Vendita casa all’asta? Si può evitare con la vendita diretta del bene pignorato

Può purtroppo capitare di accumulare nel tempo dei debiti e di conseguenza il creditore può iniziare una procedura esecutiva su un immobile. La procedura esecutiva generalmente ha come obiettivo quello di ristorare il creditore e può quindi succedere, e in realtà succede quasi sempre, che la vendita del bene all’asta avvenga per un prezzo inferiore al valore del bene. Questo per il soggetto sottoposto a pignoramento può tramutarsi in un grave danno economico. Per evitare questo il decreto legislativo 149 del 2022 ha previsto la possibilità di vendita diretta del bene pignorato. Ecco come funziona.

Vendita di casa all’asta: richiedi la vendita diretta del bene pignorato

La vendita forzata di un bene è una procedura straordinaria a tutela di coloro che sono in possesso di un titolo esecutivo, può trattarsi di una sentenza oppure provvedimenti ed altri atti a cui la legge attribuisce efficacia esecutiva. Generalmente si provvede alla vendita all’asta con prezzo base fissato. Si deve precisare che quando un soggetto richiede tale tipologia di atto, ad esempio nel caso in cui una banca  titolare di un contratto di mutuo con iscrizione di ipoteca su un immobile chieda la vendita, arrivato al momento dell’esecuzione forzata si tende a tutelare solo tali interessi. L’immobile non viene venduto tenendo in considerazione il suo valore, ma tenendo in considerazione il credito vantato. Questo anche perché la legge non ammette l’ingiusto arricchimento e di conseguenza, se anche dalla vendita dovessero emergere somme maggiori rispetto al credito vantato, le stesse dovrebbero comunque essere restituite al proprietario.

Naturalmente per il proprietario del bene sottoposto a ipoteca e venduto all’asta viene economicamente danneggiato da tale atteggiamento. Per evitare questa distorsione si è quindi provveduto a una modifica delle norme che disciplinano la vendita di un bene pignorato. In particolare il decreto legislativo 149 del 2022 prevede la possibilità per il debitore di richiedere con istanza, non oltre dieci giorni prima dell’udienza prevista dall’articolo 569 del c.p.c (udienza di comparizione), il provvedimento di autorizzazione alla vendita diretta del bene per un prezzo non inferiore al valore indicato nella relazione di stima.

Posticipato lo sgombero dell’immobile pignorato, ma in quali casi?

Non è questa l’unica novità, infatti vi sono importanti tutele per il debitore anche in relazione allo sgombero dell’immobile sul quale si procede all’esecuzione forzata. In primo luogo se il debitore/esecutato e il suo nucleo familiare non abitano nell’immobile oggetto di vendita forzata, deve sgomberarlo nel momento in cui è pronunciata l’ordinanza di autorizzazione alla vendita o sono autorizzate le operazioni di vendita. La stessa norma si applica nel caso in cui l’immobile sia occupato da altro soggetto che non abbia titolo per restarvi.

Nel caso in cui l’immobile sia invece abitato dall’esecutato e/o dal suo nucleo familiare lo sgombero può avvenire anche in un secondo momento, in particolare quello dell’aggiudicazione del bene, cioè quando c’è il decreto di trasferimento della proprietà del bene.

Limiti al posticipo dello sgombero del bene

Occorre però ricordare che lo sgombero non può essere posticipato nel caso in cui sia necessario al fine di consentire le attività degli ausiliari del giudice oppure nel caso in cui l’immobile debba essere visitato da potenziali acquirenti. Il giudice può disporre lo sgombero dell’immobile anche nel caso in cui il debitore abbia omesso la manutenzione dell’immobile o in violazione di altri obblighi.

Leggi anche: Acquisto casa all’asta, tutte le novità del Fisco per il 2023

Pignoramento: cosa succede se prelevo dal conto corrente pignorato?

Nel caso in cui maturi un debito, tra cui anche un debito di tipo fiscale, il creditore può chiedere all’ufficiale giudiziario di eseguire un pignoramento sui beni del debitore attraverso un atto di ingiunzione. Una volta eseguito tale atto, i beni non sono sono più nella disponibilità del debitore, ma fungono da garanzia per il creditore. Tra i beni che possono essere sottoposti a pignoramento c’è il conto corrente o meglio le somme presenti sul conto corrente. A questo proposito sono molte le persone che si chiedono quali conseguenze si possono verificare in caso di prelievo delle somme dal conto corrente pignorato.

Quali norme si applicano in caso di pignoramento del conto corrente?

In caso di pignoramento del conto corrente la norma da tenere in considerazione è l’articolo 388 del codice penale che stabilisce: Chiunque sottrae, sopprime, distrugge, disperde o deteriora una cosa di sua proprietà sottoposta a pignoramento, ovvero a sequestro giudiziario o conservativo, è punito con la reclusione fino a un anno e con la multa fino a euro 309.

Di conseguenza anche chi sottrae soldi da un conto corrente pignorato commette lo stesso reato. Naturalmente, affinché possa configurarsi questa ipotesi, è necessaria la preventiva notifica del pignoramento dall’ufficiale giudiziario.

Nell’ingiunzione di pignoramento è infatti contenuto l’avvertimento di non compiere alcun atto che possa sottrarre la somma pignorata allo scopo del pignoramento stesso.

Occorre però ricordare che il comma 1 dello stesso articolo 388 del codice penale, prevede il reato anche nel caso in cui “per sottrarsi all’adempimento degli obblighi nascenti da provvedimento dell’autorità giudiziaria o dei quali è in corso l’accertamento dinanzi all’autorità giudiziaria stessa, compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti, è punito, qualora non ottemperi all’ingiunzione di eseguire il provvedimento, con la reclusione fino a 3 anni o con la multa da euro 103 a 1032 euro”.

Questo implica che anche nel caso in cui siano in corso accertamenti e non sia ancora stato disposto il pignoramento, ma temendo questo, si vadano a sottrarre beni, trova comunque applicazione la pena.

In quali casi è possibile prelevare denaro dal conto corrente pignorato?

Ora ritornando al pignoramento delle somme su conto corrente, due sono le regole base:

  • se le somme depositate sono uguali o inferiori alle somme pignorare, il soggetto che effettua il prelievo commette reato;
  • se le somme presenti sul conto corrente sono invece superiori rispetto alle somme pignorare, il titolare del conto corrente può invece agire su tali maggiori somme e limitatamente ad esse.

In poche parole se le somme pignorate sono 5.000 euro e sul conto corrente sono presenti 7.000 euro è possibile effettuare il prelievo senza incorrere in reati.

Ricordiamo che in alcuni casi previsti dalla legge, può avvenire il pignoramento presso terzi.

Aste immobiliari 2022 in crescita: è il momento giusto per comprare a prezzi convenienti

Comprare casa è il sogno di tutti, ma la congiuntura economica non è particolarmente favorevole agli investimenti, tuttavia si possono fare buoni affari decidendo di comprare la casa all’asta, tra le notizie che negli ultimi giorni stanno destando meraviglia, e allo stesso tempo stanno mettendo in allarme le famiglie, c’è l’aumento di disponibilità di case e fabbricati venduti tramite aste immobiliari.

Quando un fabbricato o una casa sono venduti all’asta?

La vendita all’asta di un immobile rappresenta il momento finale attraverso il quale i creditori di un soggetto, persona fisica o giuridica, cercano di trovare soddisfazione al proprio credito. Ci troviamo in una situazione in cui un soggetto non riesce a far fronte ai suoi debiti e di conseguenza i creditori cercano di recuperare i propri beni attraverso una procedura di esecuzione forzata sui beni intestati al debitore. Il bene può essere o meno sottoposto a ipoteca.

Naturalmente si arriva all’asta dopo una lunga procedura, questo vuol dire che se si salta il pagamento di una rata del mutuo, non vi è immediatamente la vendita all’asta, lo stesso vale nel caso in cui si manchi di pagare una rata a un fornitore. Non è questo il luogo di trattare la procedura per arrivare all’esecuzione forzata su un bene, basti sapere che la vendita all’asta di un immobile presuppone uno stato debitorio piuttosto grave.

Deriva da questa piccola premessa che se in questo periodo vi è un numero maggiore di fabbricati, come immobili, capannoni e terreni acquistabili all’asta, vi è evidentemente una crisi economica in atto tale da mettere in difficoltà molte imprese e molte famiglie.

Secondo i dati disponibili, nella prima metà del 2022 ci sono state 108.137 aste immobiliari che rappresentano il 16,1% in più rispetto alle aste che si sono svolte nello stesso periodo del 2021. Occorre sottolineare che però siamo ancora sotto i livelli del 2019, infatti nel primo semestre dell’anno pre-pandemia il numero di aste immobiliari è stato il 17,5% in più rispetto al primo semestre 2022, quindi è come se si stesse ritornando a un ritmo normale.

Perché molti preferiscono acquistare all’asta?

Il vantaggio dell’acquisto all’asta è di ottenere prezzi non particolarmente elevati, infatti la base di acquisto è il valore dell’immobile, se lo stesso è superiore rispetto al debito maturato, il residuo derivante dalla vendita all’asta viene restituito al proprietario. L’asta immobiliare non ha come funzione quella punitiva, non è una sanzione. Si tratta solo di una forma di tutela per i creditori.

Nel caso in cui però l’asta immobiliare dovesse andare deserta, purtroppo si può decidere di abbassare la base d’asta. Naturalmente sono in molti a voler tentare l’affare e di conseguenza seguono l’immobile all’asta ed evitano di comprare alla prima chiamata. A questo occorre aggiungere che se passa molto tempo tra il pignoramento dell’immobile da vendere all’asta e la sua effettiva vendita, l’immobile perde parte del suo valore a causa della mancata manutenzione.

Quali immobili sono stati oggetto di aste immobiliari?

Da quanto emerge dalle statistiche elaborate da Reviva che ha effettuato un censimento delle aste, il 54,6% è rappresentato da immobili in categoria residenziale, mentre il 34,6% è rappresentato da locali commerciali, laboratori, alberghi, uffici. Per il residenziale il valore medio delle offerte è di 112,264 euro, nel 2021 la media era molto più bassa, cioè 82.473 euro. Ciò è in linea con gli aumenti generalizzati che hanno caratterizzato gli immobili ad uso residenziale. Ricordiamo che anche per quanto riguarda i beni acquistati in aste immobiliari. è comunque possibile sottoscrivere un mutuo, quindi anche chi non ha sufficiente liquidità può fare questo investimento, sebbene sappiamo tutti che i tassi di interesse sui mutui sono in forte crescita.

Resta da aggiungere che ora è possibile partecipare alle aste anche telematicamente. Basta essere muniti di un PC, di un indirizzo di posta elettronica certificata e firma digitale. In questo caso deve essere posta attenzione a tutti i passaggi per effettuare valide offerte, il rischio è che l’offerta sia ritenuta invalida.

Infine, è bene ricordare che anche se l’acquisto avviene in un’asta immobiliare è sempre bene procedere prima ad accertamenti catastali .

La cassetta di sicurezza in banca si può pignorare? Come procedere

Molti decidono di richiedere una cassetta di sicurezza in banca non solo perché in questo modo possono proteggere valori che a casa non sarebbero al sicuro, ma anche perché il contenuto dovrebbe essere coperto della privacy e di conseguenza alcuni cercano n questo modo di occultare dei valori. Nonostante questo deve essere ricordato che le somme ivi contenute sono pignorabili. Ecco cosa succede se un creditore vuole ottenere il proprio credito attraverso la cassetta in banca.

Nell’espropriazione dei beni del debitore rientra la cassetta di sicurezza

L’articolo 2910 del codice civile consente al creditore, utilizzando le procedure previste nel codice di procedura civile di procedere all’espropriazione dei beni del debitore al fine di conseguire quanto gli è dovuto. La normativa in oggetto consente l’esecuzione forzata non solo sui beni in possesso del debitore principale, ma anche sui beni e sui crediti da questo vantati presso terzi. Può così capitare che ci sia l’esecuzione su una porzione di stipendio, su una porzione di pensione, su conti corrente. Molti però si chiedono: visto il vincolo della privacy ricadente sulla cassetta di sicurezza in banca, è possibile effettuare il pignoramento sulla cassetta di sicurezza in banca?

Per conoscere i limiti al pignoramento della pensione, leggi l’articolo: limiti al pignoramento della pensione 2022: importi e modalità

Senza il titolo di credito esecutivo non si può pignorare nessun bene

La prima cosa da dire è che qualunque sia la forma del pignoramento presso terzi o presso il debitore, per poter procedere è necessario avere un titolo di credito, ad esempio un decreto ingiuntivo, una sentenza di condanna, un assegno protestato. Solo in presenza di un valido ed efficace titolo è possibile procedere. Per arrivare ad ottenere questo titolo in alcuni casi possono essere richiesti tempi molto lunghi, proprio per tale motivo il creditore ha un’arma a sua disposizione cioè può chiedere al giudice dei provvedimenti cautelari, come il sequestro delle somme presenti su conto corrente o conto deposito.

Naturalmente il creditore potrebbe essere all’oscuro delle sostanze in possesso del debitore, ecco perché l’articolo 492 bis del codice di procedura civile prevede la possibilità per qualunque creditore ( anche privato) che abbia un valido titolo esecutivo di chiedere al giudice di disporre l’accesso alle banche dati dell’Agenzia delle Entrate e del territorio. A sua volta l’Agenzia delle Entrate ha accesso a tutte le banche dati, ad esempio quelle delle banche. Fatta questa premessa cerchiamo di capire se è possibile effettuare il pignoramento della cassetta di sicurezza in banca.

Cos’è la cassetta di sicurezza in banca e come funziona

La cassetta di sicurezza è uno strumento molto particolare, infatti nel caveau delle banche vi sono specifici spazi messi a disposizione dei clienti per conservare beni. Viene utilizzata per depositare documenti che si vogliono tenere nascosti, ma anche gioielli, e spesso soldi che non si vogliono dichiarare al fisco. In teoria su questo strumento c’è l’anonimato, ma pensare che la banca non sappia cosa contenga è un po’ difficile da credere perché è solitamente previsto il pagamento di un canone annuo che viene stabilito spesso anche in base al valore del contenuto, inoltre superati i 5.000 euro di valore del contenuto, cosa che capita spesso, è necessario pagare anche una copertura assicurativa e la stessa è calcolata in base al valore del contenuto, quindi la banca non conosce i beni ( soldi, titoli, gioielli) che sono presenti nella cassetta, ma ne conosce il valore.

Altra cosa, molti non lo sanno, ma la cassetta di sicurezza deve essere indicata nel caso in cui si intenda richiedere un modello Isee.

Fatta questa premessa, deve essere ricordato che è vero che la banca deve assicurare la privacy al proprietario della cassetta di sicurezza, ma questo obbligo cade nei confronti del Fisco, cioè quando a chiedere i dati è l’Agenzia delle Entrate. La banca però non deve fornire i dati su ciò che contiene al Fisco, ma deve semplicemente dire che Tizio presso la banca detiene una cassetta di sicurezza.

Questo implica che quando l’Agenzia delle Entrate interroga la banca su tutti i rapporti intrattenuti con una determinata persona, avrà soltanto l’indicazione della presenza di una cassetta di sicurezza, che in teoria potrebbe anche contenere beni il cui valore è effimero, ad esempio potrebbe contenere una foto di nessun valore, documenti che non hanno un valore economico…

Come avviene il pignoramento della cassetta di sicurezza?

A questo punto abbiamo capito che anche la cassetta di sicurezza può essere oggetto di pignoramento ma che prima dell’apertura della cassetta  il creditore non sa se effettivamente all’interno siano presenti beni di interesse per la sua causa.

Vista però la particolarità del rapporto tra titolare della cassetta e la banca, cambiano anche le procedure attraverso le quali si può procedere al pignoramento. Questo infatti non viene considerato alla stregua di un pignoramento presso terzi, ma come pignoramento mobiliare diretto. Di conseguenza il creditore dovrà rivolgersi giudice territorialmente competente ( giudice del luogo in cui si trova la banca) per chiedere di autorizzare l’ufficiale giudiziario ad effettuare il pignoramento.

L’ufficiale giudiziario si recherà presso la banca che detiene la stessa alla presenza del funzionario di banca addetto ( che dovrà essere presente alla redazione del verbale) e del debitore titolare della cassetta. Sarà proprio il titolare a dover aprire la cassetta e mentre l’ufficiale redigerà il verbale del contenuto e provvederà al sequestro dei beni. Nel caso in cui si tratti di gioielli, gli stessi saranno venduti all’asta su istanza del creditore procedente. Questo infatti dovrà iscrivere a ruolo il procedimento per ottenere il ricavato della vendita all’asta o per l’assegnazione dei beni in natura. Nel caso in cui nella cassetta di sicurezza ci siano denaro o titoli il credito, il creditore potrà chiedere l’assegnazione delle somme a lui spettanti. Il residuo, se presente e se non vi sono altri creditori intervenuti nel procedimento, sarà nella disponibilità del debitore.

Limiti al pignoramento della pensione 2022: importi e modalità

La legge stabilisce che in presenza di debiti è possibile pignorare i beni dei debitore presso terzi, tra i beni del debitore presso terzi che possono essere oggetto di pignoramento vi sono lo stipendio e la pensione. In questo caso si parla di pignoramento presso terzi perché il bene viene aggredito prima che entri nella disponibilità del debitore. Naturalmente la legge prevede anche dei limiti e gli stessi corrispondono a quello che viene considerato il minimo vitale per poter vivere. Naturalmente questo minimo viene adeguato al costo della vita e all’inflazione. Vediamo quindi quali saranno i limiti al pignoramento della pensione 2022.

Limiti al pignoramento della pensione: tipologie escluse

La disciplina del pignoramento presso terzi è prevista dall’articolo 543 del codice di procedura civile. Si tratta di una vera e propria espropriazione dei beni del debitore che però avviene prima che lo stesso abbia disponibilità di tali beni. La prima cosa da sottolineare è che non tutte le pensioni possono essere pignorate, in particolare non sono oggetto di pignoramento quelle che sono considerate prestazioni assistenziali e quindi la pensione sociale e la pensione di invalidità civile, mentre può essere sottoposta a pignoramento la pensione di reversibilità, anche conosciuta come pensione superstiti.

Come si calcola il limite pignorabile?

La prima cosa da fare è calcolare il limite impignorabile, la disciplina prevede che la quota di pensione che non si può toccare è pari a 1,5 volte l’assegno sociale. Quindi in primo luogo è necessario conoscere l’importo previsto per l’assegno sociale, lo stesso è fissato per il 2022 in 468,10 euro. Tale importo deve poi essere moltiplicato per 1,5. Risulta quindi che il limite al pignoramento della pensione 2022 è di 702,15 euro.

Questo però non vuol dire che la rimanente parte può essere pignorata al 100%, infatti di questa residua porzione di pensione, può essere pignorato solo il 20%, o meglio 1/5.

Ne consegue che nel caso in cui una persona percepisca 900 euro di pensione, a questa somma deve essere detratto il limite al pignoramento della pensione 2022, quindi 702,15 euro, restano quindi 197,85 euro. Di questo importo il creditore può aggredire il 20%, cioè 39, 57 euro.

Cambiano però gli importi nel caso in cui ci sia più di un creditore. In questo caso restano fermi i limiti al pignoramento della pensione, ma la quota rimanente può essere pignorata al 40%, quindi nel caso già visto, si tratta di una quota pari a 79,14 euro.

Pignoramento pensione già accreditata

In caso di accredito della pensione in conto corrente, è possibile pignorare anche la quota di importi presenti in conto al momento dell’inizio dell’esecuzione forzata. Cosa vuol dire? Semplicemente che se l’esecuzione, ad esempio, viene autorizzata il 15 del mese, sulle somme presenti a tale data sul conto corrente su cui viene accreditata la pensione, si effettua un primo prelievo, lo stesso però può avere un ammontare pari a 1/5 rispetto all’importo dell’assegno sociale moltiplicato per 3. Quindi la quota che non si può toccare giacente in conto è per il 2022 di 1.404,30€ , la rimanente parte può essere accreditata al creditore per un importo pari a 1/5 (20%). Ad esempio se in conto ci sono 2.500 euro, è necessario sottrarre 1.404,40, restano 1.095,70 e su questa quota al creditore spetta il 20%, cioè 219,14 euro. I successivi pignoramenti saranno fatti prima dell’accredito e con i criteri visti in precedenza.

Se il pignoramento è effettuato dall’Agenzia delle Entrate per crediti esattoriali cambiano gli importi. In questo caso il pignoramento ha importo pari al:

  • 1/10 per importi fino a 2.500 euro;
  • 1/7 per importi compresi tra 2.500 euro e 5.000 euro;
  • 1/5 per importi superiori a 5.000 euro.

Questi sono i limiti al pignoramento della pensione 2022.

Cos’è la quietanza liberatoria, quando richiederla e come scriverla

Sicuramente più volte avrai sentito parlare di quietanza liberatoria, ma di cosa si tratta e quando è opportuno chiedere il suo rilascio? Ecco cosa sapere.

Cos’è la quietanza liberatoria

La quietanza liberatoria è un documento che con il tempo è sempre meno richiesto in quanto siamo abituati a pagare gli importi dovuti con sistemi tracciabili, ad esempio bonifici e di conseguenza appare più facile provare l’avvenuto pagamento di determinate somme in favore di un creditore. Può però capitare che un soggetto vanti un credito e che si decida di pagare lo stesso in contanti. In questo caso è bene richiedere una quietanza liberatoria. Sappiamo che i pagamenti in contanti hanno dei limiti, per il 2022 è previsto il limite di 999.99 euro, quindi è possibile recarsi da un professionista e scegliere di pagare in contanti, oppure si può chiedere una dilazione di pagamento, ad esempio di pagare gli importi in modo frazionato, ad esempio all’avvocato, oppure di ricevere della merce e chiedere di pagarla in un secondo momento.

In tutti questi casi, accanto alla ricevuta di pagamento, è possibile richiedere la redazione di una quietanza liberatoria. Nella stessa il creditore dichiara di non avere più nulla a pretendere dal debitore. Può essere usata anche nel caso in cui il creditore decida di ridurre gli importi inizialmente pattuiti con l’altra parte e quindi “libera” in anticipo il suo debitore.

Come redigere una quietanza liberatoria

La quietanza liberatoria deve essere redatta seguendo delle direttive ben precise, in particolare devono essere specificati i soggetti che partecipano a questo atto, quindi il creditore e il debitore, con relativi codici fiscali e indirizzo di residenza deve essere indicata la causale del versamento, ad esempio una consulenza professionale dell’avvocato X, oppure pagamento della fattura n°. .. emessa il giorno… deve essere indicata la somma pagata/ricevuta, la data e naturalmente deve esserci la firma. La quietanza liberatoria deve essere consegnata dal creditore al debitore. Non si tratta di un documento obbligatorio, ma nel momento in cui il debitore per una sua maggiore sicurezza la richiede, deve essere consegnata.

Si è detto che la quietanza liberatoria si richiede soprattutto quando i pagamenti avvengono in contanti, nel rispetto dei limiti previsti dalla legge, ma in realtà può essere utilizzata anche nel caso in cui il pagamento avviene con bonifico. Essa ha valore di prova, quindi il creditore in un secondo momento non potrà richiedere nuovamente il pagamento asserendo che in realtà il debito non è stato saldato, infatti in tal caso il debitore potrà difendersi attraverso l’uso della quietanza.

Spesso la quietanza liberatoria si utilizza anche nel caso di rapporti di lavoro, soprattutto in caso di cessazione del rapporto di lavoro, in questo caso il lavoratore dichiara di non avere più nulla a pretendere dal datore di lavoro.

Si ritiene che possa essere parificata alla quietanza liberatoria anche una registrazione da cui si possa evincere che effettivamente il creditore ha ricevuto quanto doveva avere, la ragione del credito e che il debito risulta estinto. Naturalmente in questo caso un giudice eventualmente chiamato a dirimere controversie dovrà valutare anche le circostanze in cui è avvenuta la dichiarazione.

Quietanza liberatoria in caso di levata di protesto

Un uso frequente della quietanza liberatoria riguarda il caso di una richiesta di pagamento di un assegno scoperto. In questi casi la prassi è solitamente così disposta, Tizio firma un assegno a Caio, Caio va in banca a riscuoterlo e si scopre che l’assegno è scoperto. In questo caso ci sarà il protesto che ha conseguenze piuttosto pesanti, infatti il debitore sarà segnalato alla Centrale Allarme Interbancaria e tale segnalazione avrà una durata di 5 anni. Inoltre ci sarà il divieto di emettere assegni per almeno 6 mesi e la pubblicazione del nominativo presso il Registro Protesti della Camera di Commercio territorialmente competente.

Per ridurre gli effetti negativi di tale protesto, il debitore può procedere al pagamento del dovuto e chiedere la creditore di firmargli una quietanza liberatoria, che sarà quindi consegnata alla banca con la richiesta di cancellazione della segnalazione. Questa procedura ha comunque un costo, infatti il protestato dovrà portare allUfficio della Camera di Commercio una visura dei protesti rilasciata dalla stessa Camera di Commercio, inoltre dovrà allegate il titolo protestato, una copia dei propri documenti e di una copia dei documenti del creditore, la quietanza liberatoria sottoscritta dal creditore e autenticata dal notaio ( che naturalmente chiederà un compenso per tale servizio) e una marca da bollo. Tale procedura deve comunque essere espletata entro 12 mesi dalla levata del protesto.

 

Tutela del patrimonio: il trust

Il trust è uno strumento che non esiste nel nostro ordinamento, ma è stato accettato. In pratica, un trust italiano è regolato dalla legge estera a cui si riferisce (sono diverse le legislazioni a cui si può fare riferimento, ma bisogna sceglierne una sola, che regola interamente il trust).

Come funziona un trust? Il proprietario (disponente) di alcuni beni decide di proteggerli con un trust. Nomina un gestore (può essere anche se stesso), che amministri questi beni, e un beneficiario, che gode dei profitti come deciso nell’atto costitutivo. Può anche nominare un guardiano (protector), che sorvegli che il gestore esegua correttamente le volontà del disponente (ovviamente se il gestore è lo stesso disponente, il guardiano non serve). In pratica, c’è uno sdoppiamento della proprietà, che è in capo al gestore per ciò che riguarda l’amministrazione e in capo al beneficiario per ciò che riguarda il godimento.

Questo concetto è sconosciuto nel nostro diritto, per questo si utilizza il diritto estero (anglosassone in primis), quindi il trust è un’anomalia giuridica.

Cosa caratterizza un trust? I beni conferiti sono indistinti e non sono parte del patrimonio del gestore (trustee), ma sono a lui intestati (o ad altro soggetto definito dal gestore) ed è obbligato a gestire il trust secondo le legge e secondo quanto stabilito nell’atto costitutivo.

I beni conferiti, quindi, costituiscono un patrimonio separato dal patrimonio del  gestore, ma anche da quello del disponente (settlor) e dei beneficiari (beneficary).

Possono essere conferiti beni mobili o immobili e diritti reali di persone fisiche e/o società, ad esempio azioni, quote di società, denaro, opere d’arte, autoveicoli, arredi, sia con piena che con nuda proprietà.

Tuttavia il trust non può essere esente da azioni revocatorie fallimentari, né ledere la legittimità in caso di eredità di successione e in generale violare le norme che regolano le garanzie reali e il diritto di proprietà.

Perché allora costituire un trust? Ad esempio può essere utilizzato quando non esiste una famiglia (famiglie di fatto, coppie divorziate, conviventi, scapoli o nubili) oppure quando si vogliono tutelare terze persone.

Devono essere seguite alcune regole, per evitare il disconoscimento da parte dell’autorità fiscale: ad esempio il disponente non può designare se stesso come beneficiario e nemmeno può essere previsto in atto, così come non può modificare i beneficiari durante la vita del trust.

Esiste una normativa fiscale che riguarda tutti gli strumenti sin qui citati, abbastanza complessa, che non penso sia il caso di trattare in questa sede, anche perché non sono un fiscalista, ma che sarò ben lieto di estendere a coloro che me ne facessero richiesta.

La considerazione finale che mi permetto di fare è che, sempre, l’utilizzo di uno o più di questi strumenti deve essere fatto comprendendo quali sono le motivazioni reali che ci spingono a porre queste tutele e, sempre, avendo la visione d’insieme del patrimonio proprio e della famiglia, con l’ausilio di un consulente che non abbia niente da vendervi se non la propria professionalità.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Tutela del patrimonio: ecco il fondo patrimoniale

Il fondo patrimoniale è strettamente connesso alla famiglia: infatti, deve essere costituito per far fronte ai bisogni della famiglia e perde efficacia se la famiglia cessa di esistere (divorzio, morte di uno dei coniugi…). Deve essere costituito per atto pubblico da uno o entrambi i coniugi (o anche da un terzo, ma dev’essere accettato dai coniugi) e deve destinare uno o più beni, mobili o immobili (anche i diritti reali sugli stessi, come l’usufrutto o la nuda proprietà) e iscritti in pubblici registri, o titoli di credito e destinare i medesimi appunto ai bisogni della famiglia. Quindi non si può costituire se esiste una famiglia di fatto, in caso di separazione dei coniugi, se celibi o nubili o vedovi.

I beni conferiti nel fondo patrimoniale divengono inattaccabili dai creditori, sia per quanto riguarda un debito contratto dai coniugi esercitando l’attività d’impresa, sia per azioni di responsabilità civile e professionale riguardanti liberi professionisti, amministratori, sindaci e revisori.

La Corte di Cassazione, nel 1984, ha precisato che: “i bisogni familiari tutelati dal fondo patrimoniale non sono rappresentati esclusivamente dalle esigenze di prima necessità, ma ricomprendono anche quelle esigenze volte al mantenimento e all’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi”. Come sempre, c’è spazio ad interpretazioni diverse su ciò che è voluttuario o speculativo.

Non è possibile vendere i beni del fondo, a meno che non sia previsto nell’atto costitutivo, e se vi sono figli minori, è sempre necessaria l’autorizzazione del giudice.

L’aggredibilità da parte del fisco non è ammessa, secondo la Cassazione, perché il debito fiscale è considerato non in relazione con le  necessità famigliari, quindi in base all’articolo 170 c.c., il fondo appunto non è aggredibile.

Il credito fiscale non ha alcuna attinenza con i bisogni della famiglia, ma sorge automaticamente quando si verificano i presupposti che determinano la nascita di un’obbligazione tributaria. Ovviamente valgono le regole generali sulla revocatoria ordinaria e su quella fallimentare (atti che arrecano pregiudizio ai creditori nei due anni precedenti il fallimento e quindi privi di effetto), così come le regole sulla fraudolenza (è reato costituire il fondo per sottrarsi al pagamento di imposte o sanzioni).

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Tutela del patrimonio: il contratto fiduciario

Con il contratto fiduciario, la società fiduciaria assume l’amministrazione dei beni per conto terzi, l’organizzazione e la revisione contabile di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni e di obbligazioni (legge n.1966 del 23 11 1939). In pratica, nel negozio fiduciario, il fiduciante trasferisce al fiduciario la titolarità di un diritto, limitandone l’uso con accordo tra le parti, per realizzare uno scopo che il fiduciario si impegna a realizzare, per trasferire poi il diritto allo stesso fiduciario o a terzi. In parole povere, si incarica una società fiduciaria di agire per conto proprio ma in suo nome, non comparendo mai come “mandanti”.

Ad esempio, si può acquistare un’azienda, ma l’acquisto sarà siglato dalla fiduciaria. E’ uno strumento che serve a mantenere la privacy e la riservatezza, utilizzando una struttura riconosciuta e qualificata, nonché monitorata dall’autorità pubblica. E’ un filtro, ma non serve ad occultare nulla, perché se l’autorità chiede alla fiduciaria il nome del fiduciante, questa è obbligata a riferirlo, e inoltre le fiduciarie sono obbligate a rispettare la normativa antiriciclaggio. A cosa servono allora? A molte cose: sono innanzitutto un filtro, come già detto, e possono assumere funzione di trustee e protector, come vedremo parlando di trust, possono essere sia contraenti che beneficiari di polizze vita, possono gestire passaggi generazionali, possono intestarsi quote di società, di fondi, di obbligazioni, di titoli, di patrimoni.

Inoltre, la società fiduciaria è l’unico intermediario “abilitato alla compensazione delle plusvalenze e le minusvalenze di quote di società non azionarie” (per esempio le Srl) “e di redditi diversi derivanti da contratti di natura finanziaria” (come per esempio i finanziamenti e le polizze assicurative) con le plusvalenze e le minusvalenze generate da altri strumenti finanziari trattati in regime di risparmio amministrato”(art. 6 D.lgs. n. 461/1997).

Tutela del patrimonio: fondi pensione e polizze vita

I fondi pensione e le polizze vita che garanzie danno?

Partiamo dal fatto che le pensioni sono pignorabili per un quinto, pertanto anche i fondi pensione seguono la stessa sorte.

Il discorso sulle polizze è più complicato. Esse possono essere caso vita, caso morte o miste. Quelle caso vita, a scadenza, possono prevedere la restituzione del capitale più gli interessi oppure una rendita; quelle caso morte invece possono essere temporanee o a vita intera, infine le polizze miste possono avere entrambi gli elementi, caso vita e caso morte. Quindi ci sono numerose variabili possibili.

Ripararsi dai creditori con le polizze vita non dà garanzie: la prima sezione della Corte di Cassazione ha dato una lettura restrittiva all’articolo 1923, proprio con l’obiettivo di scoraggiare chi, mediante i versamenti in un prodotto assicurativo, cercasse un espediente giuridico in tal senso. La sentenza riguarda i riscatti effettuati prima che l’evento oggetto di contratto si sia realizzato.

Le somme ricevute come riscatti anticipati da parte della compagnia a favore dell’assicurato o di chi risulta legittimato a riceverle possono dunque essere aggredite dai creditori e confluire nel fallimento.

In pratica, l’impignorabilità e la non sequestrabilità delle polizze miste, caso vita e morte, index e unit linked, sono diritti inviolabili se vengono portati a termine i contratti fino al verificarsi dell’evento assicurato, altrimenti se si effettua un disinvestimento anticipato, si presuppone che siano stati sottoscritti solamente con la chiara intenzione di eludere i creditori.

Anche un’altra sentenza della Corte di Cassazione del 2008 stabilisce che solo il fine previdenziale impedisce sequestro e pignoramento della polizza. Il problema è capire esattamente cosa si intende con fine previdenziale. Ad esempio, le polizze caso vita hanno fine previdenziale? Nessuno lo ha detto chiaramente, lasciando spazio ad interpretazioni e dubbi.

E i prodotti di capitalizzazione, come index e unit? Il tribunale di Parma nel 2010, a proposito delle polizze unit e index, ha stabilito che le polizze di tipo finanziario non hanno nessun fine previdenziale e quindi sono pignorabili. Tuttavia, per avere un minimo di certezza giuridica, sarà necessario attendere una nuova sentenza chiarificatrice della Corte di Cassazione.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis