NASpI: si può ottenere in caso di licenziamento disciplinare?

La NASpI è la Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego, si tratta di quello che generalmente viene denominato assegno di disoccupazione ed è stato introdotto nel nostro ordinamento con l’articolo 3 del decreto legislativo 22 del 2015. In merito a questa misura di welfare sono tanti ancora i dubbi anche se la disciplina sembra essere rodata. Molti lavoratori si chiedono: ho diritto alla NASpI anche se ho avuto un licenziamento disciplinare? Posso richiederlo se sono in causa con il datore di lavoro o se ho accettato la conciliazione?

Cos’è il licenziamento disciplinare?

Per licenziamento disciplinare si intende la sanzione con la quale il datore di lavoro licenzia il dipendente che si sia reso colpevole di gravi fatti, ad esempio nel caso in cui sia stato colto in flagranza di reato mentre commette un furto ai danni dell’azienda, oppure se è colpevole di rissa o comunque fatti gravi che rompono il rapporto di fiducia con il datore di lavoro. Nei casi più gravi, come quelli citati, non vi è l’obbligo di dare al lavoratore un periodo di preavviso perché l’inadempimento è talmente grave da non rendere in alcun modo possibile continuare il rapporto anche temporaneamente.

In caso di licenziamento disciplinare possono chiedere la NASpI?

A dirimere i dubbi già qualche anno fa è stato il Ministero del Lavoro con risposta a Interpello 13 del 24 aprile 2015.

Il Ministero ha sottolineato che l’unico caso in cui non è possibile percepire la NASpI è quello in cui il licenziamento sia stato volontario, cioè il lavoratore X ha rassegnato le dimissioni. Il licenziamento disciplinare, sebbene possa essere considerato causato dallo stesso lavoratore, non è volontario. Di conseguenza il lavoratore può percepire la Nuova Assicurazione Sociale per l’impiego o semplicemente assegno di disoccupazione.

Leggi: Naspi 2022: guida al calcolo, gli esempi con stipendi da 1000/2000 euro al mese

Non solo, nella risposta a interpello della CISL, il Ministero va oltre e statuisce che anche se in seguito a licenziamento disciplinare si procede all’offerta di conciliazione “agevolata” introdotta dall’art. 6, D.Lgs. n. 23/2015, è comunque possibile ottenere la NASpI.

La conciliazione agevolata è una proposta economica del datore di lavoro che non costituisce reddito imponibile e non risulta assoggettato a contribuzione previdenziale. Il lavoratore accettando la proposta, rinuncia all’impugnazione del licenziamento disciplinare. In base all’interpretazione corrente l’accettazione della proposta conciliativa non modifica il titolo di risoluzione del rapporto e di conseguenza non viene meno il diritto a percepire il sussidio della NASpI.

Il contenuto della risposta ad interpello 13 del 24 aprile 2015 è confermato anche dall’INPS con la circolare 142 del 2015.

Leggi anche: Dimissioni per giusta causa: spetta la Naspi ma la procedura è diversa

INTERPELLO-N-13-2015

Ape sociale e reddito di cittadinanza, si possono percepire insieme?

Si possono percepire insieme sia la pensione con Ape sociale che il reddito di cittadinanza? Il rapporto tra le due indennità non prevede limitazioni. Infatti, il decreto legge numero 4 del 2019, che ha istituito il reddito di cittadinanza, non ha previsto alcuna forma di incompatibilità e, pertanto, di incumulabilità sia parziale che totale, con l’anticipo pensionistico. Ma è necessario fare alcune precisazioni importanti sull’importo del reddito di cittadinanza che risulta influenzato dalla percezione della pensione con Ape sociale.

Compatibilità e cumulabilità dell’Ape sociale con Naspi, Dis coll, Iscro e reddito di emergenza

Inoltre, altri per altri trattamenti corrisposti dall’Inps, come il reddito di emergenza, la Naspi, la Dis coll e l’Iscro, è necessario prestare attenzione sulla compatibilità e cumulabilità con l’Ape sociale. L’eventuale percezione di uno di questi trattamenti non avendone diritto perché già beneficiari dell’Ape sociale, comporta la situazione di percezione indebita e di recupero da parte dell’Inps.

Compatibilità di reddito di cittadinanza, Naspi, Dis coll, Ape sociale: i riferimenti normativi

Sulla compatibilità del reddito di cittadinanza e dell’Ape sociale, la disciplina di riferimento è contenuta nel comma 8, dell’articolo 2 del decreto legge numero 4 del 2019. La norma stabilisce che “il reddito di cittadinanza è compatibile con il godimento della Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (Naspi) e dell’indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata (Dis coll), di cui rispettivamente all’articolo 1 e all’articolo 15 del decreto legislativo 4 marzo 2015, numero 22, e di altro strumento di sostegno al reddito per la disoccupazione involontaria ove ricorrano le condizioni di cui al presente articolo. Ai fini del diritto al beneficio e della definizione dell’ammontare del medesimo, gli emolumenti percepiti rilevano secondo quanto previsto dalla disciplina dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee)”.

Prendere la pensione con Ape sociale è rilevante per la concessione del reddito di cittadinanza?

Il contribuente che percepisce, dunque, la pensione con l’anticipo pensionistico sociale può aver diritto a ricevere anche il reddito di cittadinanza. Di conseguenza, non essendoci una norma che vieti espressamente la contemporanea fruizione dei due istituti, i due trattamenti si possono considerare compatibili. Infine, nell’erogazione dell’Ape sociale, l’Inps valuta preventivamente la presenza di specifici requisiti da parte del richiedente. Tuttavia, l’importo dell’anticipo pensionistico va a concorrere a formare il reddito della famiglia. E, pertanto, incide sull’importo dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee). La fruizione dell’anticipo pensionistico sociale va a incidere direttamente sia sul diritto a ricevere il reddito di cittadinanza, sia sul suo importo mensile.

Pensioni con anticipo pensionistico sociale e reddito di emergenza: i rapporti

Peraltro, anche altri istituti si possono mettere in relazione con la fruizione del trattamento pensionistico Ape sociale. Ad esempio, il reddito di emergenza (Rem). Questa prestazione è stata introdotta a favore di specifici nuclei familiari in condizioni di necessità derivante dall’emergenza sanitaria ed economica conseguente alla pandemia di Covid-19. Il trattamento emergenziale è stato introdotto dall’articolo 36 del decreto legge numero 73 del 25 maggio 2021, poi convertito nella legge numero 106 de 23 luglio 2021. Ad oggi non è stato più reintrodotto questo istituto. Ma sono ancora in corso di pagamento alcune rate.

Chi prende già l’anticipo pensionistico sociale può ricevere anche il reddito di emergenza (Rem)?

Differentemente dal reddito di cittadinanza, chi percepisce già la pensione con Ape sociale non ha diritto a ricevere anche il reddito di emergenza. Infatti, la fruizione dell’indennità previdenziale comporta il venir meno del presupposto alla base del reddito di emergenza. Ovvero la situazione di difficoltà economica nella quale può venirsi a trovare una famiglia in conseguenza dell’emergenza sanitaria. In tal senso, emerge la funzione dell’Ape sociale quale indennità di accompagnamento del contribuente alla pensione di vecchiaia.

Perché il percettore dell’Ape sociale non può prendere il reddito di emergenza (Rem)?

Il sostegno del reddito di emergenza è riconosciuto in presenza di specifici requisiti e comporta la percezione di un importo mensile da parametrarsi in base alla situazione del percettore. L’importo massimo che l’Inps eroga come Ape sociale può arrivare a 1.500 euro lordi. Nel caso in cui dei contribuenti avessero percepito il reddito di emergenza in presenza dell’Ape sociale, i due trattamenti si sovrapporrebbero. Pertanto, ciò costituirebbe una prestazione indebita che comporterebbe il recupero da parte dell’Inps di quanto non dovuto.

Ape sociale, si può prendere insieme anche l’Iscro?

Particolare attenzione deve essere prestata da chi percepisce l’Iscro, l’indennità prevista dai commi da 386 a 400 della legge numero 178 del 2020. La circolare dell’Inps numero 94 del 30 giugno 2021 ha chiarito che la percezione dell’anticipo pensionistico sociale e l’Iscro sono incompatibili. Anche in questo caso, la percezione indebita comporta il recupero da parte dell’Inps.

 

Bonus 200 euro, chi lo prenderà e quando

Chi prenderà il bonus 200 euro e quando? L’erogazione dell’indennità prevista dal decreto legge “Aiuti” del governo, avverrà per tutte le categorie lavorative e per i pensionati. Tutti dovranno avere un reddito lordo annuo non eccedente il 35 mila euro. Inclusi nella misura anche colf e badanti e, in generale, i lavoratori domestici. Il bonus 200 euro sarà pagato anche a chi prende il reddito di cittadinanza e quanti hanno ricevuto nel corso dello scorso anno un’indennità per il Covid. A disciplinare la misura di aiuto contro il rincaro dei prezzi è il decreto legge numero 50 del 2022, in vigore da mercoledì 18 maggio. L’indennità verrà pagata anche ai commercianti, artigiani, liberi professionisti e partite Iva: ma i lavoratori autonomi dovranno attendere un altro decreto da emanarsi entro 30 giorni che disciplini le modalità di pagamento e quanto spetti di indennità.

Bonus 200 euro ai pensionati, come verrà pagato?

I pensionati con redditi personali del 2021 non eccedenti i 35 mila euro lordi all’anno prenderanno il bonus 200 euro con decorrenza entro il 30 giugno 2022. Sarà l’Inps a effettuare il pagamento nella mensilità di luglio 2022. I pensionati, dunque, non dovranno presentare alcuna domanda. Per il calcolo del reddito non si tiene conto della casa di abitazione, del trattamento di fine rapporto (Tfr) e delle competenze arretrate a tassazione separata. Anche i percettori del trattamento sociale o di invalidità civile percepiranno l’indennità. Sono incluse anche le prestazioni di accompagnamento alla pensione, come ad esempio, l’Ape sociale o i lavoratori usciti da lavoro con i contratti di espansione.

Indennità Inps 200 euro ai lavoratori dipendenti: cosa bisogna fare?

I lavoratori alle dipendenze riceveranno il bonus 200 euro nel cedolino della busta paga di luglio. L’indennità, prevista dagli articoli 31-33 del decreto legge numero 50 del 2022, è esentasse. Come tutte le altre categorie, i lavoratori dipendenti percepiranno l’indennità una sola volta. Il pagamento del bonus non prevede alcuna domanda. Tuttavia, il lavoratore dipendente non deve essere percettore di alcuna pensione, anche di invalidità civile, e nemmeno del reddito di cittadinanza. I datori di lavoro potranno recuperare l’indennità anticipata in compensazione sui contributi UniEmens.

Lavoratori dipendenti che percepiranno il bonus 200 euro: come verificare se si rientra?

I lavoratori dipendenti possono verificare se il bonus 200 euro spetti mediante il diritto allo sconto contributivo. Si tratta della misura introdotto per il 2022 che consente di beneficiare di uno sconto di contributi pari allo 0,8%. Ricevono lo sconto i lavoratori con reddito mensile lordo non eccedente i 2.692 euro. Dunque, basta che i dipendenti abbiano beneficiato dello sconto contributivo in almeno un mese tra gennaio e aprile per percepire il bonus 200 euro.

Prendono il bonus 200 euro i lavoratori autonomi occasionali?

Il bonus 200 euro verrà pagato anche ai lavoratori autonomi occasionali senza partita Iva. Ovvero ai titolari dei contratti previsti dall’articolo 2222 del Codice civile. Si tratta dei contratti con ritenuta d’acconto. L’indennità spetterà se è stato corrisposto almeno un contributo mensile durante l’anno 2021. Per questi contratti, tuttavia, è necessario il versamento dei contributi alla Gestione separata dell’Inps (che deve risultare aperta al 18 maggio 2022) che avviene se il totale dei compensi annui supera la cifra di 5 mila euro. Ne consegue che i lavoratori autonomi occasionali prenderanno il bonus 200 euro solo se, per uno o più contratti del 2021, hanno percepito almeno 6.330 euro. Questo importo è il minimo per l’accredito di un mese di contributi. Infine, per questi lavoratori serve presentare la domanda all’Inps per ottenere l’una tantum.

Bonus 200 euro, verrà pagato agli incaricati delle vendite a domicilio e lavoratori dello spettacolo?

Il bonus 200 euro verrà pagato anche agli incaricati delle vendite a domicilio. La condizione per ottenere l’indennità è che nel 2021 siano stati percepiti compensi superiori ai 5 mila euro. Tra le altre condizioni, serve la partita Iva e l’iscrizione alla Gestione separata dell’Inps. Occorre presentare domanda all’Inps. I lavoratori dello spettacolo con redditi 2021 entro i 35 mila euro percepiranno il bonus purché per il 2021 abbiano almeno 50 contributi giornalieri. A questi lavoratori il bonus viene pagato dall’Inps previa domanda.

Lavoratori stagionali, a termine, intermittenti e disoccupati agricoli: prenderanno il bonus 200 euro?

I lavoratori stagionali, a termine e intermittenti prenderanno il bonus 200 euro purché nel 2021 il reddito non sia stato eccedente i 35 mila euro. Anche per questi lavoratori sono necessarie 50 contributi giornalieri. L’Inps eroga il bonus previa domanda. Non serve la domanda all’Inps, invece, per i disoccupati agricoli. Sarà l’Inps stessa a erogare l’indennità purché sia stata percepita la disoccupazione nel 2021.

Lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.): prenderanno il bonus 200 euro?

I lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) prenderanno il bonus 200 euro a determinate condizioni. Infatti, il contratto deve essere in essere alla data del 18 maggio 2022. Il lavoratore deve essere iscritto alla Gestione separata dell’Inps. Inoltre, i lavoratori di questa categoria non devono essere percettori di pensione. E nemmeno essere iscritti ad altre gestioni previdenziali. Anche per questi lavoratori vale il limite di reddito di 35 mila euro. È l’Inps a erogare il bonus previa domanda.

Colf, badanti e disoccupati: prenderanno l’indennità di 200 euro?

Colf, badanti e lavoratori domestici prenderanno il bonus purché abbiano in essere un rapporto di lavoro alla data del 18 maggio 2022. Serve presentare la domanda all’Inps. I disoccupati, ex lavoratori alle dipendenze o parasubordinati, percepiranno il bonus 200 euro purché ricevano una mensilità di disoccupazione Naspi o Dis coll a giugno 2022. È l’Inps a pagare senza bisogno di presentare la domanda.

Quando si ha diritto alla Naspi senza il licenziamento?

Di cosa si tratta quando parliamo di NASPI e chi ne ha diritto, ma soprattutto quando si ha diritto ad averla senza il licenziamento? Scopriamo alcune risposte in merito alla questione, nella nostra rapida guida.

Naspi cosa è e chi ne ha diritto

Innanzitutto, partiamo dalle fondamenta della questione, ovvero specificando di cosa si tratta, quando si parla di NASPI.

La NASpI (definizione di “Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego”, in sostituzione al vecchio titolo di ASpI e mini-ASpI) è stata introdotta dal Decreto Legislativo del 4 marzo 2015, n. 22, con la funzione di fornire sostegno al reddito dei lavoratori subordinati che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione.

Andiamo, quindi a vedere chi ha diritto, nel 2022 alla Naspi.

A tale proposito, potremmo dire in breve che i destinatari del sussidio di disoccupazione INPS sono lavoratori dipendenti, ivi compresi in tale categoria anche gli apprendisti e i soci di cooperativa. Questi ultimi, accanto al rapporto associativo devono aver instaurato anche un rapporto subordinato.

Naspi senza licenziamento: quando si ha diritto

Andiamo, dunque al nocciolo della questione di questa nostra guida, ovvero quando è possibile ottenere il sussidio – semmai vi fosse diritto – anche senza avvenuto licenziamento.

A tale questione si può dire che il diritto al sussidio Naspi può sorgere anche in rapporto a specifiche ipotesi di cessazione del contratto di lavoro che, pur non costituendo un licenziamento, non si possono ricondurre, comunque, alla volontà del lavoratore.

Una specifica ipotesi, in tal senso, può essere costituita dalla cessazione del rapporto di lavoro per accordo collettivo aziendale, quando esso stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, contenente parte un incentivo all’esodo.  Va da specificare che tale opzione è tuttavia limitata al periodo di vigenza del divieto di licenziamento.

Per coloro che sono lavoratori dipendenti di datori di lavoro per i quali il divieto di licenziamento non è stato prorogato oltre la data del 30 giugno 2021, invece l’accesso alla Naspi è ammesso secondo le ipotesi ordinarie di cessazione del rapporto di lavoro.

Quali sono i requisiti per la Naspi?

Dunque, andiamo a vedere quali sono i requisiti da tenere in conto per poter ottenere il sussidio Naspi:

Sono richiesti ai lavoratori subordinati per il conseguimento della Naspi i seguenti requisiti:

  • 13 settimane di contributi versati nel tempo di 4 anni precedenti la disoccupazione;
  • 30 giornate di lavoro effettivo nei 12 mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione;
  • perdita involontaria dell’impiego e acquisizione successiva dello stato di disoccupazione: va ritenuto obbligatorio rendere la Did, la dichiarazione di immediata disponibilità e, quindi, firmare il patto di servizio in un centro per l’impiego.

Come ottenere lo stato di disoccupazione

Per quanto riguarda il fondamentale stato di disoccupazione, andiamo a vedere, di seguito come ottenerlo

Esso viene riconosciuto nei casi in cui il lavoratore:

  • ha perso il suo impiego in modo involontario;
  • dichiara per via telematica al Sistema Informativo Unitario delle politiche del lavoro (meglio noto come SIU), la propria immediata disponibilità (Did) allo svolgimento di attività lavorativa ed alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro che sono previste nel patto di servizio personalizzato, da sottoscrivere presso il centro per l’impiego competente.

Questo, dunque è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito all’ottenimento della Naspi, qualora non vi fosse stato un licenziamento.

Chiarimenti dall’INPS sulle maggiorazioni assegno unico genitori lavoratori

I primi importi per l’Assegno Unico Universale sono stati versati a marzo 2022, mentre la domanda poteva essere proposta già a partire dal mese di gennaio, ma nonostante il tempo trascorso, la situazione appare più complessa di quello che ci si aspettava. Proprio per questo, giunti ormai a fine aprile, dopo aver già percepito 2 assegni, almeno per quanto riguarda le famiglie che sono state sollecite nel presentare la domanda, l’INPS ancora propone chiarimenti e stavolta è toccato alle maggiorazioni per le famiglie con due genitori che lavorano. La stessa viene riconosciuta anche al genitore che percepisce la NASpI o Dis- Coll, ma ecco i dettagli.

Assegno Unico e maggiorazione percettori NASpI e Dis-Coll

L’INPS con il Messaggio 1714 del 20 aprile 2022 sottolinea che si tratta di un messaggio a integrazione della circolare 23/2022 in cui era stato sottolineato che la maggiorazione spettante quando entrambi i genitori lavorano spetta anche nel caso di percezione di pensione e reddito da lavoro autonomo o impresa. L’INPS chiarisce, ulteriormente, con il Messaggio 1714 che l’importo aggiuntivo di 30 euro per figlio spettante alle famiglie in cui i genitori lavorano entrambi, deve essere corrisposto anche nel caso in cui gli stessi percepiscano NASpI o Dis Coll, cioè gli importi dovuti in caso di perdita di lavoro. La maggiorazione spetta se il genitore percepisce tali emolumenti al momento della presentazione della domanda e per una parte prevalente dell’anno di riferimento.

Assegno Unico e maggiorazione lavoratori agricoli

Hanno diritto alla maggiorazione sull’Assegno Unico prevista nel caso in cui entrambi i genitori siano lavoratori anche i lavoratori agricoli autonomi e il genitore che lavora all’estero ma ha la residenza fiscale in Italia.

Ricordiamo che l’importo pieno per l’Assegno Unico spetta esclusivamente ai nuclei familiari con reddito ISEE fino a 15.000 euro e che lo stesso diminuisce all’aumentare del reddito, fino ad azzerarsi per nuclei familiari con Isee superiore a 40.000 euro.

Naturalmente gli importi percepiti dai genitori in qualità di NASpI e Dis Coll devono essere considerati anche al fine di determinare il reddito ISEE e quindi concorrono a determinare l’importo effettivo che la famiglia potrà percepire.

Per quanto riguarda invece i lavoratori agricoli autonomi, al fine di determinare gli importi che concorrono a determinare il reddito deve essere tenuto in considerazione l’articolo 32 del TUIR. Lo stesso stabilisce che il reddito agrario è determinato in base al reddito medio ordinario dei terreni e al lavoro di organizzazione mentre il reddito dominicale si identifica con la rendita del fondo aumentata degli interessi del capitale permanentemente investito in esso.

Per quanto invece riguarda i braccianti agricoli e i lavoratori stagionali, è prevista la maggiorazione dell’Assegno Unico nel caso in cui le attività siano coperte da contribuzione annuale.

Assegno Unico e  maggiorazioni famiglie numerose

Il Messagio 1714 dell’INPS chiarisce anche alcuni aspetti relativi alle maggiorazioni previste per le famiglie numerose. La normativa dell’Assegno Unico prevede che gli importi siano aumentati di 85 euro per ogni figlio successivo al secondo, inoltre per le famiglie con 4 o più figli spetta un’ulteriore maggiorazione di 100 euro. Anche in questo caso le somme spettano per intero ai nuclei con ISEE fino a 15.000 euro e decrescono all’aumentare del reddito fino ad annullarsi per un ISEE pari o superiore a 40.000 euro.

A questo proposito però è bene precisare che ove siano presenti nuclei con genitori diversi, le maggiorazioni spettano unicamente per i figli con rapporto di genitorialità. Si faccia il caso di Tizio che ha avuto 2 figli con Caia e poi inizi una convivenza con Sempronia che ha altri 2 figli. In questo caso le maggiorazioni non spettano. Se lo stesso Tizio con Sempronia ha altri 2 figli, spettano le maggiorazioni.

Per quanto riguarda la maturazione del diritto alla maggiorazione, devono essere considerati tutti i figli che compaiono nell’ISEE anche se non hanno diritto all’AUU, ad esempio perché hanno superato i 21 anni di età, ma sono ancora fiscalmente a carico.

Per chi ha bisogno di chiarimenti sull’AssegnoUunico è possibile leggere i seguenti approfondimenti:

Online il sito per l’Assegno Unico: le Faq più importanti e casistiche

Assegno Unico: attenzione agli errori nella compilazione della domanda

Assegno Unico: come correggere la domanda in caso di errori

Inoltre è possibile ottenere informazioni ulteriori seguendo i link

Assegno Unico: genitore non convivente che abbandona il figlio può chiederlo?

Assegno Unico: le richieste più bizzarre al vaglio del nucleo antifrode

 

 

Disoccupato di lunga durata: quali vantaggi ci sono per l’azienda che lo assume?

Il disoccupato di lunga durata è un soggetto che si trova in una condizione cronica di mancanza di lavoro. Il legislatore tende a voler eliminare questa “categoria” di persone e proprio per questo prevede diversi incentivi volti a rendere più appetibili i disoccupati di lungo corso sul mercato del lavoro. Vediamo in primo luogo chi può definirsi disoccupato di lunga durata e di conseguenza quali vantaggi possono esservi per le aziende.

Chi è il disoccupato di lunga durata?

La prima cosa da sottolineare è la differenza tra inoccupato e disoccupato. Il disoccupato è colui che ha perso un lavoro o ha cessato un’attività autonoma e non riesce a reinserirsi nel mondo del lavoro. L’inoccupato è invece colui che non ha mai lavorato. Per risultare come disoccupato è necessario iscriversi nelle liste di collocamento del Centro per l’Impiego ed occorre sottoscrivere il patto di servizio con l’Anpal. Sono differenti dagli inoccupati anche i NEET (not engaged in education employment and trainig), si tratta di persone che non seguono percorsi di formazione o studio, ma non sono neanche alla ricerca di lavoro. Si tratta spesso di persone sfiduciate che non sono iscritte nelle liste dei Centri per l’Impiego.

Nella lista dei disoccupati compaiono poi i disoccupati di lungo periodo o di lungo corso/durata. Si tratta di persone che hanno accumulato:

  • oltre 12 mesi di disoccupazione, che scendono a 6 mesi nel caso in cui si tratti di persona di giovane età. Tale classificazione non è però rigida perché vi possono essere benefici a cui si accede con requisiti diversi.

Agevolazioni per i disoccupati di lunga durata

A tutela del disoccupato di lunga durata sono previsti percorsi di inserimento lavorativo. Ad esempio possono usufruire dell’assegno di ricollocazione con importo variabile da utilizzare in corsi di formazione e servizi di assistenza nella ricerca del lavoro. I vari “privilegi” da disoccupato di lunga durata inoltre non si perdono nel caso in cui sia stipulato un contratto di lavoro a tempo determinato di breve durata, in particolare non si perde la “qualità” di disoccupato di lunga durata in presenza di un contratto di durata inferiore a 6 mesi. Inoltre il decreto 4 del 2019 prevede che si mantenga lo stato di disoccupato nel caso in cui il reddito percepito da lavoratore dipendente sia inferiore a 8.145 euro e 4.800 euro in caso di lavoro autonomo.

Agevolazioni per le imprese che assumono disoccupati di lunga durata

Al fine di ridurre la fascia di disoccupati di lunga durata sono inoltre previsti altri vantaggi che vanno sia a favore del datore di lavoro che assume sia del lavoratore stesso.

Il primo aiuto è dato dallo sgravio contributivo in favore delle imprese che assumono disoccupati di lunga durata.

Bonus assunzioni donne

Il primo incentivo riguarda le donne: vi è uno sgravio contributivo al 100% per le imprese che assumono donne con almeno 12 mesi di disoccupazione e che abbiano superato i 50 anni di età. Questo sgravio contributivo è previsto fino al 30 giugno 2022, non si ha invece certezza su un’eventuale successiva proroga.

Inoltre è possibile avere lo sgravio contributivo al 100% senza limiti di età nel caso in cui la donna sia disoccupata da almeno 24 mesi.

Nel caso in cui le donne abbiano residenza in aree economiche in cui vi è una particolare disparità occupazionale tra uomini e donne oppure residenti in Regioni ammissibili ai finanziamenti nell’ambito dei fondi strutturali UE, bastano sei mesi di disoccupazione per poter accedere allo sgravio contributivo al 100%.

Bonus assunzione uomini

Per l’assunzione degli uomini lo sgravio è invece al 50% e può essere fatto valere per:

  • over 50 con almeno 6 mesi di disoccupazione;
  • qualsiasi età con 12 mesi di disoccupazione.

Bonus assunzioni Sud

Particolari sgravi contributivi sono inoltre previsti nel Bonus Assunzioni Sud. In questo caso per poter accedere si considera disoccupato di lunga durata chi ha maturato almeno 6 mesi di disoccupazione. Il Bonus Assunzioni Sud si applica alle aziende che si trovano in: Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, oppure in quelle definite in transizione, Sardegna, Abruzzo e Molise. Anche in questo caso la decontribuzione è al 100% per contratti di lavoro a tempo indeterminato oppure per contratti di apprendistato. Lo sgravio è al 100% per il primo anno (con importo massimo per assunto di 8.060 euro ) e al 50% per il secondo e il terzo anno. Nel caso in cui l’assunzione riguardi persone di età compresa tra 15 e 24 anni, non si tiene conto della durata del periodo di disoccupazione.

Anticipi pensionistici per il disoccupato di lunga durata

Chi è disoccupato di lungo periodo può inoltre accedere alla pensione in modo agevolato. Le opportunità sono 2 cioè accedere alla pensione anticipata precoci, oppure alla Ape Sociale.

Per la pensione anticipata precoci è necessario avere maturato un’anzianità contributiva di almeno 41 anni, di questi 12 mesi devono essere stati versati prima del compimento del diciannovesimo anno di età. Può accedere alla pensione anticipata precoci coloro che risultano disoccupati di lungo periodo per cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento anche collettivo o dimissioni per giusta causa e hanno smesso di percepire la NASpI da almeno 3 mesi. In alternativa c’è l’Ape Sociale che consente di accedere alla pensione all’età di 63 anni con almeno 30 anni di contributi e a patto di aver versato nei 36 mesi antecedenti rispetto alla data di cessazione del rapporto di lavoro 18 mesi di contributi e, infine, occorre aver terminato la percezione dell’assegno di disoccupazione.

Agevolazioni economiche per il disoccupato di lunga durata

Infine, sono previste agevolazioni economiche. Il disoccupato di lungo periodo gode dall’esenzione dal ticket sanitario ( in questo caso occorre il doppio requisito e cioè un reddito inferiore a 8.263,31 euro, elevabile fino a 11.362,05 euro in caso di coniuge a carico e di altri 516,46 euro per ogni figlio a carico.

Naturalmente ai disoccupati viene anche data l’opportunità di percepire il reddito di cittadinanza.

Agricoltura: le aliquote contributive per i lavoratori agricoli 2022

L’INPS ha fissato le aliquote contributive previste per le aziende agricole per il 2022, ecco nel dettaglio quanto sarà necessario pagare e gli importi a carico delle aziende e dei lavoratori.

Aliquote contributive per i lavoratori agricoli 2022

L’INPS con la circolare 31 del 25 febbraio 2022 ha provveduto a determinare le aliquote contributive per le aziende agricole per il 2022 per dipendenti a tempo determinato e indeterminato.

Il decreto legislativo 146 del 1997 stabilisce che, l’aliquota contributiva dovuta al Fondo pensioni lavoratori dipendenti (FPLD) a carico del datore di lavoro nel settore dell’agricoltura ogni anno debba essere aumentata di 0,20 punti percentuali fino al raggiungimento dell’aliquota del 32%. Resta invece invariata, in quanto ha già raggiunto il massimo, l’aliquota a carico del lavoratore.

In applicazione di questa normativa l’INPS sottolinea che per il 2022 l’aliquota contributiva a carico del datore di lavoro sarà del 29,70% complessivamente, di questa la quota a carico del lavoratore resta ferma all’8,84%.

Resta invece invariata l’aliquota contributiva prevista per le aziende agricole che si occupano di trasformazione, manipolazione di prodotti agricoli zootecnici e di lavorazione di prodotti alimentari con processi produttivi di tipo industriale. Questa infatti ha raggiunto il 32% già nel 2011. E’ stata inoltre aggiunta l’aliquota dello 0,30% , corrispondente all’ “aliquota contributiva di finanziamento per gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria ed alle forme sostitutive ed esclusive della medesima” prevista dall’articolo 1 comma 769 della legge 296 del 2006.

Ricordiamo che questo comma prevede anche che l’aliquota massima non può superare il 33%. Sintetizzando per questa tipologia di azienda agricola l’aliquota contributiva complessiva è del 32,30%.

L’ aliquota a carico del lavoratore è dell’8,84%. La stessa viene trattenuta dal datore di lavoro e versata in conto del lavoratore. Di conseguenza non sono richiesti adempimenti da parte del lavoratore.

Aliquote contributive 2022 cooperative e consorzi agricoli

La legge 30 dicembre 2021 n° 34 ha esteso l’accesso alla NASpI ai lavoratori di consorzi e cooperative agricole che si occupano di trasformazione, manipolazione e commercializzazione di prodotti agricoli e zootecnici prevalentemente propri o conferiti dai loro soci. Potranno accedere a tale sostegno

  • operai agricoli a tempo indeterminato;
  • apprendisti;
  • soci lavoratori.

Visto tale importante cambiamento, dal 1° gennaio 2022 tali cooperative e consorzi saranno tenuti a versare il contributo al finanziamento della NASpI.

Non sono più assoggettati all’aliquota contributiva del 2,75% per la disoccupazione agricola .

Aliquote contributive INAIL

Nella circolare viene sottolineato che non cambiano le aliquote contributive INAIL che restano:

  • 10,1250% Assistenza Infortuni sul Lavoro;
  • 3,1185% Addizionale Infortuni sul Lavoro.

Agevolazioni contributive aziende agricole 2022

La circolare 31 dell’INPS sottolinea che anche per il 2022 sono previste agevolazioni contributive per le aziende localizzate in zone particolarmente svantaggiate. Si riduce del 75% l’aliquota applicata nelle zone particolarmente svantaggiate (ex zone montane) e del 78% quella prevista per territori svantaggiati.

Contributi agricoli più cari nel 2022

I contributi a carico delle imprese agricole per i dipendenti impiegati nel settore saranno più cari nel 2022. La percentuale di contribuzione totale è fissata infatti al 46,8465%. L’aumento dei contributi nel 2022 rispetto al 2021 è dovuto a quanto prevede l’articolo 3 del decreto legislativo numero 146 del 1997. Il provvedimento fissa le aliquote dovute dalle aziende agricole per il fondo pensioni dei lavoratori impiegati nell’agricoltura e vengono riviste anno per anno. La revisione delle aliquote contributive, dunque, va a modificare le percentuali fino a raggiungere quella della generalità dei datori di lavoro del settore.

Contributi agricoli del 2022, l’aumento dell’aliquota del fondo pensioni

Pertanto, l’aliquota da versare per i contributi delle pensioni (per invalidità, vecchiaia e superstiti, detta Ivs) aumenta dello 0,20% portandosi al 29,70% rispetto al 29,59 del 2021. Di questa aliquota pensionistica, il 20,86% è a carico dell’azienda e l’8,84% a carico del lavoratore agricolo. Quest’ultima percentuale è l’unica a carico del lavoratore. Le percentuali di aumento dei contributi agricoli sono riportate dalla comunicazione dell’Inps numero 31 del 2022.

Quali altre aliquote contributive sono a carico del datore di lavoro delle aziende agricole?

Le altre percentuali di contributi agricoli dovute dai datori di lavoro consistono:

  • nella quota base dello 0,11% (non è dovuta alcuna percentuale da parte del lavoratore agricolo);
  • nell’assistenza per gli infortuni sul lavoro per una percentuale del 10,1250%. Tale percentuale Inail è rimasta invariata rispetto allo scorso anno;
  • nell’addizionale per gli infortuni sul lavoro del 3,1185%, anche questa invariata e a carico del solo datore di lavoro;
  • nella percentuale per la disoccupazione pari all’1,41%;
  • nelle prestazioni economiche relative alla malattia per una aliquota dello 0,683%;
  • nella cassa integrazione per l’1,5%;
  • nel fondo di garanzia per il Trattamento di fine rapporto (Tfr) per lo 0,20%. Questa quota non è dovuta per gli operai con contratto a tempo determinato per i quali, dunque, l’aliquota complessiva dei contributi dovuti è ridotta al 46,6465%.

Contributi per la disoccupazione Naspi dovuti per gli operai agricoli dovuti anche dalle imprese cooperative

Inoltre, la legge di Bilancio 2022 (legge numero 234 del 30 dicembre 2021), al comma 221 dell’articolo 1, ha modificato e integrato il comma 1 dell’articolo 2, del decreto legislativo numero 22 del 4 marzo 2015. In base alla modifica, a partire dal 1° gennaio 2022, risulta estesa la tutela delle prestazioni di disoccupazione Naspi anche a favore degli operai agricoli a tempo indeterminato (Oti), agli apprendisti e ai soci lavoratori con contratto alle dipendenze delle cooperative e dei loro consorzi inquadrati nel settore dell’agricoltura. Il versamento della contribuzione di finanziamento Naspi è dovuto, pertanto, ai dipendenti, ai soci e agli apprendisti che trasformano, manipolano e commercializzano prodotti agricoli e zootecnici in prevalenza propri oppure conferiti dai loro soci secondo quanto dispone la legge numero 240 del 15 giugno 1984.

Contribuzione dovuta dalle imprese agricole per il finanziamento della Naspi: in cosa consiste?

In base a quanto spiegato dall’Inps, pertanto, dal 1° gennaio 2022 le imprese agricole, le cooperative e i loro consorzi operanti nel settore dell’agricoltura, devono versare la contribuzione di finanziamento Naspi per i lavoratori:

  • assunti a partire dal medesimo giorno a tempo indeterminato con qualifica di operaio agricolo;
  • già assunti in precedenza e ancora in forza alla data del 1° gennaio 2022 (secondo quanto spiegava la circolare Inps numero 2 del 4 gennaio 2022).

Tutti i lavoratori agricoli, per l’applicazione dell’aliquota di finanziamento della Naspi, non devono essere più assoggettati all’aliquota contributiva del 2,75% per la disoccupazione agricola secondo quanto prevedeva l’articolo 11 del decreto legge numero 402 del 29 luglio 1981. Il decreto è stato convertito, con modifiche, dalla legge numero 537 del 26 settembre 1981.

Riduzione dei contributi agricoli per le aziende del settore nell’anno 2022

Anche per l’anno 2022 sono previste le agevolazioni e le riduzioni per le imprese agricole che siano ubicate o che comunque operino in territori montani, classificati come particolarmente svantaggiati. Le stesse agevolazioni sono godute dalle imprese agricole situate nei territori delle aree della ex Cassa del Mezzogiorno. Pertanto, se i contributi agricoli sono dovuti nella misura del 100% dalle imprese del settore operanti in territori non svantaggiati, le riduzioni operano:

  • per le imprese agricole situate in territori particolarmente svantaggiati (ex zone montane) per il 75% con aliquota applicata a carico dell’azienda pari al 25%;
  • per le imprese dei territori classificati come svantaggiati. In questo caso la misura della riduzione è pari al 68%. Rimangono a carico dell’impresa agricola contributi per il 32%.

Pensione: quando la disoccupazione aiuta: via dal lavoro sue anni prima

Parlare di disoccupati che vanno in pensione sembra una assurdità dettata dal nostro sistema previdenziale che prevede l’obbligo di versare contributi per uscire dal lavoro con la quiescenza. Ma la disoccupazione, intesa come indennità può essere un valido veicolo per consentire a chi non riesce più a trovare le energie e la forza per continuare a lavorare, di lasciare il lavoro.

Pensioni e Naspi, un connubio che anche alcune misure prevedono

La Naspi è l’indennità per disoccupati Inps, quella che l’Istituto eroga a chi perde involontariamente il proprio lavoro. Si tratta di una indennità erogata mensilmente dall’Inps per un periodo massimo di 24 mesi. Infatti si può prendere al Naspi per la metà delle settimane lavorate nel quadriennio precedente la data in cui si perde il lavoro.

Il periodo indennizzato con la Naspi è coperto dal punto di vista contributivo, con la cosiddetta contribuzione figurativa, valida sia per il diritto alla pensione che per la misura. Ma attenzione, ci sono alcune misure pensionistiche che prevedono il raggiungimento di determinate soglie di contributi al netto di eventuali periodi di contribuzione figurativa, come può essere proprio la Naspi.

Quando i contributi da disoccupazione non servono per la pensione

Una di queste per esempio è la pensione anticipata ordinaria, per la quale servono 42 anni e 10 mesi di versamenti per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, ma di questi 35 devono sempre essere effettivi, cioè senza considerare i figurativi da disoccupazione e malattia.

La disoccupazione è stata anche collegata a due misure previdenziali in questi anni. Un collegamento evidente visto che tra i destinatari di Ape sociale e quota 41 ci sono proprio i disoccupati. Per esempio fino allo scorso anno, chi voleva prendere lo scivolo dell’Ape sociale in qualità di disoccupato, doveva aver terminato di percepire la disoccupazione indennizzata (la Naspi) da almeno 3 mesi.

Naspi, quando può diventare un valido accompagnamento alla pensione

Ma lasciando da parte i collegamenti che la Naspi ha con il mondo previdenziale, sia come requisito di accesso alla pensione che come contribuzione figurativa, la disoccupazione può tornare utile per un altro motivo.

Può diventare una sorta di assegno di accompagnamento alla quiescenza. Chi è stanco di lavorare, oppure a chi pesa dover attendere ancora due anni per accedere alla pensione, la Naspi può essere una soluzione.

Parliamo come è evidente, di soggetti che si trovano a due anni dal raggiungimento di una qualsiasi misura pensionistica. Una soluzione, quella di prendere due anni di Naspi e poi di andare in pensione, valida per molti. Infatti, opzione ok per chi compie 65 anni e vede lontana due anni la soglia dei 67 anni per la pensione di vecchiaia. Ma è utile anche per chi ha raggiunto già i 40 anni e 10 mesi di contributi versati, compresi i 35 anni effettivi prima citati (per le donne si parte dai 39 anni e 10 mesi). Come dicevamo, si tratta di una soluzione assolutamente valida per chi non la fa più a continuare a lavorare.

Bisogna prima verificare di avere diritto alla Naspi

In primo luogo va sottolineato che occorre fare bene i conti.  Se si vuole utilizzare questo escamotage, perfettamente legale, per lasciare prima il lavoro., occorre verificare alcune cose. Occorre verificare se si ha diritto alla Naspi, altrimenti si rischia di restare senza lavoro e senza sussidio.

Va detto che 24 mesi di Naspi spettano solo a coloro i quali hanno 4 anni di continuità lavorativa prima di perdere il posto di lavoro. Essendo la durata massima fruibile pari a due anni, è evidente che servono 4 anni pieni di lavoro per poterne passare due in disoccupazione. Inoltre occorre che sia il datore di lavoro a licenziare il lavoratore.

La perdita del lavoro deve essere involontaria, perché salvo che per quelle per giusta causa, le dimissioni volontarie non danno diritto alla Naspi. Occorre chiedere al datore di lavoro di essere licenziati. Solo così si potrà presentare domanda di Naspi all’Inps.

Alcune problematiche da tenere in considerazione, sia per il lavoratore che per il datore di lavoro

Va detto al riguardo che non sempre il datore di lavoro può concedere questa specie di favore al lavoratore. Occorre fare i conti con le esigenze del datore di lavoro e delle attività aziendali, ma anche con il ticket licenziamento che fa pagare al datore di lavoro una parte della Naspi spettante al lavoratore.

Inoltre, occorre fare i conti con altri aspetti, stavolta collegati non al datore di lavoro, ma al lavoratore. Come abbiamo detto prima, meglio verificare se il periodo di Naspi non influisca negativamente sul diritto alla pensione, magari per via del limite dei 35 anni effettivi da centrare. Va sottolineato che basta che manchino pochi mesi a questi 35 anni per rendere non fruibile la pensione anticipata per esempio.

Gli ultimi mesi di Naspi sono nettamente più bassi di importo rispetto ai primi

Da non sottovalutare poi la questione reddituale. La Naspi è pari al 75% dello stipendio medio ai fini contributivi degli ultimi 4 anni. Quindi, già di base si prende meno rispetto allo stipendio. E nel lungo periodo va ancora peggio. Oggi dal sesto mese di fruizione della Naspi, questa cala del 3% progressivo al mese. Infatti il 3% del settimo mese, viene calcolato sull’importo della Naspi del sesto mese, già a sua volta decurtato del suo 3% e così via fino al 24imo mese di fruizione.

Questo significa che alla fine dei 24 mesi la Naspi spettante arriva quasi a ridursi della metà, con gli ultimi 6/7 mesi che sono già drasticamente tagliati. Si tratta di mesi dove occorrerà fare i conti con una netta riduzione di reddito, che si risolverà solo a pensione raggiunta.

Naspi: entro 31 gennaio comunicazione reddito presunto, per chi?

Chi è tenuto a dichiarare il reddito presunto entro il 31 gennaio per non incorrere nel rischio di perdere l’indennità? Scopriamo nelle righe di seguito cosa ci attende.

Naspi: presunto reddito entro il 31 gennaio

Per rispondere alla domanda posta in essere andiamo a vedere di seguito.

Per chi percepisce l’indennità di disoccupazione Naspi la data del 31 gennaio, come detto, potrebbe rivelarsi ultima e fondamentale. Per alcuni percettori, infatti, se entro tale data non viene comunicato all’INPS il reddito presunto con il modello Naspi-Com esteso si incorre nel rischio di perdita dell’indennità. Ma chi deve presentare entro scadenza questo modello?

Sono tenuti alla comunicazione del reddito presunto con presentazione del modello Naspi-COM soltanto i fruitori della Naspi che nel corso del 2021 hanno intrapreso, nel periodo della fruizione dell’indennità di disoccupazione, attività lavorativa con reddito tale da non comportare la sospensione dell’indennità ma solo la sua riduzione.

Quindi, tale comunicazione a scadenza fissata a fine mese, dovrà essere presentata esclusivamente da coloro che percepiscono una Naspi ridotta per permettere all’INPS di calcolare l’importo mensile spettante per i mesi successivi di indennità del 2022.

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Naspi, entro 31 gennaio: cos’altro c’è da sapere

Invece, per coloro che non hanno intrapreso alcuna attività lavorativa nel corso del 2021 nel periodo della fruizione della Naspi la comunicazione non sarà dovuta.

Va ricordato, inoltre, ad ogni modo, che per tutti i percettori di Naspi vige l’obbligo di comunicare all’INPS entro 30 giorni l’inizio di una nuova attività (e questo a prescindere dalla comunicazione da rendere entro la data di scadenza del 31 gennaio) con il reddito presunto che si andrà a percepire, così permettendo all’INPS di effettuare il ricalcolo della Naspi spettante che, va ricordato, si riduce in base al reddito percepito.

Questo, dunque è quanto di più utile e necessario da sapere in merito a questa imminente data di scadenza, del prossimo 31 gennaio 2022, per coloro i quali devono presentare il reddito presunto Naspi.