Naspi 2022: revoca e soldi indietro all’INPS, ecco i casi in cui è possibile

Perdere il lavoro per cause differenti dalla volontà del lavoratore è un evento tutelato dalla legge. Infatti chi involontariamente perde l’occupazione può, a determinate condizioni prendere la Naspi. Nuova assicurazione sociale per l’impiego, questo il significato di Naspi, unica prestazione generica per disoccupati che l’Inps eroga (le altre sono specifiche per collaboratori e agricoli, rispettivamente Dis.Coll e disoccupazione agricola).

Non sono rari i casi in cui la Naspi viene prima erogata e poi revocata ad un lavoratore. E non sono rari nemmeno i casi in cui l’Inps, dopo aver erogato la Naspi ad un lavoratore, arriva a chiedere i soldi indietro.

Il sistema di calcolo e di assegnazione della Naspi è particolare e come tale espone a controlli successivi alla sua erogazione.

Naspi, la misura in pillole

La Naspi viene erogata ai lavoratori dipendenti che perdono il lavoro per licenziamento, dimissioni per giusta causa, procedure di licenziamento collettivo o scadenza del contratto. Si può affermare con certezza che le dimissioni volontarie sono praticamente l’unico caso in cui la Naspi non viene erogata a chi resta senza lavoro.

La Naspi spetta, in misura pari al 75% del proprio stipendio lordo (grosso modo) e medio degli ultimi 4 anni di lavoro. E la durata del beneficio è pari alla metà delle settimane lavorate sempre negli ultimi 4 anni.

Naspi, le cause che la fanno cessare anticipatamente

La Naspi si percepisce fino a quando il disoccupato non trova un altro lavoro stabile o ben remunerato. Oppure si interrompe decorsi 24 mesi da quello in cui è iniziata la fruizione.

Ma ci sono casi diversi che possono portare all’interruzione del sussidio per disoccupati, prima della scadenza e senza nuovi posti di lavoro trovati. La revoca del sussidio per disoccupati come dicevamo in premessa, non è un caso del tutto raro. Revoca significa perdere il sussidio. E può capitare, se l’assegno per disoccupati è stato preso indebitamente, di dover restituire quanto percepito.

La digitalizzazione in aiuto delle procedure

In passato, quando non esistevano le banche dati, quando non si era ancora nella digitalizzazione degli adempimenti con le Pubbliche Amministrazioni, casi di restituzione delle somme indebitamente percepite erano frequenti.

Era il caso del lavoratore che tardava a comunicare all’Inps una nuova assunzione continuando a percepire quel sussidio che evidentemente non era più spettante. Ma si era ancora nell’epoca della disoccupazione ordinaria o di Aspi e Mini Aspi. Adesso con gli obblighi di comunicazione all’Inps da parte dei datori di lavoro che assumono, il pericolo di percepire una disoccupazione mentre si lavora, è stato praticamente azzerato.

Quando la Naspi può essere revocata

La revoca della Naspi riguarda sostanzialmente quelli che la percepiscono, come prassi, mese per mese (e sono la maggior parte dei disoccupati). Incassare la Naspi tutta in anticipo però è una facoltà offerta dalla normativa vigente a chi decide di mettersi in proprio, ovvero di lasciare il mondo della inoccupazione trovando una nuova attività da lavoratore autonomo o simili.

La Naspi anticipata può essere concessa al disoccupato che decide per  l’avvio di un’attività autonoma o d’impresa individuale, oppure che entra a far parte come socio lavoratore e sottoscrivendo una  quota di capitale sociale,  di una cooperativa. La revoca della Naspi non può essere adottata per chi la prende in anticipo, ma la restituzione dei soldi può avvenire in alcuni casi.

Naspi anticipata? ecco quando restituire i soldi

Per esempio, se chi ha ricevuto la Naspi tutta insieme e poi trova lavoro da dipendente prima che siano scaduti i termini di durata della Naspi (se non l’avesse presa tutta insieme), deve restituire l’anticipazione ottenuta e per intero, cioè a prescindere dai mesi che effettivamente era disoccupato.

In linea di massima si parla di revoca della Naspi, o da punto di vista del disoccupato, di decadenza del beneficio, quando viene meno lo status di disoccupato. Uno stato che si perde non solo se si trova lavoro, ma anche se si arriva all’età utile per la pensione di vecchiaia o alla soglia di età anagrafica utile per le pensioni anticipate.

Occhio alle convocazioni dei Centri per l’Impiego

Ma la revoca può sopraggiungere anche se il disoccupato non si comporta bene, nel senso che non segue le regole che fanno da corollario alla concessione della Naspi.

Saltare gli appuntamenti presso i centri per l’Impiego potrebbe essere una delle cause di revoca del sussidio per disoccupati da parte dell’Inps. Infatti con la Naspi tra gli adempimenti a cui i beneficiari devono sottostare, c’è anche il seguire i percorsi di ricollocazione lavorativa che i Centri per l’Impiego possono prevedere.

Lo prevede il patto di servizio, o meglio, la Dichiarazione di Immediata Disponibilità al lavoro.  Si tratta della dichiarazione  che il disoccupato reca all’Inps insieme alla domanda di disoccupazione Naspi. Si rammenda che la presentazione della domanda ormai equivale alla sottoscrizione della DID. Revoca anche in caso di mancata partecipazione a corsi di formazione sempre indicati dagli Uffici di Collocamento. E anche nel caso di rifiuto delle offerte di lavoro.

I limiti di reddito per continuare a percepire la Naspi mentre si lavora

Il lavoratore che trova nuova occupazione è tenuto ad avvertire l’Inps. La comunicazione serve affinché l’Inps possa rimodulare la Naspi proprio alla luce del nuovo lavoro. Va ricordato che il trovare nuova occupazione non significa automaticamente venire escluso dalla Naspi. Tanto è vero che anche con un nuovo lavoro trovato, l’interessato continua a mantenere il suo status di disoccupato se il nuovo lavoro è:

  • Con contatto di lavoro subordinato o di collaborazione, con durata in entrambi i casi, superiore ai 6 mesi, e con un reddito imponibile ai fini dell’Irpef non superiore a 8.145 euro all’anno;
  • In forma di lavoro autonomo, dal quale deriva un reddito imponibile fiscalmente non superiore a 4.800 euro all’anno.

Se si rimane nelle soglie prima citate, non si decade dal beneficio della Naspi, ma si subisce la decurtazione dell’assegno in misura pari all’80% del reddito prodotto.

La Naspi può anche essere solo sospesa. Ma questo si verifica solo se la nuova occupazione trovata è di durata pari o inferiore a 6 mesi. In questi casi l’indennità non viene revocata e nemmeno decurtata a prescindere dal reddito che viene fuori dal nuovo lavoro. Dopo la fine del nuovo lavoro, la Naspi riprende da dove era stata lasciata.

Leggi anche:Naspi: entro 31 gennaio comunicazione reddito presunto, per chi?

Da gennaio 2022 riparte di decalage sull’assegno NASpI

La NASpI è la Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego e hanno diritto a percepirla coloro che perdono il lavoro. Dal primo gennaio 2022 c’è però una novità infatti torna in vigore il decalage sull’assegno NASpI.

Decalage sull’assegno NASpI: cos’è

La NASpI entra nel nostro ordinamento con l’articolo 1, decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22 ed è rivolta a coloro che hanno perso involontariamente l’occupazione, compresi apprendisti, soci lavoratori di cooperative, dipendenti a tempo determinato delle pubbliche amministrazioni, lavoratori dello spettacolo con contratto a tempo determinato. Sono invece esclusi i dipendenti delle pubbliche amministrazioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato, gli operai agricoli con contratto a tempo determinato, coloro che hanno maturato i requisiti pensionistici (pensione di vecchiaia o anticipata), i lavoratori titolari di assegno di invalidità che non optino per la NASpI.

L’INPS eroga questo assegno mensilmente per un numero di settimane corrispondenti alla metà delle settimane contributive maturate negli ultimi 4 anni. L’importo spettante è pari al 75% della media delle retribuzioni maturate negli ultimi 4 anni. La disciplina però prevede anche che, dal primo giorno del quarto mese (articolo 4 comma 3 del decreto legislativo 22 del 2015) inizia ad applicarsi un decalage del 3% mensile. Se il beneficiario ha compiuto 55 anni di età, il decalage inizia ad essere applicato dall’ottavo mese.

Effetti del decreto Sostegni bis sul decalage NASpI

Con il decreto Sostegni Bis, decreto legge 73 del 2021, è stata però disposta la sospensione del decalage fino al 31 dicembre 2021. L’obiettivo era aiutare le persone che avevano perso il lavoro ad affrontare l’emergenza Covid senza particolari disagi, infatti il periodo emergenziale ha visto un aumento della perdita di posti di lavoro e quindi di disoccupazione e una maggiore difficoltà per chi già lo aveva perso a ricollocarsi.

Questo implica che dal 1° gennaio 2022 ricomincia ad essere applicato il decalage sull’assegno NASpI e a dare conferma di ciò c’è il messaggio 2309 del 16 giugno 2021. Il messaggio precisa che dal primo gennaio 2022 per le indennità NASpI ancora in essere “l’importo sarà calcolato applicando le riduzioni corrispondenti ai mesi di sospensione trascorsi”, si deduce che saranno comunque recuperate le percentuali di decalage non applicate in precedenza. Questo vuol dire che non si comincerà di nuovo il decalage al 3%, ma molto superiore.

Questo vuol dire che il calcolo prevede una riduzione del 3% per il mese di giugno, a questa riduzione si applica un’ulteriore riduzione che avrebbe dovuto essere applicata a luglio e via così fino ad arrivare a dicembre 2021. L’importo che i percettori avranno a metà gennaio 2022 subirà un taglio deciso. Dai calcoli eseguiti emerge che coloro che al primo giugno percepiva 1000 euro, in virtù dei vari tagli percepirà a gennaio circa 750 euro.

Agricoltura: novità per i percettori di Naspi e Dis-Coll

L’INPS con il messaggio 4079 del 23 novembre 2021 ha precisato i limiti entro i quali i percettori di Naspi e Dis-Coll possono lavorare in agricoltura senza perdere il diritto alla percezione della disoccupazione.

Cosa sono NASpI e Dis- Coll

La NASpI è la Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego e spetta a coloro che perdono il lavoro. La normativa prevede che non possano accedere a questo contributo alcune categorie di lavoratori e tra queste vi sono gli operai agricoli a tempo determinato e indeterminato. L’INPS eroga tale sussidio mensilmente per un numero di settimane pari alla metà di quelle effettivamente lavorate negli ultimi 4 anni, rispetto al momento in cui si perde il lavoro .

La Dis- Coll invece è una prestazione sociale a favore di lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, contratti a progetto, titolari di assegni di ricerca, dottorato di ricerca con borsa di studio iscritti in via esclusiva alla Gestione Separata INPS. L’indennità viene corrisposta per un numero di mesi pari alla metà dei mesi di contribuzione maturati tra il 1° gennaio dell’anno civile precedente rispetto alla cessazione del rapporto di lavoro e la cessazione stessa.

Percettori di NASpI e Dis-Coll possono lavorare in agricoltura senza perdere le prestazioni sociali

Naturalmente il diritto a percepire tali sussidi viene meno quando si trova una nuova collocazione nel mondo del lavoro, ma a causa del Covid e delle difficoltà di trovare manodopera in agricoltura derivata dalla pandemia, il legislatore ha previsto delle deroghe. Il Decreto Rilancio 34 del 2020 nell’articolo 94 ha previsto la possibilità di derogare al regime generale. Di conseguenza ha previsto la possibilità per coloro che percepiscono la NASpI o la Dis- Coll di essere impiegati per brevi periodi in agricoltura senza perdere questi importanti sostegni. Il Decreto Sostegni BIS ha ulteriormente prorogato la disciplina. Il messaggio 4079 dell’ INPS ha provveduto quindi a riepilogare la disciplina e di conseguenza a stabilire anche i limiti entro i quali è possibile usufruirne.

I percettori di NASpI e Dis-Coll possono entro il 31 gennaio 2021 maturare 30 giornate di lavoro in agricoltura. Tale periodo di 30 giorni può essere ulteriormente prorogato per altri 30 giorni, ma nel complesso non deve essere superato il limite di reddito percepito da tali attività di 2.000 euro nell’arco di un anno. Deve essere sottolineato che non deve essere complessivamente considerato il periodo di lavoro, ma le effettive giornate di lavoro prestate.

Colui che essendo percettore degli assegni NASpI e Dis-Coll che dovesse stipulare un contratto di lavoro nel settore dell’agricoltura, deve comunicare all’INPS utilizzando il modello modello Naspi-Com le effettive giornate di lavoro in agricoltura prestate.

Infine, l’INPS nel Messaggio sottolinea che le giornate di lavoro effettivamente prestare in agricoltura saranno considerate ai fini della maturazione di eventuali prestazioni di disoccupazione.

Per saperne di più sulla disoccupazione in agricoltura, ti propongo l’articolo: Disoccupazione agricola: cos’è, chi può percepirla e a quanto ammonta

 

Decadenza Naspi, quando si verifica?

Oggi andremo a scandagliare il mondo del lavoro e della disoccupazione, con il decorso della Naspi, scoprendo come si verifica, a cosa serve ottenerla e altre curiosità. Scopriamolo assieme, nella guida di seguito.

Naspi, cosa è e a cosa serve

Innanzitutto, prima di andare a scoprire come avviene la decadenza Naspi, partiamo col dire di cosa si tratta, quando si parla di Naspi, appunto.

Dunque, la Naspi non è altro che un’indennità mensile per la disoccupazione. Un’ indennità istituita dall’articolo 1, decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22, che sostituisce le precedenti prestazioni di disoccupazione ASpI e MiniASpI, in relazione agli eventi di disoccupazione involontaria.

Quindi, possiamo ben dire che la Naspi spetta ai lavoratori titolari di rapporto di lavoro subordinato che hanno perso il lavoro involontariamente.

Quando si verifica la decadenza Naspi?

Veniamo, dunque, al nocciolo della questione, il fulcro della nostra breve guida: quando avviene la decadenza della Naspi.

Partiamo subito con la risposta più immediata e sostanziale. evidenziando che in caso di rioccupazione con contratto di lavoro subordinato di durata superiore a sei mesi e/o con un reddito annuo presunto superiore a 8.145 euro, la prestazione decade.

Possiamo, dunque dire che per chi con un nuovo lavoro non guadagna più di 8145 euro l’anno a patto che il contratto a tempo determinato sia di durata pari o inferiore a 6 mesi, non vi è rischio di perdere la Naspi a patto che venga comunicato all’INPS l’inizio della nuova attività ed il reddito previsto.

Naspi in misura ridotta, come avviene

Quando, invece è possibile ottenere una Naspi in misura ridotta?

Dunque, qualora, il reddito del nuovo lavoro fosse inferiore al limite della no tax area, cioè che sia inferiore a 8.145 euro, la Naspi non viene sospesa, ma il suo importo viene ridotto.
La riduzione opera però solo a determinate condizioni, ovvero le seguenti:

  • Indicazione, entro 30 giorni dalla data di nuova occupazione, da parte del lavoratore all’Inps, del reddito annuo presunto;
  • La nuova occupazione deve avvenire presso un datore di lavoro differente da quello che ha precedentemente dato luogo alla Naspi.

Qualora, invece, la nuova occupazione sia in proprio, ovvero che il disoccupato decide di diventare lavoratore autonomo, la Naspi viene ridotta. Ma la riduzione avviene a condizione che l’interessato dichiari un reddito presunto dalla nuova attività, inferiore a 4.800 euro.

Come richiedere la Naspi

In ultimo, ma non ultimo, andiamo a vedere come avviene la richiesta della Naspi, una volta ritrovatisi disoccupati.

Partiamo col dire che per poter inviare telematicamente la domanda di disoccupazione Naspi 2021, bisogna accedere al sito dell’Inps.

Una volta fatto ciò, per inoltrare la domanda sarà necessario il PIN e il servizio online è lo si trova disponibile al seguente percorso: Home > Servizi Online > Elenco di tutti i Servizi > Servizi per il cittadino> Invio domande prestazioni a sostegno del reddito (Sportello virtuale per i servizi di informazione e richiesta di prestazione) > Naspi.

Quali documenti occorrono per la Naspi

In ultimo, ma non ultimo vediamo quali documenti sono necessari per completare correttamente la richiesta:

  • Copia carta d’identità e codice fiscale del richiedente
  • Ultima busta paga
  • Lettera di licenziamento o UNILAV*
  • Contratto di lavoro (se la richiesta di NASpI avviene a scadenza contratto tempo determinato)
  • Modulo mandato di assistenza e rappresentanza (disponibile dopo l’acquisto da compilare e allegare alla richiesta);
  • Modello SR163 da compilare e allegare alla richiesta (disponibile dopo l’acquisto da compilare e allegare alla richiesta);
  • Modello SR156 (disponibile dopo l’acquisto da compilare e allegare alla richiesta)

Dunque, questo è quanto vi fosse di più necessario ed utile da sapere in merito alla questione Naspi, riguardo alla sua decadenza, ma anche alla modalità di riduzione e come farne richiesta.

Naspi-Dis coll, le novità in arrivo per la disoccupazione nel 2022

Sono in dirittura d’arrivo alcune novità contenute nella legge di Bilancio 2022 per gli assegni di disoccupazioni Naspi e Dis call. Per la Naspi, in particolare, verrà superato il requisito di dover dimostrare le 30 giornate effettive di lavoro. Tra le altre novità, si menziona anche l’estensione di applicazione dell’indennità di disoccupazione ad alcuni settori dell’agricoltura.

Disoccupazione Naspi 2022, cambia il meccanismo di decurtazione del 3%

Inoltre, l’altra novità della Naspi in arrivo nel 2022 con la legge di Bilancio è quella relativa al cambio di meccanismo di decurtazione dell’indennità stessa. Ild 3% verrà applicato al sesto mese e non più al quarto; per chi ha almeno 55 anni, la decurtazione scatterà all’ottavo mese.

Requisiti Naspi 2022: quali sono?

Pertanto, la legge di Bilancio 2022 delinea dei requisiti più facili da raggiungere per ottenere l’indennità di disoccupazione Naspi. Infatti, l’assegno verrà riconosciuto ai lavoratori che abbiano perso in maniera non volontaria la propria occupazione. Inoltre, i lavoratori dovranno presentare congiuntamente altri requisiti:

  • essere in stato di disoccupazione;
  • poter far valere, nei 4 anni precedenti il cominciare della disoccupazione, non meno di 13 settimane di contributi;
  • far valere almeno 30 giornate di lavoro effettivo nei dodici mesi che precedono l’inizio della disoccupazione.

Il disegno di legge di Bilancio 2022 elimina definitivamente il requisito richiesto delle 30 giornate di lavoro effettive applicato alle disoccupazioni che si verifichino a partire dal 1° gennaio prossimo.

Novità Naspi in agricoltura del 1° gennaio 2022

Altre novità dell’applicazione dell’indennità di disoccupazione Naspi sono attese per il settore dell’agricoltura. Il disegno di legge di Bilancio 2022 stabilisce infatti che saranno destinatari della Naspi nel nuovo anno anche gli operai agricoli che sono stati assunti a tempo indeterminato dai consorzi e dalle cooperative. Gli operai devono essere impiegati nella trasformazione, nella manipolazione e nella commercializzazione di prodotti agricoli e zootecnici.

Naspi, per le imprese agricole pagamento della quota contributiva dal 2022

Peraltro, proprio la legge di Bilancio 2022 istituisce l’obbligo, dal nuovo anno, per le imprese agricole di pagamento della relativa contribuzione dell’indennità di disoccupazione. Infatti le cooperative e i consorzi sono obbligati a pagare le contribuzioni per il finanziamento della Naspi con il contributo dell’1,4%. L’aliquota è applicata sui lavoratori assunti non a tempo indeterminato. La percentuale sale di uno 0,5% per ogni rinnovo dei contratti a termini dei lavoratori. Lo stesso meccanismo è previsto per i somministrati.

Disoccupazioni, le novità in arrivo per la Dis coll

Per quanto attiene alla disoccupazione Dis coll, l’indennità riconosciuta ai lavoratori parasubordinati che siano iscritti alla Gestione separata dell’Inps, cambia la riduzione dell’assegno. Ad oggi, infatti, è previsto che la riduzione del 3% scatti a partire dal quarto mese di pagamento dell’indennità. Con la legge di Bilancio 2022 la riduzione sarà posticipata al sesto mese di fruizione. La novità decorre per le disoccupazioni degli aventi diritto a partire dal 1° gennaio prossimo.

Dis coll, per quanti mesi la fruizione dell’assegno di disoccupazione?

Lo stesso disegno di legge di Bilancio 2022 introduce novità anche sulla durata della Dis coll. Infatti, stabilisce che l’indennità debba essere corrisposta ogni mese per un numero di mesi pari ai contributi accreditati nel periodo che va dal 1° gennaio dell’anno in cui sia cessato il lavoro e fino alla cessazione stessa. Non si considerano eventuali periodi contributivi nei quali il soggetto abbia beneficiato in precedenza della prestazione. La durata massima è fissata, in ogni modo, in 12 mesi.

Naspi: spetta se non accetto rinnovo contratto a termine?

Se un lavoratore titolare di un contratto a tempo determinato rifiuta di prorogarlo, gli spetta l’indennità di disoccupazione Naspi?

Dell’indennità di disoccupazione, che si tratta di Naspi o Dis-Coll, possono beneficiarne tutti i lavoratori dipendenti (la Dis-Coll è per i co.co.co.) che cessano la propria attività lavorativa, non per propria volontà. Ciò significa che il licenziamento da parte di un datore di lavoro dà diritto alla Naspi nel caso di un contratto a tempo indeterminato o se il dipendente si dimette per giusta causa. Accade lo stesso per il mancato rinnovo a un contratto a termine?

Spetta la Naspi per rifiuto di proroga contrattuale?

Quando scade un contratto a termine può capitare che non venga prorogato o che venga trasformato in un contratto a tempo indeterminato. Se, il lavoratore dipendente si rifiuta di rinnovare un contratto a tempo determinato in scadenza che prevede il rinnovo automatico perde automaticamente il diritto alla Naspi.

Seguendo la logica e quanto sopra indicato, chiunque non venga licenziato o porga le due dimissioni in assenza di giusta causa, non ha diritto ad alcuna indennità di disoccupazione, in quanto si tratta di una cessazione dell’attività lavorativa volontaria.

Tuttavia, la procedura non scatta automaticamente. Infatti, il datore di lavoro dovrà dimostrare in modo documentato il rifiuto del lavoratore al rinnovo del contratto a termine. Nel caso il rifiuto di prorogare sia espresso in modo verbale, il dipendente può fare richiesta di Naspi e ottenerla, in quanto il suo rifiuto a rinnovare non risulta scritto da alcuna parte. Motivo per cui, il datore di lavoro dovrà recarsi al Centro per l’Impiego con tutta la documentazione necessaria che attesti il mancato rinnovo in forma scritta, impedendo di beneficiare dell’indennità di disoccupazione al dipendente o di presentare la trasformazione scritta da contratto di lavoro a termine a contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Ma poniamo il caso di un contratto a termine che viene interrotto prima della scadenza, scatta la Naspi per il dipendente?

A rigor di logica, non ci dovrebbero essere dubbi: nessun diritto alla Naspi per dimissioni volontarie. Ma, ci sono alcuni casi in cui l’indennità di disoccupazione spetta al lavoratore. Ad esempio, in caso di dimissioni per giusta causa, ossia, quando le condizioni di lavoro sono diventati tali da non poter consentire la prosecuzione del lavoro da parte del dipendente. Solitamente, questo scenario si apre nei casi di mobbing, pagamento ritardato degli stipendi, molestie subite dal datore di lavoro e similari.

Oppure, nel caso della lavoratrice madre che presenta le dimissioni nel periodo di tutela del licenziamento, in pratica, durante il primo anno di vita del figlio. Va da sè, che questi stessi casi sono validi anche nel caso di un contratto a termine giunto a scadenza e non rinnovato, per cui, il dipendente ha diritto a percepire la Naspi.

 

Naspi: si perde il diritto per nuovo lavoro nel periodo di carenza

Quando si percepisce un’indennità di disoccupazione bisogna sempre fare molta attenzione. In quanto ci sono degli adempimenti da assolvere rispettando in maniera perentoria pure le scadenze previste. Così come chi prende i sussidi disoccupazione, e vuole cogliere nuove opportunità di lavoro, deve fare attenzione al tipo di contratto e soprattutto alla sua durata.

Altrimenti spesso, senza saperlo perché magari non si conosce bene la normativa, l’indennità non sarà più erogata. Da questo punto di vista non fa eccezione la NASpI, ovverosia la Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego. Al riguardo, e nello specifico, vediamo di capire prima di tutto cos’è per la NASpI il periodo di carenza. E perché e quando si perde il diritto alla NASpI per un nuovo lavoro proprio nel periodo di carenza.

Quando si perde il diritto alla NASpI per nuovo lavoro nel periodo di carenza

Nel dettaglio, per quel che riguarda la NASpI, il periodo di carenza corrisponde ai primi otto giorni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Con il periodo di carenza che è anche quello in corrispondenza del quale l’indennità di disoccupazione non è riconosciuta.

Ai sensi di legge, infatti, l’indennità NASpI spetta proprio a partire dall’ottavo giorno successivo alla data di cessazione del rapporto di lavoro, Se invece l’istanza si presenta dopo il periodo di carenza, allora la data di decorrenza della NASpI sarà quella di invio della domanda.

Allora, quando si perde il diritto alla NASpI per nuovo lavoro nel periodo di carenza? La risposta è semplice in quanto non bisogna commettere l’errore, negli 8 giorni sopra indicati che corrispondono al periodo di carenza, della rioccupazione o dell’apertura di una partita Iva. Altrimenti non si avrà diritto all’indennità di disoccupazione.

Come richiedere, sospendere e riattivare la NASpI con un nuovo lavoro

Spiegato perché si perde il diritto alla NASpI per nuovo lavoro nel periodo di carenza, spieghiamo ora come la Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego si può attivare, sospendere e riattivare in automatico in caso di nuovo lavoro.

Supponiamo che, seguendo l’iter corretto, il richiedente ottiene dall’INPS la NASpI per 12 mesi dopo la cessazione di un rapporto di lavoro. Supponiamo anche che dopo 4 mesi il lavoratore accetta un nuovo lavoro della durata di 4 mesi. In tal caso bisogna dare comunicazione all’INPS riguardo proprio alla data di inizio e di fine del contratto.

Durante i 4 mesi di lavoro la NASpI sarà solo sospesa, proprio attraverso la comunicazione tramite il servizio online Naspi-com, e quindi non ci sarà la decadenza. A conclusione del contratto, ovverosia dopo i 4 mesi, l’INPS ripristinerà l’erogazione della disoccupazione in automatico. Senza alcun bisogno di presentare una nuova domanda per la NASpI. Anzi, nella fattispecie, la presentazione di una nuova istanza sarebbe un grosso errore.

Ricordiamo infine che la NASpI può essere riconosciuta anche se si percepiscono altre prestazioni previdenziali o di aiuto a livello economico. Nello specifico, la NASpI è compatibile con la pensione di invalidità, con la pensione ai superstiti, con il Reddito di Cittadinanza e pure con le indennità Covid-19 eccetto quelle che sono riconosciute ai lavoratori stagionali e somministrati del settore del turismo.

Risoluzione consensuale del contratto di lavoro: cosa comporta per dipendente e azienda?

La risoluzione consensuale di un contratto inerente un rapporto di lavoro si concretizza nel caso in cui entrambe le parti concordano all’interruzione del rapporto di lavoro.

Diversamente, si parla di dimissioni quando è il dipendente a voler interrompere il rapporto di lavoro: di licenziamento quando a recedere unilateralmente dal contratto è l’azienda.

Risoluzione consensuale del contratto di lavoro: conseguenze per il dipendente

Partiamo dall’accesso alla Naspi che non può evitare di rappresentare un vantaggio per il dipendente. Tra l’altro, il Decreto Sostegni bis ha sospeso la sua riduzione mensile (pari al 3%) prevista solitamente dal quarto mese successivo all’inizio della sua fruizione, fino alla fine dell’anno 2021. Al momento, la regola originaria sarà ripristinata dal 1° gennaio 2022.

Contestualmente, la risoluzione consensuale può consentire al dipendente di trovare uno o più accordi favorevoli con il datore di lavoro, ad esempio: per una riduzione del giorno effettivo di licenziamento o per concordare una maggiore liquidazione.

La risoluzione consensuale del contratto di lavoro può rappresentare la possibilità per il lavoratore di porre fine a un contratto di lavoro a tempo determinato, anticipatamente rispetto alla scadenza prestabilita, qualora sia stressato o non riesca a trovare più un punto d’incontro con l’azienda, senza perdere il diritto all’indennità di disoccupazione dovuta, cosa che avrebbe avuto luogo nel caso di dimissioni volontarie.

Saltano gli obblighi di preavviso e recesso che avrebbero potuto costituire un intoppo anche per il dipendente. È utile sottolineare che in sede di risoluzione consensuale, il dipendente ha il diritto al TFR, allo stipendio relativo al mese in cui il rapporto si è concluso; il ricevimento alle indennità per ferie e/o permessi maturati e non goduti; pagamento eventuali tredicesima e/o quattordicesima.

La Naspi è dovuta anche nel caso di rifiuto del dipendente di essere trasferito ad una sede di lavoro che dista più di cinquanta chilometri dalla propria residenza e/o raggiungibile con i mezzi di trasporto pubblici in più di 80 minuti.

E ancora, risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta innanzi all’Ispettorato territoriale del lavoro nell’ambito della procedura di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Risoluzione consensuale del contratto di lavoro: conseguenze per il datore di lavoro

Nessun preavviso è previsto per la risoluzione del rapporto di lavoro da parte dell’azienda. Il datore di lavoro (così come il dipendente) può decidere di chiudere il contratto con effetto non immediato, bensì differito, attraverso un accordo di cessazione del lavoro che preveda una data futura e definitiva del contratto.

Abbiamo già parlato dell’obbligo del datore di lavoro delle erogazioni che dovrà versare al dipendente (la retribuzione relativa al mese in cui il rapporto si è concluso per mutuo consenso;
l’indennità per ferie e/o permessi maturati e non goduti; eventuali tredicesima e/o quattordicesima; il trattamento di fine rapporto.

Inoltre, il datore di lavoro è tenuto a comunicare la cessazione del rapporto di lavoro agli enti competenti entro cinque giorni dalla data di efficacia della risoluzione del rapporto.

In alcuni casi, l’indennità di disoccupazione Naspi è dovuta al dipendente e, in tal caso, l’azienda dovrà versare all’INPS il ticket Naspi all’atto della cessazione del rapporto per risoluzione consensuale. Anche dei casi suddetti, abbiamo già parlato (risoluzione consensuale del rapporto di lavoro determinata dal rifiuto del dipendente ad essere trasferito ad una sede di lavoro che dista più di 50 km dalla propria residenza e/o mediamente raggiungibile con i mezzi pubblici in più di 8o minuti; risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta innanzi all’Ispettorato territoriale del lavoro nell’ambito della procedura di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

La forma della risoluzione consensuale del contratto di lavoro

Dal 2016 non è più sufficiente stipulare la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro con un documento scritto ma è necessario seguire un’apposita procedura telematica che è stata introdotta per verificare l’effettivo consenso del dipendente circa la conclusione del rapporto di lavoro, tramite il sito web www.cliclavoro.gov.it.

A tutti coloro che sono interessati a saperne di più sull’argomento “cessazione del rapporto di lavoro”, possiamo consigliare la lettura di alcuni nostri articoli che entrano nello specifico, ecco quali sono:

 

Prestazioni assistenziali e a sostegno del reddito: cosa sono e in quali occasioni sono erogate

Non solo pensioni e previdenza: l’Inps e le Casse di previdenza erogano anche una serie di prestazioni assistenziali che vanno a sostenere il reddito dei cittadini e dei contribuenti. Queste prestazioni si concretizzano in una serie di indennità economiche e sociali fornite in situazioni di disagio. Come le pensioni, queste prestazioni vengono pagate solo in presenza di determinati requisiti e condizioni. Ad esempio, il non raggiungimento di un certo livello di reddito o la presenza in famiglia di persone in condizioni di disabilità.

Erogazioni Inps per il sostegno al reddito: quali sono?

I maggiori interventi forniti dall’Inps in tema di sostegno al reddito sono:

  • l’assegno sociale;
  • gli assegni per il nucleo familiare;
  • la Cassa integrazione guadagni ordinaria industria ed edilizia;
  • la Cassa integrazione guadagni straordinaria;
  • l’indennità di accompagnamento;
  • l’indennità di disoccupazione o Naspi;
  • il reddito e la pensione di cittadinanza;
  • la quattordicesima mensilità di pensione.

Assegno sociale: nel 2021 servono 67 anni di età

L’assegno sociale rappresenta una prestazione sostitutiva della pensione sociale. Viene erogata dall’Inps ai cittadini che abbiano almeno 67 anni di età e che si trovino in una particolare condizione di disagio economico. Non è necessario dimostrare un certo montante dei contributi per ottenere l’indennità. Tuttavia, oltre all’età, è indispensabile la residenza effettiva e continuativa per non meno di dieci anni sul territorio nazionale.

Qual è l’importo dell’assegno sociale?

Nell’anno in corso l’importo dell’assegno corrisponde a 460,28 euro e viene pagato per 13 mensilità all’anno. L’importo viene erogato per intero solo se i beneficiari non hanno alcun reddito oppure, se coniugati, hanno un reddito familiare inferiore al totale annuo dell’assegno. L’indennità è ridotta per i cittadini non coniugati che hanno un reddito familiare più basso del totale annuo dell’assegno (pari a 5.983,64 euro). Inoltre l’erogazione va a favore anche dei soggetti coniugati il cui reddito familiare sia compreso tra l’ammontare annuo dell’assegno e il doppio della stessa cifra. Quindi la misura ha un importo pari alla sottrazione tra l’importo intero annuale dell’assegno sociale e l’ammontare del reddito annuale.

Gli assegni Inps per il nucleo familiare

Anche nel caso di pagamento degli assegni Inps per il nucleo famigliare si rientra nei sostegni economici versati alle famiglie di lavoratori. In particolare, ai lavoratori dipendenti, ai dipendenti agricoli, ai titolari di pensione, agli iscritti alla Gestione separata Inps, ai titolari di prestazioni previdenziali.

Assegno familiare: importo e chi può richiederlo

L’importo dell’assegno dipende da vari fattori: tra questi, sicuramente incidono la numerosità del nucleo e il livello del reddito familiare. In assegna di questi requisiti l’assegno familiare può essere anche chiesto per particolari situazioni come, ad esempio, la presenza di familiari inabili. L’indennità viene pagata dal datore di lavoro insieme alla retribuzione. In questo caso il datore paga per conto dell’Inps.

La Cassa integrazione guadagni ordinaria industria ed edilizia

Si tratta di un’indennità economica pagata dall’Inps per integrare o sostituire la retribuzione dei lavoratori impiegati nell’industria e nell’edilizia. La condizione essenziale è che i lavoratori debbano trovarsi in precarie condizioni economiche. Ciò deve avvenire come conseguenza della sospensione oppure della riduzione dell’attività lavorativa.

Cassa integrazione guadagni straordinaria

La Cassa integrazione guadagni straordinaria (Cigs) viene erogata dall’Inps per integrare o per sostituire la retribuzione dei lavoratori di imprese che siano in una situazione di crisi. L’erogazione avviene anche se per l’impresa sia in corso un processo di ristrutturazione, o di riorganizzazione o di riconversione.

L’indennità di accompagnamento agli inabili

A favore degli inabili, l’Inps eroga l’indennità di accompagnamento. Non si fa riferimento alla situazione reddituale del richiedente, ma al suo disagio per l’impossibilità di poter deambulare senza che l’aiuti un accompagnatore. Si tratta, inoltre, di soggetti che non possono compiere atti di vita quotidiana, ma hanno bisogno di una continua assistenza.

Per i disoccupati c’è la Naspi

L’Inps eroga l’indennità di disoccupazione, che dal 2015 ha preso il nome di Naspi. Per ottenere la prestazione è necessario presentare domanda. Il requisito essenziale per l’erogazione è quello di aver perduto il posto di lavoro per cause che non siano dipese dalla propria volontà. L’importo della Naspi si determina in base alla retribuzione percepita prima di perdere il lavoro. In particolare si considera l’imponibile ai fini previdenziali ricevuto negli ultimi 4 anni diviso per il numero delle settimane di contribuzione. Il risultato va moltiplicato per 4,33. A partire dal quarto mese, l’importo della Naspi diminuisce del 3% al mese.

Il Reddito e la pensione di cittadinanza: chi può beneficiarne?

Le due misure sono state introdotte con la legge di Bilancio 2019 per sostenere le famiglie in condizioni di difficolta. Il Reddito di cittadinanza, in particolare, sostiene le famiglie ed è finalizzato al reinserimento lavorativo e all’inclusione sociale. Il calcolo del Reddito di cittadinanza dipende dalla numerosità e dalla composizione della famiglia, nonché dalla relativa scala di equivalenza. Il beneficiario riceve l’importo su di specifica carta prepagata ogni mese. La pensione di cittadinanza, invece, è una prestazione economica che spetta a chi ha già compiuto i 67 anni di età e rientri entro certi limiti Isee. L’obiettivo è lo stesso del Reddito di cittadinanza, ovvero quello di sostenere le fasce della popolazione più svantaggiate.

Per i pensionati dai 64 anni l’Inps eroga la quattordicesima

La quattordicesima rappresenta la mensilità aggiuntiva corrisposta insieme al mensile di pensione. Il pagamento dell’Inps della misura avviene una sola volta l’anno, generalmente a luglio o a dicembre. Spetta ai contribuenti pensionati a partire dai 64 anni di età e con un reddito complessivo che non superi determinati limiti. In particolare, il reddito complessivo non deve superare di 2 volte il trattamento minimo annuo previsto dall’inps per il Fondo pensioni dei lavoratori dipendenti.

Dimissioni volontarie e NASpI in maternità: come funziona?

Dimissioni volontarie e NASpI sono due istituti generalmente incompatibili, cioè il lavoratore che si licenzia volontariamente non ha diritto a percepire l’indennità di disoccupazione, vi sono però alcune eccezioni e in particolare le dimissioni volontarie in maternità.

Cos’è la NASpI

La NASpI è l’indennità di disoccupazione che spetta a coloro che senza loro volontà hanno perso il lavoro. La sigla indica Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’​Impiego  e viene riconosciuta ai lavoratori dipendenti, apprendisti e soci di cooperativa. Restano esclusi dal diritto di percepire la NASpI i dipendenti pubblici con contratto a tempo indeterminato e i lavoratori agricoli. Per poter accedere a questo diritto è necessario che il lavoratore abbia maturato 13 settimane contributive nei 4 anni antecedenti e almeno 30 giorni di lavoro effettivo nei 12 mesi antecedenti rispetto alla data di risoluzione del contratto.

Per poter accedere all’indennità è necessario anche aver dichiarato al Centro per l’Impiego competente per territorio la propria disponibilità immediata all’assunzione e la disponibilità a partecipare a misure di politiche attive per il lavoro, ad esempio partecipare a corsi di formazione gratuiti il cui obiettivo è favorire il ricollocamento nel mondo del lavoro.

Dimissioni volontarie: quando si percepisce la NASpI

Si è detto che la normativa riconosce la tutela della NASpI solo a coloro che hanno perso involontariamente il lavoro, questa limitazione è dovuta al tentativo del legislatore di evitare che le persone possano decidere di dimettersi con lo scopo di percepire l’indennità di disoccupazione senza lavorare. Vi sono però delle eccezioni che portano al riconoscimento anche in caso di dimissioni volontarie. Tra queste vi sono il caso di dimissioni per giusta causa e le dimissioni avvenute in sede conciliativa, inoltre non sono incompatibili le dimissioni volontarie e NASpI in maternità.

Dimissioni volontarie e NASpI in maternità

La prima cosa da dire è che le dimissioni volontarie della lavoratrice in maternità (periodo compreso tra i 300 giorni precedenti alla data presunta del parto e il compimento di un ano di vita del bambino) non devono essere date con la procedura ordinaria, cioè comunicazione scritta al datore di lavoro e conferma con modulo telematico sul sito ClicLavoro, ma hanno una loro procedura peculiare. Le donne in stato interessante e fino ad un anno di vita del bambino possono dimettersi senza dare preavviso e le dimissioni devono essere convalidate dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

La lavoratrice deve presentarsi personalmente presso la Direzione Provinciale del Lavoro con i propri documenti di riconoscimento, copia del contratto di lavoro e tessera sanitaria, qui deve confermare la volontà di dare le dimissioni, ma soprattutto deve confermare che si tratta di una libera scelta e non di dimissioni indotte dal datore di lavoro. Deve di conseguenza specificare perché ha deciso di lasciare il lavoro, tra i motivi che si ritiene possano essere sufficienti ad ottenere al convalida vi è il desiderio di ricongiungersi con il coniuge/compagno o con la propria famiglia di origine.  Se tutto è in ordine si procede alla convalida delle dimissioni.

La donna riceve due copie della convalida delle dimissioni: una deve conservarla, mentre l’altra deve essere consegnata al datore di lavoro. In questo caso i requisiti per accedere alla NASpI sono gli stessi visti in precedenza.

Occorre sottolineare che le dimissioni volontarie in maternità durante l’emergenza Covid hanno avuto un cambio di procedura, infatti in questo periodo è stato possibile procedere alla conferma telematica.

A quanto corrisponde l’importo della NASpI 2021?

Il calcolo della NASpI deve essere fatto tenendo in considerazione la storia contributiva del lavoratore. L’importo massimo della NASpI 2021 è di 1.335,40 euro, questo va rivalutato annualmente, mentre la durata massima di percezione è di 24 mesi. Il calcolo dell’assegno è basato sul 75% dell’imponibile medio degli ultimi 4 anni.