Aiuti di Stato: controlli sul rispetto dei limiti e autodichiarazione

Gli Aiuti di Stato devono rispettare le normative previste dall’Unione Europea che, nel Quadro Temporaneo di aiuti determinato nel periodo Covid ha però stabilito delle deroghe e nuovi limiti agli aiuti alle imprese. Con decreto del MEF sono invece indicati i criteri per il controllo dei requisiti per le imprese beneficiarie.

Temporary Framework: il quadro temporaneo degli Aiuti di Stato

L’Italia, sulla base della comunicazione inviata dalla Commissione Europea  inerente il Quadro Temporaneo (Temporary Framework) per le misure di Aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza da COVID-19, ha emanato il decreto 41 del 2021 in cui si provvedeva all’adeguamento della disciplina in base alle direttive date dall’Unione Europea per gli aiuti delle Sezioni 3.1 e 3.12 del Quadro Temporaneo.

In questo modo è stato possibile per le imprese ottenere i massimali degli Aiuti di Stato che sono stati temporaneamente innalzati. Ora, con il decreto del MEF dell’11 dicembre 2021, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 20 gennaio 2022, si provvede a definire i criteri per il monitoraggio. La prima cosa da sottolineare è che al fine di determinare il termine temporale da controllare per verificare il rispetto dei nuovi massimali, si deve avere in considerazione la data in cui l’impresa beneficiaria ha effettivamente avuto la disponibilità dell’aiuto.

Come sono effettuati i controlli sul rispetto dei massimali?

Al fine di controllare il rispetto dei massimali degli Aiuti di Stato fruibili, è necessario che l’impresa beneficiaria invii all’Agenzia delle Entrate una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà avente ad oggetto il rispetto dei requisiti e dei limiti fissati nel Temporary Framework dell’Unione Europea. All’interno dell’autodichiarazione è necessario sottolineare di aver rispettato i  massimali previsti per gli Aiuti di Stato tenuto anche conto delle relazioni di controllo che vi possono essere tra le imprese ai fini della definizione di impresa unica.

Ricordiamo che la sezione 3.1 prevede per gli aiuti ricevuti dal 19 marzo 2020 al 27 gennaio 2021 tali massimali:

  • 800mila euro per impresa unica;
  • 120 mila euro per pesca e acquacoltura;
  • 100 mila euro per produzione primaria prodotti agricoli.

Per gli aiuti ricevuti dal 28 gennaio 2021 al 31 dicembre 2021 i limiti sono:

  • 1 milione e 800 mila euro per impresa unica;
  • 270 mila euro per pesca e acquacoltura;
  • 225 mila euro per produzione agricola primaria.

Inoltre la Sezione 3.12 del Quadro Temporaneo prevede limiti di:

  • 3 milioni di euro per impresa unica, per gli aiuti ricevuti dal 13 ottobre 2020 al 27 gennaio 2021;
  • 10 milioni di euro per impresa unica per gli aiuti ricevuti dal 28 gennaio 2021 al 31 dicembre 2021.

In questo secondo caso sono però richiesti ulteriori requisiti per poter accedere agli aiuti, ovvero che ci sia una riduzione del fatturato di almeno il 30% rispetto al corrispondente periodo del 2019 e che il contributo richiesto non superi il 70% dei costi fissi non coperti e affrontati nel periodo di riferimento.

Termini e modalità per l’invio dell’Autodichiarazione

Il decreto pubblicato il 20 gennaio 2022 non specifica però i termini per l’invio dell’autodichiarazione e le modalità rimandando a un successivo provvedimento dell’Agenzia delle Entrate.

Per ulteriori informazioni sul Quadro Temporaneo di Aiuti di Stato, leggi l’articolo: Aiuti di Stato e pandemia: l’Unione Europea ammette deroghe 

Ricordiamo inoltre che vi è la possibilità di accedere a contributi a fondo perduto, per saperne di più:

Contributi a Fondo perduto per negozi e ambulanti. I Codici Ateco

Ristori fermo pesca: si può presentare la domanda

IMU: arrivano i controlli sulla residenza dei coniugi, ma senza sanzioni

E’ dovuta l’IMU se due coniugi hanno due case intestate, ciascuna a uno solo, e allo stesso tempo hanno anche residenze diverse? Questa è la domanda che per molto tempo si sono posti contribuenti e tribunali. Ora sembra esserci chiarezza, ma nel frattempo non si applicano sanzioni in seguito a controlli del fisco sulla residenza dei coniugi.

IMU e doppia residenza cosa succede?

L’IMU è una delle imposte più odiate dagli italiani. Nel tempo la disciplina ha avuto diverse modifiche, attualmente è prevista l’esenzione dall’IMU per l’abitazione principale, mentre il pagamento avviene per le seconde e ulteriori case. Coloro che si ritrovavano quindi con due case hanno preferito spesso diversificare l’intestazione dell’immobile in modo da far risultare un’unica casa per ogni coniuge. Su tale abitudine ci sono state però interpretazioni contrastanti, infatti nella circolare 3/DF del 2012 il Ministero dell’Economia e Finanze ha sottolineato che era giusta l’esenzione dal pagamento dell’IMU per i coniugi che vivono separati e hanno ciascuno una propria abitazione, ad esempio nel caso in cui gli stessi lavorino in città diverse.

La sentenza della Corte di Cassazione n° 20130 del 24 settembre 2020 ha invece ribaltato tale interpretazione e ha previsto l’obbligo di assoggettamento all’IMU dell’abitazione principale in quanto il proprietario per motivi lavorativi aveva trasferito la residenza in altro Comune in cui aveva un altro immobile di proprietà.

La legge di bilancio 2022 ha provveduto invece a sistemare la questione in modo più equilibrato stabilendo l’obbligo di pagare l’IMU solo per una delle due abitazioni in cui i coniugi hanno la residenza e affida ai proprietari la facoltà di scegliere quale immobile adibire ad abitazione principale e quindi quale immobile esonerare dal versamento dell’IMU. La decisione deve essere palesata in sede di dichiarazione e quindi entro mese di giugno.

Controlli ma senza sanzioni: le precisazioni del MEF a Telefisco 2022

Fatta questa scelta, la domanda che molti si sono posti è: come devono essere svolti i controlli sulla veridicità delle dichiarazioni? A questa il MEF ha risposto il 27 gennaio 2022, nel corso di Telefisco, fornendo importanti chiarimenti.

Il MEF ha ribadito che vi sarà applicazione dell’articolo 10 dello Statuto del Contribuente il quale tutela la buona fede del contribuente e stabilisce che, in caso di controlli, non possono essere applicate sanzioni se l’errore del contribuente è determinato dall’essersi conformato ad indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione finanziaria e dalla stessa successivamente modificate.

Il contribuente non è destinatario di sanzioni anche nel caso in cui gli errori siano dovuti a ritardi, omissioni o errori degli uffici fiscali. Infine, sempre a norma dell’articolo 10 dello Statuto del Contribuente non possono essere irrogate sanzioni se gli errori dei contribuenti sono dovuti a incertezze sulla portata e sull’ambito di applicazione di una norma tributaria.

Nel caso dell’IMU sulla seconda casa intestata a ciascuno dei coniugi, gli errori potrebbero essere determinati dal fatto che nel tempo si sono succedute interpretazioni diverse della normativa generando una possibile confusione nel contribuente.

Per ulteriori informazioni sui casi in cui l’IMU non è dovuta, leggi l’articolo: IMU, se la casa è occupata non va pagata, si cambiano le regole

Obbligo fattura elettronica per forfettari: ultime notizie

Dal punto di vista fiscale il 2022 sarà un anno molto importante e dalle ultime notizie trapelate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, emerge che vi è un’elevata probabilità di andare verso l’entrata in vigore definitiva dell’obbligo di fatturazione elettronica per i forfettari dal 2022. I segnali che si va verso questa direzione sono numerosi e tra questi vi sono le ultime notizie trapelate dalla Relazione del MEF  “per orientare le azioni del governo volte a ridurre l’evasione fiscale da omessa fatturazione”.

Obbligo di fattura elettronica per i forfettari: ultime notizie

Sappiamo che uno degli obiettivi del Governo è il contrasto all’evasione fiscale e l’obbligo di fatturazione elettronica ha dato ottimi risultati nel contribuire a ridurla notevolmente. Tale tipologia di fatturazione però non ha riguardato tutti i soggetti IVA, rimanendone esclusi coloro che sono nel regime dei minimi, forfettari e alcune tipologie di associazioni. Questi soggetti hanno l’obbligo di utilizzare l’e-fattura solo nei rapporti con la Pubblica Amministrazione. La situazione però è in costante evoluzione, infatti, l’Unione Europea, su richiesta dell’Italia, ha autorizzato il nostro Paese a estendere l’obbligo di fatturazione elettronica, resta quindi da capire quali saranno i tempi in cui si farà ciò. Nel precedente articolo, che è possibile trovare QUI, abbiamo ipotizzato due date come molto probabili, cioè il primo gennaio 2023 oppure il primo luglio 2022, ma dalla Relazione del MEF è possibile ipotizzare che sia molto più probabile la seconda ipotesi, vediamo perché.

La Relazione del MEF per orientare le azioni del Governo

Le ultime notizie sull’obbligo di fatturazione elettronica per i forfettari prendono spunto dalla Relazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Qui si sottolinea che entro il primo semestre del 2022 deve essere raggiunto il Traguardo M1C1-1033 incentrato sulla riforma fiscale. Raggiungere questo traguardo consente di accedere alle risorse del PNRR. Nella Relazione sono quindi indicate delle strade per centrare l’obiettivo e tra queste vi è appunto l’estensione dell’obbligo di fatturazione elettronica ai soggetti finora esclusi e quindi a coloro che hanno optato per il regime forfettario. Nella Relazione è sottolineato che le misure da adottare mirano alla tax compliance (migliorare gli adempimenti spontanei dei contribuenti nei confronti del fisco) e a migliorare i controlli.

Perché si pensa proprio all’estensione dell’obbligo di fattura elettronica per i forfettari?

La risposta a questa domanda è molto semplice. Tale scelta potrebbe dare un input davvero notevole al contrasto all’evasione fiscale perché le partite IVA in regime forfettario in Italia sono 1,8 milioni. Di queste attualmente solo il 10% ha adottato volontariamente l’e-fattura. C’è quindi un’elevata fetta di soggetti che viene sottoposta a “controlli” tradizionali e che potrebbe sfuggire al fisco.

Nella premessa del testo si sottolinea che l’incentivazione dei pagamenti elettronici non offre risultati adeguati anche perché rappresenta un costo per lo Stato (attraverso i piani cashback). Giudizio positivo invece per la lotteria degli scontrini. Dal paragrafo 1 della Relazione si evince che ottimi risultati al contrasto all’evasione fiscale derivano dall’introduzione dal 2019 dell’obbligo di fatturazione elettronica.

Proprio il fatto che nella Relazione siano stati sottolineati tali dati ci convince che si andrà ben presto verso l’introduzione dell’obbligo di fattura elettronica per i forfettari. Come già sottolineato deve essere adottato un atto di modifica della disciplina attuale, quindi un atto normativo, che probabilmente vedrà la luce dopo l’elezione del Presidente della Repubblica, a quel punto ci sarà un periodo transitorio per l’entrata in vigore, necessario per far in modo che le partite IVA adottino gli strumenti idonei a fatturare elettronicamente. Le due date più probabili restano il 1° luglio 2022 e il 1° gennaio 2023.

Pa: Italia ancora fanalino di coda dell’Europa

Nonostante gli sforzi profusi negli ultimi anni, ancora la nostra pubblica amministrazione lascia a desiderare, soprattutto quando si tratta di pagamenti alle imprese.
In Europa, infatti, i tempi di pagamento registrati in Italia sono tra i peggiori, poiché solo la Grecia viene dopo di noi, anche a causa di una crisi economica e finanziaria molto pesanti.

Per fare esempi concreti, se in Francia una fattura mediamente viene pagata in 57 giorni e in Spagna in 78, in Italia bisogna attenderne 95. Un abisso rispetto ai più virtuosi, che sono Germania 23 giorni, Regno unito 22, Finlandia 22.

L’Italia è sorvegliata speciale già dal 2014, a quando risale la prima lettera ricevuta dalla Commissione Ue. In quel periodo, la Pa italiana pagava a 170 giorni beni e servizi e a 210 i lavori pubblici.
Ovviamente nel frattempo la situazione è migliorata, anche grazie alla riforma sulla pubblica amministrazione, ma ancora non basta, perché occorre arrivare a pagare entro 30 giorni per essere definiti a norma.

Per questo motivo, il Belpaese è stato deferito alla Corte di giustizia europea, poiché ci sono alcune pubbliche amministrazioni locali che pagano a 100 giorni, e questo non è più ammissibile.

Ad aggravare la situazione ci sono i Comuni di Scicli, nel ragusano, che a pagare una fattura ci mette mediamente poco meno di due anni, 658 giorni. E questo non vale solo coi fornitori, ma persino con le famiglie, seguito da Poggio Nativo (Rieti), con 508 giorni, Torrebruna (Chieti) con 445, Cerreto Sannita (Benevento) con 432. Sono 75 gli enti che dichiarano di pagare le fatture a oltre 200 giorni.

Secondo il Ministero del Tesoro si tratta di un deferimento che penalizza in toto le pubbliche amministrazioni, anche e soprattutto quelle che, invece, hanno saputo rimettersi in carreggiata e arrivare a risultati eccellenti anche confrontate con le virtuose a livello europeo.

Da una nota del Mef: “Nell’anno 2016 sono state registrate oltre 27 milioni di fatture per un importo totale pari a circa 138 miliardi di euro. In base alle informazioni fornite dagli enti, la piattaforma ha rilevato pagamenti relativi a circa 18,6 milioni di fatture, per un importo pari a 118,1 miliardi di euro, che corrisponde all’85% del totale ricevuto. I tempi medi di pagamento sono pari a 60 giorni, a 13 quelli di ritardo. Ritardo in diminuzione del 50% rispetto al 2015. Il tempo medio di pagamento effettivo del totale delle fatture è con ogni probabilità più lungo di quello registrato tra gli enti che comunicano i dati”.

Il problema che porta la Pa a pagare il ritardo è quasi sempre la mancanza di liquidità, anche se a volte dipende anche da inefficienze delle amministrazioni o da ritardi, ma anche i ricorsi ovviamente dilatano i tempi della giustizia civile.

Vera MORETTI

L’INT alla Commissione Evasione Fiscale del MEF

Giuseppe Zambon, nella sua duplice veste di Consigliere dell’INT e di coordinatore della Commissione Fiscalità, è intervenuto alla Commissione Evasione Fiscale MEF presieduta da Enrico Giovannini, tenutasi presso il Ministero dell’Economia, per discutere dello spinoso problema dell’economia non osservata e dell’evasione fiscale e contributiva.
Presenti al dibattito erano, ovviamente, le associazioni di categoria, gli ordini professionali, le organizzazioni sindacali e le associazioni familiari.

In quell’ambito, Enrico Giovannini ha dichiarato: “In vista della preparazione della Relazione di quest’anno la Commissione sta svolgendo numerose attività volte sia ad allargare lo spettro delle voci prese in considerazione, sia a migliorare le metodologie di stima, così da produrre dati sempre più accurati e dettagliati, vorremmo raccogliere osservazioni e suggerimenti da parte vostra, per migliorare la qualità dei dati e della Relazione”.

Zambon, dal canto suo, ha aggiunto: “Purtroppo la farraginosità legislativa, le modifiche normative troppo frequenti, quali i vari spesometri, le trasmissioni di liquidazioni IVA trimestrali, le trasmissioni dei dati più disparati all’Anagrafe tributaria con la finalità dichiarata di agevolare i contribuenti nella compilazione della dichiarazione dei redditi (ma di fatto utilizzati giustamente anche a fini accertativi) oltre alla limitazione nell’utilizzo dei crediti che ora vedono l’obbligo di apposizione del visto di conformità sopra i 5.000 euro (obbligando di fatto a maggiori costi anche i privati che affrontano rilevanti interventi di ristrutturazione e di risparmio energetico, in parte disincentivandoli), portano sicuramente ad un maggior controllo, ma anche inevitabilmente ad un aumento della propensione all’evasione ed alla perdita di credibilità del sistema fiscale italiano. Una credibilità che l’Amministrazione tributaria continua a perdere anche a causa del fatto che gli innumerevoli dati che le vengono forniti dai contribuenti tramite gli intermediari fiscali autorizzati, spesso, non sono condivisibili tra i vari settori della Pubblica Amministrazione per le differenti piattaforme informatiche utilizzate e di fatto ciò vanifica l’annuncio “semplificazione” e riduce la possibilità di controllare i comportamenti dei contribuenti. Se si vuole porre mano a delle iniziative anti evasione efficaci, è assolutamente necessaria una tregua normativa di durata “importante”, solo in questo modo si potrà valutare anche l’ipotesi di semplificare “veramente” e non solo a parole, la macchina fiscale, magari anche tornando indietro su scelte già fatte più di natura burocratica che di politica tributaria, non proprio condivise dai contribuenti e dai professionisti del settore”.

Vera MORETTI

Partite Iva in calo rispetto al 2016, soprattutto per le società di persone

Il Ministero dell’Economia ha reso noto che nel mese di febbraio sono state aperte 49.412 partite Iva, che rappresentano un dato in calo rispetto allo stesso mese dell’anno precedente del 4,8%.

Tra queste, il 70% è stato aperto da persone fisiche, il 24% da società di capitali e il 5,1% da società di persone. Non residenti e altre forme giuridiche sono pari allo 0,8%.
La flessione maggiore riguarda le società di persone (-14,5%) e per le persone fisiche (-5,7%) mentre risultano stabili gli avviamenti di società di capitali (-0,1%).

Riguardo alla ripartizione territoriale, circa il 43% delle nuove partite Iva si trova al Nord, il 22,2% al Centro e il 34,5% al Sud ed Isole.
I maggiori incrementi sono stati registrati in Basilicata (+52,8%), seguita, seppur con aumenti molto più esigui, da Calabria (+4%) e Sardegna (+1%); tutte le altre Regioni presentano diminuzioni, in particolare le Marche (-13,1%), la Provincia autonoma di Bolzano (-11,4%) e l’Abruzzo (-10,9%).

Da una comunicazione del Mef: “Sostanzialmente stabili guardando le fasce di età, le nuove aperture da parte degli under 35, mentre mostra un lieve aumento la quota femminile (il 37,5% delle aperture di febbraio). Il commercio continua a registrare il maggior numero di aperture di partite Iva (20,6% del totale), seguito dalle attività professionali (16,4%) e dall’agricoltura (10,9%). Rispetto al mese di febbraio dello scorso anno, tra i settori principali si registra un incremento delle nuove aperture nel comparto della sanità (+7,4%), delle attività professionali (+7%) e dell’istruzione (+5,1%), mentre il commercio (-15,4%), alloggio e ristorazione (-9,4%) e i servizi alle imprese (-8,1%) registrano i cali di avviamenti più vistosi. Il 37,4% delle nuove aperture (18.490 soggetti) ha aderito al regime forfettario, con un aumento dell’1,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente”.

Vera MORETTI

Commercialisti soddisfatti del loro incontro con il MEF sull’antiriciclaggio

Il Consiglio Nazionale dei Commercialisti, durante la prima riunione del tavolo tecnico sull’antiriciclaggio che si è tenuto a Roma presso il Ministero Economia e Finanza, alla presenza del Viceministro Luigi Casero, ha formulato riflessioni e richieste ben precise, tra le quali: revisione degli oneri formali a carico degli studi professionali, delimitazione dell’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione degli obblighi di adeguata verifica della clientela, riduzione dell’entità delle sanzioni minime e massime.

All’incontro erano presenti anche i rappresentanti dei Consigli nazionali degli Avvocati, dei Notai e dei Consulenti del lavoro, oltre alla delegazione dei Commercialisti guidata dal Presidente della categoria, Massimo Miani, il quale ha dichiarato: “Prendiamo atto con soddisfazione dell’apertura, da parte del Ministero, alle istanze delle professioni destinatarie degli obblighi antiriciclaggio, emersa nel corso della riunione. Auspichiamo che ora le osservazioni già da tempo formulate alla bozza del decreto di recepimento della quarta direttiva antiriciclaggio vengano ampiamente recepite nel testo definitivo. Per il momento registriamo favorevolmente quanto annunciatoci da Casero in merito al reinserimento della norma che esclude dall’applicazione degli obblighi di adeguata verifica le attività aventi ad oggetto la mera redazione e trasmissione delle dichiarazioni fiscali e gli adempimenti in materia di amministrazione del personale”.

Vera MORETTI

INT contro la decisione del MEF della chiusura agevolata delle liti fiscali

L’Istituto Nazionale Tributaristi ha voluto esprimere la sua opinione circa l’annuncio fatto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze riguardo la chiusura agevolata delle liti fiscali pendenti, ribattezzata “rottamazione”, termine che probabilmente calza poco quando si affrontano argomenti delicati.

Se, infatti, ai non addetti ai lavori questa può sembrare una buona notizia, soprattutto in quanto ad oneri fiscali e pendenze, INT sostiene che, al contrario, se all’inizio ogni intervento atto ad eliminare l’eccesso di sedimentazione delle liti fiscali o delle cartelle esattoriali potrà sembrare positivo, avrà in realtà questo effetto solo a breve termine, e anche un temporaneo incremento del gettito nelle casse erariali.

Purtroppo, infatti, questi tipi di intervento non sono in grado di risolvere la situazione alla radice, se alla base non c’è la possibilità e la volontà, di semplificare gli adempimenti fiscali, e non si emaneranno leggi tributarie chiare e durevoli, con una modificazione dell’ intero impianto del sistema sanzionatorio amministrativo.

Queste le parole di Riccardo Alemanno, presidente INT: “ Abbiamo evidenziato al Ministro Padoan che negli ultimi mesi al MEF sono stati ascoltati solo una parte degli intermediari fiscali ed abbiamo chiesto di essere sentiti in merito alle ultime iniziative legislative ed a quelle ancora in cantiere. La sensazione è che il progetto di riforma fiscale previsto dalla Legge delega sia ormai un ricordo, perché pare si stia navigando a vista e questo non può che creare confusione e non risolvere il problema di un sistema fiscale farraginoso e complesso. Noi siamo, come sempre, disponibili a fare la nostra parte, senza pretendere di avere soluzioni miracolistiche che nessuno possiede, ma nella convinzione che attraverso il confronto con gli operatori del settore, ma tutti però, ognuno con le proprie competenze, si possa migliorare l’attuale stato di cose”.

Vera MORETTI

Pressione fiscale sulle imprese? Cala sì, ma…

Quando si tratta di tasse, siano esse per le imprese o per i cittadini, dall’Italia non arrivano mai buone notizie. E se, secondo rapporto Paying taxes 2016 elaborato da Banca Mondiale e Pwc su 189 Paesi e riferito al 2014, la pressione fiscale complessiva sulle imprese italiane è sceso lo scorso anno al 64,8%, questa percentuale rimane la più alta in Europa, dove la media del cosiddetto total tax rate (tasse sulle imprese + costo del lavoro) è del 40,6%. Un abisso.

Analizzando nel dettaglio le due voci che compongono il total tax rate si scopre che sulla pressione fiscale complessiva delle imprese pesa di più il costo del lavoro delle tasse in senso stretto: 43,4%.

Questo stando alla banca mondiale. Il ministero dell’Economia prova invece a leggere il dato da un’altra prospettiva, ricordando come la pressione fiscale sulle imprese sia scesa del 12% in 10 anni, arrivando appunto al 64,8% del 2014 dal 76,8% del 2004. Secondo il Mef, il rapporto della Banca Mondiale non tiene conto di molte delle riforme messe in opera dall’attuale governo, i cui effetti si vedranno solo a partire da quest’anno; fatto che, secondo i tecnici del ministero, potrà incidere positivamente sul posizionamento dell’Italia sui prossimi rapporti della Banca Mondiale.

Quali sono queste misure, a detta del ministero, virtuose nei confronti della pressione fiscale? Il Mef cita i maxiammortamenti, il taglio dell’Ires, il credito d’imposta e l’eliminazione della componente Irap dal costo del lavoro (già introdotta). Senza dimenticare, naturalmente, gli sgravi sui contributi per le nuove assunzioni a tempo indeterminato.

Oltre a mettere il dito nella piaga della pressione fiscale che grava sulle imprese italiane, il rapporto Paying taxes 2016 ha fatto il conto anche di quante ore, ogni anno, le imprese italiane e straniere devono impiegare per far fronte agli adempimenti fiscali. Anche in questo caso, come in quello della pressione fiscale, non ci facciamo una bella figura: 269 ore all’anno per pagare le tasse, contro una media mondiale poco più bassa (261) ma una media europea drammaticamente minore: 173 ore.

Se poi guardiamo al numero di pagamenti che le imprese devono effettuare annualmente, possiamo consolarci guardando i 25,6 di media mondiale, un po’ meno gli 11,5 europei. Ma fino a che non si abbassa la pressione fiscale, c’è poco da festeggiare…

Voluntary disclosure, niente rinvio dei termini

Sono in tanti coloro i quali continuano a sperare in uno slittamento in avanti dei tempi per l’adesione alla voluntary disclosure, ossia la collaborazione volontaria al rientro in Italia dei capitali detenuti all’estero.

Nei giorni scorsi erano infatti circolate alcune voci che davano come possibile un differimento del termine per chi voleva avvalersi della voluntary disclosure, termine inizialmente fissato per il 30 settembre prossimo.

Ci ha pensato direttamente il ministero dell’Economia a diradare ogni dubbio con una risposta ad hoc fornita appunto alla richiesta di chiarimenti sulle voci relative ad un eventuale differimento dei termini di adesione alla procedura di collaborazione volontaria per il rientro dei capitali dall’estero.

In una dichiarazione, il Mef, attraverso il sottosegretario Paola De Micheli, ha ribadito che “non è in corso alcuna iniziativa del Governo volta alla proroga del termine di adesione alla voluntary disclosure”. Chi guardava a questa possibilità, infatti, considerava il 30 settembre come termine per prenotare la propria presentazione della domanda, che sarebbe poi stata completata in tempi successivi. La risposta della De Micheli suona come smentita di qualsiasi cambio di rotta in tema di voluntary disclosure.