Riforma fiscale, addio Tobin tax, Superbollo e aumento deducibilità fondo pensione

Tempi stretti per la riforma fiscale, entro il 26 maggio devono essere presentati gli emendamenti e sono già molte le ipotesi a cui si sta lavorando, tra queste l’eliminazione della Tobin tax che si aggiunge all’annunciata abolizione del Superbollo. Sono però allo studio anche ulteriori ipotesi. Ecco quali.

Riforma Irpef e addio alla Tobin tax, a che punto siamo con la riforma fiscale?

L’obiettivo dichiarato dal vice-ministro Maurizio Leo è quello di approvare la riforma fiscale entro la pausa estiva. I lavori procedono in modo piuttosto celere.

Alla base della riforma fiscale c’è la nuova distribuzione delle aliquote Irpef, tra le ipotesi allo studio vi è la riduzione dell’Ires, imposta sul reddito delle società.

Prende quota l’ipotesi di ridurre o addirittura eliminare la Tobin tax, si tratta della tassa sulle transazioni finanziarie introdotta in Italia con la legge di stabilità 2013. La Tobin Tax si applica applica ai trasferimenti di proprietà di azioni e altri strumenti finanziari partecipativi, alle operazioni su strumenti finanziari derivati e altri valori mobiliari, e alle operazioni “ad alta frequenza”

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Allo studio ci sono tre ipotesi, cioè la cancellazione dell’imposta, l’esenzione per le transazioni fuori dai mercati regolamentati (Otc) o, infine, l’allargamento dell’esenzione alle quotate con capitalizzazione fino a 1 miliardo di euro.

Dovrebbe invece sparire il Superbollo che attualmente si applica alle auto di grossa cilindrata con una potenza superiore ai 185 kW. Il superbollo prevede il pagamento di 20 euro per ogni kW sopra i 185 kW.

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Nuovi vantaggi fiscali per i fondi pensione

Tra gli emendamenti che dovrebbero essere presentati vi è anche l’aumento della deducibilità del fondo pensione. I fondi pensione sono strumenti di investimento incentivati dallo Stato perché il loro obiettivo è fare in modo che la riduzione dell’assegno pensionistico determinato dalla riforma che ha portato al superamento del sistema retributivo, sia colmata da fondi pensionistici complementari. Attualmente la deduzione ha un limite massimo di 5.164,57 euro all’anno.

Leggi anche: Fondo pensione: quanto si risparmia con la deduzione?

Sono, infine, allo studio forme di detassazione per i privati che contribuiscono alla patrimonializzazione delle imprese.

Ricordiamo che perplessità sulla riforma fiscale sono state espresse da Bankitalia e ha criticato in particolare l’ipotesi di una flat tax per tredicesime e per incrementi di reddito. A rischio la coperture delle spese a causa della riduzione delel entrate fiscali.

 

Deduzione Irpef per la previdenza complementare, vantaggi e limiti

Continuiamo la disamina degli strumenti che possono consentire un risparmio sull’Irpef parlando delle deduzioni per i versamenti in favore della previdenza complementare.

Previdenza complementare: perché viene agevolato l’accesso ad essa?

Le varie riforme del sistema pensionistico adottate dall’Italia hanno portato nel tempo a una vistosa riduzione dell’assegno di pensione che si può maturare. Proprio per questo il legislatore auspica un sempre più frequente uso della previdenza complementare in modo da integrare l’assegno pensionistico maturato e mantenere l’autosufficienza economica anche dopo aver cessato il lavoro. Tra i sistemi adottati per incentivare il ricorso a forme di previdenza complementare vi sono le deduzioni Irpef.

L’articolo 10 comma 1 lettera e-bis del TUIR stabilisce che sono deducibili ai fini Irpef gli importi versati alle forme pensionistiche complementari. Ricordiamo che la deduzione agisce sulla base imponibile. Sono quindi determinati prima i redditi imponibili, poi alla loro somma sono sottratti gli oneri deducibili. Si ottiene quindi la nuova base imponibile su cui viene calcolata l’imposta. Di conseguenza è come se tali somme non fossero entrate nella disponibilità del contribuente.

Quali sono i fondi complementari che consentono di avere la deduzione Irpef?

In primo luogo è bene chiarire quali sono i fondi complementari che possono accedere alla deduzione. Si tratta di:

  • Fondi pensione negoziali anche denominati fondi chiusi ( si può aderire entro un lasso di tempo):
  • fondi pensione aperti ( si può aderire in qualunque momento):
  • contratti di assicurazione sulla vita con finalità previdenziali.

I fondi previdenziali che danno luogo all’agevolazione fiscale possono essere individuali, quindi stipulati dal singolo soggetto, oppure collettivi, ad esempio quelli organizzati per una categoria di lavoratori ( metalmeccanici) a cui i singoli lavoratori possono aderire o meno.

Chi può aderire a forme di previdenza complementare?

Possono aderire alle forme di previdenza complementare i lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato. Inoltre possono accedere anche i lavoratori con contratto:

  • di somministrazione;
  • intermittente;
  • ripartito;
  • part time;
  • apprendistato;
  • occasionale;
  • lavoratori a progetto;
  • infine, possono aderire i soci lavoratori di cooperative.

Le forme pensionistiche complementari prevedono la costruzione di una pensione ulteriore rispetto a quella maturata con i contributi versati, attraverso dei versamenti volontari. Al momento dell’accesso al fondo viene aperta una posizione alimentata dai fondi versati e dagli interessi che derivano dagli investimenti eseguiti dal gestore dei fondi. I lavoratori possono alimentare il fondo anche attraverso la devoluzione al fondo stesso del TFR maturato. Non è obbligatorio versare il TFR nel fondo di previdenza complementare, ma se lo si fa, lo stesso non contribuisce a raggiungere la soglia massiam di deduzione che a breve vedremo.

In base alla normativa i lavoratori sono liberi di versare le somme che desiderano in tali fondi. Nel caso in cui aderiscano a fondi collettivi, ad esempio quelli di categoria, i contratti e gli accordi collettivi possono stabilire una contribuzione minima all’alimentazione del fondo. La misura minima può essere fissa oppure può variare in base alla categoria dei lavoratori.

Misura della deduzione Irpef per fondi di previdenza complementare

E’ possibile dedurre dall’imponibile i contributi versati nei fondi pensione che abbiamo visto in misura massima di 5.164,57 euro, quindi è possibile ridurre la base imponibile del relativo importo.

I versamenti superiori contribuiscono ad alimentare il fondo pensione, possono dar luogo a rendimenti maggiori ma non possono essere portati in deduzione al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi e quindi non contribuiscono a ridurre l’Irpef.

Le regole sulla deduzione Irpef per i fondi di previdenza complementare sono in parte diverse per i lavoratori del settore pubblico, infatti per loro la misura massima della quale è possibile avvalersi del vantaggio fiscale è riconosciuta nel minore importo tra il 12% della retribuzione e 5.164,57 euro.

Il risparmio che si può ottenere dipende da diversi fattori, tra cui lo scaglione Irpef nel quale si rientra e gli importi che sono versati al fondo di previdenza complementare. Maggiore è l’aliquota applicata e maggiore è il risparmio di imposta che si può ottenere. Naturalmente nel caso in cui un soggetto sia incapiente e quindi non debba versare l’Irpef, ad esempio se si colloca nella No Tax Area identificata in 8.500 euro, oppure possa far valere altre deduzione e altre detrazioni che vanno ad azzerare gli importi dovuti, il risparmio non matura. In ogni caso avere una forma di previdenza complementare aiuta ad avere un importo pensionistico mensile futuro maggiore.

Altri vantaggi fiscali dell’adesione a un fondo di previdenza complementare

A questo punto è bene ricordare che i vantaggi fiscali derivanti dall’adesione a una forma di previdenza complementare non finiscono qui. La quota di rendita pensionistica, o di capitale, che deriva dai contributi non dedotti fiscalmente è esente dalle imposte. Per poter accedere a tale diritto il contribuente entro il 31 dicembre di ogni anno successivo rispetto a quello in cui ha maturato il beneficio deve comunicare alla forma pensionistica le quote di versamenti per i quali non accede ai benefici fiscali. Ad esempio, per i versamenti dell’anno 2021, entro il 31 dicembre 2022 deve comunicare al gestore del fondo le quote dei versamenti per i quali non ha usufruito delle deduzioni.

Deve essere, infine, sottolineato un ultimo aspetto: è possibile portare in deduzione anche i versamenti alle forme di previdenza complementare effettuati in favore di un proprio familiare fiscalmente a carico. Ad esempio se il coniuge nell’arco dell’anno matura redditi bassi che quindi lo portano ad essere a carico dell’altro coniuge, lo stesso può dedurre versamenti ai fondi pensione dedicati al coniuge con reddito basso.

Ultime informazioni

I contributi versati alle forme di previdenza complementare devono essere indicati nella dichiarazione 730 nel quadro RP.

I rendimenti dei fondi pensione sono però tassati, ma godono di una tassazione agevolata. I rendimenti sono gli incrementi di valore determinati dagli investimenti effettuati dal gestore del fondo. Gli stessi sono tassati al 20% , a differenza dell’aliquota solitamente applicata per i rendimenti finanziari che solitamente è al 26%. Nel caso in cui il fondo preveda investimenti in titoli di Stato, i rendimenti da questi generati sono tassati al 12,5%.

Per maggiore comodità inseriamo gli approfondimenti sulle altre deduzioni e detrazioni che si possono  fare valere in sede di dichiarazione dei redditi.

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Pensione integrativa anche ai professionisti e lavoratori autonomi da aprile 2022

In arrivo le pensioni integrative anche ai liberi professionisti e ai lavoratori autonomi. La sottoscrizione alla previdenza complementare sarà possibile a partire dal mese di aprile 2022. La decisione è stata presa dalla Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip) sulla possibilità di accesso, per le partite Iva, all’integrazione della previdenza complementare con Fon.te. Si tratta di un fondo pensione già attivo a favore dei dipendenti delle imprese del settore terziario.

Previdenza complementare, per la pensione integrativa dei professionisti e partite Iva c’è Fon.te

Il fondo pensione Fon.te nei giorni scorsi ha diffuso la comunicazione della possibilità di adesione alla pensione complementare anche per i liberi professionisti e i lavoratori autonomi. Nell’informativa si legge che “Fon.Te, il Fondo pensione complementare per i dipendente da aziende del terziario, estende la platea a tutti i liberi professionisti e lavoratori autonomi che si trovano a lavorare nei settori di interesse del Fondo. A partire da aprile 2022, grazie all’approvazione della Commissione di Vigilanza sui Fondi pensione (Covip), i commercianti potranno integrare la propria pensione aderendo a Fon.te, il terzo fondo negoziale italiano per numero di iscritti”.

Fondo pensione, i vantaggi dell’adesione con obiettivo la previdenza complementare

L’adesione alla previdenza complementare comporta il vantaggio di poter costruire una pensione futura aggiuntiva. L’obiettivo è quello di di incrementare, in modo significativo, il livello delle prestazioni pensionistiche, una volta usciti dal mondo del lavoro. Dai dati del fondo pensione, l’adesione dei lavoratori del settore terziario alla termine del 2021 era in numero di 9.745 milioni. Nello scorso anno il fondo pensione ha aumentato il numero di iscritti di oltre 400 mila aderenti rispetto al 2020. Le risorse destinate ai trattamenti previdenziali a fine 2021 ammontavano a 212.6 miliardi di euro, in crescita di circa 15 miliardi rispetto al 2020. In aumento, nello scorso anno, anche gli incassi dei contributi da fondi negoziali, Pip e fondi pensione aperti. In tutto, gli aumenti sono stati di 13,3 miliardi di euro, circa 900 milioni in più rispetto al 2020.

Fondi pensione, come aderire alla previdenza complementare?

Per aderire al fondo pensione Fon.te. si può procedere in maniera esplicita o tacitamente. L’adesione esplicita comporta la consegna al dipendente della parte I della Nota Informativa (“Le informazioni chiave per l’aderente”) e l’Appendice informativa sulla sostenibilità. Dopo averne preso visione, l’aderente dovrà procedere con la compilazione del Modulo di adesione. L’adesione tacita si realizza quando il dipendente, dopo 6 mesi dall’assunzione, non abbia manifestato alcuna volontà in merito alla destinazione del Trattamento di fine rapporto maturato.

Come si aderisce a un fondo pensione versando il Trattamento di fine rapporto e un contributo aggiuntivo?

In attesa di maggiori indicazioni dal fondo pensione per l’adesione alla previdenza complementare ai liberi professionisti e ai lavoratori autonomi, è necessario specificare che se il lavoratore abbia già scelto di destinare il Trattamento di fine rapporto (Tfr) al fondo pensione è necessario compilare il Modulo di adesione. Il documento contiene una prima parte di dati anagrafici; l’indicazione se si aderisce a un altro fondo pensione da indicare; la scelta del comparto di investimento; la modalità di adesione.

Modalità di adesione al fondo pensione: come procedere con il versamento del Tfr?

Per quest’ultimo punto, si può chiedere di aderire con il solo versamento del Trattamento di fine rapporto (Tfr); oppure oltre al Tfr, si può contribuire con un versamento minimo a carico del lavoratore stabilito da contratto. Quest’ultimo dà diritto al contributo da parte del datore di lavoro. Infine si può aderire versando, oltre al Trattamento di fine rapporto, anche un contributo diverso dal minimo stabilito dal contratto, nella percentuale desiderata dal sottoscrivente.

Pensioni integrative, vantaggi e rischi dell’adesione al fondo previdenziale

Le pensioni integrative, oltre a rappresentare una soluzione per mantenere il tenore di vita che si ha durante gli anni di lavoro, rappresentano anche un’opportunità di risparmio e di differenti vantaggi. Infatti, in vista di mantenere un livello di reddito simile a quello che si ha durante lo svolgimento del lavoro, la previdenza complementare va a integrare la futura pensione obbligatoria. Ma, durante gli anni in cui si effettuano i versamenti al fondo pensione, è possibile ottenere dei contributi dal proprio datore laddove sia previsto dal contratto di lavoro.

Reversibilità della pensione integrativa: a chi spetta?

Tuttavia, il fatto di poter disporre di una futura pensione aggiuntiva non rappresenta l’unico vantaggio riservato a chi investe nella previdenza complementare. Innanzitutto, la stessa pensione integrativa è reversibile al coniuge o agli eredi indicati dal sottoscrittore. Ma anche nella fase di accumulo del risparmio, il capitale può essere riscattato in un’unica soluzione dagli eredi designati dal sottoscrittore.

Previdenza complementare, la possibilità di scegliere la prestazione pensionistica

Ulteriore vantaggio spettante a chi investe nella previdenza complementare è la possibilità di scegliere il tipo di prestazione da ricevere dal fondo pensione stesso. Infatti, a seconda delle esigenze del sottoscrittore, è possibile richiedere tutto il capitale versato in un’unica soluzione nei casi previsti dalla legge oppure riceverne la metà, lasciando il rimanente alla rendita integrativa mensile. Se non si richiede parte o tutto il capitale, la rendita mensile andrà a integrare la pensione garantendo un tenore di vita simile a quello goduto durante gli anni di lavoro e di accumulo.

Flessibilità dell’investimento del risparmio nei fondi pensione: sospensione e riduzione importi

Tra i vantaggi di investimento del risparmio in un fondo pensione c’è la possibilità di accumulare con una certa flessibilità. Ciò significa che è possibile sospendere oppure modificare gli importi o la periodicità con la quale si effettuano i versamenti nella fase di accumulo. In caso di sospensione si possono riattivare i versamenti senza subire delle penalizzazioni.

Si può richiedere parte dei soldi versati al fondo pensione durante la fase di accumulo?

Il sottoscrittore del fondo pensione può anche richiedere una parte delle somme risparmiate e accantonate nel fondo pensione. Si tratta di eventi normalmente determinati da esigenze improvvise legate alle situazioni familiari, come ad esempio un’imprevista spesa sanitaria. Ma anche per ragioni lavorative, come può succedere nel caso del licenziamento. Ulteriori somme possono essere anticipate dal fondo per l’acquisto della prima casa.

Previdenza complementare, il vantaggio della deducibilità fiscale delle somme versate al fondo pensione

Tra i vantaggi dell’adesione alla previdenza complementare sono da inserire quelli fiscali. Infatti, i contributi che il sottoscrittore versa al fondo pensione sono deducibili dai redditi Irpef fino a un massimo di oltre 5.160 euro all’anno. Pertanto, nella fase di accumulo del risparmio nel fondo pensione si pagano da subito meno imposte sui redditi. Entro lo stesso limite si può sfruttare la deduzione anche sui versamenti effettuati a vantaggio dei familiari a carico fiscalmente. Inoltre, la pensione integrativa è tassata con un’aliquota che varia dal 15% al 9%: la percentuale scende a seconda degli anni in cui il sottoscrittore ha partecipato al fondo pensione.

Quali sono i rischi per il sottoscrittore di un fondo pensione?

Tuttavia, l’investimento dei propri risparmi nel fondo pensione non è esente da alcuni rischi. Questi ultimi sono relativi alla possibilità che la pensione complementare che si ottiene quando si esca dal lavoro risulti insufficiente rispetto alle aspettative del sottoscrittore. In particolare può risultare che i versamenti effettuati e la durata del periodo in cui il sottoscrittore ha partecipato al fondo pensione non siano adeguati.

Il rischio di sbagliare investimento nell’adesione al fondo pensione

Può capitare, inoltre, che la linea di investimento che il sottoscrittore del fondo pensione ha scelto risulti non adeguata e ottimale rispetto all’età del sottoscrittore stesso o al suo profilo. Infatti, al momento dell’adesione al fondo, il sottoscrittore sceglie come il fondo pensioni debba investire i propri risparmi se in titoli azionari, obbligazionari oppure se adottare una soluzione intermedia. Nel caso di un sottoscrittore agli ultimi anni di lavoro vengono consigliate, di norma, soluzioni non troppo remunerative ma poco rischiose.

Adesione al fondo pensione: il rischio di costi alti o di impossibilità di utilizzo di quanto accantonato

Possono verificarsi altri rischi legati all’adesione a un fondo pensione. Innanzitutto che il fondo scelto applichi dei costi troppo elevati rispetto al profilo del sottoscrittore. Oppure che vengano previste delle limitazioni nell’uso delle somme accantonate e, dunque, che l’utilizzo possa essere consentito solo per specifiche finalità. Importante poi, per un sottoscrittore, controllare che non sia prevista l’irrevocabilità della scelta di aderire alla previdenza complementare.

Previdenza complementare, il rischio di non avere informazioni sui prodotti di investimento

Infine, è sempre bene ricevere tutte le informazioni in maniera dettagliata prima di aderire al fondo pensione. Può capitare, infatti, di ricevere delle informazioni insufficienti per capire correttamente il funzionamento del fondo pensione e le sue finalità. Nella fase di sottoscrizione, inoltre, è indispensabile che al soggetto vengano fornite tutte le informazioni sui prodotti di investimento presenti sul mercato.

Piani di accumulo, cosa sono?

I piani di accumulo (Pac) consentono di mettere da parte del capitale nel tempo tramite il versamento di somme periodiche. In genere i versamenti avvengono con cadenza mensile oppure annuale. Si può procedere con l’accumulo in diversi modi. Ad esempio, su un fondo comune. Oppure tramite gli Organismi di investimento collettivi del risparmio (Oicr). O, ancora, tramite i piani di accumulo con gli Etf (Exchange Traded Funds).

Come avviene l’investimento con i piani di accumulo?

Generalmente, i piani di accumulo hanno modalità e obiettivi simili. Nell’ultimo caso, con il piano di accumulo in Etf si procede a versare i propri risparmi a dei fondi di investimenti. L’operazione consente di acquistare e di vendere delle quote di titoli direttamente nel mercato finanziario. L’obiettivo è quello di ottenere la replicazione di un preciso indice di riferimento arrivando all’obiettivo generale dell’operazione. Ovvero, quello a favore di chi decide di investire nei piani di accumulo di poter mettere a disposizione dei piccoli capitali facendo lievitare i propri risparmi.

Piani di accumulo, decidere la rata, il capitale da investire e la durata

Decidere di indirizzare una parte dei risparmi in piani di accumulo può senz’altro rappresentare un piano di investimenti “a rate”. È importante stabilire fin da subito qual è l’importo che si intende versare, la frequenza con la quale effettuare i versamenti e anche la durata di tutta l’operazione. Si può decidere per un minimo di un anno fino ad arrivare a un limite di 40 anni di versamenti.

Piano di accumulo, quanto sono rischiosi per i risparmi?

La possibilità di scegliere il tipo di piano di accumulo più adatto alle proprie esigenze di risparmio permette di ridurre i rischi legati all’operazione stessa. I risparmiatori che abbiano una tendenza a investire in prodotti a lungo termine e ad alto rischio, possono optare per i piani di accumulo azionari. I Pac più a breve termine e, soprattutto, più rivolti a investimenti in obbligazioni, offrono la possibilità di rendimenti meno elevati ma anche operazioni più prudenti. Si può tuttavia diversificare il proprio piano di accumulo attraverso un bilanciamento tra obbligazioni e azioni, con una durata più orientata al medio termine.

Che cos’è il piano di accumulo garantito?

I risparmiatori possono ulteriormente abbassare il rischio con un piano di accumulo di capitale garantito. Con questa opzione si permette al lavoratore di vedersi restituire il proprio capitale versato nel caso in cui dovessero verificarsi oscillazioni al ribasso nell’andamento dei mercati finanziari. Per poter accedere a un Pac garantito è necessario sottoscrivere un piano di accumulo assicurativo. Normalmente, in questo caso, il Pac è legato ai prodotti assicurativi vita del Ramo I di tipo tradizionale.  Ulteriori vantaggi derivano proprio dall’essere un prodotto assicurativo. Pertanto, le somme investite sono impignorabili ed esenti dall’imposta di bollo.

I piani di accumulo per i figli: ecco in cosa consistono

Spesso i risparmiatori cercano una soluzione per assicurare dei vantaggi futuri ai propri figli. Il piano di accumulo può rappresentare un efficace fondo verso questo obiettivo. Si possono, infatti, sottoscrivere piani di accumulo a favore di un minore, anche in mancanza di un grado di parentale. Il risultato finale potrebbe essere, ad esempio, quello di garantire un capitare per poter affrontare gli anni di studio una volta maggiorenne. Per l’accumulo è possibile procedere anche a versamenti aggiuntivi, di tanto in tanto. E inoltre possono essere previsti dei bonus legati al raggiungimento di determinati obiettivi di risparmio che fanno incrementare più velocemente il capitale investito.

Piani di accumulo e previdenza integrativa: investire in fondi pensione

Una ulteriore modalità di accumulo dei risparmi è rappresentata dai fondi pensione, anche per i figli. Si possono infatti sottoscrivere fondi pensione per i soggetti fiscalmente a carico che permettono a chi ne beneficia di accumulare una pensione integrativa futura. Per chi provvede al versamento delle rate, inoltre, c’è la possibilità di dedurre fiscalmente le somme pagate. Il vantaggio è differito nel tempo, ma i figli ai quali andranno i risparmi del fondo pensione potranno contare su somme accumulate in passato per casi di necessità oppure per disporre di un incremento di pensione una volta che avranno maturato i requisiti per uscire da lavoro.

Risparmi per i figli: oltre a Pac, libretti, buoni e polizze c’è anche la pensione integrativa

Gli italiani, tradizionalmente un popolo di risparmiatori, tendono anche a lasciare qualcosa per il futuro dei propri figli. E sono vari i modi per risparmiare delle cifre. Si va dai piani di accumulo alle polizze, dai libretti di risparmio ai buoni fruttiferi postali. C’è anche la possibilità di garantire una pensione integrativa aderendo alla previdenza complementare. Vediamo dei vari modi i vantaggi e gli svantaggi considerando anche il fattore tempo, decisamente ampio, e quello delle circostanze imprevedibili.

Libretti di risparmio, liberi o vincolati

Con i libretti di risparmio si possono depositare somme in banca oppure alla Posta. Si tratta di meccanismi di deposito utilizzati molto in passato per assicurare un futuro ai figli piccoli. L’apertura di un libretto di risparmio può essere libera, senza cioè che ci siano vincoli di tempo sui prelievi, oppure vincolata. In quest’ultimo caso, le somme depositate rimangono bloccate fino a una certa scadenza.

Vantaggi e svantaggi del libretto di risparmio postale o bancario

Il vantaggio di aprire un libretto di risparmio consente ai genitori o ai nonni di poter versare anche poco per volta e senza una cadenza prefissata. Attualmente i libretti possono essere considerati vantaggiosi perché non hanno costi né per l’apertura, né per la loro gestione. Tuttavia, i tassi di interessi attuali sono molto bassi. Pertanto, questo strumento non consente di ottenere un apprezzamento considerevole di quanto investito.

Buoni fruttiferi postali: interessi tassati al 12,50%

Un occhio di riguardo hanno i buoni fruttiferi postali, consistenti in titoli emessi dalla Cassa Depositi e Prestiti. La sottoscrizione dei buoni può avvenire presso la Posta oppure attraverso il sito o l’applicazione di Poste Italiane. Sottoscrivere i buoni fruttiferi postali non comporta spese, mentre gli interessi sono tassati al 12,50%. In ottica di un investimento per i figli, determinati buoni per i minori garantiscono il 100% del capitale. La maturazione degli interessi può arrivare fino a quando il minore non compia la maggiore età. Analogamente ai libretti di risparmio, oggi i buoni fruttiferi postali garantiscono rendimenti piuttosto modesti.

Polizze assicurative

Con le polizze assicurative è possibile risparmiare per i figli indicandoli come beneficiari. Sono varie le polizze che si possono sottoscrivere. Le polizze vita rivalutabili, ad esempio, o quelle del ramo I. Entrambe le tipologie permettono la rivalutazione del capitale assicurato ogni anno oppure la rendita ottenuta dall’investimento nelle gestioni separate. Entrambe le formule, inoltre, garantiscono la restituzione del capitale. Per collegare la polizza ai fondi comuni o a indici azionari è necessario investire nelle unit e nelle index linked o nelle polizze di ramo III.

I vantaggi di investire in polizze assicurative

Pur essendo prodotti più costosi rispetto ai buoni fruttiferi postali o ai libretti di risparmio, le polizze offrono determinati vantaggi. Innanzitutto sono forme di investimento del risparmio stesso, con copertura assicurativa. I premi pagati sono detraibili per il 19% fino al tetto di 530 euro. Ulteriori vantaggi sono l’impignorabilità e il fatto che non sono soggetti all’imposta di successione.

I Piani di accumulo del capitale (Pac): si versano piccole somme per volta

Per necessità di risparmio che assicurino anche un certo utilizzo degli strumenti finanziari è possibile investire nei piani di accumulo del capitale (Pac). Chi sottoscrive i piani può procedere periodicamente a versare quote di capitale. Il vantaggio principale risiede proprio nella possibilità di versamento. Si può procedere, infatti, a versare anche piccole somme periodicamente. La particolarità del “piano”, poi, aiuta a regolare le proprie spese per arrivare a mettere da parte le somme da versare.

Costi mediamente alti per i piani di accumulo del capitale

Rispetto alle altre opzioni che abbiamo visto, proprio per la particolarità di versare di volta in volta i costi possono risultare più alti. Soprattutto se si confronta lo strumento con l’investimento effettuato in un’unica soluzione. Tra i costi si segnalano quelli di apertura del piano di accumulo, i diritti fissi sui versamenti e gli oneri nel caso in cui si proceda con la chiusura in anticipo.

Adesione ai fondi pensione: è possibile la sottoscrizione a favore dei figli

Tra le formule di accumulo di risparmio a favore dei figli rientra sicuramente l’adesione ai fondi pensione per assicurare una previdenza integrativa futura. Si tratta, è evidente, di meccanismi di risparmio dalla lunga durata il cui obiettivo è quello di garantire un assegno di pensione più soddisfacente una volta che matureranno i requisiti per l’uscita dal lavoro. Per un genitore che voglia aderire ai fondi pensione, è possibile procedere con l’iscrizione alla previdenza complementare anche a favore dei figli a carico.

Deducibilità fiscale dell’adesione ai fondi pensione

Risulta scontato che una forma di pensione integrativa potrebbe rappresentare la soluzione tra le più redditizie e utili per il futuro dei propri figli. Ma non solo. Infatti, i contributi che si versano al fondo pensione beneficiano della deducibilità fiscale fino al limite di 5.164,57 euro per ogni anno di adesione. Inoltre, sul lato dei costi, tra le tipologie di fondi pensione più risparmiose si citano i fondi chiusi.

Previdenza complementare, vantaggi e svantaggi dell’adesione per i figli

In generale, aderire al fondo pensione comporta un investimento a lungo termine, con dei vincoli. Infatti i limiti sui quali è importante informarsi risiedono nel caso in cui si debba chiedere una parte del capitale accumulato in anticipo. Ma spesso sono previste agevolazioni per anticipi relativi a spese sanitarie o per l’acquisto della prima casa. Inoltre, l’adesione alla previdenza complementare può garantire la formula di pensione anticipata chiamata Rita che consente di ottenere la rendita molto prima rispetto alla maturazione dei requisiti per la pensione.

Pensione casalinghe: come si ottiene e a chi spetta?

La pensione casalinghe è possibile solo attraverso il Fondo relativo istituito dell’Inps. Ecco come funziona e chi può iscriversi.

Pensione casalinghe: cos’è?

Fare la casalinga è un lavoro davvero impegnativo. Occorre essere esperte di cucina per accontentare i gusti di tutti, avere molta energia per pulire la casa, stirare e mettere in ordine. Inoltre, ha un orario illimitato per tutta la giornata e spesso è svolto anche fuori casa per accompagnare i figli a scuola o fare la spesa. Eppure non è visto come un lavoro. E quindi non essendo lavoratrici non si ha diritto alla pensione. Ma a metterci una toppa ha cercato di pensarci l’INPS.

L’Ente ha infatti istituito il Fondo Pensione Casalinghe, che sarà operativo anche per il 2021. Per maggior precisione il Fondo di previdenza è stato istituito il 1.1.1997, ed è dedicato alle persone che svolgono lavori di cura non retribuiti derivanti da responsabilità familiari. Ed in una famiglia la responsabilità che tutto fili liscio non è cosa da poco.

Fondo Pensione casalinghe: chi può iscriversi?

Il nome del fondo non deve tranne in inganno e pensare che sia destinato solo alle mogli o madri che stanno in casa. Il fondo è dedicato a chiunque svolge mansioni in casa, senza alcuna distinzione di sesso. Pertanto possono iscriversi al fondo di previdenza, sia uomini che donne. L’età è compresa tra i 16, anni in cui si può iniziare un’attività lavorativa, e i 65 anni, età in cui si dovrebbe andare in pensione. I requisiti da soddisfare sono:

  • svolgere lavoro in famiglia non retribuito connesso con responsabilità familiari, senza vincoli di subordinazione;
  • non prestare attività di lavoro autonomo o dipendente per la quale sussista l’obbligo di iscrizione ad altro ente o cassa previdenziale;
  • non essere titolari di pensione diretta;
  • prestare attività lavorativa part-time. se in relazione all’orario e alla retribuzione percepita, si determina una contrazione delle settimane utili per il diritto alla pensione.

Come iscriversi al Fondo?

La domanda di iscrizione al Fondo può avvenire solo telematicamente. Occorre una identificazione con PIN e quindi una registrazione al sito dell’Ente. E’ possibile inviare la richiesta, attraverso:

  • servizi telematici accessibili direttamente dal cittadino  attraverso il portale dell’Istituto
  • Contact Center Multicanale, chiamando da rete fissa il numero gratuito 803164 o il numero 06164164 da telefono cellulare, con tariffazione stabilita dal proprio gestore
  • Patronato e tutti gli intermediari dell’Istituto – usufruendo dei servizi telematici offerti dagli stessi.

Dopo la comunicazione di accoglimento della richiesta, l’interessato può iniziare a pagare i versamenti. Infine la validità pertanto è dal primo giorno utile dopo l’accettazione della domanda.

Quanto si paga?

Essendo un fondo il pagamento dei versamenti è a carico del contribuente. L’importa dei versamenti è libero, ma viene richiesto un minimo contributivo di 25,82 euro mensile. L’Inps accrediterà per ogni anno tanti mesi di contribuzione quanti ne risultano dividendo l’importo complessivo versato nell’anno per 25.82 euro. I versamenti possono essere effettuati con bollettini di conto corrente postale che l’INPS invia a casa insieme alla lettera di accoglimento della domanda di iscrizione.

I bollettini sono anche stampabili online nella sezione Servizi del sito INPS. Occorre fare il seguente percorso per tipologia di utente- Cittadino-Font previdenza Casalinghe-Stampa bollettino. Infine i contributi versati sono interamente deducibili dal reddito imponibile Irpef del dichiarante, anche per i familiari fiscalmente a carico.

Quando spetta la pensione casalinghe?

Una volta versati con regolarità i contributi, la pensione di vecchiaia spetterà a chi, a partire dal 57° anno di età, avrà pagato almeno 5 anni (60 mesi) di contributi. Ma è prevista anche una pensione di inabilità con almeno 5 anni di contributi, a condizione che sia intervenuta l’assoluta o permanente impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa.

Mentre la pensione di vecchiaia viene liquidata solo se l’importo maturato risulta almeno pari all’ammontare dell’assegno sociale maggiorato del 20% (1.2 volte l’assegno sociale). Tuttavia si prescinde dall’importo al compimento del 65° anno di età. L’importo viene stabilito con il sistema contributivo. Infine si ricorda che è obbligatoria anche l’iscrizione all’INAIL.

La pensione casalinghe conviene o no?

Per rispondere a questa domanda ecco un breve esempio. Se per 5 anni si versano i contributi minimi richiesti per coprire una mensilità (25,82 euro) la pensione spettante sarà calcolata sui 1550 euro versati in totale andrà moltiplicata per il coefficiente di trasformazione riferito ai 57 anni di età, 4,2%. La rendita annuale ottenuta è di circa 65 euro che, andrà, poi divisa per 12 mesi. La pensione spettante per aver versato 5 anni di contributi a 25,82 euro al mese, quindi, è poco più di 5 euro.

Ed ancora con il minimo mensile di 25,82 moltiplicato per 12 mesi si pagherebbero all’anno 310 euro. Moltiplicando per 30 di contributi si potrebbero accumulare 9300 euro. Se si decidesse di andare in pensione a 57 anni, si avrebbe una rendita di 390 euro l’anno con poco più di 32 euro al mese. Una cifra davvero irrisoria per chi ha dedicato tutta la vita alla propria famiglia.

Pensione integrativa, a chi conviene aderire alla previdenza complementare e quando

A chi conviene aderire alla previdenza integrativa dei fondi pensione e in quale momento? Sono questi due tra i maggiori quesiti che si pongono i lavoratori nel momento in cui devono decidere se affidarsi a una futura pensione “di scorta” e a partire da quale età.

Perché si ricorre alla pensione integrativa?

Il ricorso alla pensione integrativa è dettato innanzitutto dalla motivazione di mantenere nel tempo una mensilità adeguata alle proprie esigenze e al tenore di vita condotto. Infatti, quando un contribuente va in pensione da lavoro, l’assegno mensile potrebbe non soddisfare le proprie necessità. Da qui l’esigenza di integrare la propria pensione futura con un assegno maturato sulla base dell’adesione volontaria ai fondi pensione.

Con l’aumento della speranza di vita le pensioni sono spalmate su più anni

La tendenza del ricorso alla previdenza complementare è tanto più ampia quanto maggiori sono i dubbi sulle pensioni da lavoro. Le pensioni pubbliche, infatti, continuano a subire nel tempo aumenti dei requisiti di uscita e diminuzione della rata mensile. A partire dagli anni ’90 il progressivo aumento della speranza di vita, e dunque l’incremento della vita media a partire dai 65 anni di età, ha avuto come conseguenza  l’allungamento del periodo in cui si beneficia della pensione, oltre a un maggior numero di anni di contributi da versare durante la vita lavorativa.

Previdenza integrativa: adesione perché le pensioni sono sempre più basse

Inoltre, proprio l’allungamento della vita da pensionato unito al forte rallentamento della crescita economica (con conseguente riduzione del peso dei contributi versati durante la vita lavorativa), ha imposto dei cambiamenti ai meccanismi previdenziali italiani. Il risultato ottenuto è quello che, progressivamente, si esce a un’età sempre più alta con un mensile di pensione sempre più basso a causa di coefficienti di trasformazione tendenzialmente al ribasso.

Contribuenti e futuro tenore di vita: l’integrazione dei fondi pensione

Con il superamento del sistema previdenziale retributivo, inoltre, le rivalutazioni delle future pensioni non saranno più legate, in alcun modo, all’aumento delle retribuzioni. In questo scenario di progressivo aumento della speranza di vita e di riduzione dell’assegno di pensione, il contribuente preoccupato del proprio tenore di vita futuro rappresenta il profilo più sensibile alle possibilità offerte dalla previdenza complementare.

Come sapere di quanto sarà l’importo mensile della pensione?

Il primo passaggio da compiere è conoscere quale sarà l’importo della propria pensione nel momento di uscita dal mondo del lavoro. L’Inps, ma anche altri siti specializzati in pensioni, ha creato una piattaforma (la Busta arancione) all’interno del proprio portale istituzionale per avere una stima di quello che sarà il futuro assegno previdenziale. Oltre all’importo prospettato per la pensione, dalla simulazione si può ricavare anche il tasso di sostituzione della previdenza obbligatoria.

Il tasso di sostituzione per capire se è necessario ricorrere alle pensioni integrative

Il tasso di sostituzione esprime il rapporto tra la prima rata di pensione e l’ultimo stipendio (o il reddito per i lavoratori autonomi). Pertanto, è l’indicatore che maggiormente descrive quale sarà la futura pensione rispetto allo stipendio in termini percentuali. Ad esempio, a fronte di uno stipendio attuale di 1200 euro e con un tasso di sostituzione pari al 70%, la futura pensione sarà di 840 euro.

Quanti dei contributi versati torneranno indietro sotto forma di pensione?

La simulazione Inps che consente di avere una stima della futura pensione (da ripete periodicamente per i cambiamenti che intervengono nella vita lavorativa) potrebbe rappresentare un primo indizio per il ricorso alla previdenza complementare. Quanto ritorna indietro dei contributi che si sono versati durante la vita lavorativa? Chi dalla simulazione ottiene un  risultato non soddisfacente, può giocarsi la carta della previdenza complementare. L’obiettivo è quello di avere un’alternativa previdenziale per poter beneficiare, in futuro, di una rendita che vada a integrare la pensione pubblica.

Fondo pensione: in che modo aderire?

Non è necessario che la rata mensile dei contributi versati a un fondo pensione sia elevata. Invece, è consigliabile spalmare la contribuzione complementare su un numero più ampio possibile di anni. Anche un importo non elevato può rappresentare, per un numero elevato di anni, una formula di previdenza e di risparmio soddisfacente. Inoltre, se si sceglie di aderire a un fondo pensione in giovane età è possibile aderire a fondi più rischiosi, ma con un rendimento più elevato. Diversamente, più si è vicini all’uscita per la pensione e maggiormente si vira verso fondi più sicuri e con rendimenti meno elevati.

Quali sono i vantaggi dell’adesione al fondo pensione in età giovanile?

Un aspetto del “quando aderire” è rappresentato dai vantaggi riservati ai più giovani. Infatti, meno elevata è l’età di partecipazione al fondo pensione e maggiori sono i benefici della previdenza complementare. Sono almeno quattro i vantaggi che possono riscontrarsi in un’adesione di lunga data:

  • la rivalutazione assicurata dai fondi con i connessi vantaggi della deducibilità fiscale;
  • La deducibilità fiscale per i versamenti previsti periodicamente per la partecipazione al fondo;
  • la possibilità di accedere a quanto già versato nel caso in cui si dovessero presentare situazioni di difficoltà;
  • il reintegro del capitale nei periodi più favorevoli.

Quanto si può avere in più di pensione con la previdenza complementare?

Con la stima della propria futura pensione è più facile scegliere, tra i fondi pensione, quello che potrà garantire l’integrazione utile a mantenere un tenore di vita adeguato. Per conoscere di quanto si può integrare la pensione con la previdenza complementare esistono sul web numerosi comparatori. Questi strumenti servono a mettere a confronto tra loro le diverse formule di pensione integrativa. L’attenzione va posta sulla soluzione che massimizza il rapporto dei costi di accesso ai rendimenti.

TFR in azienda: il datore di lavoro può investirlo? Ci sono rischi?

Il TFR, o Trattamento di Fine Rapporto, è una porzione di retribuzione la cui riscossione viene differita al momento della fine del rapporto di lavoro, ad esempio per dimissioni o pensionamento. Nel tempo queste somme accantonate sono state disciplinate in diverso modo, tra le varie opportunità vi è quella di lasciare il TFR in azienda per poi riscuoterlo al termine del rapporto di lavoro, ciò che molti si chiedono è: il datore di lavoro può investire il TFR lasciato in azienda?

Cos’è il TFR

Il TFR è una spettanza del lavoratore dipendente del settore pubblico e del settore privato ed è anche conosciuto come liquidazione o buonuscita. Per calcolare il suo importo occorre tenere in considerazione la retribuzione annua e dividerla per il coefficiente 13,5, infatti la normativa stabilisce che il TFR annuale debba essere pari e comunque non superiore a tale somma. A tale somma deve essere sottratto lo 0,50%  che deve finanziare il sistema previdenziale del fondo di garanzia come stabilito dall’articolo 2 comma 8 della legge 297 del 1982. Il TFR per un breve lasso di tempo è stato liquidato, a richiesta, anche in busta paga, ma l’INPS con Messaggio 2791 del 2018 ha precisato che non è più possibile fruire di tale opzione in quanto il legislatore non ha provveduto a prorogarla.

Come gestire il TFR: è consigliato lasciarlo in azienda?

In materia un’ importante riforma si ha con il decreto legislativo 252 del 2005 in cui la gestione del TFR è riformulata con l’obiettivo di stimolare i lavoratori a utilizzare il TFR per avere una pensione integrativa. Questa modifica è stata essenziale anche perché gli importi delle pensioni maturate sono andati via via scemando a causa delle riforme del sistema pensionistico. In passato il TFR restava in azienda e il datore di lavoro normalmente lo investiva nella stessa azienda, ad esempio per acquistare nuove strumentazioni e poi provvedeva a liquidare le somme ai lavoratori accedendo a risorse aziendali proprie, naturalmente al momento di versare gli importi c’era il rischio di non avere liquidità.

Oggi è tutto cambiato ed è il lavoratore di fatto a scegliere come investire la propria liquidazione durante il dispiegarsi del rapporto di lavoro.

Occorre ricordare che la riforma entra in vigore il primo gennaio 2007 e le somme accantonate prima di tale data restano soggette alla vecchia disciplina e quindi possono restare in azienda e possono essere ancora oggi liquidate alla fine del rapporto di lavoro. Fatta questa premessa, occorre ricordare che il TFR, in seguito alla riforma, può essere  lasciato in azienda ( che li gestisce solo in alcuni limitati casi)  oppure investito in fondi di investimento chiusi o aperti. Il lavoratore ha sei mesi di tempo dall’inizio del contratto di lavoro per scegliere, con il modello TFR2, come utilizzare il TFR che matura di anno in anno.

Il lavoratore come può investire il TFR?

Di conseguenza il lavoratore può:

  • scegliere di devolvere il TFR maturando a un fondo pensione che sceglie lui e indicandolo in modo esplicito, al momento di andare in pensione riceverà quindi il TFR come pensione integrativa;
  • Può non esprimere alcuna scelta e in questo caso si applica il principio del silenzio assenso e il datore di lavoro accantona il TFR presso fondo pensione previsto dagli accordi o contratti collettivi e, nel caso in cui siano disponibili più fondi, presso il fondo a cui hanno aderito la maggior parte dei lavoratori dell’azienda;
  • Infine può decidere in modo esplicito di lasciarlo in azienda. In questo caso si verificano due ipotesi:
  1. se l’azienda ha meno di 50 dipendenti può trattenerlo e poi versarlo al momento della cessazione del rapporto di lavoro ( se l’azienda dovesse avere difficoltà economiche, ottenere le somme potrebbe essere difficile);
  2. se l’azienda ha almeno 50 dipendenti deve invece devolvere il TFR man mano che matura al Fondo di Tesoreria dell’INPS. Il lavoratore può controllare in modo costante l’ammontare del proprio TFR lasciato al Fondo INPS attraverso il sito dell’INPS, occorre accedere all’area personale MyINPS. Ricordiamo che dal primo ottobre 2021 non è possibile accedere con il PIN, ma solo con lo SPID, e visitare l’area del sito “servizio consultazione posizione personale da lavoro dipendente”.

Il TFR lasciato in azienda si rivaluta automaticamente ogni anno dell’1,5% a cui si aggiunge il 75% del tasso di inflazione, ma tale rendimento è solitamente inferiore a quello dei fondi di previdenza complementare. La tassazione sul TFR è comunque più elevata rispetto a quella prevista in caso di devoluzione ai fondi di previdenza complementare.

TFR in azienda: il datore di lavoro può investirlo?

In effetti ad oggi l’unico caso in cui l’azienda ha la disponibilità diretta delle somme accantonate è quello in cui vi sono meno di 50 dipendenti. Tale condizione è comune a oltre il 90% delle aziende italiante Il lavoratore che inizialmente ha deciso di lasciare la liquidazione in azienda, in un secondo momento potrà decidere di investirlo in un fondo pensione chiuso o aperto, mentre nel caso in cui il lavoratore abbia inizialmente deciso di investirlo, non può cambiare idea e decidere di lasciare il TFR in azienda.  L’INPS ha chiarito che può essere devoluto ai fondi pensione anche il TFR pregresso.

TFR in Azienda: cosa succede se l’azienda non liquida le somme?

Il datore di lavoro deve liquidare le somme, su istanza del lavoratore, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, se gli investimenti del datore sono stati poco fortunati, il rischio di non avere il TFR è alto. Nel caso di mancato versamento nei termini, ricordiamo che gli stessi sono previsti nel CCNL di settore e che comunque il TFR deve essere chiesto prima di 5 anni dalla cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore può comunque agire per ottenere le somme anche attraverso il Fondo di Garanzia dell’INPS per il trattamento di fine rapporto, questo però ha un accesso limitato, infatti ci sono delle condizioni. In particolare si può chiedere l’erogazione tramite il fondo nel caso in cui l’azienda sia sottoposta a procedure di fallimento, come il concordato preventivo o la liquidazione coatta amministrativa.

Se l’azienda non è sottoposta a procedure concorsuali/fallimentari il lavoratore deve impegnarsi per ottenere le somme dal proprio datore di lavoro tramite procedure esecutive e potrà accedere al fondo solo nel caso in cui dimostri di aver percorso tutte le strade possibili per ottenere il TFR dal datore di lavoro, ma le stesse non hanno avuto esito positivo.

A questo punto occorre ricordare che il datore di lavoro potrebbe anche omettere il versamento ai fondi pensione, in questo caso è onere del lavoratore controllare che i versamenti siano eseguiti e in caso di mancato versamento è bene sollecitare il datore di lavoro affinché li esegua e, se l’esito è negativo, può procedere per vie legali.

RITA: hai perso il lavoro? Scopri se puoi avere la pensione anticipata

Chi ha compiuto 57 anni, ha perso il lavoro ed è iscritto a una delle forme pensionistiche complementari, può andare in pensione in anticipo sfruttando la RITA, cioè la Rendita Integrativa Temporanea Anticipata, ma di cosa si tratta e come funziona?

Cos’è la RITA: Rendita Integrativa Temporanea Anticipata

La Rita è stata introdotta nel nostro ordinamento con la legge di bilancio del 2017, inizialmente aveva carattere sperimentale, dal 2018 è invece diventata una misura strutturale che consente a chi ha già un’età avanzata e difficoltà a ricollocarsi nel mondo del lavoro di andare in pensione con 10 anni di anticipo accedendo però al montante accumulato presso fondi pensione. Per poter accedere a questa misura sono previsti dei requisiti.

Possono accedere coloro che :

  • hanno cessato l’attività lavorativa;
  • sono inoccupati;
  • iscritti a forme pensionistiche complementari in regime di contribuzione fissa;
  • hanno maturato almeno 20 anni di contributi;
  • matureranno entro 5 anni dei requisiti anagrafici per accedere alla pensione di vecchiaia.

Quelli ora visti sono i requisiti previsti con l’introduzione della RITA nel 2017, con la legge di bilancio 2018, oltre a rendere strutturale questa misura, sono stati modificati in parte anche i requisiti.  Ora è previsto che possano accedere alla RITA anche coloro che hanno compiuto 57 anni, ma solo nel caso in cui abbiano già maturato 24 mesi di disoccupazione, si tratta quindi di lavoratori che hanno difficoltà a ricollocarsi nel mondo del lavoro. In questo caso è necessario che abbiano cessato l’attività lavorativa, che, tenendo in considerazione il regime pensionistico di appartenenza, avrebbero maturato i requisiti per il collocamento in pensione entro 10 anni e avere maturato almeno 5 anni di partecipazione a forme di pensionamento integrative (questi sono ridotti a 3 se il lavoratore si sposta tra gli Stati Membri dell’Unione Europea).

Come funziona la Rendita Integrativa Temporanea Anticipata

Al verificarsi delle condizioni viste, è possibile accedere alla Rendita Integrativa Temporanea Anticipata, ma come funziona? Possono accedere alla RITA i lavoratori del settore privato e del settore pubblico, che hanno aderito a fondi pensionistici aperti o chiusi. Restano esclusi da tale beneficio coloro che hanno aderito a fondi pensionistici attivi prima del 1993 in quanto non compatibili con tale normativa.

Diciamo fin da subito che non si tratta di un regalo, infatti abbiamo appena visto che per poter accedere al beneficio è necessario che il lavoratore sia iscritto a una forma di previdenza complementare. Normalmente con il pensionamento si accede anche a questa “pensione integrativa”, per coloro che decidono di chiedere la RITA il pagamento di quegli importi viene semplicemente anticipato e nel frattempo si continuano a maturare i requisiti anagrafici per raggiungere il pensionamento ordinario. Il lavoratore può scegliere di accedere a questi fondi attraverso il versamento della RITA mensile, bimestrale, trimestrale. La cadenza non può essere più ampia del trimestre.

Come riscattare la RITA

Il lavoratore inoltre può decidere di riscattare tutto il capitale tramite la RITA o solo una quota, una volta scelta la formula, il capitale viene poi ripartito in base all’effettivo montante accumulato. Nel caso in cui dovesse decidere di riscattare solo una quota, in seguito potrà comunque ricevere una piccola pensione integrativa, mentre nel caso in cui dovesse riscattare per intero le somme che gli spetterebbero, al momento del pensionamento ordinario, riceverà semplicemente l’assegno pensionistico maturato, sebbene i coefficienti in questo caso saranno diversi e l’importo mensile potrebbe essere leggermente più alto rispetto a quello che si avrebbe con il riscatto della pensione integrativa insieme all’ordinaria.

Prima di presentare la domanda RITA è bene documentarsi e valutare ogni opzione, infatti le varie riforme che hanno colpito il sistema pensionistico italiano hanno portato l’assegno mensile a essere sempre più basso, un’ulteriore riduzione è dovuta al fatto che negli ultimi anni è diventato difficile per i lavoratori avere una certa continuità contributiva. Di fatto sono tali elementi ad aver portato molte persone a scegliere dei piani previdenziali complementari il cui obiettivo è far in modo di avere una vecchiaia economicamente più serena. Intaccare quel piccolo capitale, in molti casi può voler dire avere condizioni economiche precarie durante la vecchiaia.

Come accedere alla RITA

Come si può notare, la RITA è prevista dalla legge, ma di fatto è gestita attraverso il proprio fondo pensionistico, questo vuol dire che per poter ottenere la Rendita Integrativa Temporanea Anticipata è necessario proporre la domanda al fondo che gestisce la propria pensione anticipata. Per presentare la domanda è necessario avere a disposizione l’Estratto Conto Integrato che si può ottenere tramite l’INPS. In alcuni casi i fondi pensione possono anche accettare l’autodichiarazione inerente gli anni di contributi effettivamente versati, ma riservarsi il diritto di chiedere anche in un secondo momento tale documento. Il consiglio è di produrlo fin dall’inizio in modo da evitare anche disguidi legati magari a periodi contributivi non versati dal datore di lavoro (purtroppo può capitare).

Vantaggi fiscali della RITA

Deve essere sottolineato che accedere alla RITA può portare dei vantaggi di tipo fiscale, infatti la rendita è tassata al 15%, solitamente la prima aliquota IRPEF è al 23%, inoltre nel caso in cui l’adesione alla previdenza complementare abbia avuto una durata superiore ai 15 anni, per ogni anno successivo al primo vi è una riduzione dell’aliquota dello 0,3%. La tassazione in ogni caso non può essere inferiore al 9%. I contribuenti possono però scegliere di non avvalersi di tale aliquota e scegliere quella ordinaria, tale scelta deve essere resa nota attraverso la dichiarazione dei redditi. L’aliquota ordinaria potrebbe essere un vantaggio per chi usufruisce di detrazioni fisclai importanti.

Deve, infine, essere sottolineato che la RITA dura fino al raggiungimento dei requisiti anagrafici per la pensione ordinaria e per un periodo massimo di 10 anni. Inoltre è cumulabile con altre prestazioni, ad esempio opzione donna, pensione anticipata, ape sociale e quota 100. L’erogazione della RITA può anche essere revocata, ad esempio nel caso in cui si riesca a trovare un lavoro e quindi si preferisca ricollocarsi nel mondo del lavoro.

Occorre ricordare che in caso di morte, il montante accumulato e non riscosso sarà comunque devoluto agli eredi/beneficiari.