il neolaureato chiede il riscatto laurea subito dopo il titolo?

Spesso capita che il neolaureato chieda il riscatto della laurea subito dopo aver conseguito il titolo. E, non avendo ancora un lavoro, risulti inoccupato. In questo caso il riscatto della laurea segue la regola dettata dall’articolo 2 del decreto legislativo numero 184 del 1997. Analogamente ai casi precedenti, il costo si aggira intorno ai 5265 euro per ogni anno di corso di laurea. L’onere sostenuto per il riscatto è interamente deducibile dal reddito del neolaureato. Ma più frequentemente, non avendo redditi propri, il costo può essere detratto dai genitori sui propri redditi.

 

Lavori gravosi, ecco la lista delle nuove categorie di mansioni per l’Ape sociale

È stata resa nota la lista delle nuove categorie di lavori gravosi ai fini delle pensioni con l’Ape sociale. A partire dal 2022 il governo potrebbe rafforzare la misura consentendo a più categorie di lavoratori di accedere alla pensione dei 63 anni di età. Con la stessa misura possono accedere al prepensionamento anche categorie di contribuenti che si trovano in condizioni economiche o sociali di disagio.

Perché è stata rinnovata la lista dei lavori gravosi?

La lista delle nuove categorie di lavoratori impiegati in mansioni considerate gravose è stata elaborata dalla Commissione tecnica istituita ad hoc già dall’allora ex ministro del Lavoro Nunzia Catalfo. La Commissione ha preso in esami vari parametri per arrivare a stilare la lista dei nuovi mestieri gravosi: dai rischi di infortunio alla frequenza delle malattie fino a considerare anche la speranza di vita dopo i 65 anni di età.

Ape sociale, i requisiti per accedere alla pensione anticipata

L’Ape sociale, introdotta già dalla legge di Bilancio 2017, consente di andare in pensione dai 63 anni come misura di accompagnamento all’uscita da lavoro e di ottenere un assegno mensile di prepensionamento di massimo 1500 euro lordi. Occorre però avere anche una contribuzione minima che, per i disoccupati, i caregiver e gli invalidi al 74% è fissata in 30 anni di versamenti. Per i lavoratori gravosi e usuranti gli anni di contributi necessari sono 36.

Lavoratori impiegati in mansioni gravosi, quali sono i requisiti per l’Ape sociale?

Oltre agli anni di contributi, i lavoratori impiegati in mansioni gravose devono soddisfare un ulteriore requisito. Infatti, l’attività considerata gravosa deve essere stata esercitata per:

  • 6 degli ultimi 7 anni;
  • 7 degli ultimi 10 anni;
  • metà della carriera professionale (e dunque contributiva).

Ape sociale, quante sono le categorie di lavori gravosi?

Attualmente, possono accedere alle pensioni con Ape sociale 15 categorie di lavoratori impiegati in attività gravose. Tra queste figurano, a titolo di esempio: gli operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici; i conciatori; i conduttori di gru; gli addetti all’assistenza di personale in condizioni di non autosufficienza; le maestre della scuola dell’infanzia e gli educatori degli asili nido; gli operatori ecologici, i pescatori della costa costiera e gli operai dell’agricoltura; i lavoratori marittimi; i siderurgici di prima e di seconda fusione e i lavoratori del vetro addetti a lavori ad alte temperature; i facchini, gli addetti allo spostamento delle merci e gli assimilati.

Nuove categorie di lavori gravosi: i conduttori di impianti e macchine

A queste categorie, la Commissione ha aggiunto nuovi gruppi di lavoratori impiegati in attività gravose che potrebbero andare in pensione dal 2022 con l’Ape sociale. Tra i conduttori si menzionano i conduttori di impianti per:

  • estrarre e trasformare i minerali;
  • di macchine agricole;
  • per il legno e la carta;
  • di macchinari per la tipografia e per la stampa;
  • per la produzione di energia termica e del vapore, per la distribuzione delle acque e per il recupero dei rifiuti;
  • di macchine per la realizzazione di articoli in gomma e materie plastiche.

Categorie attività gravose: gli operai e gli artigiani

Tra gli operai e gli artigiani che sono stati riconosciuti nell’elenco delle attività gravose si menzionano:

  • gli operai addetti a macchinari per la produzione in serie di articoli in legno;
  • quelli addetti all’assemblaggio di prodotti industriali;
  • chi è addetto a macchine confezionatrici di prodotti industriali;
  • gli operai nella cura estetica;
  • i fonditori, i calderai, i saldatori, i lattonieri, i montatori di carpenteria metallica;
  • gli operai non qualificati nella manifattura;
  • i fabbri ferrai, i costruttori di utensili;
  • i vasai, i soffiatori e formatori di vetrerie;
  • gli operai forestali specializzati;
  • gli attrezzisti, gli artigiani e operai del legno.

Altre categorie di lavori gravosi per le pensioni dei 63 anni

Tra le altre mansioni rientranti nelle attività usuranti, la Commissione tecnica ha individuato ulteriori categorie, quali:

  • gli operai specializzati e gli artigiani nelle lavorazioni di alimentari;
  • gli artigiani e gli operai nel tessile e nell’abbigliamento;
  • operai specializzati e artigiani nella meccanica di precisione sui metalli;
  • i montatori, i meccanici artigianali, i manutentori e i riparatori di macchine fisse e mobili, a esclusione delle linee di montaggio;
  • gli artigiani per le lavorazioni artistiche dei tessuti, del cuoio e del legno;
  • gli operai su rivestimenti metallici, di galvanoplastica, di fabbricazione di prodotti fotografici;
  • gli addetti alle macchine semi e automatiche per la lavorazione metallica e per i prodotti minerali;
  • gli operatori di macchinari e impianti per raffinare il gas e i prodotti petroliferi e chimici.

Quali sono le nuove professioni gravose per accedere all’Ape sociale?

Infine sono da segnalare le ulteriori attività che la Commissione tecnica ad hoc ha considerato come gravose. Nell’ordine:

  • operai specializzati e artigiani nell’industria dello spettacolo;
  • artigiani e operai specializzati nell’installazione e nella manutenzione di attrezzature elettriche ed elettroniche;
  • operai addetti a macchine per l’industria alimentare, per l’agricoltura, per la trasformazione di prodotti agricoli;
  • artigiani e operai specializzati nelle attività poligrafiche;
  • gli addetti alla gestione dei magazzini;
  • gli operai addetti ai macchinari dell’industria tessile, delle confezioni e assimilati.
  • professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali;
  • i portantini e similari.

Partita Iva inattiva: vanno versati i contributi?

Per qualsiasi motivo, può accadere che un titolare di partita di IVA non riesca a fatturare niente, anche per lunghi periodi. Oppure, succede che l’attività correlata venga abbandonata volutamente per un periodo più o meno lungo. La domanda nasce spontanea: “Con una partita IVA inattiva vanno versati i contributi?”.

Per i liberi professionisti aprire una partita IVA è a costo zero e ci vuole poco tempo seguendo la procedura online. Le spese sussistono se l’apertura di una partita IVA è compiuta per un commerciante o un artigiano che dovrà affrontare una spesa di poche centinaia di euro, tutto compreso.

Se l’attività correlata alla partita IVA incassa, significa che dall’anno successivo si dovranno pagare le tasse e i contributi previdenziali. Se si è scelto il regime forfettario in quanto si è in possesso dei requisiti iniziali richiesti e anche di quelli di mantenimento, l’aliquota sulle imposte da pagare è pari al 15% sul reddito imponibile e addirittura del 5% per i primi cinque anni, in caso di start-up. In ogni caso, per un’attività con partita IVA che produce reddito si pagano imposte e contributi previdenziali, quest’ultimi a seconda della cassa di appartenenza.

Ma per rispondere alla domanda, cosa succede se la partita IVA è inattiva e quindi non c’è alcun incasso?

Partita IVA inattiva: cosa succede

Chi opera con una partita IVA non ha una retribuzione fissa, motivo per cui il fatturato è variabile nel tempo o può essere addirittura uguale a zero per mancata operatività, nel quale periodo, la partita IVA appare inattiva.

Chi ha una partita IVA inattiva deve comunque presentare la dichiarazione dei redditi indicando “zero” nella casella dei ricavi. Ma cosa succede per imposte e contributi?

Con il regime forfettario, a zero incassi corrispondono zero tasse da pagare. La situazione diverge per quanto concerne la contribuzione previdenziale che viene calcolata diversamente dalle imposte e varia a seconda della categoria di lavoratore autonomo a cui si appartiene.

Infatti, i commercianti e artigiani sono iscritti alla omonima Gestione INPS; i liberi professionisti sono iscritti alla propria Cassa, mentre se quest’ultimi sono senza Cassa risultano iscritti alla Gestione Separata INPS.

Commercianti e artigiani

Artigiani e commercianti sono iscritti alla CCIIAA e fanno capo alle rispettive sezione della Gestione INPS. Lo sono gli ambulanti, il parrucchiere, chi produce prodotti o li vende online praticando il commercio elettronico. Gli appartenenti a questa categoria sono tenuti a versare circa 3.900 euro di contributi minimi fissi a prescindere dal fatturato.

Con il regime forfettario si fruisce anche di una riduzione del numero di settimane di lavoro, beneficiando di uno sconto del 35%. A questo, va aggiunto il diritto camerale annuo.

Liberi professionisti con Cassa

Chi appartiene ad una Cassa specifica in quanto libero professionista iscritto all’Albo (commercialisti, consulenti, medici, avvocati, ingegneri…) devono versare dei contributi fissi a prescindere dai ricavi ottenuti o meno.

Le categorie particolari appartenenti al mondo dello spettacolo in genere, devono pagare una ritenuta che in caso di partita IVA inattiva o reddito zero, sarà pari a zero.

Liberi professionisti senza Cassa

Il libero professionista, non essendoci un Ordine o un Albo specifico, non è soggetto ad alcuna regolamentazione. Ad esempio, lo youtuber o il social media manager. Tutti questi devono fare riferimento alla Gestione Separata INPS, per cui devono pagare il 25,72% sul reddito imponibile. Essendo inattiva la partita IVA, pagheranno zero imposte ma anche zero contributi previdenziali.

In conclusione, con reddito a zero o partita IVA inattiva, solo i commercianti e gli artigiani sono tenuti al pagamento dei contributi previdenziali.

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Pensione, cosa succede se si versano contributi a gestioni previdenziali diverse?

Cosa avviene se il lavoratore durante la vita lavorativa ha versato i contributi per la pensione in più gestioni previdenziali? In questa situazione, viene incontro il cumulo gratuito dei contributi in caso di versamenti “misti”, compresi quelli fatti alle Casse professionali. Il cumulo gratuito è stato reso operativo dalla circolare dell’Inps numero 140 del 2017 ed esteso anche ai liberi professionisti. Insieme alla totalizzazione e alla ricongiunzione, costituisce una delle soluzioni per sommare i versamenti di diverse gestioni.

Cosa si può fare con il cumulo dei contributi?

Con il cumulo il soggetto può valorizzare la contribuzione fatta a più gestioni previdenziali senza oneri economici. La gratuità è un carattere distintivo del cumulo al pari della totalizzazione. A differenza di quest’ultimo, però, il cumulo non è soggetto al calcolo contributivo della futura pensione e nemmeno al meccanismo delle finestre mobili.

Differenze del cumulo di pensione con ricongiunzione e totalizzazione

Differentemente dalla ricongiunzione, mediante il cumulo non si trasferisce la contribuzione da una gestione a un’altra. Dunque al contribuente viene riconosciuta un’unica pensione, calcolata in base alle regole previste per ciascuna gestione che concorre al cumulo. Con il cumulo previsto dalla legge di Bilancio 2017, dunque, è possibile sommare gratuitamente gli spezzoni contributivi dei versamenti su differenti gestioni.

Cumulo dei contributi per la pensione, chi può farlo?

Il cumulo dei contributi ai fini della pensione può essere esercitato dai dipendenti e dagli autonomi iscritti alla Gestione separata o ad altre forme dell’Assicurazione generale obbligatoria e dai professionisti iscritti alle Casse previdenziali. Chi richiede il cumulo dei contributi non deve avere già in corso un trattamento pensionistico relativo alle gestioni oggetto di cumulo. Da rilevare che il cumulo non può essere mai parziale ma deve riguardare in toto i periodi contributivi. Questi ultimi non devono essere coincidenti.

Come si presenta la domanda di cumulo dei contributi?

La domanda del cumulo dei contributi deve essere presentata presso la gestione dove risulta essere stata accreditata l’ultima contribuzione. Se il contribuente risulta iscritto a più gestioni, può presentare domanda a quella di sua scelta. L’inoltro della domanda permette alla gestione che l’ha ricevuta di iniziare la procedura di cumulo verso le altre gestioni previdenziali all’interno delle quali risultino presenti periodi di contribuzione.

Cosa avviene all’accettazione del cumulo?

Nel momento in cui il cumulo dei contributi viene accettato dopo la presentazione della domanda, la pensione viene liquidata come unica e pagata dall’Inps con un solo trattamento. L’importo pensionistico è determinato dalla somma degli spezzoni contributivi cumulati, seguendo comunque le regole previdenziali di ciascuna gestione coinvolta. Il cumulo permette, inoltre, di poter sommare i periodi contributivi ai fini dell’accesso della pensione di vecchiaia, di anzianità e anticipata.

Cumulo contributi nel caso di gestioni con diverse regole previdenziali

Cosa avviene nel caso in cui le diverse gestioni previdenziali dove il contribuente ha versato i contributi da cumulare applichino regole diverse per il pensionamento? Il caso si può presentare, ad esempio, quando un contribuente ha versato 10 anni di contribuzione presso l’Inps che prevede la pensione di vecchiaia a 67 anni e altri 10 presso un fondo che prevede la stessa prestazione ma a 65 anni. In questa situazione è necessario far riferimento alla gestione previdenziale che prevede i requisiti più elevati tra i singoli fondi coinvolti.

Pensione anticipata con il cumulo dei contributi

Diversamente, per il calcolo dei requisiti necessari per la pensione anticipata, il cumulo delle gestioni contributive deve mirare al raggiungimento fisso dei 42 anni e 10 mesi per gli uomini e a 41 anni e 10 mesi per le donne di versamenti fatti nella vita lavorativa. Ciò indipendentemente dalle regole delle previdenze coinvolte nel cumulo. L’operazione, dunque, può sommare i contributi delle varie gestione per arrivare a questo risultato. Il pagamento della pensione con il cumulo avviene il primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda.

Pensione, come si calcola con il cumulo della pensione?

Il calcolo del mensile di pensione con il cumulo dei contributi avviene tramite il meccanismo “pro-quota”. Ciò significa che ogni gestione previdenziale coinvolta nel cumulo effettuerà il calcolo della propria pensione con le regole vigenti al suo interno. Il calcolo della pensione tiene conto anche del metodo retributivo, misto o contributivo del periodo in cui il contribuente ha effettuato i versamenti. Per questo motivo, anche con il cumulo alcune quote possono essere calcolate con il sistema retributivo per chi rientra in quel sistema previdenziale.

Eccezione delle Casse di previdenza nel calcolo retributivo della pensione

Fa eccezione nella quota di calcolo la gestione relativa alle Casse di previdenza. Infatti, quanto versato alla Cassa previdenziale non può tornare utile per determinare i 18 anni di contribuzione entro il 31 dicembre 1995 ai fini del calcolo retributivo della pensione per versamenti fatti fino al 31 dicembre 2011.