In Veneto si parla di aziende ed e-commerce

Si è tenuto il 20 ottobre scorso, nella sede di H Farm SpA, a Roncade (Treviso) un interessante incontro dal titolo E- Commerce di successo: istruzioni per l’uso. Parterre d’eccezione, con Riccardo Donadon, di H FARM SpA, Giuseppe Baiardo, di Technologies for the future of the shoes, Laura Dotto, di Hausbrandt Trieste 1892 SpA, Luca Ghilardi, di Locatelli SpA – Airoh e Matteo Zoppas, Presidente di Confindustria Venezia, Area territoriale di Venezia e Rovigo.

Il convegno, che ha visto in platea oltre 250 imprenditori, ha fatto il punto sul fenomeno e-commerce in Italia, un fenomeno in crescita, come dimostrano gli ultimi dati dell’Osservatorio E-Commerce B2c in Italia del Politecnico di Milano e Netcomm.

Nel 2016, il valore degli acquisti online degli italiani fa segnare un +18%, per un giro d’affari che sfiora i 20 miliardi di euro, tra prodotti (9 miliardi) e servizi (10,6 miliardi). Il turismo si conferma il primo comparto nell’ e-commerce, con una quota del 44% e una crescita del 10%.

Seguono l’elettronica di consumo, che vale il 15% e cresce del 28%, e l’abbigliamento, che vale il 10% e cresce del 27%. Si rivela sempre più importante il contributo dei settori emergenti dell’ e-commerce (cibo, arredamento, beauty, giocattoli), che insieme valgono oltre 1,5 miliardi di euro e crescono con tassi compresi tra il 30% e il 50%.

Ora tocca alle aziende interpretare e cavalcare il fenomeno e-commerce, in modo che non sia un ulteriore treno perso in un periodo nel quale la ripresa continua a essere una parola sulla carta più che una vera realtà.

Il futuro del commercio corre sempre su più sul filo della rete – ha spiegato Matteo Zoppas -. Per le aziende del nostro territorio, con l’ e-commerce si aprono delle grandi opportunità sia in termini di sviluppo sia di tutela dei brand. Soprattutto quando l’espansione del mercato con i metodi tradizionali richiede investimenti cospicui, queste soluzioni consentono di ampliare i propri mercati con investimenti contenuti. Auspico che nell’imprenditoria locale si crei una maggiore cultura che consenta un più facile approccio e un maggiore utilizzo di questi strumenti ideali, anche per quelle imprese che non hanno le risorse per crearsi una rete di distribuzione fisica all’estera. Se ci poniamo come obiettivo per uscire dalla crisi l’internazionalizzazione, l’ e-commerce ne è il passe-partout. Questo è lo strumento più efficace per arrivare nei nuovi mercati e rafforzarsi in quelli già presenti“.

Accordo BPER Banca – Amazon

BPER Banca ha sottoscritto il programma di affiliazione di Amazon, leader mondiale delle vendite online. È una delle prime alleanze che il colosso americano dell’e-commerce stringe con un istituto di credito nazionale per promuovere e incentivare la vendita dei propri prodotti.

Attraverso Smart Web, il servizio di Internet Banking di BPER Banca, il cliente della banca può accedere a una nuova sezione denominata Amazon per me, una pagina ad hoc che ospita una vetrina di articoli selezionati. Con un clic ha l’opportunità di scegliere la categoria di proprio interesse e di perfezionare l’acquisto direttamente sul sito di Amazon.

L’utente Smart Web ha attualmente la possibilità di essere aggiornato in tempo reale su quali sono i prodotti più venduti delle ultime ore. Sarà successivamente introdotta una nuova funzione che consentirà di monitorare le offerte più vantaggiose.

Investire nell’innovazione è da qualche anno un punto fermo nei nostri programmi di sviluppo – ha sottolineato Pierpio Cerfogli, Vice Direttore Generale di BPER Banca -. Con questa nuova offerta, che utilizza le potenzialità della piattaforma Smart Web, forniamo un servizio distintivo in un ambito in continua ascesa come l’ecommerce, mettendo a disposizione di ciascun cliente una pagina dedicata e personalizzata in base alle esigenze”.

Gli ha fatto eco il responsabile del Servizio Canali Diretti e Innovazione Commerciale di BPER Banca, Diego Rossi: “E’ il primo passo di un percorso evolutivo con il quale BPER Banca vuole rivolgersi sia ai clienti tradizionali, sia a quelli orientati a utilizzare le più diffuse tecnologie digitali. Questo percorso si estenderà in futuro con l’attivazione di ulteriori soluzioni per soddisfare le varie esigenze”.

eBay fa ricca la Campania

La Campania è il paradiso dei milionari digitali italiani. O meglio, dei venditori professionali online che, grazie all’utilizzo della piattaforma di eBay, lo scorso anno hanno superato 1 milione di dollari di fatturato.

Il risultato emerge da una classifica elaborata da eBay e diffusa attraverso una nota stampa. che rileva come, in Italia, le province di Napoli, Caserta e Salerno fanno guadagnare alla Campania ben il 30% dei venditori milionari. In questa speciale graduatoria, la provincia di Napoli è al primo posto.

La Campania è comunque in buona compagnia, poiché l’analisi di eBay dimostra come, in anni di crisi ancora difficile, il commercio elettronico in Italia è costantemente cresciuto. Solo tra il 2014 e il 2015, il dato aggregato dei milionari su eBay è aumentato del 19%, mentre dal 2010 al 2015 è quintuplicato. Le statistiche del colosso Usa dell’e-commerce dimostrano che, a trainare la crescita sono le categorie Elettronica di consumo, Ricambi Auto e Moto, Casa e Arredamento e Abbigliamento.

Così il General Manager di eBay Italia, Claudio Raimondi: “Siamo molto orgogliosi di questo traguardo raggiunto dai nostri venditori e particolarmente felici che, ancora una volta, eBay si dimostri un acceleratore di business che consente di superare le tradizionali barriere geografiche. Il fatto che a guidare questa classifica sia la Campania non ci stupisce visti i dati del nostro Policy Lab dello scorso anno, che la vedevano guidare anche la classifica per “densità digitale” delle regioni italiane. Il nostro augurio e al contempo il nostro impegno è quello che tutti i venditori, campani e del resto d’Italia, riescano a liberare a pieno il proprio potenziale imprenditoriale grazie alle risorse offerte dal digitale”.

L’ e-commerce è donna

Le donne sono i più potenti decisori d’acquisto che esistano e sono in grado di determinare non solo le sorti di un prodotto, ma anche di interi trend economici, come per esempio l’ e-commerce.

Una prova in questo senso arriva da uno studio americano, Marketing to Women 2016, realizzato dai riceratori di Fluent sulla base delle abitudini di acquisto di 1500 donne americane altamente digitalizzate e in confidenza con e-commerce e dintorni.

Stando ai risultati della ricerca, il 72% delle donne che ha autorizzato la ricezione di informazioni commerciali via mobile, il 71% di quelle che seguono determinati brand sulle loro pagine istituzionali sui social media e il 53% delle donne iscritte a newsletter informative su prodotti di vario genere, affermano di essere molto propense all’acquisto tramite e-commerce.

Il fatto che queste donne digitali “ingaggiate” abbiano un’attitudine positiva nei confronti dell’ e-commerce è dato dal raffronto con le donne e gli altri media diversi da internet. Solo il 41% di loro è spinta all’acquisto da quanto visto in televisione, il 35% di riceve messaggi dalla carta stampata e solo il 26% di chi segue cartellonistica e radio.

Dallo studio emerge anche una conferma di quanto abbiamo scritto qualche giorno fa: il crescente peso del cosiddetto m-commerce, ossia l’acquisto online tramite dispositivi mobile, sul totale dell’ e-commerce. Con ampi margini di miglioramento. Se, infatti, più del 55% del campione sostiene di avere sul proprio smartphone una o più app per lo shopping, ben il 76% di queste donne le utilizza non per acquisti ma per visualizzare prodotti e confrontare le offerte.

Naturalmente giocano un ruolo chiave in questo processo i social network, Facebook in primis: il 77% delle intervistate lo ritiene il canale principale per informarsi su brand, sconti e offerte. In questo modo, l’offerta social completa in un certo senso il panorama digital che spinge le donne all’ e-commerce, ma il loro potere potrà diventare davvero importante se riusciranno a rinforzare il ruolo e la funzione del digital marketing in modo da rendere le offerte e la comunicazione dell’acquisto sempre più un’esperienza unica e personalizzata sulle aspettative della cliente.

Non a caso, rilevano i ricercatori di Fluent, le donne costituiscono da sole l’85% della spesa consumer, per un giro d’affari di settemila miliardi di dollari. Intercettarne i gusti e le abitudini di consumo indirizzandole verso l’ e-commerce è una sfida che può portare benefici planetari.

E-commerce, quali gli aspetti da curare?

Durante l’ E-commerce Netcomm Forum, che si è tenuto a Milano la scorsa settimana, sono usciti parecchi numeri e tendenze interessanti sul commercio elettronico in Italia. Questo grazie ai diversi studi e alle analisi presentate durante i lavori.

Una di queste analisi sull’ e-commerce, che ha dato parecchi spunti di riflessione ai presenti, è stata il Customer feedback insights curato da Zoorate, società focalizzata sul social commerce, creatrice della piattaforma Feedaty, che raccoglie, gestisce e analizza le recensioni di quanti effettuano acquisiti attraverso l’ e-commerce.

Ebbene, dall’analisi della piattaforma di Zoorate emerge il ruolo sempre più determinante della logistica e della spedizione all’interno del mondo dell’ e-commerce. Un ruolo chiave sul quale converge la maggior parte dell’oltre milione di feedback analizzati da Feedaty relativo a 34 shop online di 12 settori merceologici.

I risultati dell’analisi dicono che il 57% delle recensioni positive dopo un acquisto tramite e-commerce è stato generato dal fatto che i tempi e le modalità di consegna, oltre alla puntualità degli orari, sono stati pienamente rispettati. Al contrario, il non rispetto di questi parametri ha portato a un 39% di feedback negativi.

Vi sono settori merceologici per i quali l’analisi di Zoorate ha mostrato una maggiore sensibilità dei clienti verso le tempistiche e le modalità di consegna che, se non rispettate, hanno portato a feedback negativi: si tratta di farmaci (78% di feedback negativi), prodotti per l’infanzia (75%), prodotti per animali (67%).

Interessanti anche le dinamiche del risparmio rispetto alla qualità delle recensioni quando si acquista tramite e-commerce. Il 27% dei feedback positivi è stato generato dal risparmio rispetto all’acquisto in un negozio fisico, specialmente nel caso dell’acquisto di servizi (50%), di prodotti beauty (41%) o di articoli e abbigliamento sportivi (41%).

Infine, punto cruciale, spesso croce e delizia dell’ e-commerce, è il servizio post vendita. Il 32% di chi ha avuto un ottimo servizio post vendita ha lasciato un feedback positivo, e il 29% di chi è rimasto deluso ha lasciato una recensione negativa. I settori più sensibili in questo senso sono quelli dei servizi, dell’arredamento e home decor, dell’elettronica di consumo.

Insomma se l’ e-commerce è un treno da non perdere e agganciarlo non è poi così facile come sembra, una volta a bordo le difficoltà non finiscono: o si è in grado di offrire non solo prodotti ma anche servizi e logistica all’altezza, oppure tutti gli sforzi rischiano di restare vani.

Pmi europee e e-commerce

Se le aziende italiane scontano un certo ritardo nell’approccio all’ e-commerce, ci sono anche altri Paesi europei che non sono degli esempi virtuosi, almeno stando a quanto emerge dall’ultimo report della Commissione Europea Integration of Digital Technology, elaborato su dati Eurostat.

Dal report emerge che nell’Ue a 28 solo un’azienda su 5 è altamente digitalizzata e pronta alla sfida dell’ e-commerce, con l’Irlanda a fare da capofila con il 50% circa delle imprese altamente digitalizzate, la Grecia e la Bulgaria a chiudere la classifica con una impresa su 9 e l’Italia attestata in una poco lusinghiera 21esima posizione. Al top della graduatoria, insieme all’Irlanda, vi sono Danimarca, Svezia, Belgio, Finlandia, Olanda e Germania.

Sul fronte dell’ e-commerce, però, la crescita dell’intera Ue è piuttosto lenta. Sempre secondo i dati del rapporto della Commissione Ue, solo il 16,8% delle aziende europee vende prodotti e servizi online e il tasso di crescita dell’ e-commerce negli ultimi anni non è di certo stato entusiasmante: +3,5% tra il 2010 e il 2015. L’Italia è sotto la media, avendo meno del 15% di aziende che praticano e-commerce.

Un dato, quest’ultimo, da valutare con attenzione specialmente in un Paese come il nostro, la cui spina dorsale produttiva è composta da Pmi. In Europa, solo il 7,5% di loro ha attivo un e-commerce, contro il 23% delle grandi aziende; dato che scende al 5,5% per l’Italia. Preoccupante.

Il report della Commissione Ue prova anche a dare delle risposte al perché di questa particolare situazione che vede una certa diffidenza delle Pmi nei confronti dello strumento e-commerce. In particolare, le Pmi europee e in parte quelle italiane ritengono di vendere prodotti o servizi non adatti all’online; altre pensano che gli investimenti per attivare un e-commerce siano troppo ingenti in rapporto al ritorno economico atteso. Non manca poi chi non dispone di una logistica adeguata, di una piattaforma di pagamento performante o teme per la sicurezza e la protezione dei propri dati.

Insomma, pare che i vincoli a una diffusione capillare del commercio elettronico tra le piccole e medie imprese europee siano più psicologici che pratici. Forse i più difficili da superare…

E-commerce e vino: si può fare, ma…

Abbiamo visto nei giorni scorsi come in Italia l’ e-commerce, nonostante un trend di crescita incoraggiante, sconti ancora un ritardo importante rispetto ai Paesi europei a lei più vicini, per non parlare dei colossi extra Ue. Abbiamo visto anche come questo ritardo è tanto più colpevole quanto più, come Italia, abbiamo eccellenze uniche da offrire ai mercati di tutto il mondo attraverso l’ e-commerce.

Una di queste eccellenze è il vino, il cui e-commerce, in Italia, è ben poco sviluppato. Una situazione che è ancora più incresciosa quando si leggono notizie come quelle della nascita di eBay Wine, una sezione del colosso mondiale dell’ e-commerce completamente dedicata al vino, con attualmente 10mila vini provenienti da 30 Paesi e oltre 500 regioni, anche italiane.

Ovvio che non si può competere con la potenza tecnologica e di marketing di eBay, ma perché devono arrivare prima gli americani su un business del genere, potendo contare su soldi e tecnologia e non su una vera cultura enologica? Eppure, che l’ e-commerce del vino sia un business potenzialmente infinito per l’Italia, non pare un concetto difficile da intendere. Forse solo da mettere in pratica.

Fatto sta che, nonostante restiamo il terzo Paese al mondo per consumo pro-capite di vino, la vendita online ancora non decolla, a dispetto dei progressi fatti dall’ e-commerce B2C negli ultimi anni.

Stando ai dati dell’Osservatorio e-Commerce B2C del Politecnico di Milano, in Italia la penetrazione dell’online sulla vendita totale di vino al consumatore finale è una tra le più basse al mondo, pari a circa lo 0,2% del mercato totale, per un controvalore di 24 milioni di euro. Un ritardo causato anche dal fatto che uno dei settori dell’ e-commerce meno sviluppati nel nostro Paese è quello del food, che totalizza solo il 2% delle vendite online.

In realtà non è difficile comprendere i perché di questi numeri, che sono molteplici e variegati. Al di la della antica diffidenza degli italiani verso l’ e-commerce, che va comunque via via attenuandosi, c’è da constatare che nel nostro Paese la commercializzazione del vino attraverso enoteche o GDO è talmente capillare che il consumatore finale ha meno difficoltà ad acquistarlo fisicamente anziché ordinarlo online.

Il problema, però, non è tanto stimolare il mercato interno del vino attraverso le vendite online, quanto aprire piattaforme di e-commerce che, dalle singole cantine o dai produttori locali, possano far viaggiare in tutto il mondo le loro pregiate bottiglie. Certo non è facile. Ci vogliono investimenti in tecnologia, in promozione e una logistica che funzioni come un orologio. In cambio, però, l’opportunità di avere il mondo come vetrina per la propria eccellenza italiana può contribuire a ripagare l’investimento anche in breve tempo. È l’ e-commerce, bellezza. Anche per il vino.

L’ e-commerce corre veloce. E l’Italia?

A che punto è l’ e-commerce in Italia? E come sono messe le imprese italiane su questo fronte? Sono solo alcuni quesiti ai quali prova a rispondere con le proprie analisi il Consorzio Netcomm dell’Osservatorio del Politecnico di Milano. E si tratta di risposte in chiaroscuro.

Intanto, secondo Netcomm nel 2016 l’ e-commerce in Italia arriverà a 19,3 miliardi in Italia, con una crescita del 140% in 6 anni, dagli 8 miliardi del 2010 e del 17% rispetto allo scorso anno (+17%).

Sono numeri figli di un’utenza dell’ e-commerce che, al momento, e di circa 20 milioni di persone (18,8) sui circa 30 che utilizzano regolarmente internet. Si tratta di circa il doppio rispetto a 5 anni fa, con un tasso di penetrazione del 61%. Se si pensa che, nel 2014, era al di sotto del 50%, si può ben intuire come, in Italia, l’ e-commerce ha finalmente cominciato a darsi una svegliata.

Questo sotto il profilo di chi acquista. Ma come è messo chi vende, o chi potrebbe vendere? Non benissimo, perché secondo Netcomm il giro d’affari del commercio elettronico in Italia potrebbe anche raddoppiare se, da noi, non ci fossero solo 40mila aziende che vendono online.

Ottimi quindi i margini di crescita, specialmente se si considera che la stima delle esportazioni di beni e servizi attraverso l’ e-commerce parlano di 3,5 miliardi, il 42% dei quali in ambito turistico e il 38% per l’abbigliamento e la moda.

Per quanto riguarda i beni acquistati tramite e-commerce dagli italiani, svettano i servizi turistici (8,5 miliardi), seguiti da elettronica e informatica (2,8 miliardi), prodotti vari (giocattoli, beauty…, 2,2 miliardi), abbigliamento e moda (1,8 miliardi), assicurazioni (1,3 miliardi), altri servizi (0,8 miliardi), food (0,5 miliardi).

Buono anche il trend degli acquisti attraverso e-commerce in mobilità. Quasi un quarto dei volumi (24%) avviene tramite smartphone (15%) e tablet (9%), con un giro d’affari che, per il solo smartphone, vale quasi 3 miliardi 2,8.

Il treno dell’ e-commerce corre veloce e, per le aziende italiane, perderlo e perdere così un mercato vastissimo di potenziali clienti sarebbe da irresponsabili, specialmente in un periodo nel quale il mercato interno è ancora in sofferenza.

A Roma un evento per parlare di impresa e digitale

UniCredit ha organizzato a Roma una giornata per parlare di produttività aziendale, e-commerce, interazione con la Pa, turismo e formazione di competenze.

Il digitale, infatti, non è solo un nuovo canale di comunicazione, ma una nuova lingua con cui ripensare l’economia, il sociale, la vita delle persone. E la cosiddetta “digital life” è una realtà che oggi impone cambiamento e innovazione continui: un percorso ineludibile che però in Italia stenta ancora a decollare.

Per meglio approfondire le problematiche connesse alla digitalizzazione delle attività ed esplorare possibili sinergie e partnership con i propri interlocutori privati e pubblici, UniCredit ha dedicato il Forum dei Territori 2016 del Centro Italia al tema “Digitalizzare per crescere, competere e migliorare la qualità della vita”.

Il Forum è stato un momento di confronto propositivo tra management e qualificati protagonisti della vita economica del territorio su diversi temi nei quali il Gruppo ha realizzato specifici prodotti e soluzioni, nella convinzione che digitale è sinonimo di efficienza, trasparenza, crescita. Ma soprattutto che è la porta per il futuro del Paese.

I lavori si sono tenuti su cinque tavoli tematici differenti ai quali hanno preso parte manager, imprenditori e stakeholders del territorio. Nello specifico si è parlato di “Digitalizzazione e produttività aziendale”, “Il retail nell’era digitale”, “Pa Digitale”, “Viaggiatori digitali”, “Accompagnare il Paese sul digitale”.

La giornata si è chiusa con un momento di sintesi di quanto discusso nei vari tavoli con Gabriele Piccini, Country Chairman Italy, ed Enrico Giovannini, professore ordinario di Statistica Economica Università di Tor Vergata e presidente del Consiglio di Territorio Centro di UniCredit, oltre alle conclusioni di Federico Ghizzoni, ad del Gruppo.

Tecnologie digitali per la sopravvivenza delle Pmi

Che la via delle tecnologie digitali per la sopravvivenza delle Pmi italiane sia una delle poche praticabili, è un dato di fatto testimoniato anche da alcuni studi e ricerche. Una di queste, promossa da Sap a livello globale e realizzata da Idc, ha rilevato come le piccole e medie imprese che hanno adottato al loro interno le tecnologie digitali hanno una crescita più rapida rispetto a quelle che non le hanno implementate.

Secondo lo studio di Sap, più del 39% delle Pmi mondiali ritiene che “la partecipazione attiva nella digital economy è fondamentale per la propria sopravvivenza nei prossimi 3-5 anni”. Un trend di crescita favorito dalle tecnologie digitali che mostra come le imprese che durante l’ultimo anno hanno fatto segnare un fatturato in crescita del 10% – oltre il 45% di quelle intervistate, con un numero di dipendenti tra i 500 e i 999 – hanno “adottato tecnologie innovative per connettere persone, dispositivi e la rete di clienti e partner”.

Lo studio di Sap ha anche messo in luce come il 50,6% di queste aziende impieghi software collaborativi, la tecnologia più usata dal campione intervistato. Seguono tecnologie digitali legate alle soluzioni di Crm (38%) e di business analytics (37%). Inoltre, una significativa percentuale di aziende intervistate ( 52,5% -60,2%) ritiene che le “nuove tecnologie digitali hanno consentito di migliorare il flusso di lavoro, di semplificare le operazioni e aumentare la produttività”.

Non mancano però casi di scarsa attitudine alle tecnologie digitali, anche in aree geografiche apparentemente insospettabili, come dimostra il fatto che il 24,7% delle Pmi nordamericane che sostiene di aver fatto “poco o nulla” per intraprendere la propria trasformazione digitale.

Un altro aspetto interessante emerso dallo studio è la preoccupazione che alcune aziende hanno della ricaduta dell’uso delle tecnologie digitali sulla vita dei propri dipendenti. In questo senso, una percentuale variabile tra il 30,4% e il 36,6% delle Pmi intervistate sostiene che “le relazioni personali tra i dipendenti non sono state rafforzate dall’adozione della tecnologia”, mentre il 35% – 45% delle aziende ha risposto di essere “preoccupato di dover fare troppo affidamento sui dati per prendere decisioni di business efficaci”.