Cos’è il MES, Meccanismo Europeo di Stabilità?

In questi giorni si sta molto parlando del MES, Meccanismo Europeo di Stabilità, perché ratificato dall’Italia con i soli voti dell’opposizione. Questa scelta è stata in un certo senso necessaria, visto il continuo pressing dell’Unione Europea e la posizione ferma del Governo contro la ratifica. L’approvazione è avvenuta con i membri della maggioranza usciti dall’aula in seguito a parere favorevole alla ratifica espresso dal Ministero delle Finanze. Presenti ma astenuti i membri del M5S, Alleanza verdi e sinistra. Ma di cosa si tratta?

Cos’è Il MES?

Il Mes istituito nel 2012 mediante un trattato intergovernativo, per essere efficace ha bisogno della ratifica degli Paesi Membri dell’Unione Europea. Questa parte è in realtà ratificata dall’Italia, la mancata ratifica vi è per le modifiche del 2021. Di fatto tutti l’hanno ratificato mentre l’Italia è arrivata con notevole ritardo. La ragione di questo ritardo è determinata dal fatto che da sempre il Meccanismo europeo di stabilità è stato guardato con una certa diffidenza, mentre Lega e Fratelli d’Italia sono sempre stati contrari. Più volte il Premier Giorgia Meloni ha ribadito che visto l’andamento dell’economica italiana e visto il Piano PNRR, all’Italia in questo momento il Mes non serve e soprattutto non c’è alcuna intenzione di utilizzarlo perché ritenuto “dannoso”. Ma cos’è esattamente il Mes?

Prestiti e linee di credito per i Paesi in difficoltà

La funzione fondamentale del Mes è fornire ai Paesi Membri assistenza finanziaria nel caso in cui si trovino in difficoltà, è però condizione necessaria che il debito pubblico del Paese sia considerato sostenibile.

Gli strumenti utilizzati possono essere prestiti sotto forma di un programma di aggiustamento macroeconomico o linee di credito precauzionali. Le principali decisioni inerenti il Mes e il suo utilizzo sono prese dal Consiglio dei Governatori, formato dai Ministri delle finanze dell’area euro. Il Mes opera a maggioranza qualificata rappresentante l’85% del capitale.

Sebbene l’Italia non abbia mai ratificato le modifiche al Mes, partecipa al fondo, infatti lo stesso è di oltre 700 miliardi di euro, di questi l’Italia ha sottoscritto un capitale di 125 miliardi circa e ne ha versati 14. Germania, Francia e Italia hanno diritti di voto superiori al 15 per cento e possono quindi porre il loro veto anche sulle decisioni prese in condizioni di urgenza.

I problemi veri nascono nel 2021 quando sono approvate modifiche al Mes, le stesse non sono mai state ratificate dall’Italia e da lì è partito il pressing da parte degli altri Paesi dell’unione Europea, infatti senza la ratifica dell’Italia il MES non può diventare operativo.

Stretta sul reddito di cittadinanza nella manovra di bilancio

Ultime trattative in corso per mettere a punto la legge di bilancio 2023 e al solito il nodo da sciogliere sono le risorse, infatti 35 miliardi sono andati per affrontare la questione energia per imprese e famiglie e le risorse per altri interventi sono risicate. I nodi da sciogliere ancora riguardano gli aumenti e le rivalutazioni delle pensioni e la proroga di Opzione donna in termini più ampi rispetto a quelli ora previsti. A pagare potrebbero essere i disoccupati attraverso un’ulteriore stretta sul reddito di cittadinanza.

Le proposte per la stretta sul reddito di cittadinanza

Forza Italia non frena sul punto: le pensioni minime per gli over 75 devono essere portate a 600 euro, con la rivalutazione al 120% dovrebbero percepire circa 578 euro, inoltre entro fine legislatura devono essere portate a 1.000 euro per tutti. Pur tralasciando questo ultimo proposito che evidentemente non può essere affrontato quest’anno, resta la necessità di reperire i fondi per l’aumento e 600 euro e dalle ipotesi in circolo potrebbe esserci un’ulteriore stretta sul reddito di cittadinanza. Le ipotesi in circolo sono diverse e proviamo a riassumerle.

In primo luogo si potrebbe ridurre il termine di fruizione a 7 mesi, invece di 8. La riforma prevede la percezione per 8 mesi, il tempo per realizzare una riforma strutturale del reddito di cittadinanza, entro tale termine dovrebbero smettere di percepire l’assegno gli occupabili, circa 40.000 persone, ridurre a 7 mesi il termine porterebbe a un risparmio di 200.000 euro. Perderebbero il reddito di cittadinanza a luglio 660.000 persone.

Maurizio Lupi di Noi Moderati propone invece il taglio dopo 6 mesi.

Un altro emendamento presentato dal Terzo Polo ( Renzi-Calenda) prevede invece un taglio del reddito di cittadinanza per gli under 40.

Meno ampia la proposta della Lega che invece propone un taglio del reddito di cittadinanza agli under 29 che non hanno concluso percorsi di formazione obbligatoria, in questo caso resterebbero fuori circa 364.000 percettori.

Critiche alla stretta sul reddito di cittadinanza

Sicuramente queste sono ore delicate e mancano pochi giorni alla conclusione dei giochi, la prossima settimana il testo arriverà alla Camera probabilmente blindato dal voto di fiducia, vuol dire che dovrà essere approvata senza ulteriori modifiche, prima di Natale il voto alla Camera, per poi passare la parola al Senato, anche in questo caso testo blindato. Naturalmente sulle varie proposte circolate c’è il forte dissenso del M5S che ha creato il reddito di cittadinanza, critiche piovono anche dai sindacati e sono state espresse soprattutto da Landini CGIL che sottolinea come la maggior parte dei percettori riceve 500 euro al mese e si trova in situazioni familiari difficili per la presenza in famiglia di disabili e situazioni di fragilità varie.

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Superbonus: stop alla proroga. L’emergenza è lo sblocco dei crediti

Nei giorni passati avevamo parlato di una possibile proroga del Superbonus 110% per i condomini fino al 31 gennaio 2023. Arriva ora la smentita con relativa motivazione. O meglio, il Governo spiega perché gli emendamenti presentati dalla stessa maggioranza non possono essere accolti.

Emendamenti per la proroga del Superbonus affossati

Nei giorni passati avevamo sottolineato che Fratelli d’Italia aveva presentato un emendamento al decreto Aiuti Quater per prorogare i termini per la presentazione della Cilas al 31 dicembre 2022. Il termine attualmente è scaduto al 25 novembre. Ulteriori emendamenti sono stati presentati anche da altri partiti della maggioranza come Forza Italia, naturalmente non potevano mancare gli emendamenti del M5S che ha creato il Superbonus 110%.

Per conoscere i dettagli, leggi l’articolo: Superbonus 110%: arriva l’emendamento che sblocca la cessione

Perché non ci sarà la proroga del Superbonus 110%?

A fine di non alimentare false speranze, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari ha reso noto che non vi sarà alcuna proroga. La spiegazione è presto data: attualmente il reale problema non è riconoscere il credito di imposta al 110% o al 90%, d’altronde abbiamo già più volte sottolineato che al 110% è molto difficile ottenerlo e che le banche riconoscono una percentuale molto più bassa. Il problema reale è sbloccare i crediti incagliati di chi i lavori li ha già iniziati. In base alle dichiarazioni del sottosegretario Fazzolari, il Governo sta concentrando le sue energie su questo problema.

In base ai calcoli effettuati da Il Sole24 ore in realtà la proroga di un mese costerebbe circa 300 milioni di euro.

La priorità è sbloccare la cessione dei crediti senza rischi per i conti pubblici

Fazzolari ha dichiarato che è necessario trovare una soluzione per far in modo che le banche possano “acquistare” i crediti maturati dai proprietari senza per questo mandare all’aria i conti pubblici. Secondo le dichiarazioni del Sottosegretario questa partita vale 60 miliardi di euro. Il rischio infatti è che l’Eurostat potrebbe conteggiare i crediti di imposta acquistati dalle banche, che quindi vogliono riscuoterli dallo Stato attraverso le loro imposte, come debito pubblico e quindi con il rischio che il rating dell’Italia, e la credibilità, vengano meno in un momento particolarmente delicato.

Reddito di cittadinanza e programmi elettorali: cosa cambierà?

Secondo i dati dell’INPS i nuclei familiari che beneficiano del reddito di cittadinanza sono 1.686.416 per un totale di 3.790.744 di persone coinvolte, il provvedimento bandiera del M5S, che ha sicuramente agevolato molte famiglie, potrebbe però subire importanti modifiche a partire dal mese di ottobre 2022 quando il peso delle elezioni del 25 settembre e del nuovo governo si farà sentire. Ecco cosa prevedono le varie coalizioni e i partiti nei loro programmi elettorali.

Reddito di cittadinanza e M5S: deve essere rafforzato anche con monitoraggio antifrode

Il reddito di cittadinanza è stata la misura bandiera del M5S, ha permesso a nuclei familiari senza reddito o con un reddito Isee inferiore a 9.360 euro all’anno di ottenere un’integrazione economica commisurata al reddito percepito. L’erogazione media nazionale è di 553,68 euro, ma ci sono nuclei che percepiscono meno e altri che invece percepiscono nettamente di più. Si tratta di una misura divisiva perché, mentre chi lo percepisce riceve sostegno, gli altri sono titubanti su questa misura ritenendola un costo eccessivo.

Leggi anche: Cambia il modello di domanda per il reddito di cittadinanza. Cosa fare?

Naturalmente il reddito di cittadinanza, insieme al bonus 110%, continua ad avere il sostegno incondizionato del M5S. Lo stesso ha però dichiarato che deve essere rafforzato, ma soprattutto deve essere migliorato il sistema di monitoraggio antifrode. Il problema c’è ed è evidente.

Programmi elettorali del centro-destra sul reddito di cittadinanza

Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, che ad oggi dai sondaggi è il partito con maggiori consensi, ritiene che disincentivi la ricerca di un lavoro, fino a definire questa misura come metadone di Stato. Questo nonostante alcune modifiche rispetto all’impostazione iniziale. Attualmente dopo la prima rinuncia a una proposta di lavoro, parte la decurtazione dell’importo percepito e alla seconda proposta invece si perde il beneficio.

Nel centro-destra è più defilata la posizione di Antonio Tajani, Forza Italia, che ha dichiarato l’obiettivo di ridurre il numero di beneficiari del reddito di cittadinanza, riconoscendolo solo a chi realmente si trova in uno stato di bisogno. Da questa riduzione dovrebbe derivare un risparmio di 4 miliardi di euro da destinare all’aumento delle pensioni minime. La Lega invece vorrebbe mantenere la misura sono in favore degli inidonei al lavoro, mentre negli altri casi punta all’abolizione, soprattutto ritiene che i controlli debbano essere delegati agli Enti Locali perché sarebbero maggiormente in grado di scoprire le frodi.

Renzi e Calenda: passo indietro di Matteo Renzi

Il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, aveva proposto una raccolta di firme per chiedere un referendum costituzionale per la sua abolizione, ma ha dovuto cedere il passo. Dall’accordo stipulato con Carlo Calenda per le prossime elezioni, il leader di coalizione sarà proprio quest’ultimo, è emerso che si propenderà per una riforma. Insomma Matteo Renzi ha ceduto e come molti altri leader di partito assume una posizione intermedia per non lasciare il malcontento a nessuno. La proposta di Calenda è quella di ridurre a una sola la proposta di lavoro dal cui rifiuto deriva la perdita del beneficio.

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D’altronde Calenda ha dichiarato che molto probabilmente il nuovo governo resterà in carica 3 mesi e dopo si dovrà ritornare a un governo “istituzionale” sulla scia del governo Draghi o che comunque porti avanti la famosa “agenda”. Proprio Draghi  aveva dichiarato che il reddito di cittadinanza deve essere riformulato.

Programmi elettorali del centro sinistra per il reddito di cittadinanza

Il Pd, non intende abolire il reddito di cittadinanza, anche in questo caso si parla di una riformulazione, il cui obiettivo dovrebbe essere non ledere le famiglie numerose.  La coalizione di centro-sinistra pensa di introdurre l’integrazione pubblica alla retribuzione (in-work benefit), si tratterebbe di una misura volta ad agevolare lavoratori e lavoratrici che hanno un reddito eccessivamente basso.

Enrico Letta, leader della coalizione di centro-sinistra che comprende Pd, +Europa, Sinistra Italiana di Fratoianni, Verdi e Di Maio e Tabacci con “ Impegno Civile”.

Saranno davvero abolite le comunicazioni Lipe? Cosa potrebbe cambiare?

Presto i titolari di partita Iva potrebbero avere una bella sorpresa, infatti dalla conversione del decreto Semplificazioni potrebbe arrivare l’abolizione dell’obbligo di presentare le comunicazioni Lipe trimestrali. Ecco perché.

Decreto semplificazione e l’abolizione delle comunicazioni Lipe trimestrali

Il decreto legge 73 del 2022 propone l’obiettivo abbastanza arduo, e più volte tentato anche in passato, di semplificare la burocrazia italiana. Trattandosi di un decreto legge, affinché si trasformi in legge deve essere convertito entro 60 giorni dalla pubblicazione. La fase di conversione è sempre abbastanza convulsa e si esplica in diverse tappe, tra cui la presentazione di emendamenti, di solito molto numerosi e l’analisi del testo nelle Commissioni e poi in aula ( Camera e Senato).

Per quanto riguarda il decreto legge 73 del 2022 ( pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 21 giugno 2022) si è verificata una presentazione di emendamenti bipartisan, quindi sia da parte dei partiti di opposizione, cosa del tutto normale, sia da parte della maggioranza, di emendamenti uguali che hanno ad oggetto l’abolizione delle comunicazioni trimestrali Lipe. Si tratta delle comunicazioni periodiche Iva, previste dall’articolo 21 bis del decreto legge 78 del 31 maggio 2010 che devono essere inviate trimestralmente e poi con dichiarazione annuale finale, questa può sostituire anche la comunicazione lipe del quarto trimestre.

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Per i titolari di partita Iva si tratta di un impegno che naturalmente richiede attenzione, ma soprattutto rappresenta un costo perché nella maggior parte dei casi la comunicazione avviene da parte del commercialista e maggiori impegni si chiedono a costui, maggiori sono i costi da sostenere per il suo onorario.

Gli emendamenti per l’abolizione delle comunicazioni Lipe

La proposta emendativa prevede: Al decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, l’articolo 21-bis è soppresso.

La stessa proposta è contenuta in emendamenti dichiarati identici, si tratta degli emendamenti 3.1 e seguenti. Gli emendamenti sono stati presentati dal Pd attraverso il deputato Buratti, dal Gruppo Misto rappresentato da Raffaele Baratto, da Fratelli d’Italia, ma in questo caso l’emendamento è firmato da diversi deputati tra cui Paolo Trancassini, dalla Lega, Forza Italia, LEU, rappresentato da Stefano Fassina. Italia Viva attraverso Massimo Ungaro e, infine, M5S.

Il fatto che sia stato presentato un unico testo in più emendamenti da parte dei vari partiti politici, implica che sul testo evidentemente c’è già un accordo. Certo i lavori parlamentari potrebbero sempre riservare brutte sorprese, ad esempio il veto da parte di un Ministero, è capitato anche altre volte, ma resta comunque una possibilità.

Sono in molti ad osteggiare questo adempimento e per diversi ordini di ragione, in primo luogo perché la comunicazione annuale comunque riprende tutte le informazioni delle comunicazioni trimestrali, in secondo luogo perché con l’estensione dell’obbligo di fatturazione elettronica praticamente per tutte le Partite Iva, i dati sulle transizioni sono ormai disponibili al Fisco in tempo reale.

Sottosegretario MEF conferma: il Superbonus non è più sostenibile

Il sottosegretario al Ministero dell’Economia e delle Finanze rispondendo a un’interrogazione parlamentare ha sottolineato che il Superbonus 110% non è più sostenibile in quanto va ad incidere negativamente sul bilancio dello Stato.

Il Superbonus non è più sostenibile: manca la copertura finanziaria

Maria Cecilia Guerra, sottosegretario al MEF, ha risposto a un’interrogazione parlamentare (numero 3-02877), presentata dal senatore Andrea De Bertoldi (FdI). Nella interrogazione si sostiene che il Superbonus ha un elevato potenziale al punto che potrebbe autofinanziarsi, questo perché è in grado di aumentare il gettito Iva e le entrate Ires. Vuol dire che, grazie all’aumento della vendita di materiale edile e all’Iva applicata sui lavori e grazie alle maggiori entrate delle imprese produttrici, venditori e imprese edili, ci sarebbe per lo Stato una ricaduta in termini di maggiori versamenti Ires e Iva. Tali maggiori risorse sarebbero sufficienti a coprire i costi del Superbonus 110%.

I calcoli che però evidentemente fa il Ministero dell’Economia e delle Finanze sono diversi, infatti il sottosegretario Maria Cecilia Guerra nella sua risposta all’interrogazione parlamentare, sottolinea che attualmente i fondi già stanziati sono esauriti e se si vuole continuare a elargire questa particolare agevolazione fiscale che consente di recuperare fino al 100% delle somme, e fino al 110% nel caso in cui il contribuente decida di avvalersi in proprio delle detrazioni, è necessario reperire nuove risorse.

Sottolinea che a fronte di oneri certi, cioè i costi per le casse dello Stato, non si possono utilizzare gli effetti positivi indotti sulle economia che, evidentemente, ad oggi non ci sono. Maria Cecilia Guerra ha inoltre sottolineato che vi è un danno erariale dovuto anche alle condotte fraudolente e per questo motivo non è possibile introdurre ulteriori estensioni del perimetro di applicazione del decreto 34 del 2020 che prevede il Superbonus a fronte di lavori di efficientamento energetico che portano al recupero di almeno due classi energetiche.

Crisi di Governo e Superbonus

Da tali dichiarazioni in risposta all’interrogazione parlamentare sembra quindi che non ci siano ulteriori spazi di manovra per poter sperare in una proroga. Naturalmente su queste scelte andranno ad incidere il particolare momento politico che stiamo vivendo che vede un forte contrasto tra il Presidente del Consiglio Mario Draghi e Giuseppe Conte, che si trova alla guida del M5S. Proprio il M5S è un forte sostenitore di questa misura insieme al reddito di cittadinanza, questo implica che la “crisi” potrebbe essere risolta proprio attraverso concessioni su questi due temi al M5S. Non resta che attendere.

Precari scuola: arriva l’emendamento per estendere il bonus di 200 euro

La disciplina ora vigente esclude i precari della scuola con contratto in scadenza a giugno dalla platea dei beneficiari del bonus di 200 euro per il contrasto ai rincari. È corsa ai ripari per evitare questa disparità di trattamento probabilmente dovuta a una svista.

Chi riceve il Bonus di 200 euro nel mese di luglio?

Il bonus di 200 euro previsto dal Governo con il decreto legge 50 del 2022 viene erogato a una vasta platea di persone, tra questi vi sono i lavoratori dipendenti che lo ricevono in busta paga, inoltre ci sono i pensionati che lo ricevono con il pagamento del mese di luglio, insieme alla quattordicesima, se dovuta, e i lavoratori autonomi. I lavoratori autonomi, con o senza partita Iva, devono però attendere un successivo decreto attuativo da emanare entro il 17 giugno 2022. Ricordiamo che per i lavoratori autonomi è previsto un fondo specifico del valore di 500 milioni di euro.

Per conoscere tutti i beneficiari, leggi l’articolo: Bonus 200 euro, chi lo prenderà e quando

Perché i precari scuola non ricevono il bonus 200 euro previsto dal Governo?

Sono però molti i precari scuola che hanno espresso perplessità, infatti di sicuro non superano la soglia di 35.000 euro di reddito prevista come limite per poter ottenere il bonus, però allo stesso tempo non riceveranno la busta paga nel mese di luglio e di conseguenza non hanno diritto a percepire questo importante aiuto contro i rincari. Cosa succede quindi ai precari scuola?

E’ bene precisare che i precari che non hanno contratto fino a giugno 2022 e che di conseguenza risultano disoccupati, possono ricevere il bonus di 200 euro insieme alla NASpI ( Nuova Assicurazione per l’Impiego). Restano invece esclusi quelli con contratto fino a giugno.

Cosa prevede l’emendamento del M5S per i precari scuola?

A colmare questa lacuna ha pensato il M5S che ha presentato un emendamento volto a estendere ai precari scuola il bonus 200 euro. L’emendamento presentato punta a includere tra i beneficiari del Bonus 200 euro anche tutto il personale precario della scuola con scadenza del contratto a giugno.

A firmare l’emendamento ci sono: Margherita del Sesto, prima firmataria, e Manuel Tuzi, capogruppo del Movimento 5 Stelle in Commissione Cultura alla Camera.

I proponenti hanno sottolineato come la disciplina del Bonus di 200 euro senza questa importante integrazione, che probabilmente non c’è stata per una semplice svista e non per malafede, crei disparità tra precari, inoltre penalizza una moltitudine di persone che deve già affrontare le mille difficoltà legate al precariato che spesso nel mondo della scuola dura tanti anni. L’emendamento presentato riguarda tutti i precari della scuola in quanto è rivolto non solo al personale docente, ma anche al personale ATA.

Rottamazione quater: presto potrebbe arrivare un nuovo provvedimento di pace fiscale

Gli italiani fanno spesso fatica ad essere in regola con gli adempimenti fiscali e anche questo periodo, con i vistosi aumenti che stanno caratterizzando anche beni di prima necessità, non fa differenza. Ecco perché molti partiti hanno proposto la Rottamazione Quater.

Rottamazione quater: quali partiti la sostengono

La rottamazione quater dovrebbe seguire la rottamazione ter che è ancora in via di definizione dopo un’ulteriore proroga. La rottamazione ter ha permesso ai contribuenti di sanare le posizioni debitorie accumulate fino al 31 dicembre 2017. Ci sono però ancora i debiti fiscali accumulati dal 2018 in poi, proprio per questo numerosi partiti, tra cui la Lega Nord, hanno auspicato l’approvazione di un nuovo provvedimento di pace fiscale. Il leader della Lega, Salvini, ha sottolineato che rottamare e rateizzare le cartelle esattoriali impossibili da pagare sarebbe un atto di giustizia nei confronti degli italiani. Ha anche sottolineato che in situazioni eccezionali e sicuramente con il caro energia che si sta ripercuotendo praticamente su tutti i prodotti e i servizi, si può affermare che l’Italia sia in una situazione eccezionale, è necessario dare risposte eccezionali.

Dello stesso avviso è il M5S che tramite il vice presidente del Senato Marco Pellegrini ha fatto sapere che c’è spazio per la rottamazione quater nei prossimi provvedimenti. Il Ministero dell’Economia intanto ha reso noto che il problema principale è la copertura finanziaria, infatti per procedere alla rottamazione quater è necessario trovare un miliardo di euro.

Rottamazione ter: proroga e debiti fiscali coperti

Ricordiamo che con la rottamazione ter, che segue a precedenti provvedimenti volti ad agevolare il pagamento del debito fiscale, gli italiani ammessi alla agevolazione hanno potuto pagare i debiti fiscali accumulati dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2017 pagando gli importi maturati senza sanzioni e interessi di mora. Alla rottamazione ter è stata affiancato il Saldo e Stralcio che ha consentito a chi si trovava in particolari difficoltà di ottenere anche uno sconto sui debiti maturati. I provvedimenti di pace fiscale non potevano però essere utilizzati per tutti i debiti accumulati, in particolare non si poteva sfruttare la rottamazione ter per:

  • la restituzione di aiuti di Stato non dovuti
  • debiti fiscali derivanti da pronunce di condanna della Corte dei Conti;
  • multe, ammende e sanzioni maturate in seguito a provvedimenti e sentenze penali di condanna;
  • sanzioni di natura diversa rispetto a quelle tributarie;
  • somme dovute per violazione degli obblighi relativi ai contributi e ai premi dovuti agli enti previdenziali .

Ricordiamo inoltre che in via del tutto eccezionale, per coloro che non sono riusciti a versare gli importi entro il mese di dicembre 2021, ultima scadenza prevista per la rottamazione ter, c’è una nuova proroga dei termini. Per conoscere i nuovi termini, leggi l’articolo: Rottamazione Ter e saldo e stralcio: riapertura dei termini per i decaduti.

La Rottamazione Quater, se dovesse prendere il via, coprirebbe i debiti fiscali maturati dal primo gennaio 2018 al 31 dicembre 2019. Non resta che attendere.

Regime forfetario: si punta sulla easy tax con uscita graduale

Si prevede una primavera molto calda sul fronte della Riforma Fiscale.  I vari partiti sono al lavoro per determinare i contenuti di quella che dovrebbe essere una riforma epocale e ridisegnare l’intero sistema fiscale. A creare malumori c’è anche il regime forfetario.  Archiviata l’ipotesi di una flat tax fino a 100.000 euro si lavora di una easy tax (tassa facile) che dovrebbe aiutare, agevolare, il passaggio dal regime forfetario al regime ordinario.

Regime forfetario: allo studio diverse ipotesi per l’uscita dal regime agevolato

Il regime forfetario prevede una tassazione al 15% per coloro che aderiscono e un calcolo delle spese effettuato applicando un criterio forfettario che abbiamo già visto nell’articolo Coefficienti di redditività nel regime forfetario: quali sono?

Il regime forfetario può essere scelto da coloro che hanno ricavi e compensi non superiori a 65.000 euro nell’arco dell’anno di esercizio. Superata tale soglia si va in automatico al regime ordinario che però prevede un’aliquota Irpef del 41% (con possibilità di dedurre le spese con il metodo analitico e quindi una base imponibile anche inferiore). Sono in molti però a ritenere questo passaggio eccessivamente brusco. Proprio per questo si sta lavorando a soluzioni intermedie che possano consentire un passaggio morbido tra il regime forfetario e il regime ordinario. La prima ipotesi, poi scartata, è quella di innalzare la soglia per il regime forfetario a 100.00 euro, proposta portata avanti dal leader della Lega Matteo Salvini. Spunta quindi la easy tax.

Cosa prevede la easy tax per il regime forfetario?

Specifichiamo ora che la easy tax, proposta dal M5S, non è stata approvata, ma semplicemente proposta e di conseguenza non è una certezza. Vediamo come dovrebbe funzionare. La proposta prevede che al primo anno dall’uscita dai requisiti del regime forfetario, si applichi un’aliquota del 20% . Per poter avere questa agevolazione è però necessario che i compensi e ricavi dichiarati siano almeno pari a quelli del primo anno di attività e non superiori del 10%.

Al secondo anno dal superamento della soglia per il regime forfetario si applicherà la easy tax del 20% se l’incremento ulteriore di ricavi e compensi non supera il 10%. Infine, dal terzo anno si applica l’aliquota ordinaria. Ricordiamo che attualmente è possibile rientrare nel regime forfetario appena si ripresentano le condizioni previste per l’applicazione di questo regime di favore, quindi se si rientra nei 65.000 euro.

L’obiettivo è evitare la strage di partite Iva che si è vista negli anni precedenti caratterizzati anche dalla crisi economica dovuta alla crisi pandemica.

Tra le altre ipotesi allo studio del Governo per la legge di delega fiscale c’è il cashback fiscale, ma anche su questo ci sono molti malumori ed è stato sottolineato che l’emendamento è tecnicamente errato in quanto non sono indicati gli oneri a carico dello stato che potrebbero derivarne.

Cashback fiscale: la nuova proposta nella Riforma Fiscale

La riforma fiscale sta mettendo a dura prova il Governo e dopo le difficoltà generate dalla riforma del catasto e dall’innalzamento della soglia per il regime forfettario a 100.000 euro,  nuovi problemi, soprattutto tecnici, potrebbero arrivare con la proposta di introdurre il cashback fiscale proposto in due distinti emendamenti.

Il nuovo cashback fiscale

Il cashback è stato utilizzato nel periodo della pandemia e ha portato alla restituzione di piccoli importi direttamente nel conto del contribuente. L’obiettivo era stimolare gli acquisti tramite strumenti di pagamento elettronici. Il cashback fiscale ha una struttura simile ed è contenuto in due emendamenti presentati alla legge di delega di riforma fiscale. Attualmente il Ministero dell’Economia ha dato il via libera alla proposta del M5S, presentata da Vita Martinciglio, capogruppo M5S alla Camera e ha sciolto sul punto le riserve. Questo vuol dire che in realtà si potrebbe essere davvero vicini a questa importante riforma.

L’emendamento presentato prevede il graduale superamento del sistema di applicazione delle detrazioni ex articolo 15 del TUIR (spese sanitarie, interessi passivi, spese di intermediazione, spese scolastiche e universitarie…) attraverso una procedura che consenta di avere benefici nel breve periodo. L’obiettivo è arrivare a una detrazione diretta attraverso l’uso di piattaforme digitali, senza però maggiori oneri per lo Stato e senza squilibrio delle finanze pubbliche.

Ipotesi di cashback fiscale per avvalersi delle detrazioni

Naturalmente negli emendamenti non sono ancora previsti i dettagli tecnici, che in caso di approvazione sarebbero demandati al ministero competente e poi all’Agenzia delle Entrate. Il meccanismo per sommi capi è però delineato. Come abbiamo visto in diverse guide, che per comodità metteremo al termine dell’articolo, ci sono spese che permettono di ottenere delle detrazioni fiscali. Queste possono essere fatte valere al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi e consentono di avere un rimborso di Irpef o comunque di versare minori imposte. Ad esempio per le spese mediche e sanitarie è prevista una detrazione del 19% delle somme spese con franchigia di 129,11 euro.

Gli emendamenti alla legge di delega alla Riforma Fiscale prevedono invece il cashback, cioè la possibilità di ottenere le somme corrispondenti alla detrazione fiscale subito con somme accreditate direttamente in conto. Per poter avere questo vantaggio è però necessario pagare con strumenti tracciabili, cioè carta di debito, prepagate. Si tratta di un provvedimento che vuole stimolare le persone ad usare strumenti di pagamento tracciabili e quindi anche a ridurre l’evasione fiscale attraverso un immediato vantaggio per il contribuente.

Difficoltà tecniche nell’applicazione del cashback fiscale

Poche informazioni sono disponibili, il cashback fiscale dovrebbe prevedere che sia il contribuente al momento del pagamento a comunicare al venditore o prestatore del servizio di volersi avvalere del cashback fiscale e non della detrazione. A quel punto il venditore dovrebbe attuare la procedura, che dovrà essere prevista nei decreti attuativi, per poter dare seguito a questa scelta. L’auspicio è che questo non si trasformi in oneri eccessivi per le imprese.

Naturalmente l’emendamento sembra allettante, ma non manca chi sottolinea le possibili difficoltà dal punto di vista tecnico. Ad esempio per coloro che sono incapienti, cioè nel caso in cui le detrazioni ipoteticamente spettanti siano maggiori rispetto all’effettiva Irpef di spettanza del contribuente. In questo caso infatti vi potrebbe essere un problema per il bilancio dello Stato che si ritroverebbe ingenti perdite. Inoltre dovrebbe essere il contribuente anche a dichiarare di aver già superato la franchigia prevista. Deve però essere sottolineato che l’ipotesi di riforma fiscale a cui si sta lavorando dovrebbe operare in modo complessivo sulle detrazioni e di conseguenza potrebbe essere studiato un sistema per ridurre le problematiche che abbiamo ora esposto, ad esempio attraverso una riduzione della percentuale della detrazione e un’eliminazione della franchigia.

Ecco gli approfondimenti anticipati sulle detrazioni

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