Dimissioni per giusta causa: spetta la Naspi ma la procedura è diversa

Oggi andremo a scoprire cosa spetta quando ci si ritrova dimissionari per giusta causa. Molti si chiedono se toccherà ugualmente la Naspi al licenziato, ed in che modalità. La risposta è sì, ma andiamo a vedere nel dettaglio di cosa si tratta.

Naspi, che cosa vuol dire

Con il termine Naspi, si parla di disoccupazione. Di fatto, la parola Naspi vuol dire Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego e sostituisce le vecchie precedenti prestazioni di sussidio per la disoccupazione, ovvero la Aspi e la MiniAspi.

Il sussidio della Naspi è operativo dai primi mesi del 2015 ed offre sostegno economico mensile (per una durata massima di 24 mesi) alle persone licenziate o dimesse, come nei seguenti casi:

  • dimissioni durante il periodo di maternità (da 300 giorni prima della data presunta del parto e fino al compimento del primo anno di vita del bambino);
  • dimissioni per giusta causa, come ad esempio per mancato pagamento delle retribuzioni o per aver subito molestie sessuali sul luogo di lavoro, od anche per mobbing;
  • risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell’ambito della procedura preventiva ed obbligatoria di tentativo di conciliazione;

Ma quando si viene licenziati per giusta causa, come si ottiene la Naspi? Andiamolo a vedere nel prossimo paragrafo.

Naspi e dimissioni per giusta causa

Per verificare se la NASpI spetta anche in caso di dimissioni, occorre osservare il D.Lgs. n. 22/2015 che prevede la tutela economica esclusivamente per le interruzioni involontarie di rapporti di lavoro a decorrere dall’1 maggio 2015.

Quindi, è di fondamentale importanza che la cessazione del lavoro avvenga per cause non imputabili al lavoratore. Va da sé che in caso di dimissioni volontarie, poiché si tratta di un atto volontario del lavoratore, la legge non riconosce la tutela economica.

Differente è, però il discorso in caso di dimissioni per giusta causa.

Cos’è la dimissione per giusta causa? Come specificato poco sopra nell’articolo, è quando il lavoratore subisce da parte del datore di lavoro continue vessazioni o violazioni di obblighi di legge, come ad esempio la mancata corresponsione della retribuzione, può decidere di dimettersi per giusta causa. In tal caso ha diritto alla Naspi.

Va detto che nel caso di dimissioni per giusta causa, il lavoratore oltre a non dover corrispondere l’indennità di mancato preavviso ha diritto a percepirla egli stesso, nonché a beneficiare dell’indennità di disoccupazione, qualora ne ricorrano i presupposti.

Qualora il datore di lavoro neghi l’esistenza di una giusta causa alla base del recesso del lavoratore, e dovesse rifiutarsi così di versare l’indennità sostitutiva del preavviso, il lavoratore potrà agire in giudizio per chiedere l’accertamento della giusta causa delle dimissioni, e quindi farsi riconoscere il diritto a percepire tale indennità, oltre che per la restituzione dell’importo eventualmente trattenuto a titolo di mancato preavviso.

Procedura di dimissioni per giusta causa

Non è da sottovalutare tutto il processo che occorre per presentare le dimissioni per giusta causa.

Una procedura che si applica, infatti, a tutte le dimissioni rassegnate a partire dal 12 marzo 2016, indipendentemente dalla causale giustificativa. Le uniche ipotesi a cui la nuova disciplina non si applica sono le seguenti:

  • dimissioni durante il periodo di prova;
  • dimissioni nel rapporto di pubblico impiego;
  • dimissioni della lavoratrice durante il periodo di gravidanza, della lavoratrice o del lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento; ai sensi dell’art. 55 del d.lgs. n. 151/2001, per tali soggetti le dimissioni devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio (a detta convalida è sospensivamente condizionata l’efficacia della risoluzione del rapporto);
  • dimissioni in un rapporto di lavoro domestico;
  • dimissioni intervenute nelle sedi protette di cui all’art. 2113 del codice civile o avanti alle commissioni di certificazione.

Ma quali sono i documenti per la Naspi da presentare?

I documenti utili a presentare richiesta per la Naspi sono i seguenti:

  • il modello Sr163 dove viene indicato il conto corrente di accredito
  • il documento d’identità, il permesso di soggiorno o il permesso di soggiorno Ue per soggiornati di lungo periodo in corso di validità
  • la tessera sanitaria o codice fiscale
  • le ultime tre buste-paga (facoltativo)
  • la lettera di licenziamento
  • nel caso di colf e badanti si dovranno allegare gli ultimi bollettini Mav dei contributi pagati
  • se il contratto di lavoro era a tempo determinato, bisognerà allegare il contratto di Assunzione
  • in caso di dimissioni per Giusta Causa, si dovrà allegare la lettera di diffida inviata al datore di lavoro, con la ricevuta di invio
  • in caso di dimissioni durante la maternità, sarà necessario allegare la convalida della direzione Provinciale del Lavoro
  • se si possiede P.IVA o si è lavorato con contratti di Lavoro Occasionali, bisogna dichiarare il Reddito presunto per l’anno in corso, durante la compilazione della domanda Naspi.

Insomma, questo è quanto vi fosse da sapere di più necessario, in merito alla questione legata alla Naspi e alle dimissioni del dipendente, per giusta causa.

Sanzioni lavoro nero per datori di lavoro e lavoratori: guida

Sanzioni per il lavoro nero hanno l’obiettivo di essere un deterrente contro questa pratica molto comune che lede i diritti dei lavoratori non riconoscendo loro diritti basilari, come quello ad una retribuzione equa e le prestazioni del welfare.

Il lavoro nero in Italia

Il fenomeno del lavoro nero in Italia è molto sviluppato, da un’indagine condotta dall’ISTAT emerge che nel solo 2020 vale 79 miliardi di euro, pari a 4,3% del PIL. Si tratta di una vera e propria piaga sociale che ha molti risvolti, infatti vi sono oltre 3 milioni di lavoratori che non hanno alcuna tutela e assistenza. Per il loro lavoro non vengono versati contributi all’INPS e di conseguenza non maturano il diritto a prestazioni assistenziali e pensionistiche, inoltre non vengono versati i contributi INAIL e in caso di infortuni sul lavoro non sono tutelati.

Infine, non deve essere dimenticato che i loro redditi non sono tassati, quindi vi è una perdita per l’Agenzia delle Entrate, inoltre spesso non avendo redditi dichiarati usufruiscono anche di prestazioni a cui non avrebbero diritto, come il Reddito di Cittadinanza. Proprio queste connotazioni hanno portato ad un inasprimento delle sanzioni per il lavoro nero che sono a carico del datore di lavoro, ma spesso anche a carico del lavoratore. Vedremo nel prosieguo entrambe queste prospettive.

Cos’è il lavoro nero

La prima cosa da fare è delimitare il campo di applicazione: si definisce lavoro nero o sommerso/ irregolare quello in cui non vi è un regolare contratto di lavoro e il datore di lavoro non comunica  l’assunzione del lavoratore al Centro per l’Impiego territorialmente competente. La normativa stabilisce che entro le 24 ore precedenti rispetto al momento in cui il lavoratore deve iniziare a svolgere le sue mansioni, il datore di lavoro è tenuto a comunicare telematicamente attraverso il modello UNILAV l’assunzione del lavoratore al Centro per l’Impiego, tale pratica è propedeutica rispetto alle comunicazioni fatte all’INPS e all’INAIL dai centri stessi. Solo in caso di emergenza e forza maggiore è possibile far iniziare il rapporto di lavoro, ma anche in questo caso la comunicazione deve essere eseguita nel più breve termine possibile.

Sanzioni lavoro nero per il datore di lavoro

Cosa succede se il lavoratore non viene regolarmente assunto? In questi casi il datore di lavoro può essere sottoposto a pesanti sanzioni e in alcuni casi anche il lavoratore è sanzionato.

Le sanzioni per il datore di lavoro sono :

  • se il lavoratore ha maturato fino a 30 giorni di lavoro in nero si applica una sanzione pecuniaria minima di 1.800 euro e massima di 10.800 euro;
  • se il lavoratore ha maturato da 31 giorni di lavoro in nero a 60 giorni la sanzione minima è di 3600 euro e la massima di 21.600 euro;
  • nel caso in cui il lavoratore abbia maturato più di 60 giorni effettivi di lavoro nero, la sanzione minima è di 7.200 euro e la massima 43.200 euro.

Questi sono gli importi attuali, prima del 2019 erano più bassi, ma in seguito all’entrata in vigore della legge di Bilancio 2019 (legge 145 del 2018, comma 445, lettera d), tali importi sono stati sottoposti ad aumento. L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha anche precisato che tali sanzioni si applicano per le condotte che si realizzano dal 2019, ciò in virtù del principio tempus  regit actum, nel caso di condotte a carattere permanente si applica la disciplina del momento in cui cessa la condotta (circolare 2 del 14 gennaio 2019).

Sanzioni lavoro nero: recidiva

Gli importi visti in precedenza sono raddoppiati in caso di recidiva. Ciò è stato oggetto di precisazione con la nota di approfondimento dell’INL (Ispettorato Nazionale del Lavoro) 1148 del 5 febbraio 2019, dove precisa che “le maggiorazioni sono raddoppiate ove, nei tre anni precedenti, il datore di lavoro sia stato destinatario di sanzioni amministrative o penali per i medesimi illeciti

La nota sottolinea che la recidiva si verifica quando il datore di lavoro aveva già commesso nei tre anni precedenti un illecito della medesima tipologia e questo sia stato oggetto di un provvedimento sanzionatorio diventato definitivo. La definitività di un atto si ha quando sono trascorsi i termini per l’impugnazione; nel caso in cui il datore di lavoro abbia pagato la sanzione ingiunta, oppure nel caso in cui abbia proposto impugnazione e sia stata emessa una sentenza passata in giudicato. La nota sottolinea anche che l’aumento non si applica nel caso in cui il datore di lavoro abbia sanato la sua posizione, ovvero abbia regolarizzato il lavoratore nei termini previsti dalla legge (120 giorni dalla contestazione dell’illecito), abbia proceduto al pagamento in versione ridotta ex art. 16 della L. n. 689/1981.

Quando il lavoro nero è reato?

Si è parlato fino ad ora di sanzioni di tipo amministrativo, ciò perché generalmente assumere un lavoratore in nero non è reato, vi è però un’eccezione, cioè il caso in cui sia adibito a mansioni di lavoro un clandestino irregolare.

Sanzioni per il lavoratore

Si è detto in precedenza che oltre a poter essere sanzionato il datore di lavoro, in alcuni casi è sanzionato anche il lavoratore. Occorre però fare delle precisazioni, nella materia giuslavoristica si ritiene che il lavoratore sia in una posizione deteriore, cioè in una posizione di subordinazione rispetto al datore di lavoro e di minore potere contrattuale, proprio per questo si tende a proteggere il lavoratore che magari ha accettato per un bisogno economico di lavorare in nero e senza tutele. Il discorso però cambia quando vi è una sorta di concorso tra le parti e quindi nel caso in cui lo stesso lavoratore abbia avuto dei benefici dal lavorare in nero.

Il lavoratore in nero subisce sanzioni nel caso in cui mentre lavora in nero percepisce  sussidi statali pensati per i disoccupati, oppure ottiene i vantaggi legati ad un ISEE basso, ad esempio bonus energia, pagamenti ridotti per tasse universitarie e simili. Infine, sono previste sanzioni per coloro che lavorano in nero e contemporaneamente usufruiscono del reddito di cittadinanza. Le conseguenze per il lavoratore in nero in questi casi sono davvero pesanti, infatti si devono:

  • restituire le somme indebitamente percepite;
  • vi è naturalmente l’interruzione dell’erogazioni delle prestazioni;
  • infine vi è un’incriminazione penale per falso in atto pubblico, truffa ai danni dello stato e indebita percezione di benefici.

Queste sanzioni hanno una mitigazione nel caso in cui il lavoratore percepisca la NASPI (Nuova Assicurazione Sociale per l’impiego) , in questo caso se lo stipendio erogato nell’arco di un anno è inferiore a 8.000 euro, non si applicano le sanzioni.

A breve seguiranno aggiornamenti su come denunciare il lavoro nero e diritti per i lavoratori

Quanto costa licenziare un dipendente a tempo indeterminato nel 2021?

In un precedente articolo, abbiamo visto quali sono i motivi per cui un datore di lavoro può licenziare un dipendente assunto con un contratto a tempo indeterminato. Entrando nello specifico di alcuni casi, si è fatto presente quando sussiste l’obbligatorietà o la facoltà di reintegro del lavoratore, con la relativa scelta da parte del datore di lavoro, in quest’ultimo caso, di evitarlo preferendo il pagamento di un’indennità.

Restando in tema, stavolta ci occupiamo di quanto costa a un datore di lavoro licenziare un lavoratore che ha diritto all’indennità di disoccupazione Naspi.

Il ticket licenziamento 2021

Quando il datore licenzia un suo dipendente titolare di un contratto a tempo indeterminato, entra in gioco il ticket licenziamento che consiste in un contributo da versare all’INPS. Nel 2021, l’importo relativo è fissato nella misura di 503,30 euro, ossia il 41% del massimale disoccupazione, che varia a seconda di quanto tempo il lavoratore licenziato è rimasto in azienda da 1/12 fino ad un massimo di tre anni.

Per il 2021 l’ammontare del ticket di licenziamento non può superare i 1509,90 euro (503,30 € x 3 anni), qualora l’anzianità di servizio conseguita sia di almeno 36 mesi. Identico importo del contributo, quindi in misura piena, è dovuto anche al lavoratore assunto a tempo indeterminato ma con un contratto part-time.

E’ da tenere presente che l’ammontare del massimale di disoccupazione mensile viene stabilito ogni 12 mesi dall’INPS per ciascun anno di anzianità aziendale raggiunta dal lavoratore licenziato negli ultimi tre anni.

L’obbligo di versamento del suddetto contributo Naspi ricorre anche in caso di licenziamenti di tipo collettivo. Addirittura, l’importo è triplicato nel caso la dichiarazione di esubero del personale non sia stata oggetto di un accordo con i sindacati. Il ticket è dovuto dal datore di lavoro anche se il licenziamento a seguito di accordo collettivo aziendale escluso dal blocco dei licenziamenti stabilito nell’era Covid.

La funzione del contributo Naspi

L’introduzione del ticket licenziamento è stato introdotto al fine di scoraggiare il datore di lavoro a prendere tale decisione, ma soprattutto per finanziare l’indennità di disoccupazione. Il contributo Naspi va pagato tramite il modello F24 insieme agli altri contributi di previdenza e di assistenza entro il 16 del mese successivo, questo a prescindere dalla richiesta di Naspi effettuata dal dipendente licenziato.

Quando va pagato il ticket licenziamento

Il contributo Naspi, come già accennato si concretizza con la cessazione del rapporto di lavoro che dà diritto al lavoratore di accedere all’indennità di disoccupazione. Premesso che, il ticket riguarda i licenziamenti dovuti a giusta causa, giustificato motivo oggettivo o soggettivo, ci sono altri casi che prevedono il versamento del contributo Naspi da parte del datore di lavoro.

Stiamo parlando di dimissioni per giusta causa o intervenute nel periodo di maternità sotto tutela. Rientra nei casi diversi dal licenziamento, anche la risoluzione consensuale del contratto avvenuta dopo la conciliazione obbligatoria presso la Direzione Territoriale del Lavoro, quando il datore vuole licenziare il dipendente per giustificato motivo oggettivo. Oppure per risoluzione consensuale intervenuta a seguito del rifiuto del lavoratore di trasferirsi in un’altra unità di produzione aziendale distante più di 50 chilometri dalla sua residenza o comunque raggiungibile in più di 1 ora e 20 minuti tramite mezzi pubblici.

O ancora, il contributo Naspi è dovuto anche nel caso di mancata trasformazione del contratto di apprendistato in quello a tempo indeterminato. Inoltre, il datore è tenuto al versamento del ticket anche in caso di abbandono del posto di lavoro da parte del dipendente e anche quando il licenziamento è conseguenza della chiusura dell’attività.

Il contributo Naspi nei licenziamenti collettivi

Il contributo è dovuto anche nei licenziamenti collettivi, ricorrenti ogni volta che un’azienda con più di 15 dipendenti decide di licenziarne almeno cinque nel giro di 120 giorni. Il motivo è dato dalla riduzione del personale, ristrutturazione dell’organizzazione aziendale o chiusura dell’attività.

L’importo del ticket è lo stesso previsto per i licenziamenti individuali, fatto salvo il caso in cui la dichiarazione di esubero del personale avviene in mancanza di un accordo sindacale, nel quale l’importo è triplicato.

Quando i licenziamenti collettivi sono applicati nell’ambito della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria, il contributo da versare viene raddoppiato, passando dal 41% all’82% del massimale disoccupazione.

Ticket di licenziamento imprese edili

Qualora il licenziamento dovesse riguardare il settore edilizio, la situazione cambia in alcuni casi con riferimento al contributo Naspi. Infatti, il datore è esonerato dal pagamento del ticket di licenziamento se l’interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato avviene per il completamento delle attività e chiusura del cantiere. A tal proposito, l’INPS ha fornito dei chiarimenti in merito alla deroga prevista per il versamento del contributo Naspi. Per saperne di più, fare riferimento al messaggio 3933 del 24 ottobre 2018.

Se vuoi approfondire l’argomento indennità di disoccupazione, puoi leggere anche: Naspi 2021: cos’è, requisiti, durata, calcolo, quando decade e domanda

Naspi, spetta al disoccupato con Partita IVA?

Il titolare di partita IVA che ha perso involontariamente il lavoro, può continuare a percepire la Naspi a patto che rispetti alcune condizioni. La normativa riguardante il tema disoccupazione, nel corso del tempo è andata sempre più incontro al lavoratore autonomo al fine di tutelarlo maggiormente, quasi come se si trattasse di un lavoratore dipendente.

Partita IVA e Naspi

Chi possiede una partita IVA e si trova in stato di disoccupazione, dunque, può mantenere l’indennità Naspi. Allo stesso modo, chi è stato licenziato e percepisce l’indennità di disoccupazione, può aprire una partita IVA da disoccupato, come professionista, artigiano o commerciante, senza dover rinunciare allo stato di disoccupazione.

Ricordiamo che per fruire della Naspi è necessario fare richiesta all’INPS, rispettando i requisiti per cui: si è perso involontariamente il lavoro e si è richiesto lo stato di disoccupazione; è stato sottoscritta la Dichiarazione di Immediata Disponibilità al lavoro al Centro per l’impiego.

Ricordiamo che lo stato di disoccupazione è riferito a chi non svolge un’attività di lavoro subordinato, parasubordinato o autonoma. Inoltre, anche a chi svolge un’attività lavorativa, ma con un reddito lordo annuo conseguito che resta entro determinati limiti:

  • 8.145 euro per il lavoro dipendente;
  • 4.800 euro per il lavoro autonomo, anche per la forma occasionale.

Come continuare a percepire la Naspi da titolare di partita IVA: le condizioni

Il possessore di partita IVA che vuole continuare ad essere percettore dell’indennità di disoccupazione Naspi, non deve conseguire un reddito da lavoro autonomo, come appena accennato, superiore i 4.800 euro annui. Non deve omettere la dichiarazione all’INPS del reddito da lavoratore autonomo presunto o presentarla fuori tempo massimo. Non deve terminare lo stato di disoccupazione oppure acquisire i requisti per andare in pensione.

Tuttavia, è anche vero che il disoccupato che mantiene il diritto a percepire la Naspi, riceverà un importo complessivo decurtato dell’80% dei redditi previsti, in relazione al periodo di tempo che intercorre tra la data d’inizio attività e la data di fine indennità oppure, se antecedente, la fine dell’anno. L’entità della riduzione si basa sull’autodichiarazione, ma il calcolo preciso viene effettuato d’ufficio dall’INPS al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi nell’anno successivo.

Qualora si fosse esenti dall’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi, sarà necessario presentare una nuova autodichiarazione del reddito entro il 31 marzo del seguente anno. La mancata presentazione dell’autodichiarazione da parte del lavoratore, implica la restituzione della Naspi ricevuta dalla data di avvio dell’attività di lavoro autonoma.

Se il lavoro autonomo viene svolto contemporaneamente alla percezione dell’indennità di disoccupazione e nel caso quest’ultima coinvolga più anni solari, all’inizio di ogni nuovo anno il lavoratore è tenuto a comunicare il reddito presunto tramite modello Naspi Com entro il 31 gennaio. In assenza della predetta comunicazione e fino a quando non sarà acquisita dall’INPS, l’erogazione della Naspi verrà sospesa.

Quando si svolge un’attività lavorativa di tipo autonomo, di impresa individuale o parasubordinata, dalla quale si ottiene un reddito inferiore ai limiti sopra indicati utili alla conservazione dello stato di disoccupazione (4.800 euro), il soggetto beneficiario deve informare l’INPS entro un mese dall’inizio dell’attività attraverso il modello Naspi-COM oppure entro un mese dalla domanda Naspi in caso di attività preesistente, dichiarando il reddito annuo che prevede di conseguire.

Liquidazione Naspi anticipata

La persona in stato di disoccupazione che decide di aprire partita IVA può chiedere la liquidazione della Naspi in un’unica soluzione. Tuttavia, è necessario inviare la domanda entro 30 giorni dall’avvio dell’attività autonoma. Se l’attività è precedente, entro 30 giorni dalla domanda inoltrata per ottenere la Naspi.

Questa possibilità è concessa per incentivare l’inizio di un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale o per la sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa. Allo stesso modo, chi aveva già un’attività autonoma prima di richiedere la Naspi, potrà richiedere l’erogazione dell’indennità di disoccupazione in un’unica soluzione, al fine di poter dedicare il suo lavoro per lo sviluppo della sua attività lavorativa in forma autonoma.

Se vuoi approfondire l’argomento indennità di disoccupazione, leggi anche: Naspi 2021: cos’è, requisiti, durata, calcolo, quando decade e domanda

Chi ha partita Iva può prendere la disoccupazione?

Chi possiede la partita Iva può chiedere la disoccupazione? La domanda è di interesse dei  lavoratori autonomi, dei liberi professionisti e degli imprenditori e riguarda la possibilità che possano fare domanda dell’indennità Inps per la perdita dell’occupazione con una posizione di partita Iva già aperta ed operativa. Ma riguarda anche i casi di una partita Iva latente, che non produca redditi. Nella generalità delle situazioni, ed escludendo il nuovo ammortizzatore sociale Iscro introdotto dalla legge di Bilancio 2021 a favore proprio dei lavoratori a partita Iva, la disoccupazione spetta solo ai lavoratori dipendenti e ai collaboratori.

Casi in cui il lavoratore autonomo con partita Iva può chiedere la disoccupazione

Tuttavia, chi ha una partita Iva non è escluso in partenza dall’indennità di disoccupazione Naspi. Ad esempio, può presentare domanda di disoccupazione il lavoratore alle dipendenze che perda il proprio lavoro e che abbia anche la partita Iva. È necessario invece che i collaboratori che abbiano partita Iva prestino maggiore attenzione nel momento in cui, alla cessazione del contratto, richiedano la Dis-coll, ovvero la relativa indennità di disoccupazione. 

Autonomi e collaboratori, chi può chiedere la disoccupazione?

Dunque, per rispondere alla domanda se un lavoratore autonomo possa richiedere la disoccupazione Naspi, la risposta è negativa se l’unica attività del richiedente è quella per la quale ha aperto la posizione di partita Iva, ovvero si tratti dell’unica attività di lavoro da libero professionista, da autonomo oppure da imprenditore. Nel caso in cui, invece, oltre all’attività in proprio, il richiedente è anche dipendente allora è possibile fare domanda di indennità di disoccupazione. 

Indennità di disoccupazione Naspi: quali sono i requisiti per ottenerla?

L’indennità di disoccupazione Naspi spetta ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che abbiano perduto, involontariamente, l’occupazione. Sono compresi gli apprendisti, i soci lavoratori delle cooperative con rapporto di lavoro subordinato con le stesse cooperative e il personale artistico con rapporto di lavoro subordinato. Sono ammessi alla disoccupazione anche i dipendenti delle Pubbliche amministrazioni con contratto a tempo determinato (esclusi, invece, se il contratto è a tempo indeterminato).

Rientrano tra gli esclusi alla prestazione Inps anche gli operai agricoli sia a tempo determinato che indeterminato, i lavoratori extracomunitari per i lavori stagionali, i lavoratori che abbiano maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia o anticipata, i lavoratori con assegno ordinario di invalidità. 

Redditi da lavoro autonomo: compatibilità con la Naspi

Chi rientra nei requisiti per ottenere la Naspi ed ha anche la partita Iva per attività in proprio può dunque fare richiesta di disoccupazione. La Naspi non è incompatibile nemmeno nel caso in cui si apra una partita Iva in un momento successivo a quello si fa domanda disoccupazione. In tal caso la Naspi non viene né sospesa e nemmeno decade, ma è necessario prestare attenzione sull’eventuale reddito che derivi dall’attività per la quale si è aperta la partita Iva. Infatti, la Naspi viene conseguentemente ridotta. 

Riduzione disoccupazione Naspi per chi svolge attività con partita Iva

Più nel dettaglio, la riduzione della Naspi opera nel caso in cui chi percepisce la disoccupazione svolge anche un’attività in forma autonoma dalla quale si generi un reddito annuo corrispondente a un’imposta lorda pari o inferiore alle detrazioni spettanti. Tali detrazioni sono calcolate ai sensi di quanto quanto prevede l’articolo 13 del Testo Unico delle Imposte sui redditi (TUIR), ovvero determinate in 4.800 euro.

In tal caso, l’indennità Naspi spettante si riduce dell’80% dei redditi previsti, in rapporto al periodo che intercorre tra la data di inizio dell’attività e la data in cui è determinata la fine del godimento della Naspi stessa o, se antecedente, entro la fine dell’anno. Se l’attività autonoma produce un reddito superiore al limite fissato dal TUIR, ovvero oltre ai 4.800 euro lordi annui, il richiedente decade dalla Naspi in quanto l’Irpef lorda risulta inferiore alle detrazioni per i redditi da lavoro autonomo. 

Partita Iva aperta prima della domanda di disoccupazione

La prestazione Naspi, ancorché ridotta, si conserva solo se il soggetto beneficiario comunica all’Inps il reddito presunto annuo derivante da attività autonoma con partita Iva. Nel caso in cui è presente l’iscrizione alla Gestione separata Inps, oppure l’attività autonoma è preesistente alla data di cessazione del rapporto di lavoro che ha generato la disoccupazione, è necessario che il richiedente lo indichi nella domanda di Naspi. L’interessato deve necessariamente indicare nella domanda anche il reddito annuo che prevede di conseguire dallo svolgimento dell’attività autonoma, anche se pari a zero. 

Disoccupazione e modello Naspi Com in caso di reddito da attività autonoma

Il lavoratore autonomo che presenti domanda di disoccupazione Naspi, ricorrendone le condizioni, potrà comunicare all’Inps il reddito annuo previsto anche successivamente all’istanza. In particolare, entro un mese dall’invio della domanda Naspi, potrà comunicare il reddito autonomo presunto attraverso il modello Naspi Com. Il caso è molto simile anche per l’apertura della partita Iva in un momento successivo alla presentazione della domanda di Naspi.

In tal caso, è previsto che entro un mese dall’inizio dell’attività il richiedente ne dia comunicazione tramite modello Naspi Com con l’indicazione del reddito presunto. La mancata comunicazione nei termini indicati dell’inizio o di svolgimento di un’attività lavorativa autonoma, nonché del reddito presunto anche se pari a zero, comporta la decadenza della Naspi. Gli iscritti alla Gestione separata Inps che svolgono attività autonoma devono indicare, annualmente, il reddito presunto. 

Collaboratori con partita Iva e domanda di Dis-coll

Diverso è il caso di partita Iva e Dis-coll. Per percepire l’indennità riservata ai collaboratori non è consentito avere una partita Iva, anche se la posizione non dovesse produrre redditi. Pertanto, un collaboratore coordinato e continuativo, anche a progetto, che abbia perso involontariamente un’occupazione e che sia iscritto in via esclusiva alla Gestione separata Inps, può chiedere l’indennità di disoccupazione purché preliminarmente proceda con la chiusura della partita Iva.

La stessa posizione, tuttavia, può essere aperta dopo la presentazione della domanda: il collaboratore che percepisca la Dis-coll e che intraprenda un’attività lavorativa di impresa individuale, parasubordinata o autonoma dalla quale si generi un reddito annuo corrispondente a un’imposta lorda pari o inferiore alle detrazioni spettanti (4.800 euro) dovrà darne comunicazione all’Inps entro 30 giorni dall’inizio dell’attività.

Riduzione disoccupazione Dis-coll per attività autonoma con partita Iva

In tal caso, l’importo della Dis-coll viene ridotto dell’80% del reddito previsto, rapportato al periodo intercorrente tra la data di inizio attività e quella in cui finisca il periodo di pagamento dell’indennità di disoccupazione o, se antecedente, dalla data di fine anno. Se l’attività era preesistente alla presentazione della domanda di disoccupazione, il richiedente dovrà comunicare all’Inps, già all’atto della presentazione dell’istanza di Dis-coll, il reddito annuo che presume di produrre dall’attività stessa. 

 

Naspi 2021: cos’è, requisiti, durata, calcolo, quando decade e domanda

La Naspi è una misura di sostegno economico erogata mensilmente dall’INPS ai lavoratori che si trovano in uno stato di disoccupazione, in seguito alla cessazione involontaria del rapporto di lavoro subordinato. Istituita dal DL 4 marzo 2015, n.22, la Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego ha sostituito tutte le precedenti indennità di disoccupazione previste per la perdita involontaria del lavoro subordinato avvenuta fino al 30 aprile 2015.

Tuttavia, la suddetta indennità di disoccupazione non copre tutti i lavoratori subordinati. Infatti, per i lavoratori agricoli è prevista la disoccupazione agricola (salvo che non siano prevalenti i lavori non agricoli, per cui si ha diritto alla Naspi), mentre ai Co.Co.Co l’INPS eroga la DIS-COLL, qui tutte le informazioni relative a questa particolare indennità.

La Naspi non spetta ai dipendenti pubblici con contratto a tempo indeterminato, ai lavoratori extracomunitari con permesso di soggiorno per lavoro stagionale, i lavoratori che hanno raggiunto i requisiti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato, oppure che sono titolari di assegno ordinario di invalidità e non hanno scelto la Naspi.

Con il DL n.104 del 2020, la Naspi è concessa anche nel caso di accordo collettivo nazionale che prevede un incentivo alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. Affinché sia applicabile, sono necessari una delle principali organizzazioni sindacali e l’adesione del lavoratore.

Naspi, requisiti richiesti

Come anticipato poc’anzi, il requisito principale per ottenere la Naspi, è che il lavoratore abbia perduto il lavoro non per sua scelta. Nonostante ciò, l’indennità viene riconosciuta anche per dimissioni date per giusta causa o durante il periodo tutelato di maternità o ancora se la risoluzione del contratto consensuale è avvenuta in casi particolari.

Altro requisito è la contribuzione di almeno tredici settimane nei quattro anni precedenti la cessazione del rapporto di lavoro (inclusi i contribuiti previdenziali e quelli figurativi per maternità obbligatoria e congedo parentale, ma anche per lavori all’Estero in Paesi UE o convenzionati e per astensione dal lavoro per malattia dei figli fino a 8 anni, per massimo 5 giorni lavorativi nell’anno solare).

Inoltre, devono risultare un minimo di trenta giorni di lavoro con relativa contribuzione effettuata nei dodici mesi precedenti la perdita del lavoro. E’ da sottolineare che il Decreto Sostegni ha eliminato quest’ultimo requisito, con riferimento alla Naspi concessa dal 23 marzo al 31 dicembre 2021.

Cosa devono fare i beneficiari per percepire la Naspi

Coloro che sono in possesso di tutti i requisti per rientrare tra gli aventi diritto all’indennità di disoccupazione Naspi, devono dare immediata disponibilità alla frequentazione di eventuali corsi di formazione e alla partecipazione delle iniziative promosse dai Centri per l’Impiego al fine di trovare una nuova occupazione, attraverso una dichiarazione denominata Did. Ciò, deve avvenire entro quindici giorni dalla presentazione della domanda di Naspi.

La durata ed erogazione della Naspi

L’indennità di disoccupazione Naspi viene erogata dall’INPS mensilmente, per un numero di settimane pari alla metà di quelle lavorate nei quattro anni precedenti la cessazione del lavoro. Il pagamento parte dall’ottavo giorno successivo la data del licenziamento, ma solo se la domanda è stata presentata entro otto giorni dal licenziamento. Nel caso la domanda venga presentata successivamente all’ottavo giorno, l’erogazione della Naspi parte dal giorno seguente.

Calcolo Naspi

La Naspi viene erogata nella misura del 75% del reddito medio mensile imponibile ai fini previdenziali che il richiedente ha percepito negli ultimi quattro anni. Tuttavia, esiste un limite massimo per quanto concerne l’importo, pari a 1.227,50 euro per il 2020. Nel caso in cui il reddito medio mensile sia superiore alla soglia massima prevista, si calcola il 75% su di essa, a cui aggiungere il 25% sulla differenza tra l’importo massimo e la retribuzione media mensile conseguita. In ogni caso, l’ammontare della Naspi non potrà superare i 1335,40 euro. A partire dal quarto mese, l’indennità si riduce del 3% progressivo per i restanti mesi.

Naspi, la domanda

Per ottenere la Naspi, l’avente diritto deve presentare la domanda all’INPS, esclusivamente per via telematica. L’accesso al portale dell’ente avviene tramite Pin dispositivo, Spid, CNS, CIE. E’ possibile affidarsi a Professionisti abilitati e Patronati per l’inoltro della richiesta. La domanda deve essere effettuata entro 68 giorni, ma per la perdita del lavoro avvenuta nell’anno 2020, la scadenza è stata fissata a 128 giorni.

Naspi, quando decade

Ci sono alcuni casi in cui la Naspi può decadere. Essa viene sospesa se il beneficiario inizia una nuova occupazione o avvia un’attività autonoma o parasubordinata. Nel caso quest’ultima non supera i sei mesi, va comunicato all’INPS il reddito annuo presunto entro trenta giorni dall’avvio dell’attività. La Naspi decade se il reddito annuo dell’attività lavorativa subordinata supera gli 8.150 euro (ovvero la soglia della tax area).

L’indennità Naspi decade anche nel caso in cui il beneficiario rifiuta di svolgere le attività previste dai Centri per l’Impiego, avendo sottoscritto una Dichiarazione di immediata disponibilità. Infine, si perde il diritto alla Naspi nel caso di rifiuto di un’offerta di lavoro con retribuzione superiore almeno del 20% dell’ammontare lordo dell’indennità.

Anticipo Naspi per chi apre partita Iva: come funziona e inoltro della domanda

I percettori dell’indennità disoccupazione Naspi, possono chiederne l’anticipo una tantum, nel caso abbiano intenzione di avviare un’attività propria e di conseguenza aprire Partita Iva. Ovviamente è necessario rispettare delle precise condizioni per effettuare la richiesta di anticipo Naspi, in modo da ricevere tutto l’importo spettante in un’unica soluzione.

Richiedere all’INPS l’anticipo Naspi comporta una leggera perdita, ricordando che questa indennità di disoccupazione è in ogni caso tassata Irpef. A fruire della Naspi sono gli ex lavoratori dipendenti, che hanno perso il lavoro in modo involontario o che si sono dimessi per riconosciuta giusta causa. La richiesta di un anticipo Naspi in un’unica soluzione è spesso dovuta alla necessità di disporre della liquidità che contribuisce al sostenimento delle spese necessario all’avvio di una nuova attività, quindi al passaggio a lavoratore autonomo. Ma la richiesta può essere effettuata anche da chi ha già aperto una nuova attività.

Da prassi, tale indennità di disoccupazione viene erogata dall’INPS mensilmente, per un periodo pari alla metà delle settimane lavorate e in presenza di determinati requisiti.

Ricordiamo che uno dei requisiti è stato eliminato per le richieste di Naspi effettuate fino al 31 dicembre 2021, grazie a una modifica apportata con il Decreto Sostegni. Esso riguarda l’obbligo di aver svolto 30 giornate lavorative nel corso degli ultimi 12 mesi precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione.

Attenzione, perché chi ha chiesto e ottenuto l’anticipo Naspi, nel caso passi a un lavoro subordinato, dovrà restituire l’importo per la parte non spettante, da individuare a quella successiva la data d’inizio del nuovo lavoro dipendente.

La restituzione della somma percepita con l’anticipo Naspi, non vale per chi stipula un contratto di collaborazione anche continuativa e, anzi, al termine del quale, può richiedere un’altra tipologia di indennità di disoccupazione, la Dis-Coll, per una durata massima di sei mesi, e comunque sempre pari al 50% del periodo in cui si è collaborato, così come per la Naspi.

L’anticipo Naspi può essere richiesto anche da chi è in procinto di sottoscrivere una quota di capitale sociale di una cooperativa di lavoro.

Naspi anticipata: il calcolo

L’importo per l’anticipo L’anticipo Naspi erogato dall’INPS al beneficiario, viene calcolato sull’indennità non ancora pagata, quindi, vengono escluse le mensilità già percepite. Fruire dell’anticipo Naspi, comporta la perdita degli assegni familiari richiesti e ottenuti dall’INPS. Viene persa anche la parte spettante di contribuzione figurativa.

Inoltre, nel caso spetti, il beneficiario della Naspi anticipata perde il diritto al bonus Renzi o al nuovo bonus Irpef. Sebbene, si ricorda che la tassazione Irpef sull’indennità di disoccupazione è dovuta sia in caso di ricevimento del pagamento mensile che con quello anticipato.

La domanda per l’anticipo Naspi

La domanda per ottenere l’anticipo Naspi deve essere presentata entro 30 giorni dall’avvio dell’attività in proprio, dell’impresa individuale o della sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa. In caso di attività iniziata nel periodo in cui si era legati ancora a un contratto di lavoro dipendente, poi cessato e che ha dato diritto alla Naspi, la domanda deve essere inoltrata entro 30 giorni dalla richiesta di indennità.

Nella compilazione del modello di richiesta Naspi, vanno indicati i redditi presunti che si percepiranno nell’anno in corso. Affinché non venga meno la prestazione, il tetto massimo di reddito non può superare i 4.800 euro. Tale soglia, però, riguarda chi percepisce la Naspi mensilmente insieme aggiungendo gli incassi al reddito derivante dalla nuova attività autonoma. Nel caso in cui, il disoccupato chiede l’anticipo prima di aprire la Partita Iva, decade il limite di rispetto da rispettare. In nessun caso esistono limiti per l’anticipo Naspi.

Inoltre, se al beneficiario dell’indennità di disoccupazione, la Naspi viene pagata nella misura dell’80% del reddito presunto proveniente dall’attività autonoma cumulata con l’indennità, la Naspi anticipata verrà erogata senza applicare la riduzione.

La domanda di presentazione può essere inoltrata, esclusivamente per via telematica attraverso i servizi online dell’Inps, a cui si può accedere con Pin dispositivo se ancora attivo, con Spid (Sistema Pubblico di Identità Digitale), Cie (Carta di Identità Elettronica) e Cns. Il possesso delle relative credenziali, permette di fare il tutto anche telefonicamente tramite il Contact Center dell’Inps (803164 telefono fisso, 06164164 da cellulare). In alternativa ci si può rivolgere ai Caf o ai Patronati.

Naspi, il decreto Sostegno rende meno rigidi i requisiti di accesso

Il Decreto Sostegni approvato dal Consiglio dei ministri in data 19 marzo 2021 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 22 marzo, con entrata in vigore oggi, 23 marzo 2021, introduce misure urgenti per sostenere le imprese e agli operatori economici, di salute e servizi territoriali, di lavoro, penalizzate dall’emergenza coronavirus. Tra le novità del Decreto Sostegni figura anche la Naspi (indennità di disoccupazione), per cui sono stati resi meno rigidi i requisiti d’accesso.

Decreto Sostegni, Naspi: requisiti meno stringenti

La modifica dei requisti necessari per ottenere la Naspi, contemplata dal Decreto Sostegni, è valida fino al 31 dicembre 2021. Si tratta di un intervento teso a facilitare l’accesso all’indennità di disoccupazione. In realtà, causa i problemi e i disagi per i lavoratori provocati dall’emergenza Covid, solo un requisito viene meno, quello che prevede l’effettuazione di almeno trenta giornate lavorative svolte nel 2020.

L’obiettivo del Decreto Sostegni è di ampliare la platea dei lavoratori che possono accedere alla Naspi. In virtù della modifica o meglio eliminazione di uno dei requisiti (solo fino al 31 dicembre 2021), ecco quelli che restano validi e che consentono al richiedente di poter accedere all’indennità di disoccupazione Naspi.

Decreto Sostegni, Naspi: restano validi gli altri requisiti

I lavoratori che vogliono ottenere la Naspi, devono trovarsi in stato di disoccupazione involontaria o per avvenuto licenziamento o per dimissioni presentate per giusta causa. Inoltre, i quattro anni che hanno preceduto il periodo di disoccupazione, devono comprendere almeno 13 settimane di contributi versati. E’ necessario presentare al centro per l’impiego, la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro. Dare l’adesione ai programmi di ricerca attiva per un nuovo lavoro o iscriversi a dei corsi di formazione o specializzazione.

Eliminando il requisito delle 30 giornate di lavoro effettuate negli ultimi dodici mesi precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione, molti più lavoratori potranno ottenere la Naspi.

L’ammontare del pagamento della Naspi avviene in correlazione alle settimane effettivamente lavorate, quindi, nessuna novità in merito al calcolo. Nel dettaglio, per un numero di settimane equivalente al 50% delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni. L’importo corrisponde al 75% della retribuzione media mensile del richiedente. Si ricorda che, a partire dal quarto mese, la rata mensile della Naspi erogata dall’INPS al lavoratore, si riduce del 3% e così per ogni mese successivo. Il tetto massimo mensile è fissato a 1.335,40 € lordi.

Proroga Naspi e Dis-Coll 2021: come funziona e nuovi requisiti Decreto Sostegni

L’attesa è finita, la bozza del Decreto Sostegni è stata approvata dal Consiglio dei Ministri, venerdì 19 marzo 2021. Adesso, si attende solo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Tra le tante misure previste, il prolungamento dell’indennità di disoccupazione, che riguarda sia la Naspi che la Dis-Coll. La proroga per entrambe le indennità di disoccupazione, verrà sostituita da tre rate mensili del reddito di emergenza.

La proroga Naspi 2021 riguarda chi ha terminato l’indennità di disoccupazione tra il 1° luglio 2020 e il 28 febbraio 2021 e che non siano titolari di:

  • Un contratto di lavoro subordinato, fatta eccezione per il contratto intermittente senza diritto di indennità di disponibilità;
  • Un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa;
  • pensione diretta o indiretta.

Il REM ottenuto in sostituzione della Naspi scaduta, non è compatibile con le altre indennità previste dal Decreto Sostegni, è invece, compatibile con l’assegno ordinario di invalidità e altre prestazioni della stessa natura giuridica. A differenza del reddito di emergenza classico, quello che prende il posto della proroga Naspi, non è soggetto ai requisiti di patrimonio e di reddito.

Naspi 2021: nuovi requisiti

Cambiano i requisiti per accedere alla Naspi e relativi all’indennità di disoccupazione concessa tra la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Sostegni e il 31 dicembre 2021. Infatti, non sarà necessario aver svolto almeno 30 giornate di lavoro negli ultimi 12 mesi precedenti al periodo di disoccupazione.

La Naspi è una misura di sostegno al reddito per lavoratori dipendenti che hanno perso il lavoro involontariamente o che si sono dimessi per giusta causa, comprese le seguente categorie:

  • Apprendisti;
  • Soci lavoratori di cooperative con rapporto di lavoro subordinato con le cooperative stesse;
  • personale artistico con rapporto di lavoro subordinato;
  • dipendenti delle pubbliche amministrazioni a tempo determinato.

Sono escluse dalla Naspi le seguenti categorie di lavoratori:

  • Dipendenti delle pubbliche amministrazioni a tempo indeterminato;
  • Operai agricoli, sia a tempo indeterminato che determinato;
  • Lavoratori extracomunitari in possesso del permesso di soggiorno per lavoro stagionale;
  • Lavoratori in possesso dei requisiti necessari per accedere al pensionamento di vecchiaia o anticipato;
  • Lavoratori titolari di assegno ordinario di invalidità, nel caso non optino per la Naspi.

NASpI: parte la procedura sperimentale, molto snella e veloce

Il percorso per richiedere la NASpI è diventato più semplice: il lavoratore che rimane senza lavoro riceverà direttamente nella propria area del sito INPS il link a cui accedere per compilare la relativa richiesta.

INPS individua automaticamente i lavoratori che perdono involontariamente il lavoro, che quindi diventano fruitori di NASpI in automatico, ovviamente previa compilazione e richiesta.

Questa procedura, molto più immediata e snella, è partita online dal 23 febbraio ed è in via sperimentale. Tra i vantaggi ci sono anche i tempi, molto più veloci rispetto ai classici adempimenti burocratici, poiché la domanda deve essere presentata entro 68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Anche se la procedura è partita da pochi giorni, sicuramente comporterà un più rapido svolgimento dell’intera operazione, e ovviamente avrà una conseguenza positiva sull’erogazione del trattamento, la cui decorrenza cambia a seconda del momento in cui viene presentata la domanda: se la richiesta viene presentata all’INPS entro l’ottavo giorno dal termine della prestazione lavorativa, la NASpI parte dall’ottavo giorno, dal giorno successivo alla presentazione della domanda negli altri casi.

Se il licenziamento è per giusta causa, il trattamento parte dal 38esimo giorno successivo se la domanda è presentata entro questo termine oppure il giorno la presentazione.

Vera MORETTI