Imprese: accedono al Fondo Integrazione Salariale senza addizionale

Il decreto Sostegni Ter entrato in vigore il 27 gennaio 2022 prevede la possibilità per le imprese che subiscono un fermo delle attività lavorative di accedere al FIS, Fondo Integrazione Salariale, senza dover versare il contributo addizionale.

Agevolazioni per le imprese: possono accedere al FIS senza versare il contributo addizionale

L’INPS con la circolare 18 del 2022 ha fornito ulteriori chiarimenti sull’applicabilità del decreto e in particolare per proporre le domande di accesso al FIS senza dover provvedere al versamento del contributo addizionale. Questo ammonterebbe al 4% della retribuzione persa dai lavoratori dipendenti. Tale agevolazione può essere fruita per il primo trimestre dell’anno 2022 e la domanda deve essere proposta all’INPS dall’azienda che abbia almeno un dipendente entro 15 giorni dall’inizio della sospensione o riduzione dell’attività. Per le aziende che hanno avuto la sospensione o riduzione nel mese di gennaio 2022 i termini decorrono dal primo febbraio.

L’esonero del versamento dei contributo addizionale non è una novità, infatti era già stato previsto per gli anni 2020 e 2021, ma nel biennio precedente le misure erano sempre connesse all’emergenza Covid, in questo caso invece il decreto Sostegni Ter non fa alcun riferimento all’emergenza epidemiologica. Questo vuol dire che il fermo o la riduzione dell’attività lavorativa può essere dovuta a qualunque causa anche non connessa a chiusure determinate dall’emergenza epidemiologica.

Il Nuovo FIS trova applicazione per le imprese che abbiano almeno un dipendente e non rientrano nel Fondo di Integrazione ordinario o che aderiscono ai fondi di solidarietà bilaterale o a quelli bilaterali alternativi.

Codici Ateco che possono accedere al Fondo Integrazione Salariale senza contributo addizionale

Codici Ateco Tipologia di attività
55.10 e 55.20 Turismo/alloggi
79.10,79.20, 79.90 Tour operator
56.10.5 Ristorazione su treni e navi
56.21.0 Catering, banqueting
56.29 Mense e catering continuativo su base contrattuale
56.30 Bar ed esercizi simili senza cucina
56.10.1 Ristorazione senza somministrazione
93.21 Parchi tematici
96.04.20 Stabilimenti termali
93.29.1 Discoteche, sale da ballo, night-club e simili
93.29.3 Sale giochi
93.29.9 Intrattenimento e divertimento
49.31 e 49.39.09 Trasporto terrestre
52.21.30 Gestione stazioni per autobus
49.39.01 Gestione funicolari, ski-lift e seggiovie
52.21.90 Servizi radio per radio taxi
91.02 e 91.03 Musei
52.22.09 Servizi connessi al trasporto marino o via acqua
52.23.00 Servizi connessi al trasporto aereo
59.13.00 Distribuzione cinematografica, di video e programmi televisivi
59.14.00 Proiezione cinematografica
96.09.05 Organizzazione feste e cerimonie

Ulteriori informazioni per le aziende e i lavoratori

Possono beneficiare dell’accesso al Fondo Integrativo Salariale tutti i lavoratori subordinati delle aziende viste, tra cui lavoratori apprendisti e lavoratori a domicilio. Inoltre dal 1° gennaio 2022 è cambiato il termine di anzianità di servizio, in passato era richiesta un’anzianità di 90 giorni, ora bastano 30 giorni per poter accedere.

Le settimane di integrazione salariale devono essere conteggiate al fine di determinare le 13 (per aziende fino a 5 dipendenti) o 26 (per aziende con più di 5 dipendenti) settimane del biennio mobile. Devono essere conteggiate nei 24 mesi totali da conteggiare nel quinquennio fisso.

Prima di procedere alla sospensione del lavoro è necessario comunque che l’azienda rispetti la procedura di informazione e di consultazione sindacale.

In presenza di comprovate difficoltà finanziarie, l’azienda potrà richiedere all’INPS il pagamento diretto dell’Integrazione Salariale.

L’Integrazione Salariale rientra negli ammortizzatori sociali, tra cui il più importante è la CIG. Scopri cosa cambia nel 2022 leggendo: Nuova CIG 2022: assegno fino a 1199 euro, per chi?

Caro energia: contributi e aiuti per imprese, quando arrivano?

Il caro energia in Italia è iniziato nell’ultimo trimestre dello scorso anno, ed è alto il rischio che la situazione non cambi per tutto il 2022. Il Governo italiano, che è guidato dal presidente del Consiglio Mario Draghi, è già intervenuto stanziando, con la legge di Bilancio 2022, quasi 4 miliardi di euro al fine di calmierare i rincari di luce e gas sulle bollette. Ma in prevalenza questi aiuti sono destinati alle famiglie.

Allo studio contributi e aiuti per le medie e per le grandi imprese contro il caro energia

Quando invece, proprio contro il caro energia, arriveranno i contributi e gli aiuti pure per le imprese, ed in particolare per quelle che sono di medie e di grandi dimensioni? La domanda è d’obbligo in quanto già nel nostro Paese molte aziende, a partire da quelle cosiddette energivore, hanno tagliato o addirittura hanno sospeso la produzione. Non riuscendo più a rientrare nemmeno dai costi proprio a causa dell’impennata dei prezzi di luce e gas.

In questi giorni il Governo italiano, con a capo il Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE), sta valutando l’adozione di provvedimenti che siano finalizzati proprio ad aiutare le medie e le grandi imprese con aiuti e con contributi contro il caro energia. Ma ci sono dei nodi da sciogliere. Prima di tutto quello relativo alle risorse da stanziare. Ma anche quello relativo ai paletti ed alle condizioni da fissare per l’accesso agli aiuti.

Come stanziare contributi e aiuti contro il caro energia, i produttori nel mirino?

Il Governo italiano, tra l’altro, contro il caro energia ha chiesto pure ai produttori in questo momento di fare la loro parte. Ora resta da vedere se questo invito possa trasformarsi in un provvedimento che, nel colpire proprio i produttori di energia, permetterebbe di rastrellare risorse da destinare proprio alle imprese a partire da quelle energivore che in questo momento sono davvero in ginocchio.

Fondo di Garanzia PMI: cosa cambia con la legge di bilancio 2022

Il Fondo di Garanzia per le Piccole e Medie Imprese (PMI) è stato istituito con la legge 662 del 1996 e potenziato con il decreto legge 23 del 2020 con l’obiettivo di aiutare le imprese a far fronte all’emergenza pandemica. Con la legge di bilancio 2022 si provvede invece a piccole modifiche al Fondo di Garanzia PMI in modo da ritornare gradualmente al regime ordinario.

Cos’è il Fondo  di Garanzia PMI

Le imprese per poter innovare e quindi restare sul mercato ed essere concorrenziali, hanno bisogno di avere fondi da investire, soprattutto in macchinari e nuove tecnologie, ma purtroppo spesso non riescono a ottenerli a causa della impossibilità di fornire agli istituti di credito idonee garanzie.

Il Fondo di Garanzia per le PMI è una misura prevista presso il Ministero dello Sviluppo Economico ed è finanziata con risorse europee, può essere attivata a fronte di finanziamenti concessi da banche, intermediari finanziari e istituti di credito. La misura era inizialmente prevista solo in favore di PMI, ma con il Decreto Liquidità il Governo ha previsto un’estensione del Fondo anche a professionisti, persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, enti religiosi civilmente riconosciuti, enti del terzo settore e ad alcuni soggetti che esercitano attività ausiliarie nel settore dei finanziamenti e assicurazioni. L’accesso al Fondo di Garanzia PMI è consentito solo alle attività considerate “sane”, quindi non in via di liquidazione o sottoposte a procedure fallimentari.

La richiesta di accesso al Fondo di Garanzia non viene effettuata dall’impresa, ma occorre recarsi presso la banca, istituto di credito, intermediario per chiedere il finanziamento e sarà questa a effettuare la procedura. In alternativa è possibile rivolgersi a Confidi che garantisce l’operazione in prima istanza e di seguito chiede la controgaranzia al Fondo.

Fondo di Garanzia PMI: cosa cambia con la legge di bilancio 2022?

Con la legge di bilancio 2022 ci sono piccoli ritocchi a questa importante misura. In primo luogo si provvede all’estensione dell’operatività del Fondo di Garanzia per le PMI fino al 30 giugno 2022.

Viene inoltre estesa anche l’operatività del fondo di riserva di 100 milioni di euro a garanzia dei finanziamenti fino a 30.000 euro a favore degli enti non commerciali. Per le operazioni fino a 30.000 è prevista infatti una procedura semplificata ed è possibile concedere i prestiti con approvazione automatica del Fondo.

La legge di bilancio 2022 prevede però anche un’uscita graduale dalla situazione emergenziale e quindi dal 1° aprile 2022 la concessione delle garanzie del Fondo non sarà più gratuita ma sarà correlata al pagamento di una commissione. Dal mese di aprile diminuisce anche la copertura del finanziamento. Attualmente per prestiti di ammontare inferiore a 30.000 euro è prevista una copertura al 90% mentre da aprile sarà all’80%, anche per i finanziamenti di importo inferiore a 30.000 euro è previsto il versamento di una commissione.

Limiti nella legge di bilancio 2022

La normativa stabilisce che l’importo massimo garantito per ogni impresa sarà di 5 milioni di euro, ma la copertura dovrà essere accettata in base all’applicazione di un modello di valutazione. La nuova disciplina prevede inoltre che ogni anno con legge di bilancio dovranno essere stabiliti dei limiti agli impegni che il Fondo può assumere sulla base di un piano annuale e di una valutazione della propensione al rischio del portafoglio delle garanzie attivate. Il piano deve essere redatto dal Consiglio di Gestione del Fondo, su proposta del Ministero per lo Sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze.

Infine, la legge di bilancio 2022 determina gli importi del Fondo di Garanzia PMI futuri. Per il 2022 è previsto un incremento del Fondo con 210 milioni di euro, l’ammontare aumenta fino al 2025, quando si arriva alla somma massima di 1,7 miliardi di euro per poi ricominciare a scendere. E’ molto probabile però che negli anni tali importi possano avere delle modifiche determinate dalla situazione economica che si presenta.

Ricordiamo che gli aiuti alle imprese di piccole e medie dimensioni sono diversi, tra gli altri ci sono:

Confermato il credito di imposta per la quotazione di PMI

Merito creditizio: cos’è, come si calcola e perché è importante

Più volte nell’affrontare le varie tematiche legate agli investimenti che le aziende hanno bisogno di fare per restare competitive sul mercato, abbiamo sottolineato che per loro è di vitale importanza avere accesso al credito. Abbiamo più volte sottolineato che in alcuni casi è possibile contare sulla garanzia dello Stato o di specifici fondi, ad esempio quelli Invitalia, per avere l’accesso al credito. A questo proposito occorre quindi chiudere il cerchio parlando del merito creditizio, infatti spesso le imprese vedono i loro progetti volatilizzarsi proprio perché non riescono ad accedere al credito. Dobbiamo quindi capire di cosa si tratta esattamente e come viene valutato dalle banche.

La disciplina sul merito creditizio

In linea generale occorre ricordare che, sebbene le banche siano soggetti privati, e di conseguenza hanno una certa autonomia di scelta, vi sono delle regole da rispettare. In primo luogo è necessario citare l’articolo 5 del TUB (Testo Unico Bancario), questo stabilisce che le banche hanno la responsabilità di una corretta erogazione del credito tenendo in considerazione non solo le esigenze dell’utenza, ma anche quelle delle imprese che si trovano inserite nel sistema. Inoltre le norme europee prevedono che le banche non assumano crediti eccessivamente rischiosi. Queste norme sono dettate per mantenere in equilibrio il mercato del denaro, anche tenendo in considerazione quello che è successo nel 2008 con i subprime e che ha scatenato una crisi economica globale.

In Italia a queste disposizioni si aggiungono le fonti normative secondarie dettate dall’Autorità Bancaria Europea (ABE), dalla BCE e dalla Banca d’Italia, le quali sottolineano la necessità per ogni banca di dotarsi di un regolamento sul merito creditizio in modo da evitare un’eccessiva personalizzazione dei servizi offerti.

Merito creditizio ed esposizione finanziaria della banca

Occorre sottolineare che quando una banca rifiuta un prestito non è detto che sia per un rating negativo del richiedente, infatti può essere dovuto anche a un’eccessiva esposizione della banca stessa, ecco perché è bene sempre andare a fondo e magari chiedere a un’altra banca. Inoltre il cliente ha sempre la facoltà di chiedere le motivazioni del rifiuto. Ci sono inoltre state pronunce della Corte di Cassazione che hanno sottolineato che un eventuale rifiuto della banca di motivare il diniego del prestito, potrebbe esporla a un’azione risarcitoria per violazione dell’obbligo di buona fede. Il cliente potrebbe inoltre chiedere la restituzione delle somme spese per la perizia tecnica realizzata su un eventuale bene da porre a garanzia.

Criteri per la valutazione del merito creditizio

Ritornando ai criteri con cui si valuta il merito creditizio.

Con il merito creditizio si valuta l’affidabilità economico -finanziaria di un soggetto che appunto richiede un prestito e viene comunemente espresso anche in forma di tasso di interesse, cioè la banca o istituto di credito determina quanto è rischioso prestare del denaro a un soggetto e più elevato è il rischio più alto è il tasso di interesse.

La prima cosa che la banca tiene in considerazione quando un imprenditore chiede un prestito è il flusso di reddito prodotto dallo stesso, si procede quindi alla valutazione dell’indebitamento pregresso, infatti una persona che ha già dei debiti avrà maggiore difficoltà a pagare quelli nuovi. Si passa quindi al vaglio anche degli insoluti pregressi, quindi debiti non estinti. Tra gli elementi tenuti in considerazione c’è anche il godimento di fonti finanziarie alternative e la possibilità che queste permangano nella disponibilità del richiedente per un lasso di tempo sufficientemente elevato. Vengono inoltre sottoposte a giudizio le garanzie che può offrire il richiedente. Questi sono solo i parametri principali, di fatto vi è un calcolo complesso che mira a determinare la solvibilità del richiedente.

Si è visto in precedenza che in caso di rifiuto immotivato la banca potrebbe essere esposta a pretese risarcitorie, in realtà queste possono sussistere anche nel caso in cui abbia valutato con superficialità il merito creditizio. Ad esempio la Corte di Cassazione con la sentenza 17268/2017 ha condannato la banca a risarcire il cliente in quanto aveva erogato un credito anche se la società si trovava in una situazione economico finanziaria che in realtà non consentiva tale concessione.

Il rating: classificazione

Il rating o merito creditizio si cataloga con una specifica graduatoria di cui spesso abbiamo sentito parlare anche in riferimento agli Stati la stessa prevede:

  • Tripla A elevata sicurezza;
  • AA sicurezza;
  • A ampia solvibilità;
  • BBB solvibilità;
  • BB vulnerabilità;
  • B elevata vulnerabilità;
  • Tripla C rischio;
  • Doppia C Elevato rischio;
  • C rischio molto elevato.

Tra le misure che agevolano l’accesso al credito è possibile ricordare: Fondo Nazionale Innovazione per supportare start up innovative

Dal MISE in arrivo 45 milioni di euro per innovazione tecnologica

 

 

Novità per le imprese: c’è il rifinanziamento del Fondo Nuove Competenze

Il Fondo Nuove Competenze è stato istituito la prima volta nel 2020 con il Decreto Rilancio e ha fornito alle aziende fondi per l’innovazione e in particolare per curare la formazione del personale. Con il decreto fiscale 2022 si provvede al rifinanziamento.

Cos’è il Fondo Nuove Competenze

Le imprese sanno quanto è importante curare la formazione dei dipendenti, ciò vale soprattutto per quelle che lavorano in settori in cui lo sviluppo è costante e si applicano le nuove tecnologie. Purtroppo la formazione per le imprese rappresenta un costo e questo non sempre è facile da sostenere, soprattutto in periodi di crisi come quello interessato dalla pandemia.

Per aiutare le aziende è previsto il Fondo Nuove Competenze che mira proprio a dare supporto alle aziende nella formazione del personale. Si tratta di uno stanziamento considerato afferente alle politiche attive per il lavoro. L’obiettivo è migliorare la produttività attraverso lo sviluppo di nuove competenze e protocolli più accurati. L’esigenza di istituire tale fondo è dovuta sopratutto a fatto che in Italia vi è una larga fetta di lavoratori che ha una bassa scolarizzazione e questo obbliga le aziende a dover assumere nuovo personale per stare al passo con i tempi.

Attraverso il fondo si aiutano le aziende ad avere manodopera specializzata e si sostiene la permanenza nel mondo del lavoro di soggetti che senza un’adeguata formazione sarebbero comunque difficili da ricollocare.

A quanto ammonta il rifinanziamento del Fondo Nuove Competenze?

Considerando il successo del bando precedente che ha visto il coinvolgimento di migliaia di lavoratori fin dalla prima edizione, si è deciso di finanziare nuovamente il progetto sebbene con risorse di poca entità rispetto al passato. Nella prima edizione il fondo ha avuto lo stanziamento di 1,5 miliardi di euro.  Il Fondo Nuove Competenze con il decreto fiscale ha un ammontare di 700 milioni di euro, di questi 200 milioni sono a copertura dei progetti già presentati, mentre 500 milioni sono destinati a nuovi progetti da finanziare nei prossimi due anni. Il Fondo consente alle imprese di finanziare attività di formazione all’interno dell’orario di lavoro e copre il costo dei corsi, i contributi previdenziali e assistenziali e le ore spese per la formazione e la copertura dell’orario di lavoro.

Il rifinanziamento è previsto nell’articolo 11 dell’emendamento 11.03 che prevede la copertura con 200 milioni di progetti già presentati, si tratta di quelli non rientrati nel bando scaduto a giugno 2021 e che in parte sono stati coperti, a partire dal 15 novembre 2021, con i fondi avanzati a causa di rinunce a tali fondi, perdite dei requisiti e sospensione a causa dei controlli effettuati, mentre una residua parte era rimasta scoperta. L’ANPAL, ha già fatto sapere che la procedura sarà riaperta appena la norma diventa definitiva. Per accedere a tali fondi quindi non sarà necessario presentare una nuova domanda.

Aziende: per presentare le istanze sarà necessario attendere il decreto attuativo

Per quanto riguarda invece la rimanente parte di 500 milioni di euro sarà destinata a progetti da presentare. In questo caso sarà necessario attendere il decreto attuativo del Ministero del Lavoro che stabilirà anche i criteri per l’accesso al beneficio. Il decreto del Ministero del Lavoro arriverà entro 60 giorni dalla conversione in legge del decreto fiscale, occorrerà quindi attendere ancora qualche mese per poter conoscere tutti i dettagli. In particolare nel decreto dovranno essere indicati gli oneri e i limiti del contributo, i requisiti che devono avere le aziende per poter accedere al Fondo Nuove Competenze e le caratteristiche dei progetto formativi.

E’ molto probabile che si darà la preferenza a progetti di imprese impegnate nella transizione ecologica, il ministro del Lavoro Andrea Orlando ha già fatto sapere che i criteri saranno determinati con il metodo del dialogo sociale.

Anche per il prossimo biennio la gestione del Fondo Nuove Competenze sarà gestito da ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro) inoltre il finanziamento potrà valersi dei fondi REACT- EU ( Recovery Assistance for Cohesion and the Territories of Europe ) oltre al finanziamento attraverso il Fondo Sociale Europeo.

Come si costituisce un Gruppo IVA

I soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione, che sono soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato italiano, possono esercitare l’opzione che è finalizzata, attraverso la costituzione di un Gruppo IVA, a diventare un unico soggetto passivo.

E questo, in particolare, a patto che ricorrano in ogni caso, e congiuntamente, i vincoli che sono previsti a livello finanziario, economico ed organizzativo. Vediamo allora, passo dopo passo, quali sono le procedure previste per la costituzione di un Gruppo IVA.

Ecco passo dopo passo come si costituisce un Gruppo IVA

Nel dettaglio, sulla costituzione di un Gruppo IVA, la prima cosa da dire è che c’è un apposito modulo da presentare e da trasmettere all’Agenzia delle Entrate in modalità telematica. Si tratta, nello specifico, del modello AGI/1 che si può presentare tramite autenticazione dal sito Internet del Fisco. Il modulo, in particolare, viene trasmesso online dal rappresentante del Gruppo IVA, ma deve essere in ogni caso sottoscritto da tutti i partecipanti.

L’esercizio dell’opzione o della revoca del Gruppo IVA ha decorrenza in base a quando si presenta il modello AGI/1. Precisamente, con la presentazione dall’1 gennaio al 30 settembre la decorrenza scatta dall’1 gennaio dell’anno successivo. Mentre con la trasmissione del modello dall’1 ottobre al 31 dicembre, l’effetto è a decorrere dall’1 gennaio del secondo anno successivo.

Il modello AGI/1 con trasmissione telematica, inoltre, non si presenta solo nel caso di esercizio o di revoca del Gruppo IVA. Ma anche in caso di ingresso o di cessazione di partecipanti al Gruppo. Nonché, tra l’altro, pure in caso di variazione della denominazione del Gruppo e/o di variazione delle attività esercitate e indicate inizialmente in sede di opzione.

Variazioni per il modello AGI/1 Gruppo IVA, ecco le scadenze caso per caso

Da quando si instaurano i nuovi vincoli, il modello AGI/1 deve essere presentato entro 90 giorni in caso di ingresso di soggetti passivi precedentemente esclusi dal Gruppo IVA. Mentre scende a 30 giorni il termine di invio del modello quando si registra la cessazione dalla partecipazione al Gruppo da parte di uno o più soggetti partecipanti. Pure in caso di subentro di un nuovo rappresentante del Gruppo IVA è necessario darne comunicazione al Fisco. Nella fattispecie, entro un termine massimo di 30 giorni.

È sempre di 30 giorni, inoltre, pure il termine di comunicazione, sempre con il modello AGI/1 Gruppo IVA, di variazione dei dati relativamente alle attività esercitate o alla denominazione del Gruppo. Stesso termine di 30 giorni dal verificarsi dell’evento, in caso del venir meno della pluralità dei soggetti partecipanti, pure per comunicare la cessazione del Gruppo IVA.

Qual è il principale vantaggio legato alla costituzione di un Gruppo IVA?

Con la costituzione di un Gruppo IVA, il principale vantaggio, sia per i beni ceduti che per i servizi resi, sta proprio nell’adozione, tanto per la compensazione quanto per il versamento, di una procedura unificata per tutti gli adempimenti che sono legati proprio all’Imposta sul valore aggiunto.

Concentrazione di imprese: procedura e le tipologie di fusione

La concentrazione di imprese è un processo che porta due o più aziende ad unire le forze con vantaggi che spesso sono rilevanti non solo dal punto di vista dimensionale, ma anche a livello di business. Con la concentrazione di imprese, per esempio attraverso procedure di fusione, la nuova entità agli occhi del mercato può acquisire un valore superiore al valore delle aziende preso singolarmente.

Inoltre, nella maggioranza dei casi la concentrazione di imprese si verifica quando si stima che ci sarà non solo una crescita degli utili e dei ricavi, ma anche una sensibile riduzione dei costi. Vediamo allora qual è la procedura e quali sono le tipologie di fusione quando si parla di concentrazione di imprese.

La procedura e le tipologie di fusione in materia di concentrazione di imprese

Nel dettaglio, per caratteristiche, le tipologie di fusione quando si parla di concentrazione di imprese possono essere suddivise in tre grandi categorie. Ovverosia, la fusione orizzontale, la fusione verticale e la fusione tra imprese che è finalizzata alla creazione di un conglomerato.

In particolare, la fusione è detta orizzontale quando questa avviene tra due o più società che operano nello stesso settore di produzione. La fusione tra aziende è detta verticale quando, invece, le imprese operano in diverse fasi del ciclo produttivo.

Mentre la fusione tra imprese che è finalizzata alla creazione di un conglomerato si verifica quando le aziende che si fondono tra loro non hanno a livello di business alcun interesse comune. Così come le società impegnate nella fusione non hanno una relazione diretta.

Quando la concentrazione di imprese può essere bloccata dagli organi regolatori

Le imprese sono libere di fondersi tra di loro, ma questo deve avvenire sempre nel rispetto delle regole sulla concorrenza. Quando la fusione tra società può generare una posizione dominante, sul mercato e sui settori di riferimento, scatta infatti l’obbligo di comunicazione agli organi regolatori competenti.

I quali sono poi chiamati a valutare la fusione ed a dare una risposta. Ovverosia, il blocco della concentrazione tra imprese, il via libera ma anche il via libera condizionato. In quest’ultimo caso gli organi regolatori, valutata l’operazione, ritengono che la concentrazione non violerà le regole della concorrenza se e solo se le aziende coinvolte rispetteranno certi impegni. Nella maggioranza dei casi le autorità di regolazione concedono il via libera condizionato ad una concentrazione tra imprese se e solo se una o più di queste cederà degli specifici asset.

Giusto per rendere l’idea, un’autorità di regolazione può dare il via libera alla fusione tra due banche condizionato alla cessione di alcune filiali. Ovverosia le cessione di sportelli in determinate aree geografiche dove, la nuova entità nata dalla concentrazione tra le due banche, altrimenti assumerebbe una posizione dominante e quindi anti-concorrenziale nel settore.

Nel caso in cui una concentrazione tra imprese venga perfezionata, e questa porta alla violazione delle regole sulla concorrenza, senza aver prima informato gli organi regolatori, le multe nella fattispecie sono pesanti. Si tratta, nello specifico, di sanzioni pecuniarie che possono arrivare anche fino al 10% del fatturato.

Incentivi delle imprese ai dipendenti: i regali aziendali

Un’impresa, nel mostrare gratitudine verso i dipendenti, spesso opta per il regalo aziendale. Si tratta, nello specifico, dei cosiddetti corporate gift che, pur tuttavia, spesso finiscono nel dimenticatoio. Magari chiusi in un cassetto appena dopo che i dipendenti li hanno ricevuti.

Ecco allora qualche consiglio utile su come scegliere al meglio i regali aziendali. Per esempio, i corporate gift devono essere tutti uguali oppure devono essere sempre diversi tra di loro? E come l’azienda può ‘vendere’ al meglio i propri doni?

Incentivi delle imprese ai dipendenti: come scegliere al meglio i regali aziendali

La prima cosa da decidere sui corporate gift, come sopra accennato, è quella di scegliere tra i regali aziendali tutti uguali, oppure diversi tra di loro. Al riguardo non c’è uno schema o una scelta che sia a priori migliore dell’altra. Pur tuttavia, se si scelgono i regali tutti diversi per i dipendenti, allora è bene che, approssimativamente, questi abbiano tra di loro lo stesso valore.

In più, la scelta di corporate gift diversi tra di loro può offrire un potenziale vantaggio non indifferente. In quanto, volendo, i dipendenti tra di loro possono scambiarsi i doni entrando così in possesso di quelli più graditi. Ed in questo modo, come sopra detto, non si rischierà che poi i regali finiscano ignorati e dimenticati dentro un cassetto.

Quali sono i corporate gift giusti da regalare ai lavoratori?

Dopo aver scelto tra corporate gift tutti uguali e regali aziendali diversi tra loro, l’impresa nello scegliere i doni giusti dovrebbe sempre puntare a regalare qualcosa di utile. O qualcosa che, comunque, possa risolvere un qualche problema o soddisfare una qualche esigenza. Così come i regali aziendali devono essere tali che il dipendente avrà sempre il piacere nel mostrarli agli altri. Mostrando così di essere orgogliosi di lavorare per l’azienda.

L’azienda, per fare in modo che il costo sostenuto per i corporate gift porti all’obiettivo prefissato, ovverosia a quello di intercettare il gradimento dei lavoratori, deve inoltre saper ‘vendere’ i regali nel modo giusto come sopra accennato. In particolare, ed in linea generale, il regalo aziendale, anche se è di poco valore, deve essere sempre unico.

Per esempio con pacchetti e messaggi personalizzati per ogni dipendente. Il regalo, inoltre, deve essere fatto ai lavoratori spiegando il perché è stato selezionato. Così come i corporate gift sono sempre più graditi quando sono inaspettati. Perché, per esempio, il regalo aziendale nel periodo natalizio non è di certo sgradito, ma in ogni caso è fin troppo scontato.

Dove e come acquistare i regali aziendali per i propri dipendenti

Per acquistare i regali aziendali per i propri dipendenti le imprese possono rivolgersi sul web ad e-commerce che sono specializzati proprio nel settore dei gadget. Potendo personalizzare i corporate gift con il proprio logo ed anche in maniera alquanto creativa ed originale. Per esempio, si possono scegliere le magliette, le borracce, le penne USB, le tazze, i portachiavi, shopper ed altri doni utili. Dagli ombrelli alle pochette, e fino ad arrivare alle mascherine ed agli spazzolini da denti.

Come fare un piano strategico aziendale chiaro ed efficace

Per un’impresa fissare degli obiettivi di medio e di lungo termine è fondamentale per tante ragioni. A partire dal fatto che i soci si aspettano sempre la generazione di utili crescenti ed anche la distribuzione periodica dei profitti conseguiti sotto forma di dividendo. A tal fine mettere a punto un piano strategico aziendale è d’obbligo in quanto solo in questo modo saranno chiari gli obiettivi e soprattutto le tappe per lo sviluppo di un’impresa che, tra l’altro, deve tenere conto pure della concorrenza. Ed allora, come fare un piano strategico aziendale che sia davvero chiaro ed efficace?

Ecco come fare un piano strategico aziendale chiaro ed efficace

Nel dettaglio, per mettere a punto un piano strategico aziendale che sia chiaro ed efficace occorre, prima di tutto, fornire una visione chiara del business d’impresa attraverso una suddivisione in aree di lavoro su cui fissare degli obiettivi.

Ed associando a queste aree di lavoro eventuali progetti in essere o da programmare per raggiungere i target aziendali per ogni obiettivo che è stato definito. Inoltre, per ogni obiettivo fissato, nel piano strategico aziendale non può e non deve mancare la sezione con gli indicatori economici e finanziari che si vogliono raggiungere al termine dell’implementazione del piano stesso che in genere ha una durata pluriennale.

Quali sono le aree di lavoro da fissare nel piano strategico aziendale

Sebbene non ci sia uno schema standard per redigere un piano strategico aziendale, tra le aree di lavoro da fissare, con associati i relativi obiettivi, non può mancare quella relativa alla comunicazione d’impresa ed al brand. Così come sono aree di lavoro chiave quelle legate al rapporto con i clienti e con i fornitori e, in prospettiva, l’innovazione di prodotto, il mantenimento della stabilità a livello economico e finanziario, e come l’impresa sul mercato nel medio e nel lungo periodo intende svilupparsi e possibilmente crescere anche in termini dimensionali.

Obiettivi del piano strategico aziendale, come si fissano?

Per ogni area di lavoro definita nel piano strategico aziendale, tutti gli obiettivi fissati devono essere non solo specifici, ma devono essere corredati pure da linee guida su cosa si intende realmente fare. Gli obiettivi fissati per ogni area di lavoro devono includere delle strategie di miglioramento fissando anche una deadline. In genere gli obiettivi strategici associati alle aree di lavoro hanno una deadline avente la durata di un anno e si fanno coincidere con la durata del bilancio di esercizio.

I KPI aziendali da fissare nel piano strategico di un’impresa

Nel piano strategico di un’impresa, infine, devono essere sempre presenti i KPI aziendali, ovverosia i Key Performance Indicator. I KPI, nello specifico, sono degli indicatori strategici che, essendo tangibili, misurabili e nella maggioranza dei casi pure di tipo numerico, permettono di capire quali sono i target da raggiungere.

Target che, tra l’altro, non riguardano solo le vendite e quindi il fatturato e, di conseguenza, i profitti, ma pure altri indicatori chiave per la crescita di un’impresa che spaziano dal tasso di automazione e di automatizzazione aziendale, al grado di soddisfazione di dipendenti, clienti e fornitori, e passando per i livelli di qualità dei prodotti e dei servizi.

Marchio, cos’è, come si registra e come si perde la tutela

Il Marchio è un segno che consente all’azienda di distinguere i propri prodotti/servizi da quelli di aziende competitor. La registrazione del marchio è utile, dunque, sia per la tutela del marchio in sé, come autonomo bene immateriale, sia per evitare che possa essere impiegato da terzi e perdere così il suo carattere distintivo.

Il marchio deve avere delle caratteristiche specifiche e funzionali a renderlo unico e quindi diverso da quello di altre imprese. La registrazione del marchio è il modo principale, ancorché non l’unico, per assicurare al marchio d’impresa una tutela giuridica, che attribuisce, al titolare del marchio, il diritto esclusivo di utilizzo e di sfruttamento.

Il marchio, per un imprenditore, non rappresenta solamente un segno distintivo della sua attività, spesso necessario per operare in un settore economico concorrenziale, ma ha anche un valore economico di per sé, potendo essere il veicolo per far conoscere ai consumatori un prodotto o un servizio. Il marchio d’impresa, altro non è che un segno distintivo, che ha lo scopo, per l’appunto di  distinguere il prodotto oppure il servizio offerto dall’impresa, dagli altri prodotti o servizi presenti sul mercato.

Il Marchio possibilità di registrarlo online

È anche possibile registrare il marchio online, se si dispone di un dispositivo di firma digitale. In tal caso, la registrazione avviene mediante la piattaforma dei servizi online del MISE: Ministero dello Sviluppo Economico.

Per avviare la registrazione con modalità telematiche, occorre preliminarmente munirsi di una marca da bollo da 42,00 euro (nella fase di registrazione andranno inseriti numero di serie e data di emissione) della marca da bollo e creare l’immagine del marchio su un file.
In alternativa, è possibile pagare la marca in modalità telematica.
Dopo l’invio della domanda, si riceverà una e-mail contenente un modello F24 precompilato, per il pagamento delle tasse.

Tipologie di Marchio “registrato” e “non registrato”

La prima, fondamentale distinzione da farsi è quella tra marchio depositato (o registrato) e marchio non registrato o “marchio di fatto“., dove, la differenza sostanziale risiede nel fatto che, il marchio registrato riceve una tutela più forte.

La registrazione dei marchi in Italia è di competenza della Camera di Commercio, mentre per i marchi comunitari, la competenza è dell’UAMI. La tutela conseguente alla registrazione del marchio è, come anticipato, il diritto di farne un utilizzo esclusivo.
In particolare, il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, di usare nella loro attività economica, un segno identico al marchio per prodotti o servizi.

Come si perde la tutela del Marchio?


Nella registrazione del marchio (che ha una durata di dieci anni), potrebbe succedere che, esso, si riferisca a prodotti di classi diverse e quindi rientri sotto diverse classi di registrazione del marchio. Quindi, sarà opportuno registrare il marchio sotto più classi di marchi, con un conseguente aumento del costo di registrazione del marchio.

Al termine, dei 10 anni previsti per la durata della registrazione del marchio, essa può essere rinnovata. Nel caso, non venga rinnovata la registrazione si avrà l’estinzione e la perdita dei diritti collegati alla registrazione del marchio. Altra causa di estinzione, oltre che per mancato rinnovo, è la decadenza.  La decadenza avviene per il mancato uso effettivo per  almeno cinque anni, se perde il carattere distintivo ovvero per volgarizzazione e per illiceità sopravvenuta.
Infine, il marchio si estingue per rinuncia da parte del titolare.