Pensione minima, quali sono gli aumenti previsti?

L’aumento della pensione minima fino a portarla a 1.000 euro è sempre stato un cavallo di battaglia del centro-destra e in particolare di Silvio Berlusconi e ora si prova a portare avanti questa battaglia, non senza qualche piccolo scontento all’interno della stessa coalizione a causa delle difficoltà incontrate. Nonostante questo i primi passi sono stati fatti e un ulteriore aumento delle pensioni minime vi sarà nel 2024, ecco cosa trapela dalle prime dichiarazioni.

Ci sarà un nuovo aumento straordinario della pensione minima?

Il primo aumento importante vi è stato nel mese di luglio 2023, per gli over 75 si è provveduto all’aumento del 6,4% che ha portato l’importo delle pensioni minime a 600 euro, per coloro che invece non hanno superato tale limite di età, l’importo maggiorato dal mese di luglio è di 572,20 euro.

Nel mese di gennaio 2024, in base a quanto trapela, non vi saranno ulteriori aumenti straordinari, ma la semplice rivalutazione degli importi minimi. Almeno questi sono i piani vista l’elevata spesa pensionistica che affronta l’Italia.

L’obiettivo dei rappresentanti di Forza Italia è portare l’importo degli assegni minimi per gli over 75 almeno a 700 euro. In base a quanto trapelato da Il Messaggero in questi giorni dovrebbero esservi degli incontri che sembrano far sperare in un’apertura del Governo verso tale ipotesi, ciò consentirebbe a chi percepisce assegni ridotti di migliorare la qualità della vita.

Naturalmente non mancano dissidi soprattutto da parte di chi pur avendo maturato i requisiti contributivi per accedere alla pensione di vecchiaia percepisce un assegno di valore inferiore e che rischia di non essere opportunamente considerato da queste riforme.

Di quanto aumenteranno le pensioni con la rivalutazione ordinaria?

Se anche non dovesse esserci l’aumento straordinario di cui si sta discutendo in questi giorni, i pensionati potranno godere di una maggiorazione dell’assegno pensionistico calcolata sull’inflazione. In particolare come conguaglio 2023, ci sarà un aumento a gennaio 2024 dello 0,80% con corresponsione anche degli arretrati.

A questo si aggiungerà l’aumento l’aumento basato sull’inflazione 2023, questo dovrebbe essere corrispondente al 5,7%.

Rivalutazione pensioni: buone notizie in arrivo per i pensionati

Buone notizie potrebbero arrivare presto per gli anziani, infatti in seguito a proposta della Cisl, il Governo sta studiando la possibilità di rivalutazione pensioni al 100% per importi fino a 5 volte il minimo.

Rivalutazione delle pensioni: gli scaglioni previsti

Dal 1° gennaio 2023 arriva la rivalutazione delle pensioni in base all’inflazione registrata nel mese di novembre 2022, l’ammontare è del 7,3%. Non per tutti i pensionati si applicano le stesse rivalutazioni, in particolare per le pensioni minime si è optato per la rivalutazione al 120%, ma qualcuno ancora punta ad innalzare le minime a 600 euro almeno per gli over 75. Per Roberto Pella di Forza Italia (capogruppo alla commissione Bilancio) tale innalzamento è imprescindibile. Ricordiamo però che le pensioni fino a 2.692,32 euro mensili hanno già ottenuto un anticipo dell’aumento del 2% dal mese di ottobre 2022 questo deve essere scorporato dall’aumento del 7,3%.

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Per gli altri pensionati la rivalutazione è al 100% sono per importi fino a 4 volte la pensione minima.

Le pensioni di importo compreso tra 4 volte il minimo e 5 volte il minimo hanno una rivalutazione al 90% (aumento calcolato sul 90% dell’assegno).

Per le pensioni di ammontare superiore a 5 volte l’assegno minimo, la rivalutazione è al 75%.

Cisl, rivalutazione delle pensioni al 100% anche per gli asssegni 5 volte superiori al minimo

Fatta questa premessa, viste le attuali difficoltà economiche che il Paese sta attraversando, è arrivata la proposta della Cisl di rivalutare al 100% le pensioni fino a 5 volte l’importo minimo.  A tale proposta il Governo Meloni ha risposto che si sta lavorando per verificare la fattibilità, ma pare vi sia già il via libera del Mef ( Ministero dell’Economia e delle Finanze).

Naturalmente molto dipenderà dall’ammontare della pensione minima che ancora non è stato definito.

Da dove dovrebbero arrivare le risorse? In base a quanto emerge dalle prime indiscrezioni, l’aumento dovrebbe arrivare da un’ulteriore stretta sul reddito di cittadinanza per gli under 40, come da proposta emendativa del Terzo Polo (Renzi – Calenda) che d’altronde già in passato aveva ipotizzato la raccolta firme per il referendum abrogativo del reddito di cittadinanza. L’emendamento presentato prevede che gli under 40 non ricevano più l’importo del RdC.

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Superbonus: stop alla proroga. L’emergenza è lo sblocco dei crediti

Nei giorni passati avevamo parlato di una possibile proroga del Superbonus 110% per i condomini fino al 31 gennaio 2023. Arriva ora la smentita con relativa motivazione. O meglio, il Governo spiega perché gli emendamenti presentati dalla stessa maggioranza non possono essere accolti.

Emendamenti per la proroga del Superbonus affossati

Nei giorni passati avevamo sottolineato che Fratelli d’Italia aveva presentato un emendamento al decreto Aiuti Quater per prorogare i termini per la presentazione della Cilas al 31 dicembre 2022. Il termine attualmente è scaduto al 25 novembre. Ulteriori emendamenti sono stati presentati anche da altri partiti della maggioranza come Forza Italia, naturalmente non potevano mancare gli emendamenti del M5S che ha creato il Superbonus 110%.

Per conoscere i dettagli, leggi l’articolo: Superbonus 110%: arriva l’emendamento che sblocca la cessione

Perché non ci sarà la proroga del Superbonus 110%?

A fine di non alimentare false speranze, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari ha reso noto che non vi sarà alcuna proroga. La spiegazione è presto data: attualmente il reale problema non è riconoscere il credito di imposta al 110% o al 90%, d’altronde abbiamo già più volte sottolineato che al 110% è molto difficile ottenerlo e che le banche riconoscono una percentuale molto più bassa. Il problema reale è sbloccare i crediti incagliati di chi i lavori li ha già iniziati. In base alle dichiarazioni del sottosegretario Fazzolari, il Governo sta concentrando le sue energie su questo problema.

In base ai calcoli effettuati da Il Sole24 ore in realtà la proroga di un mese costerebbe circa 300 milioni di euro.

La priorità è sbloccare la cessione dei crediti senza rischi per i conti pubblici

Fazzolari ha dichiarato che è necessario trovare una soluzione per far in modo che le banche possano “acquistare” i crediti maturati dai proprietari senza per questo mandare all’aria i conti pubblici. Secondo le dichiarazioni del Sottosegretario questa partita vale 60 miliardi di euro. Il rischio infatti è che l’Eurostat potrebbe conteggiare i crediti di imposta acquistati dalle banche, che quindi vogliono riscuoterli dallo Stato attraverso le loro imposte, come debito pubblico e quindi con il rischio che il rating dell’Italia, e la credibilità, vengano meno in un momento particolarmente delicato.

Pensioni: si ritorna alla legge Fornero a gennaio?

La legge Fornero è una delle riforme pensionistiche meno amate dai cittadini italiani. Nel tempo il suo effetto è stato mitigato da riforme temporanee come Quota 100, Quota 102, Opzione donna e altre norme che consentivano, al presentarsi di determinati requisiti, di uscire prima dal mondo del lavoro. Attualmente però siamo in periodo di elezioni, fino all’inizio di ottobre non ci sarà un nuovo governo e quando questo entrerà nel pieno delle funzioni dovrà occuparsi della legge di bilancio al fine di evitare o almeno limitare, l’esercizio provvisorio. Ecco perché sono in molti a temere che con il 2023 si ritornerà alla legge Fornero senza alcuna mitigazione.

Pensioni: a gennaio si va in pensione con la legge Fornero o saranno approvati correttivi?

Ricordiamo che la legge Fornero richiede il raggiungimento di 67 anni di età per poter raggiungere l’agognata pensione, inoltre è previsto un adeguamento periodico all’aspettativa di vita.

Leggi anche: Pensioni: cosa cambia con il blocco dell’aspettativa di vita?

Cosa succederà però nel 2023?

Per una riforma strutturale del sistema pensionistico ci vuole naturalmente tempo quindi molti auspicano una conferma all’ultimo minuto di Quota 102, difficile sperare in un ritorno di Quota 100. Questi due correttivi consentono di andare in pensione raggiungendo Quota 102 (100 in passato) tra età anagrafica e anni di contributi.

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Le proposte dei partiti per la riforma del sistema pensionistico

Per quanto invece riguarda le proposte dei partiti, ricordiamo che Forza Italia è concentrata soprattutto sull’aumento delle pensioni minime a 1.000 euro. Più cautela è mostrata da Fratelli d’Italia che auspica un aumento delle pensioni minime, ma non lo quantifica e propone di trovare le risorse attraverso l’eliminazione/correzione del reddito di cittadinanza.

Chi avanza proposte più ardite è la Lega, guidata da Matteo Salvini, che propone la pensione di vecchiaia a 63 anni di età con 20 anni di contributi (un vero e proprio superamento delle Legge Fornero) e ha già annunciato la volontà di confermare Opzione Donna. Sempre la Lega propone una pensione minima garantita di 1.000 euro per i giovani che hanno versato i contributi esclusivamente con il sistema contributivo, meno conveniente rispetto al retributivo e al misto.

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C’è da dire che una proposta di riforma simile a quella della Lega arriva anche da Verdi e Sinistra Italiana (alleati del Pd). Anche in questo caso si prevede la pensione per coloro che hanno maturato 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età, oppure 62 anni e un minimo contributivo di 20 anni.

Tra le proposte del M5S c’è invece il riconoscimento di ulteriori agevolazioni e l’estensione del trattamento pensionistico riservato ai lavori usuranti

Reddito di cittadinanza e programmi elettorali: cosa cambierà?

Secondo i dati dell’INPS i nuclei familiari che beneficiano del reddito di cittadinanza sono 1.686.416 per un totale di 3.790.744 di persone coinvolte, il provvedimento bandiera del M5S, che ha sicuramente agevolato molte famiglie, potrebbe però subire importanti modifiche a partire dal mese di ottobre 2022 quando il peso delle elezioni del 25 settembre e del nuovo governo si farà sentire. Ecco cosa prevedono le varie coalizioni e i partiti nei loro programmi elettorali.

Reddito di cittadinanza e M5S: deve essere rafforzato anche con monitoraggio antifrode

Il reddito di cittadinanza è stata la misura bandiera del M5S, ha permesso a nuclei familiari senza reddito o con un reddito Isee inferiore a 9.360 euro all’anno di ottenere un’integrazione economica commisurata al reddito percepito. L’erogazione media nazionale è di 553,68 euro, ma ci sono nuclei che percepiscono meno e altri che invece percepiscono nettamente di più. Si tratta di una misura divisiva perché, mentre chi lo percepisce riceve sostegno, gli altri sono titubanti su questa misura ritenendola un costo eccessivo.

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Naturalmente il reddito di cittadinanza, insieme al bonus 110%, continua ad avere il sostegno incondizionato del M5S. Lo stesso ha però dichiarato che deve essere rafforzato, ma soprattutto deve essere migliorato il sistema di monitoraggio antifrode. Il problema c’è ed è evidente.

Programmi elettorali del centro-destra sul reddito di cittadinanza

Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, che ad oggi dai sondaggi è il partito con maggiori consensi, ritiene che disincentivi la ricerca di un lavoro, fino a definire questa misura come metadone di Stato. Questo nonostante alcune modifiche rispetto all’impostazione iniziale. Attualmente dopo la prima rinuncia a una proposta di lavoro, parte la decurtazione dell’importo percepito e alla seconda proposta invece si perde il beneficio.

Nel centro-destra è più defilata la posizione di Antonio Tajani, Forza Italia, che ha dichiarato l’obiettivo di ridurre il numero di beneficiari del reddito di cittadinanza, riconoscendolo solo a chi realmente si trova in uno stato di bisogno. Da questa riduzione dovrebbe derivare un risparmio di 4 miliardi di euro da destinare all’aumento delle pensioni minime. La Lega invece vorrebbe mantenere la misura sono in favore degli inidonei al lavoro, mentre negli altri casi punta all’abolizione, soprattutto ritiene che i controlli debbano essere delegati agli Enti Locali perché sarebbero maggiormente in grado di scoprire le frodi.

Renzi e Calenda: passo indietro di Matteo Renzi

Il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, aveva proposto una raccolta di firme per chiedere un referendum costituzionale per la sua abolizione, ma ha dovuto cedere il passo. Dall’accordo stipulato con Carlo Calenda per le prossime elezioni, il leader di coalizione sarà proprio quest’ultimo, è emerso che si propenderà per una riforma. Insomma Matteo Renzi ha ceduto e come molti altri leader di partito assume una posizione intermedia per non lasciare il malcontento a nessuno. La proposta di Calenda è quella di ridurre a una sola la proposta di lavoro dal cui rifiuto deriva la perdita del beneficio.

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D’altronde Calenda ha dichiarato che molto probabilmente il nuovo governo resterà in carica 3 mesi e dopo si dovrà ritornare a un governo “istituzionale” sulla scia del governo Draghi o che comunque porti avanti la famosa “agenda”. Proprio Draghi  aveva dichiarato che il reddito di cittadinanza deve essere riformulato.

Programmi elettorali del centro sinistra per il reddito di cittadinanza

Il Pd, non intende abolire il reddito di cittadinanza, anche in questo caso si parla di una riformulazione, il cui obiettivo dovrebbe essere non ledere le famiglie numerose.  La coalizione di centro-sinistra pensa di introdurre l’integrazione pubblica alla retribuzione (in-work benefit), si tratterebbe di una misura volta ad agevolare lavoratori e lavoratrici che hanno un reddito eccessivamente basso.

Enrico Letta, leader della coalizione di centro-sinistra che comprende Pd, +Europa, Sinistra Italiana di Fratoianni, Verdi e Di Maio e Tabacci con “ Impegno Civile”.

Saranno davvero abolite le comunicazioni Lipe? Cosa potrebbe cambiare?

Presto i titolari di partita Iva potrebbero avere una bella sorpresa, infatti dalla conversione del decreto Semplificazioni potrebbe arrivare l’abolizione dell’obbligo di presentare le comunicazioni Lipe trimestrali. Ecco perché.

Decreto semplificazione e l’abolizione delle comunicazioni Lipe trimestrali

Il decreto legge 73 del 2022 propone l’obiettivo abbastanza arduo, e più volte tentato anche in passato, di semplificare la burocrazia italiana. Trattandosi di un decreto legge, affinché si trasformi in legge deve essere convertito entro 60 giorni dalla pubblicazione. La fase di conversione è sempre abbastanza convulsa e si esplica in diverse tappe, tra cui la presentazione di emendamenti, di solito molto numerosi e l’analisi del testo nelle Commissioni e poi in aula ( Camera e Senato).

Per quanto riguarda il decreto legge 73 del 2022 ( pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 21 giugno 2022) si è verificata una presentazione di emendamenti bipartisan, quindi sia da parte dei partiti di opposizione, cosa del tutto normale, sia da parte della maggioranza, di emendamenti uguali che hanno ad oggetto l’abolizione delle comunicazioni trimestrali Lipe. Si tratta delle comunicazioni periodiche Iva, previste dall’articolo 21 bis del decreto legge 78 del 31 maggio 2010 che devono essere inviate trimestralmente e poi con dichiarazione annuale finale, questa può sostituire anche la comunicazione lipe del quarto trimestre.

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Per i titolari di partita Iva si tratta di un impegno che naturalmente richiede attenzione, ma soprattutto rappresenta un costo perché nella maggior parte dei casi la comunicazione avviene da parte del commercialista e maggiori impegni si chiedono a costui, maggiori sono i costi da sostenere per il suo onorario.

Gli emendamenti per l’abolizione delle comunicazioni Lipe

La proposta emendativa prevede: Al decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, l’articolo 21-bis è soppresso.

La stessa proposta è contenuta in emendamenti dichiarati identici, si tratta degli emendamenti 3.1 e seguenti. Gli emendamenti sono stati presentati dal Pd attraverso il deputato Buratti, dal Gruppo Misto rappresentato da Raffaele Baratto, da Fratelli d’Italia, ma in questo caso l’emendamento è firmato da diversi deputati tra cui Paolo Trancassini, dalla Lega, Forza Italia, LEU, rappresentato da Stefano Fassina. Italia Viva attraverso Massimo Ungaro e, infine, M5S.

Il fatto che sia stato presentato un unico testo in più emendamenti da parte dei vari partiti politici, implica che sul testo evidentemente c’è già un accordo. Certo i lavori parlamentari potrebbero sempre riservare brutte sorprese, ad esempio il veto da parte di un Ministero, è capitato anche altre volte, ma resta comunque una possibilità.

Sono in molti ad osteggiare questo adempimento e per diversi ordini di ragione, in primo luogo perché la comunicazione annuale comunque riprende tutte le informazioni delle comunicazioni trimestrali, in secondo luogo perché con l’estensione dell’obbligo di fatturazione elettronica praticamente per tutte le Partite Iva, i dati sulle transizioni sono ormai disponibili al Fisco in tempo reale.

Riforma del catasto: via libera alle nuove regole su adeguamento rendite.

Per un solo voto di scarto, la maggioranza in Commissione Finanze alla Camera approva la riforma del catasto, proprio questa maggioranza molto risicata fa capire come si tratti di un tema caldo che spacca la maggioranza, come in passato è già stato il per tetto all’uso del contante che ha addirittura visto il Governo andare sotto. Cerchiamo quindi di capire cosa cambia con le nuove regole.

Come funziona il Catasto

La riforma del Catasto è una delle più difficili da digerire, basti pensare che l’attuale sistema è in gran parte lo stesso delineato nel 1939 e che nel tempo è diventato obsoleto, o meglio, incapace di definire il vero valore del patrimonio immobiliare italiano

Il sistema del 1939 prevedeva due “elenchi”: il Catasto Terreni comprendente aree non edificate e il Catasto Edilizio Urbano comprendente invece i fabbricati industriali, civili e commerciali.  Il Catasto Edilizio Urbano poi nel 1993 è stato trasformato in Catasto dei Fabbricati. Il classamento di fatto si realizza tenendo in considerazione la tipologia di fabbricato  attraverso la qualificazione e classificazione del Comune in cui è ubicato e tenendo conto di vani, metri cubi e metri quadri e moltiplicando il valore per la tariffa di estimo.

La rendita attualmente si determina in base alla classificazione come fabbricato civile, signorile, popolare, ultrapopolare, economico, rurale, villini, ville, palazzi, uffici e abitazioni tipiche. L’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha però rilevato che l’eccessiva ampiezza delle zone censuarie, unita a criteri di classamento obsoleti e all’eterogeneità del patrimonio immobiliare, fanno in modo che i valori rilevati siano molto distanti da quelli reali.

Le varie maggioranze hanno più volte proposto la riforma, ma di fatto non si è arrivati mai alla conclusione. Questa volta sembra che proprio non ci sia intenzione di tornare indietro.

Riforma del Catasto: cosa è successo in commissione Finanze il 3 marzo?

Il 3 marzo 2022 in Commissione Finanze, per un solo voto è stato bocciato l’emendamento volto a cancellare l’articolo 6 della legge di delega che ha come obiettivo la Riforma del Catasto. L’emendamento proposto da Forza Italia andava a minare la parte essenziale della Legge di delega fiscale, infatti proponeva di eliminare dalla stessa la mappatura dei dati catastali e la revisione delle rendite con criteri aggiornati, lasciando solo la parte della legge dedicata all’emersione dei fabbricati fantasma, o meglio abusivi. Il Governo è stato però irremovibile e ha sottolineato più volte che qualunque variazione alla norma sulla Riforma del Catasto avrebbe fatto saltare tutto in quanto la stessa è fondamentale al fine di ottenere i fondi del PNRR.

Questo implica che al centro della riforma fiscale che si sta scrivendo resterà proprio tale parte definita epocale, infatti la Sottosegretaria al MEF Maria Cecilia Guerra ha affermato che si tratta di uno dei punti fondamentali della legge delega per la riforma fiscale.

Cosa prevede la riforma del Catasto?

Il primo obiettivo della riforma del catasto è realizzare un piano di revisione del sistema catastale che consenta di rilevare i dati catastali in modo immediato e quindi possa far emergere i fabbricati abusivi. Il secondo passo sarà invece compiuto il 1° gennaio 2026 e prevede l’adeguamento delle rendite catastali ai valori di mercato e patrimoniali. Uno degli obiettivi della riforma è facilitare l’accesso ai dati da parte dell’Agenzia delle Entrate e dei Comuni attraverso la condivisione degli stessi.

La Legge di delega fiscale prevede anche che l’attualizzazione delle rendite avrà una sorta di eccezione per i fabbricati di interesse storico e artistico per i quali saranno previste riduzioni del valore patrimoniale medio ordinario. Ciò in considerazione del fatto che per questa tipologia di immobili ci sono maggiori oneri legati alla manutenzione ordinaria e straordinaria.

Tali valori, una volta determinati, in base al comma 2 dell’articolo 6, dovranno essere periodicamente aggiornati, ma dalle premesse fatte tali dati non saranno comunque utilizzabili al fine di determinare la base imponibile per la tassazione e quindi non avrà rilevanza a fini fiscali. C’è però da dire che se essi saranno i dati disponibili al catasto, appare evidente che dovranno essere dichiarati nei tradizionali appuntamenti fiscali degli italiani.

Proprio questo è il punto più discusso della riforma, infatti il sospetto di molti, e in particolare della Lega, è che siano utilizzati come strumento per un aumento delle tasse.