Enti locali: il vento del ‘rigor Montis’

 

Studenti in piazza questa mattina a Milano, Roma, Torino, Pisa e nelle maggiori città d’Italia per protestare contro il Governo Monti e le politiche di austerity e tagli all’istruzione pubblica. Nel frattempo la scure del rigor montis si è abbattuta su regioni, province e comuni: approvato ieri in Parlamento il Dl sugli enti pubblici, che prevederà il taglio di oltre 600 poltrone nei consigli regionali, l’abolizione dei vitalizi e l’introduzione del sistema contributivo per le pensioni, controlli preventivi sugli atti di spesa da parte della Corte dei Conti.

IERI

Rivoluzione Zingaretti: “Siamo tutti indignati. Trasformiamo questa indignazione in una proposta politica e ricostruiamo la speranza rendendo credibile un’altra buona politica “. Con questo appello ieri il Presidente della Provincia di Roma ha annunciato la sua candidatura alla Regione Lazio. Sfuma così l’ipotesi di una sua corsa al Campidoglio, mentre Zingaretti parla di ‘emergenza democratica’ di fronte alla quale nessuno può tirarsi indietro: “Io sono qui perchè la priorità assoluta, che sarebbe un crimine sottovalutare: fare piazza pulita del malaffare alla regione Lazio e fare pulizia rispetto al degrado morale al quale ci ha ridotto la destra”. C’è aria di rivoluzione?

Tagli alle Regioni: via libera del Governo al Decreto legge sugli Enti locali e sui tagli ai costi della politica. Niente mezze misure, i provvedimenti contenuti nel documento approvato ieri dal Consiglio dei Ministri parlano chiaro: tagliate 600 poltrone nei consigli regionali, aboliti vitalizi e pensioni col sistema contributivo, obbligo della tracciabilità delle spese dei gruppi consiliari, controlli preventivi sugli atti di spesa da parte della Corte dei Conti, della Ragioneria dello Stato e della Guardia di Finanza, e ancora espulsione per 10 anni dalla vita pubblica per sindaci e governatori responsabili di disastri finanziari. Per le Regioni inadempienti si potrà arrivare al taglio dell’80% dei trasferimenti erariali ad eccezione di sanità e trasporto pubblico locale. C’è aria di rivoluzione.

Facebook a 1 miliardo: oltre 1 abitante su 7 del Pianeta Terra dispone di un account Facebook. Ha sfondato la soglia di 1 miliardo di utenti il social network creato da Mark Zuckerberg quasi 10 anni fa, e per festeggiare Facebook ha diffuso in rete un video che, partendo da oggetti di uso comune, spiega l’importanza dell’essere connessi da un capo all’altro della Terra. L’età media degli utenti è di 22 anni, mentre la crescita esponenziale dei social networkers è stata determinata da Paesi emergenti come Asia e Sud America, Brasile, Messico, India e Indonesia al primo posto.

OGGI

Studenti in piazza: fumogeni lanciati di fronte alla Sede Siae a Milano, scritte e volantini contro le sedi milanesi di Intesa San Paolo e Monte dei Paschi di Siena, cortei spontanei contro il Ministero dell’Istruzione a Roma e lancio di vernici e fumogeni a Torino, dove gli studenti hanno sfilato insieme al Komitato Giovani No Tav. Mattina di guerriglia urbana nelle maggiori città italiane per protestare contro i tagli alla scuola e all’istruzione, ma soprattutto contro il Governo Monti e le sue politiche di austerity: “No ddl Profumo, fuori banche e aziende dalle scuole, saperi per tutti, privilegi per nessuno” hanno gridato a gran voce i collettivi studenteschi di tutta Italia. E a Milano l’obiettivo prescelto è il Palazzo della Regione, per dare vita a un vero e proprio Occupy Regione. Peccato che, al massimo, gli studenti avrebbero potuto trovarci dentro Flavio Briatore e i suoi aspiranti top managers.

Un anno senza Steve: moriva un anno fa, stroncato da un tumore, l’ingegnere dei sogni. Il mondo ricorda Steve Jobs e si domanda quale sia l’eredità da lui lasciata. E’ ancora possibile sognare oggi come l’uomo che davvero ha incarnato il ‘sogno americano’, che è diventato un’icona per intere generazioni, che ha saputo restare sempre “hungry and foolish”?

DOMANI

Del Piero debutta a Sidney: l’ex capitano della Juventus si prepara ad entrare in campo per la prima volta con la maglia del Sidney nella A-League contro il Wellington Phoenix. Alessandro Del Piero è volata questa notte in Nuova Zelanda, mentre il match d’esordio è previsto domani alle 19.30, le 8.30 in Italia.

Tremonti guarda avanti: l’ex Ministro del Tesoro del Governo Berlusconi si prepara al lancio, domani a Rimini, dal suo primo partito, ‘lontano dai notabili’ ma vicino ai cittadini e alle periferie. Ancora mistero sul nome, due le ipotesi: ”Avanti insieme” o ”3L”, che corrispondono a Lista, Lavoro e Libertà. Tremonti ha definito la politica del Governo Monti di ‘distruzione creativa’: “non ha salvato l’Italia, troppe tasse, troppa paura”. E a proposito del fenomeno Renzi, l’ex Ministro del Tesoro non ha peli sulla lingua: ”non vuole rottamare il Pd, ma solo Bersani. Rottamare un partito e’ fare politica, rottamare una persona e’ fare carriera”.

Alessia CASIRAGHI

 

Le tasse per i ricchi hanno fatto flop

Sembrava un’idea geniale, e invece si è rivelata un flop.

Se l’erario pensava di rimpinguare le sue casse con le tasse “per i ricchi”, ha fatto male i suoi conti.
La cedolare secca sugli affitti e la tassa sul lusso, che andava a colpire aerei, barche e auto, non hanno portato a nessun cambiamento, e l’evasione fiscale rimane uno dei problemi più annoso del nostro Paese.

Per quanto riguarda l’incasso stimato dall’introduzione della cedolare al 20%, dovuta dai proprietari di immobili in affitto, che avrebbe dovuto essere di 2,7 miliardi, euro più, euro meno, in realtà ha portato ad incassare solo 675 milioni.
Se consideriamo che, in concomitanza con questa nuova tassa, è stato tolto l’Irpef che i proprietari di immobili in affitto erano tenuti a pagare, per una cifra di 2,2 miliardi, ora all’erario mancano all’appello ben 1,6 miliardi.

E il prossimo futuro non ci riserva nulla di buono, perché, invece dei 3,8 miliardi di euro previsti, le proiezioni fatte a luglio stimano a 714 milioni le entrate totali.
Pensando che, con la vecchia Irpef, le entrate per lo Stato sarebbero ammontate a 3 miliardi di euro, ci si rende conto che la nuova tassa si è rivelata un totale fallimento.

Ma, se la cedolare era stata un’idea del governo Berlusconi, anche il governo Monti ha commesso alcuni pesanti errori.
Primo fra tutti, la tassa del lusso, per mesi al entro delle polemiche e, col senno di poi, forse a ragione. Se, infatti, l’incasso per quest’anno avrebbe dovuto aggirarsi sui 387 milioni di euro, di cui 147 provenienti dal superbollo auto, 155 dal tributo di stazionamento delle imbarcazioni e 85 di imposta sugli aerei, in realtà arriverà a stento a 92 milioni.

L’Agenzia delle Entrate ha reso noto che dal tributo sulle auto sono stati incassati 66 milioni, anche se c’è margine di recupero, essendo il bollo distribuito su tutto l’anno.
I dati che riguardano, invece, barche ed aerei, sono ormai certi, e si tratta rispettivamente di 24 e di 2 milioni.

Resta da vedere quale sarà la prossima mossa, per cercare di recuperare ciò che manca.

Vera MORETTI

L’estate 2012 degli agenti di viaggio

 

di Alessia CASIRAGHI

Quanto ha influito su chi, del mestiere di realizzare i sogni estivi degli italiani, ne ha fatto un business la crisi che ha attraversato il settore turistico questa estate? Parliamo degli agenti di viaggio, ultimo tassello mancante al nostro viaggio di questa settimana tra i diversi attori impegnati nel comparto turistico italiano. Infoiva ha intervistato Fortunato Giovannoni, Presidente nazionale di FIAVET, al Federazione Italiana delle Associazioni e Imprese di Viaggi e Turismo.  Per conoscere l’umore di chi ha scelto di accompagnare i propri clienti nella scelta di un bene che, in un momento di tagli al portafogli, è sempre più considerato voluttuario.

Un primo bilancio a caldo sull’andamento del turismo in Italia nell’estate 2012.
E’ andata male, le previsioni, viste le scarse prenotazioni di marzo e aprile, non erano delle più rosee. C’è stato un forte calo di turisti perchè la metà degli italiani che gli anni scorsi decideva di partire per le vacanze quest’anno è rimasta a casa.  I cali registrati, a seconda dell diverse regioni d’Italia, hanno superato comunque le due cifre, quindi oltre il 10% stimato da Federalberghi. In alcune zone, come la Sardegna, Liguria e il Veneto, hanno toccato punte anche del -20%.

Quali sono state le Regioni più frequentate dal turismo italiano quest’estate?
La Sicilia, la Puglia e la Campagna, il meridione in generale.

Quali tipologie di strutture hanno privilegiato i turisti? 
Le strutture che meno hanno sofferto del calo delle prenotazioni sono stati gli Hotel dalle 4 stelle in su, mentre a essere maggiormente penalizzati sono stati gli alberghi da 2 e 3 stelle. Un dato che ad una primo sguardo potrebbe apparire strano, ma che ad una lettura più approfondita mette in evidenza come a soffrire maggiormente della crisi sia la fascia medio-bassa della popolazione, che si trova stretta nella morsa di tasse, rincari benzina e calo del potere d’acquisto: il primo bene a cui si rinuncia è un bene considerato voluttuario, come il turismo e le vacanze.
Gli agriturismi hanno tenuto,  anche se con un calo accertato: a risultare più penalizzata è stata la Toscana, la Regione più forte come numero di strutture e anche la più ricercata in passato.

Qual è stata la durata media del soggiorno vacanza?
Chi ha scelto di partire per le vacanza ha ridotto il periodo di permanenza: chi prima si concedeva una settimana, è sceso a 6 giorni, partendo la domenica e rientrando il sabato successivo, chi prima stava fuori 2  settimane è sceso a 10 giorni oppure ha optato per weekend lunghi. A risentire di questa contrazione temporale sono stati in larghissima parte i ristoratori: parliamo di un calo significativo per le attività di food&beverage che si aggira attorno al 30%.

I sistemi di prenotazione online in che misura penalizzano chi possiede un’agenzia di viaggi?
Si tratta di un fuoco di paglia. Molti siti di prenotazione online sono gestiti da agenzie di viaggio, quindi il mercato resta circoscritto. Semmai potremmo parlare per assurdo di un vantaggio che l’agenzia di viaggio trae dal mondo del web: il cliente arriva in agenzia più informato, con le idee già chiare sulla meta  per le proprie vacanze. Ha già visionato pacchetti, prezzi, offerte, strutture, mezzi di trasporti, ma poi sceglie comunque di prenotare in agenzia. Perchè? L’online è un sistema di prenotazione considerata da molti clienti a rischio, dove ci sono più probabilità che venga perpetrata una truffa, mentre l’agenzia di viaggio, grazie al contatto diretto e la presenza fisica di punto di riferimento, rassicura maggiormente l’acquirente, che in un momento di ristrette economiche preferisce non ‘mettere a rischio’ il proprio budget, già esiguo.  E’ una conseguenza della crisi: gli italiani sono diventati più oculati nello spendere e la sicurezza è diventata determinante.

Com’è attualmente l’umore dei vostri associati? Pessimista o ottimista?
L’umore è preoccupante, la fiducia scarseggia. Ma soprattutto ci sentiamo stretti nella morsa di un Governo che perpetra nell’introdurre nuovi adempimenti e richieste nei confronti di chi si trova a gestire un’agenzia di viaggio: l’ultima novità riguarda lo Spesometro.  Per legge siamo tenuti a rendicontare a fine anno all’Ufficio delle Entrate ciascun acquirente che spende più di 3.600 euro presso la nostra agenzia nell’arco di un intero anno ( e non di un solo viaggio!). E ancora il divieto di incassare contanti sopra i 1000 euro per acquirente. Tutto diventa più difficile in un momento in cui l’umore generale non è dei migliori.

Se potesse fare un appello al ministro Gnudi, che cosa chiederebbe come priorità per il turismo in Italia e per la vostra categoria?
Creare un sistema turismo valido, efficiente e moderno. Chiediamo solo una cosa al Governo: di essere adeguati alle stesse condizioni in cui operano i nostri colleghi europei. A cominciare dalla tassazione: non mi spiego perchè in alcuni Paesi Ue l’Iva applicata  alla vendita dei viaggi sia al 18%, se non addirittura al 14%, mentre da noi continua ad essere al applicata la tassazione al 21%.
Al Ministro abbiamo già richiesto una legge quadro che uniformi tutte le le ggi regionali: con la modifica dell’art.5 della Costituzione, la possibilità di legiferare nel settore turismo è stato demandato alle Regioni, trasformando il Paese  in macchia di leopardo: occorre equiparare le condizioni di gestione e adempimento delle procedure, che oggi variano da regione a regione e ancora, equiparare le diverse categorie di agenti di viaggio (incoming, outgoing, tour organizer etc).

Come vedete il vostro futuro?
Una ripresa ci sarà ma non nell’immediato. La vacanza è ancora considerata un bene voluttuario e le tasche degli italiani sono vuote. Confidiamo nell’Estate 2013, Natale e Capodanno sono dietro la porta.

Confturismo Veneto: investire nel settore, via tasse e rigidità

di Davide PASSONI

Continua il “giro di tavolo” di Infoiva tra i vari operatori regionali del turismo per avere un commento sulla stagione estiva ormai agli sgoccioli. Dopo il presidente di Federalberghi Emilia Romagna, Alessandro Giorgetti, oggi tocca al collega veneto Marco Michielli, presidente anche di Confturismo Veneto. E anche all’ombra della Serenissima, la situazione fa riflettere…

Un primo bilancio a caldo sull’andamento, in Veneto, della stagione turistica che si sta concludendo.
Partiamo dicendo che non commento i dati di partenze e arrivi, in quanto non danno la vera fotografia della situazione. Parlando sotto il profilo aziendale posso dire che, tutto sommato, se sono corretti i dati che leggo provenienti dal resto d’Italia, il Veneto complessivamente ha tenuto più di altre regioni. Il dato di fondo è che negli ultimi 3 anni la forbice tra incassi e margini operativi si sta divaricando paurosamente. Se, come è vero, fare buoni margini operativi significa avere buone capacità d’investimento, l’apertura della forbice è un grosso problema.

Ovvero?
Una volta le banche, per concedere un finanziamento a una struttura turistica guardavano prima di tutto il valore dell’immobile. Oggi non basta più, oggi le banche guardano la produttività dell’azienda e se questa cala o è quasi nulla il finanziamento non viene erogato. Se poi lo spazio per l’autofinanziamento è azzerato, diventa fondamentale il ricorso alle banche, che però non erogano: è un cortocircuito che mi preoccupa.

Nonostante un’offerta di prim’ordine…
Nel panorama nazionale la nostra offerta turistica è buona, per qualità e varietà. Certo, negli ultimi anni la clientela italiana ha alzato il proprio target perché ha cominciato a viaggiare all’estero, in Paesi nei quali trova strutture di dimensioni e livello molto alto, con decine di addetti e pensa, una volta che va in vacanza in Italia, di ritrovare gli stessi standard. Non sapendo che, per esempio, costruire o pagare del personale in Egitto costa infinitamente meno che da noi.

Com’è l’umore dei vostri associati? C’è ottimismo, pessimismo…
Basso, perché guardiamo con terrore al prossimo anno. Prevediamo già che a giugno 2013 avremo le strutture. Austriaci e tedeschi, che costituiscono buona parte della nostra clientela, faranno le vacanze a maggio, per cui prevediamo un buon maggio, ma con i prezzi di maggio. Se a giugno non arrivano loro e gli italiani non avranno soldi per andare in ferie – come è prevedibile -, chi verrà in quel mese? Rischiamo di trovarci con grosse problematiche da gestire a livello territoriale.

Chiusure…
Certo. Pensi che ci sono alberghi a Venezia che hanno chiesto di diventrare stagionali. A Venezia! Senza contare che, per esempio, la nostra montagna è incastrata tra Trentino Alto Adige e Friuli, regioni a statuto speciale che hanno finanziamenti e norative diverse e più vantaggiose rispetto alle nostre, non solo in ambito turistico.

Capitolo Imu. Che impatto ha avuto e avrà sul settore alberghiero regionale?
Secondo un calcolo che abbiamo fatto, a noi in Veneto ha portato in media un aumento dell’80% rispetto all’Ici. Dico io, abbiamo le tasse sugli utili più alte del mondo: peccato che le paghiamo su utili che non facciamo più.

Se potesse fare un appello al ministro Gnudi, che cosa gli chiederebbe come priorità per il turismo in Sicilia?
Il turismo è l’unica azienda che può dare immediata occupazione e immediata risposta alla crisi. Bisogna investire sul turismo ma abbiamo delle rigidità allucinanti e dei non senso come la tassa di soggiorno: ovunque sia stata applicata, non è mai finita a finanziare iniziative legate al turismo ma solo a tappare i buchi delle amministrazioni comunali.

Per non parlare delle tasse di stazionamento per le barche, dei controlli sui pagamenti in contanti…
Personalmente posso non essere d’accordo con un certo modo di ostentare la ricchezza, ma se ho, poniamo, un magnate russo che viene nel mio porto con lo yacht e mi lascia sul territorio qualche decina di migliaia di euro, mica lo faccio scappare con tasse assurde: faccio di tutto per farlo tornare, magari con gli amici. O se la stessa persona mi stappa 80 bottiglie di champagne in una notte, lo faccio perquisire dalla Finanza così non lo rivedo più nel mio locale? Ecco alcune delle rigidità che danneggiano il settore.

C’è dell’altro per Gnudi, vero?
A livello strategico è necessario un ripensamento della delega del turismo alle regioni. Si è trattato di un errore clamoroso. Abbiamo il marchio piu prestigioso al mondo che è il made in Italy, rispolveriamolo per il turismo, trasferiamo le competenze a livello centrale, basta al turismo degli assessori che vanno a far promozione all’estero alle proprie città: si vada alle fiere internazionali promuovendo centralmente l’Italia. Poi ciascuna regione o ciascun comune, se vuole, anche vada per conto suo. Poi chiederei anche una forte integrazione del sistema aeroportuale: è necessario trasferire su ala almeno il 30% del nostro turismo nei prossimi 10 anni, o saremo fuori mercato. Vuole un esempio? Noi come Veneto sosteniamo che il 60% della nostra clientela è tedesca, ma in realtà è bavarese. Perché in poche ore d’auto e di autostrada sono qui. Gli altri tedeschi vanno in Spagna o in Egitto: in aereo ci mettono meno e sono direttamente in spiaggia.

Italia.it, un’occasione persa?
Italia.it, una cosa vergognosa. Ci è costata 179 milioni e la sua efficacia è pari a zero. Dovrebbe essere il sito che fa entrare gli stranieri in Italia, dalla presentazione del Paese alla prenotazione dell’hotel, e invece per le prenotazioni ci siamo fatti superare da siti da come Booking o Expedia che fanno margini e profitti alle spalle dei nostri hotel. Se questi siti fossero italiani, almeno i soldi delle commissioni che incassano resterebbero qui, ma se un hotel deve arrivare a lasciare loro tra il 18 e il 40% e più di commissione, come fa a far crescere il fatturato? Più percentuale di incasso ti lascio, più persone mi mandi… Un sistema malato, a dispetto dei numeri.

Federalberghi Emilia: lasciateci liberi di fare impresa

di Davide PASSONI

Noi di Infoiva abbiamo tenuto un occhio vigile per tutta l’estate sull’andamento del turismo in Italia. Un’industria dalle enormi potenzialità, fatta quasi solo da piccole e piccolissime imprese e che, in quanto tale, non può che godere di un trattamento di sfavore da parte del governo e del fisco. Avevamo incontrato a luglio il presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, e ci eravamo fatti raccontare i primi mesi del 2012 visti dalla parte di chi opera nel campo dell’hospitality. Ora che, come cantavano i Righeira (miti assoluti) “l’estate sta finendo”, facciamo il punto con alcune Federalberghi regionali per capire che stagione si è lasciata alle spalle chi fa dell’accoglienza una professione. Cominciamo da Federalberghi Emilia Romagna e dal suo presidente, Alessandro Giorgetti.

Un primo bilancio a caldo sull’andamento, in Emilia Romagna, della stagione turistica che si sta concludendo.
La stagione è stata difficile, un po’ per tutte le regioni ma, credo, per noi più che per altri per via della comunicazione che è stata fatta sul terremoto di maggio, che ha rallentato le prenotazioni in due mesi cruciali come maggio e giugno. Da quello che si raccontava sui media sembrava che il terremoto avesse investito tutta la regio ma, naturalmente, non era così; da questo è derivata per noi la difficoltà a stare sul mercato e tante vendite non sono andate a buon frutto. Nonostante questo abbiamo mantenuto numeri importanti, un po’ in calo a luglio e ad agosto.

Cifre?
In termini spannometrici, non avendo ancora dati certi e completi, stimo un -10% di presenze e -15% di fatturato come media.

Tanta della vostra clientela storica è straniera: che ne è stato?
Trovo positivo che gli stranieri siano tornati: è sinonimo di un appeal sul mercato internazionale che non abbiamo perso.

E gli italiani?
Abbiamo pagato la crisi che coinvolge il ceto medio, che era la clientela base della nostra zona; impiegati, artigiani, piccoli commercianti hanno subito e subiscono la pressione delle manovre economiche del governo, la riduzione del loro potere d’acquisto e in tanti hanno tagliato le spese superflue, tra cui le vacanze. Non è solo una mia impressione, è un punto di vista suffragato da molte relazioni che vengono dal territorio.

Quali tipologie di strutture hanno privilegiato i turisti? Il piccolo albergatore tipo “Pensione Marisa” riesce ancora a trovare il suo spazio?
La “Pensione Marisa” della situazione lavora perché ha clienti abituali che mantengono nel tempo una relazione di fiducia quasi familiare. Più difficile la situazione di altre realtà, dove magari le persone pretendono di pagare meno degli anni scorsi per avere gli stessi standard di servizio alti che avevano in passato. La qualità va pagata, se non posso mantenere i prezzi non posso dare servizi all’altezza. Spesso, invece, la gente vorrebbe avere i servizi che ha, che so, a Sharm o sull’altra sponda dell’Adriatico, con schiere di camerieri al proprio servizio, ma non si rende conto che là il costo della manodopera è nettamente incomparabile al nostro.
Tornando alla “Pensione Marisa”, il suo rischio è che quando la sua clientela non ci sarà più, sarà fuori mercato. Come Federalberghi stiamo lavorando proprio per dare a questo tipo di imprese gli strumenti per evitare che ciò accada e che possano emergere: investiamo molto sulle capacità delle imprese e degli imprenditori, vogliamo resistere con capacità e passione per andare avanti.

Com’è l’umore dei vostri associati? C’è ottimismo, pessimismo…
Basso, c’è pessimismo perché si sentono compressi da normative e burocrazia, specialmente per quanto riguarda l’obbligo di segnalare all’autorità fiscale i pagamenti in contanti di somme ingenti, le spese per vacanze superiori a 3600 euro e via dicendo. Pressioni e verifiche fiscali stanno minando l’equilibrio dei nostri imprenditori, che già combattono in una stagione difficile come questa. Per fortuna almeno il tempo ci ha assistito, ci ha aiutato, ma il clima di sfiducia nel futuro e le difficoltà di tante imprese a rivedere la propria mission rimangono.

Capitolo Imu. Che impatto ha avuto e avrà sul settore alberghiero regionale?
In alcuni comuni abbiamo scambiato il tetto massimo dell’Imu al 10,6 per mille in cambio del non pagamento della tassa di soggiorno. Capiamo le esigenze di cassa dei comuni e la necessità di rispettare i patti di stabilità, ma vogliamo che i comuni turistici abbiano un trattamento diverso. In questo senso va la nostra alleanza con gli enti turistici per far capire alle istituzioni che il meccanismo va cambiato; pensi che in alcuni casi con il passaggio all’Imu è stato raddoppiato l’importo che si pagava con la vecchia Ici: aspettiamo la seconda rata per capire la mazzata che ci arriverà. Hotel, pensioni eccetera sono come edifici industriali, che danno lavoro e occupazione: perché devono essere tassati così?

Se potesse fare un appello al ministro Gnudi, che cosa gli chiederebbe come priorità per il turismo in Emilia Romagna?
Soprattutto di migliorare la logistica. Qui in regione abbiamo un problema di logistica oggettivo; aeroporti, autostrade, siamo indietro di decenni: il passante di Bologna che da 4 corsie passa a 2, siamo tagliati fuori dalla Tav… Nei Paesi vicini in pochi anni le infrastrutture cambiano il volto di città e regioni, qui non ce la facciamo mai. Sappiamo che alcune volte queste cose non dipendono direttamente dal ministro, così come i fondi che abbiamo chiesto per riqualificare le imprese, vediamo… Poi sarebbe necessario un regolamento diverso, a livello nazionale, sulla tassa di soggiorno. Insomma, logistica, tasse, fondi per la riqualificazione sono
elementi importantissimi per poter competere e restare sul mercato. Su questo vogliamo che si lavori, con basi di programmazioni serie in una nazione che sta ai primi posti nel mondo per patrimonio e potenzialità turistiche: dimostri con i fatti e non con le chiacchiere di essere all’altezza di questo ruolo.

In una parola…
Vogliamo essere liberi di fare impresa.

Tabaccai: imprenditori o poliziotti?

Il Governo Monti sta tornando ai fasti dei suoi esordi e lo si capisce da una cosa: sta di nuovo facendo incazzare tutti. Questa volta con il “decretone sanità” messo a punto dal ministro Balduzzi, tutti hanno qualcosa di cui lamentarsi, dai consumatori (“molto fumo e poco arrosto“, dice Federconsumatori) – che sono certi che l’introduzione di una tassazione sulle bibite gassate e sul cibo spazzatura si tradurrà solo in un aumento dei prezzi delle stesse – alle associazioni di categorie coinvolte a vario titolo in questo omnibus governativo. Un decreto che affianca aspetti positivi di lotta al malcostume (vedi la trasparenza nelle nomine dei vertici Asl) ad altre trovate che, nascoste sotto la faccia buona dello “stato etico“, mirano solo a una cosa: fare cassa.

Oltretutto marciando sopra i cadaveri dei commercianti, come troppo spesso accade. Ecco perché troviamo estremamente condivisibile la presa di posizione dei tabaccai. Una categoria tra le più bistrattate, che per aumentare i margini negli ultimi anni ha dovuto, come dice chi parla bene, “diversificare il business” senza però riuscire a marginare più e meglio di quanto facesse in passato. Con, oltre al danno, la beffa di trovarsi a vendere un articolo (i tabacchi) sul quale il grosso dei guadagni lo fa sempre e solo lo Stato. Ora, poi, arrivano anche le minacce delle maximulte per chi venderà sigarette ai minorenni. Ecco perché Assotabaccai-Confesercenti alza la voce.

Secondo l’associazione di categoria che riunisce i tabaccai, le nuove norme sui tabacchi e i videopoker “non risolvono i problemi di salute pubblica, ma puniscono ingiustamente imprese e consumatori. Mettendo in luce la contraddizione di fondo della politica dello Stato che da un lato si dà al proibizionismo, e dall’altro utilizza le imposte sui due comparti per aumentare le entrate fiscali“. Insomma, il solito gioco: da una parte faccio cassa fin che posso su fumo e gioco d’azzardo legale (per non parlare degli alcolici), dall’altra però ti dico che sono due cose brutte e cattive per cui ti stango se non stai alle regole che metto io.

Infatti, proseguono i tabaccai, “le nuove norme restrittive presenti nel decreto hanno un effetto negativo solo sugli imprenditori, trasformando i tabaccai in agenti di polizia che devono far rispettare un divieto facilmente aggirabile. E costringendo a spostarsi i concessionari che hanno legalmente acquisito la licenza dei videopoker, nella speranza che pochi metri di distanza in più da scuole e ospedali possano prevenire le ludopatie e il gioco compulsivo. Dal Governo aspettiamo, invece di un ritorno al semplice proibizionismo, un piano legislativo organico di lotta alla dipendenze e al gioco d’azzardo illegale […] Invece, con le norme previste dal decreto temiamo una crescita del contrabbando di sigarette – che solo nel 2010 ha arrecato un danno alla filiera di 650 milioni di euro, di cui 485 sottratti al gettito fiscale – e del gioco d’azzardo non autorizzato, a discapito degli imprenditori che hanno le carte in regola“.

Come dare torto? Non bastassero le molte rapine che, statisticamente, i tabaccai subiscono, ora arrivano anche la rapina e le minacce da parte dello Stato. Del resto, questo è il trattamento riservato dalla nostra amministrazione fiscale agli imprenditori e per chi tenta di reagire non si può nemmeno invocare la legittima difesa.

Cresce il debito pubblico e cala la nostra fiducia

di Davide PASSONI

Potere dei numeri. Che la matematica non sia un’opinione è un dato di fatto, ma che ciascuno pieghi i numeri per far dire loro ciò che gli torna più comodo lo è ancora di più. Prendiamo i recenti dati sul debito pubblico: a giugno ha toccato quota 1.972,9 miliardi dai 1966,3 di maggio. Demerito, secondo il premier Monti, degli aiuti pagati dall’Italia ai partner europei in difficoltà, dato che “il nostro debito pubblico quest’anno ha raggiunto il 123,4% del Pil. Senza i contributi (per i fondi salva-Stati e i prestiti concessi ai Paesi in crisi) saremmo al 120,3%“.

Sarà anche vero, ma allora quanto sono state utili la stangata dell’Imu e l’aumento delle accise sull’energia che hanno portato nelle casse dello Stato 3,7 miliardi di euro nei primi sei mesi del 2012? Com’è che questo maledetto debito pubblico (il vero, grande problema dei conti italiani) continua a crescere nonostante i proclami e alcune, pavide iniziative della banda Monti? Ripetiamo, sarà anche vero: ma questo dare sempre la colpa agli altri, Germania ed Europa in primis, comincia a stufare.

Vero, si parla di settembre come del mese in cui cominceranno a vedersi i primi segni del miracolo: un intervento sul mostruoso stock di debito pubblico da abbattere con un piano mirato di dismissioni immobiliari, per arrivare a toccare un rapporto con il Pil pari al fatidico 100%. Ma intanto si prende ancora tempo e si fa strada persino l’ipotesi di un super-commissario ad hoc, un po’ come accaduto per la spending review. Là fu chiamato Enrico Bondi per aiutare i professori a capire dove e come tagliare la spesa pubblica, qui qualche altro Solone calato dall’alto insegnerà al governo come dismettere immobili pubblici. Le partecipazioni no, quelle no, sia mai… Peccato che lì di ciccia da recuperare ce ne sarebbe ancora e tanta… Ma evidentemente i professori hanno bisogno di un’altra persona che li aiuti a fare i compiti.

Paradosso in una terra di paradossi. E vedremo nei prossimi mesi, quando pian piano si esaurirà l’onda lunga della prima Imu, come andranno le entrate fiscali. Se ci sarà una flessione come accaduto nei mesi scorsi, allora il segnale sarà preoccupante: se le gente non ne ha più nemmeno per pagare le tasse, figuriamoci per mangiare. Ma intanto aspettiamo a dismettere e il debito pubblico sale. Tanto paga Pantalone… ops! Paga il cittadino e paga l’impresa.

La benzina sale, i benzinai protestano. Ma quali le ragioni?

 

Le file ai distributori di benzina per i maxi sconti del weekend si preparano a diventare l’immagine simbolo di questa estate italiana, soffocata tra crisi, spread, agenzie di rating e poche, pochissime vacanze. Per il prossimo fine settimana, il 4 e 5 agosto, quello in cui si concentrerà molto probabilmente l’esodo vacanziero, i distributori di benzina avevano annunciato una serrata di protesta. 

Protesta revocata in seguito, grazie ad  “accordo raggiunto” tra gestori, governo e aziende petrolifere in un incontro, venerdì scorso, al Ministero dello Sviluppo economico. Anche se il verdetto finale è rimandato al prossimo giovedì, giorno nel quale le parti in causa si incontreranno nuovamente per fare il punto sulle decisione del Decreto Liberalizzazioni.

Ma quali sono le vere ragioni della protesta, sottoscritta dalle maggiori associazioni italiane di categoria, aib-Confesercenti, Fegica-Cisl e Figisc-Anisa Confcommercio?

Infoiva lo ha chiesto a Roberto Di Vincenzo, Presidente di Fegica, per cercare davvero di capire come funziona il mercato del petrolio e quali sono le cause reali della continua giostra dei prezzi del carburante, tra aumenti, sconti e rincari, che grava sulle tasche degli italiani.

Se ne è a lungo parlato sui giornali, ma se dovessimo spiegare in poche parole ai consumatori le ragioni dello sciopero delle pompe di benzina che avevate indetto per il 4 e 5 agosto?
E’ presto detto, evitando inutili tecnicismi. Le compagnie petrolifere intendono approfittare del momento di grave crisi del Paese e di “distrazione” della politica per “regolare i conti” con un’intera categoria che per loro rappresenta un costo e soprattutto l’unico possibile e reale elemento di potenziale concorrenza, se e quando dovessero finalmente tradursi nel concreto i contenuti del recente decreto liberalizzazioni che Governo e Parlamento hanno trasformato in legge. A questo scopo, i petrolieri ricorrono ad ogni mezzo, compreso quello di disattendere e violare apertamente anche le leggi che regolano l’attività del settore, rifiutandosi da anni di rinnovare gli accordi collettivi e tagliando unilateralmente fino al 70% i margini già esigui dei gestori. Mi limito a ricordare che i gestori avrebbero diritto ad un margine che mediamente vale meno di 4 centesimi al litro, vale a dire 1 euro ogni 50 che l’automobilista spende per fare rifornimento: una mancia, insomma.

Nonostante gli avvertimenti del Garante, avete continuato a far valere le vostre ragioni, trovando però una mediazione,  rinunciando in un primo momento, prima della revoca di venerdì, alla serrata del 3 agosto. Perché così tanta resistenza? Quali sono i vostri obiettivi?
Il Garante, lungi dal “bacchettare” i benzinai – come qualcuno ha cercato strumentalmente di far credere – ha tenuto a dire due cose importanti: da una parte, aveva confermato la piena legittimità della proclamazione dello sciopero per sabato 4 e domenica 5; dall’altra, ha spiegato che, nell’ambito delle prerogative della Commissione che prevedono un tentativo di “raffreddamento” delle vertenze, intende convocare i petrolieri e persino arrivare a multarli, se dovesse arrivare alla conclusione che lo sciopero fosse da addebitare alla responsabilità diretta di un loro comportamento fuori delle regole. Una vera rivoluzione rispetto al passato, che restituisce un pizzico di equilibrio rispetto ad un luogo comune , sciopero = disagio, che ormai evita qualsiasi approfondimento circa le ragioni vere e le reali responsabilità che portano a conflitti sociali di tale rilevanza. La pretesa di trasferire forzatamente sulla collettività altri 120.000 disoccupati, come sta cercando di fare l’industria petrolifera italiana, Eni in testa, non può essere accolta senza contrasto. E questo è il nostro primo obiettivo.

Quali sono le conseguenze delle sempre più competitive campagne sconto del weekend sul singolo gestore di una pompa di benzina?
La prima è il taglio, come già detto, del suo margine: le compagnie impongono ai gestori di rinunciare fino al 70% di quanto dovrebbero avere, se non vogliono essere tagliati fuori dalle “promozioni”. La seconda è vedere concentrate le vendite della settimana solo nei weekend: il totale dei volumi venduti continua a contrarsi, a causa della crisi e dei continui rialzi dei prezzi dei carburanti decisi dalle compagnie, ma trasferire le vendite nel fine settimana significa ridurre sensibilmente il ricavo unitario del gestore, a vantaggio delle aziende. La terza è rappresentata dalla sostituzione forzata di chi lavora sull’impianto (ad un costo ridicolo per il “sistema”) con la macchinetta del self: le compagnie, dopo aver alzato i prezzi, dicono di praticare gli “sconti” solo alla macchinetta del self, di fatto costringendo i consumatori a servirsi con quell’unica modalità di vendita e creando le condizioni per mandare a casa i lavoratori. Un effetto che si consoliderà soprattutto a settembre, dopo la fine delle iniziative di sconto.

Quali sono le ripercussioni delle campagne aggressive praticate dalle grande compagnie petrolifere sulle più piccole e le pompe no logo?
Sono volate parole grosse in queste settimane: dumping, comportamento predatorio, abuso di posizione dominante. Tutte accuse -lanciate dalle compagnie più piccole, dai retisti indipendenti e dalle stesse pompe bianche all’Eni- almeno credibili e, con ogni probabilità, fondate. Quando un mercato non è dominato, ma letteralmente governato da un unico soggetto -l’Eni- peraltro controllato dallo Stato, con il quale intrattiene innumerevoli occasioni di “scambio” (compresi i contratti all’estero per ragioni geopolitiche) e che gli garantisce il monopolio di mercati ricchissimi (il gas), queste sono conseguenze da mettere in conto. D’altra parte, finché il “leader del mercato” se la prendeva solo con i gestori o i consumatori alzando continuamente i prezzi, tutti gli altri soggetti hanno largamente beneficiato del “sistema Eni”. Ma quando si accetta supinamente che un sistema si muova non in funzione di regole oggettive e uguali per tutti, ma della “liberalità del principe”, si rischia di avere un pizzico meno di credibilità nel denunciare le storture. In ogni caso, benvenuti ai ritardatari.

Scontoni nel weekend e repentini rialzi dei prezzi del carburante in settimana. E’ un po’ come se gli italiani alla fine ‘pagassero’ il proprio sconto?
E’ la triste verità che abbiamo denunciato – allora da soli, oggi potendo contare su qualche “alleato” in più – fin dalla conferenza stampa di Scaroni di presentazione di “Riparti con Eni”. In realtà, il nostro Paese, la collettività, oltreché ciascun singolo cittadino e consumatore, si è già pagato, in anticipo e in mille modi diversi, molto più del valore degli “sconti” di questi weekend. Solo nei primi 3 mesi di quest’anno, le compagnie hanno rialzato 34 volte consecutivamente i prezzi dei carburanti: una volta ogni tre giorni! Il fatto è che siamo nelle mani di pochi soggetti che controllano indisturbati il rubinetto del prezzo dei carburanti, a cui viene consentito di mettere in fila gli italiani alle macchinette del self nei fine settimana -come se stessimo in tempo di guerra, con la tessera del razionamento del pane in mano- facendogli credere di dare loro un vantaggio. Ma la verità è che, se fosse applicato quello che nel decreto liberalizzazioni è solo appena abbozzato, vale a dire se fosse data ai gestori la possibilità di svincolarsi dalle compagnie e di rifornirsi sul libero mercato, gli automobilisti avrebbero immediatamente, su tutti gli impianti, anche sotto casa, tutti i giorni e senza rinunciare al servizio e all’assistenza, un prezzo stabilmente più basso di almeno 10 centesimi.

Esiste un tetto massimo al rialzo dei prezzi del carburante? Lo Stato come interviene in tal senso?
Il regime di “libero mercato” non consente l’imposizione di un tetto massimo alla fissazione dei prezzi. E quindi lo Stato non ha alcuno strumento di intervento diretto sul fenomeno. Può (e dovrebbe) dotare il sistema di regole certe che consentano di ottenere un mercato meno ingessato dalla prepotenza di pochi soggetti e quindi maggiore concorrenza, efficienza e prezzi più contenuti. Ad ogni modo, la nostra categoria, fin dal 2002, ha ottenuti accordi (gli stessi che le compagnie petrolifere non voglio rispettare e rinnovare) che impongono negozialmente un prezzo massimo di rivendita al pubblico. Un esempio virtuoso di contrattazione a cui non è stato dato particolare rilievo dall’informazione e che perciò viene ora aggirato dai petrolieri senza nessuno scandalo.

Veniamo alla questione dei “platts”, quotazione fissata virtualmente dalle agenzie internazionali di rating. Quanto incide sul prezzo finale del carburante?
Al 16 luglio scorso la famigerata quotazione platts, cioè il valore convenzionale dei carburanti finiti, era 0,601 euro al litro per la benzina -il 34,20% sul prezzo medio al pubblico- , e a quota 0,650 euro al litro per il gasolio  -il 39,44% sul prezzo medio al pubblico. Come si evince, se non ci fossero imposizioni fiscali sensibilmente differenti per ragioni politiche, la benzina costerebbe molto meno del gasolio. Ciò detto, però, quel che agli italiani andrebbe detto è che dietro la quotazione platts viene impunemente nascosta la vera e ingentissima rendita dei petrolieri. Mentre la rivista Forbes inserisce ben 8 compagnie petrolifere tra le 10 aziende più ricche del mondo, i petrolieri nostrani denunciano margini industriali da fame e ridicoli: il 5,06% sul prezzo della benzina e addirittura il 3,76% sul gasolio. Ci si può credere? La verità è che i loro veri margini sono proprio dentro la quotazione platts che fissano “virtualmente” loro stessi (sono tutti soci della rivista del gruppo Standard&Poors che fissa la quotazione) e che non un solo litro di carburante viene “scambiato” al prezzo platts. D’altra parte, è assolutamente incontrovertibile che, ancora oggi, il costo (tutto compreso) di estrazione del greggio varia tra i 2 e i 10 dollari al massimo al barile, mentre la quotazione sui mercati internazionali è stabilmente sopra i 100 dollari: nelle tasche di chi va la differenza?

Accise e Iva quanto pesano sul prezzo finale del carburante? Cosa potrebbe fare lo Stato Italiano per andare incontro ai consumatori?
Sempre al 16 luglio, le tasse pesano il 58,57% sul prezzo della benzina ed il 54,56% su quello del gasolio. Non c’è dubbio che sia una imposizione pesantissima e particolarmente odiosa perché pesa indiscriminatamente su tutti i cittadini, indipendentemente dal loro reddito, e perché incide su un bene divenuto ormai essenziale alla vita quo diana di ciascuno. Allo stesso modo, va rilevato che questa imposizione concorre a “finanziare” una parte consistente della cosiddetta “spesa pubblica corrente” e che, se non fosse caricata sui carburanti, la collettività se la vedrebbe trasferita altrove. Fatte queste premesse, quel che appare davvero iniquo è che il Governo italiano, qualunque Governo, non trovi di meglio da fare che aumentare le accise dei carburanti, ogni qual volta abbia la necessità di “fare cassa”. Adoperare un intero settore produttivo e un prodotto essenziale come i carburanti alla stessa stregua di un bancomat, non è serio, oltreché profondamente ingiusto. Anche perché -nell’indifferenza della politica e nonostante lo “scontone”- i consumi continuano a far registrare un -8% abbondante nel primo semestre dell’anno.

La percezione è che ci sia una gran confusione tra i consumatori nel distinguere fra benzinai, petrolieri e compagnie petrolifere. Se volessimo fare un po’ di chiarezza?
Non c’è dubbio che, per tanto tempo, nella percezione comune si è fatto fatica a separare la “posizione” dei gestori da quella delle compagnie petrolifere. Un po’ come se si potesse ritenere che un banchiere e un bancario abbiano il medesimo grado di interesse nell’affare della banca. Una confusione di ruoli che comunque ha consentito proprio alle compagnie di defilarsi e di dissimulare le proprie responsabilità. Per un automobilista, del prezzo alto dei carburanti, è senz’altro più semplice incolpare il benzinaio che sembra sfilargli direttamente i soldi dal portafoglio. Oggi le cose sono un po’ diverse, c’è maggiore consapevolezza e affiora non raramente un certo spirito solidale tra consumatore e gestore, accumunati da uno stesso destino: essere vittima della lobby potente del petrolio.

Alessia CASIRAGHI

Ombrelloni chiusi il 3 agosto

Dopo lo stop annunciato dai benzinai per il primo weekend di agosto, stavolta tocca a bagnini e gestori di stabilimenti balneari. Il venerdì nero delle vacanze, sia per chi si appresta a partire che per chi è già disteso al solleone, ha già una data: 3 agosto 2012.

Ombrelloni chiusi e operatori balneari a braccia conserte dunque sulle spiagge italiane: i 30 mila imprenditori balneari di tutte le maggiori sigle sindacali hanno deciso infatti di far sentire in questo modo la propria protesta contro il Governo, reo di non intervenire con forza per chiedere all’Ue una deroga alla direttiva Bolkestein.

Ma qual è il punto in discussione? La direttiva Bolkestein prevede che, dal 1 gennaio 2016, tutte le concessioni balneari vadano all’asta. E gli operatori del turismo balneare non ci stanno: “questa e’ la prima iniziativa di una serie – ci tiene a precisare Graziano Giannessi, vicepresidente del Sib, il Sindacato italiano balneari, nonchè titolare del bagno Nettuno a Viareggio. – Dal 4 agosto tutte le nostre associazioni saranno sul piede di guerra con varie manifestazioni: dal tuffo in mare alla cocomerata, per coinvolgere nostri clienti, come abbiamo gia’ fatto lo scorso anno in questa battaglia“.

Il 3 agosto gli stabilimenti balneari rimarranno chiusi per protesta fino alle ore 11, mentre saranno regolarmente garantiti i servizi di salvataggio.

Gli stabilimenti sono anche dei clienti che non vogliono l’autogrill sul mare – continua  Giannessi. – Noi vogliamo mantenere la storicità delle nostre imprese’‘. E  il Sindacato italiano balneari pare avere ben chiaro chi sia il reale colpevole della situazione: “è il nostro governo, che è silenzioso che non vuole intervenire. Crediamo di sapere quali sono gli interessi che vi sono dietro: si chiamano multinazionali. Ma a noi chi ripaga gli investimenti fatti e i mutui contratti?“.

“E’ dal 23 febbraio che non abbiamo più nessun dialogo con il Governo – sottolinea Vincenzo Lardinelli, presidente della Fiba-Confesercenti – “nonostante l’impegno da parte dei ministri Gnudi e Milanesi a lavorare con la categoria alla stesura di un provvedimento per la disciplina delle concessioni. Non ci resta che avviare una stagione di protesta per richiamare l’esecutivo al rispetto degli impegni presi”.

La giornata di sciopero è stata indetta dai sindacati di categoria, Fiba-Confesercenti, Sib-Confcommercio, Cna, Balneatori, Assobalneari Italia-Confindustria, insieme ad un pacchetto di iniziative che verranno attuate nel corso del mese di agosto su tutte le spiagge. Lo scopo è di far sentire la propria voce per chiedere all’esecutivo la riapertura del tavolo di confronto per dare vita a un documento condiviso per superare gli ostacoli che stanno paralizzando il settore balneare, già piegato dalle conseguenze della crisi economica.

 

La Riforma della Fornero? Non ce la siamo bevuta: la parola al Consulente

 

La Riforma del Lavoro è stata varata la scorsa settimana e subito ha riscosso un mare di dissensi, per non dire perplessità, da parte di imprenditori, professionisti, inoccupati e di chi, in prima battuta, risentirà delle modifiche a contratti di lavoroordini professionali e sovvenzioni che (non) arriveranno per implementare le risorse interne delle imprese.

Da subito, i dirigenti in capo all’Associazione dei Consulenti del Lavoro ha parlato di una NON riforma che non risolverà affatto il problema della disoccupazione giovanile.

Infoiva ha chiesto il parere del dott. Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro

Perché siete così convinti che la riforma del lavoro non farà ripartire le assunzioni? Che cosa avreste proposto e che cosa manca?
In nostro grande timore che la riforma del lavoro, così come pensata ed approvata, non porterà nuova occupazione. Il rischio, invece, è che si verifichino perdite di occupazione e contenzioso a causa dell’aumento del costo del lavoro (contratto a termine e aspi), dell’eccessiva burocratizzazione (intermittente, part-time, convalida dimissioni), dei nuovi vincoli (apprendistato), delle nuove presunzioni (partite iva e associati in partecipazione), delle abrogazioni (contratto d’inserimento) e delle restrizioni (voucher).
L’irrigidimento complessivo nella gestione del rapporto di lavoro con la presunzione di subordinazione, unito all’introduzione della comunicazione obbligatoria della presenza per i lavoratori intermittenti con la previsione di una sanzione sproporzionata; le nuove procedure in materia di dimissioni e gli interventi in materia di flessibilità non faranno certamente bene ad un mercato del lavoro che ha bisogno di fluidità e non di freni e vincoli come quelli che le nuove norme stanno introducendo.

Ci sono dei lavori o delle soluzioni su cui puntare oggi giorno, occasioni o campi dalle maggiori possibilità occupazionali?
Anche se siamo in presenza di un mercato del lavoro in crisi, con una disoccupazione degli under 24 che supera il 30%, esistono profili di difficile reperibilità per le aziende. Ad esempio tecnici informatici o personale sanitario, dove assistiamo al reperimento delle risorse in paesi esteri. Ma anche lavori manuali come cuochi o conduttori di macchine da lavoro. Una buona formazione tecnica oggi mette al sicuro un lavoratore e non ha niente da invidiare a percorsi più incerti e dispendiosi.

Tanti, per ovviare alla mancanza di occupazione, stanno puntando sull’apertura della partita IVA a rischio super tassazione: secondo lei, tanti singoli fanno un mercato del lavoro o dovrebbe pensarci lo Stato?
Il mondo del lavoro ha tante sfaccettature. Ma dobbiamo superare lo storico luogo comune che lavoro significa solo lavoro dipendente. Bisogna anche saper rischiare nel fare impresa o intraprendere un lavoro autonomo. Lo Stato deve evitare di disegnare un sistema giuridico che penalizzi il lavoro autonomo in favore di quello dipendente. Non bisogna dimenticare mai che dal lavoro dipendente non nasce lavoro dipendente. L’occupazione la crea il lavoro autonomo; per questo auspichiamo che i Governi rendano attuali i tanti principi enunciati per favorire l’imprenditoria giovanile. Le professioni regolamentate sono di sicuro uno sbocco importante per le nuove generazioni; le iscrizioni agli albi professionali hanno avuto un incremento importante negli ultimi 10 anni e, da una recente ricerca, l’età media dei professionisti è di 45 anni.

Che cosa è stato fatto per i piani di mobilità sociale e come si equilibrano piani di mobilità con l’effettiva ondata di licenziamenti cui stiamo assistendo, non ultimo il discorso sulla spending review del Premier Monti?
Non c’è alcuna mobilità sociale senza ricambio generazionale. Purtroppo il Paese sta affrontando una crisi profonda sia dal punto di vista economico che dal punto di vista occupazionale. Ma ora siamo in attesa delle misure per lo sviluppo. Credo che per poter rilanciare un Paese non c’è bisogno solo di politiche di contenimento delle spese ma anche di riforme strutturali del sistema produttivo. Per quanto riguarda le misure per lo spending review presentate dal Professor Monti, ciò che grava molto non è il numero dei dipendenti della Pubblica Amministrazione, visto che non sono così poi tanto maggiori (in proporzione) rispetto agli altri paesi, bensì i relativi stipendi, soprattutto di alcuni alti funzionari. La spesa media per il personale e per i servizi del funzionamento dell’attività amministrativa italiana, nel quinquennio 2005/2009, è stata pari a 248 miliardi, ovvero il 16,4 % del Pil.

Secondo lei, le imprese saranno agevolate nell’assunzione di nuove risorse sfruttando il contratto di apprendistato o è solo un bel nome per aggirare l’ostacolo?
La riforma dell’apprendistato, cioè ridisegnare i percorsi di apprendistato, credo sia importante e imprescindibile in un momento in cui i nostri giovani, ce lo dicono tutte le statistiche, hanno difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro.
Siamo a percentuali preoccupanti dei tassi di disoccupazione giovanile ma va posto l’accento su un aspetto altrettanto preoccupante: il fatto che sta aumentando il numero dei giovani che non cerca lavoro, che è scoraggiato e quindi esce da quelli che sono i circuiti in cui invece potrebbe trovare un’occupazione.
L’apprendistato è l’unico contratto a finalità formativa, ma ha anche la funzione importante di accompagnare i giovani e farli transitare dal mondo dell’istruzione al mondo del lavoro.
Il problema resta a livello operativo considerato che la gestione da parte delle Regioni spesso è contraddistinta da procedure molto burocratizzate ed una legislazione non chiara e , a colte, contraddittoria. Situazioni che penalizzano l’espansione dell’apprendistato.

Qual è il vostro punto di vista sulla Riforma degli ordini professionali e lo stato dei liberi professionisti? Si preannuncia meno burocrazia ma i soggetti, come la categoria dei giornalisti pubblicisti, si è sentita defraudata dei suoi diritti?
Di riforma delle professioni si parla ormai da decenni. Il comparto professionale continua, però, a dimostrarsi tra i più dinamici garantendo al Paese il 15% del PIL. Gli Ordini professionali non si sono mai dichiarati contrari all’ammodernamento delle regole, anche per adeguare le leggi ordinamentali al nuovo contesto europeo. Ma quello che abbiamo sempre chiesto è quello di avere un dialogo continuo con le Istituzioni per arrivare ad una riforma condivisa e strutturale. Purtroppo, non si vuole avere la consapevolezza che il sistema ordinistico italiano è una risorsa del Paese e che negli altri stati europei esistono gli ordini caratterizzati esattamente come in Italia. A volte in questa materia si parla più per frasi fatte che per effettiva conoscenza del settore.

Ma secondo voi, questa riforma, si farà per davvero?
Gli Ordini professionali hanno già fatto la loro parte e sono sempre disponibili al confronto.

 

Paola PERFETTI