Case vacanza sì, ma di lusso

Altro che low cost. In Italia non manca mai chi preferisce vacanze esclusive al posto di vacanze a basso prezzo, magari in case vacanza. Sì, perché la soluzione delle case vacanze non è certo meno costosa di altre più chic, basta solo sapere dove andare e avere un portafogli piuttosto gonfio.

Nello specifico, le località più costose ad agosto dove trascorrere le ferie in case vacanza sono Positano, Portofino e Taormina, almeno stando a un’analisi del portale Casevacanza.it, specializzato in affitti turistici e partner di Immobiliare.it. chi vorrà trascorrere giorni di relax in questi tre borghi, per le proprie case vacanza dovrà essere disposto a scucire fino a 200 euro a notte.

Lo studio del portale ha preso in considerazione il costo giornaliero di un alloggio-tipo – un appartamento con quattro posti letto – affittato nelle settimane centrali del mese di agosto: si sono classificate prime, con una spesa media richiesta identica, Positano e Portofino, dove si spendono 200 euro a notte per le case vacanza.

È sempre al mare la terza sul podio, Taormina, in cui vengono chiesti mediamente 190 euro per un affitto turistico. Si tratta di cifre importanti e che, in queste località, non hanno subito variazioni annuali, pur consentendo a chi non è disposto a rinunciare alle loro bellezze e al loro fascino di risparmiare circa il 30% rispetto alle tariffe medie degli hotel nelle stesse località.

Per l’estate 2016 è invece la Campania la regione più popolata di mete high cost per le case vacanza. Rientrano nella top 20 di Casevacanza.it, oltre a Positano, anche Amalfi (media di 155 euro al giorno), Capri (160 euro) e Ischia (140).

Oltre a Taormina, della Sicilia si trovano in classifica anche Lipari e Favignana, dove le case vacanze costano mediamente 160 euro a notte. In Sardegna, invece, le località con i prezzi più elevati sono Porto Cervo (Arzachena), con una media di 180 euro a notte, La Maddalena (170) e Alghero (165).

Unica località di montagna nella top 20 delle case vacanza è Cortina d’Ampezzo, che non perde il suo fascino nemmeno nella bella stagione e registra un costo medio di 175 euro, piazzandosi quinta.

In Toscana, Porto Santo Stefano è la località più cara con una media di 170 euro a notte, seguita da Forte dei Marmi (140) e Castiglione della Pescaia (130). Il Lazio piazza in classifica Ponza (170 euro a notte) e Sperlonga (150 euro).

Non male anche i prezzi delle case vacanza in Salento, che piazza in classifica 3 località, Otranto, Gallipoli e Porto Cesareo, con prezzi che vanno dai 150 ai 125 euro.

Spread: sentiment, mercati e debolezza di un Paese

Lo spread può quindi essere considerato un misuratore inversamente proporzionale della fiducia che i compratori hanno nei confronti dell’emittente; al crescere della fiducia, decresce lo spread e viceversa. Uno stato insolvente o in gravi difficoltà, dovrebbe ricorrere a manovre restrittive, come la riduzione della spesa pubblica o l’aumento della tassazione, con effetti collaterali deprimenti per l’economia e gli investimenti.

La distinzione andrebbe fatta anche tra mercato primario, cioè riservato a istituzionali (banche, fondazioni) o grandi investitori e mercato secondario, esteso a tutti, anche ai piccoli risparmiatori.

Il mercato secondario risente direttamente del “sentiment” (altra parola inglese per definire lo stato d’animo nei confronti di un evento) mentre quello primario ne è influenzato in misura molto minore. Solo se il sentiment negativo continua per molto tempo, anche il mercato primario ne prenderà atto.

Come mai allora gli Stati Uniti (treasury bond) hanno uno spread così elevato (160 circa) rispetto alla Germania? Sono un Paese meno solido e a maggior rischio fallimento? Bisogna ricordare che la Bce ci mette del suo, perché si è impegnata per riacquistare parte dei titoli Ue emessi, per sostenere i Paesi dell’Unione (il cosiddetto Quantitative Easing). Anche le manovre straordinarie di politica monetaria influenzano le valutazioni. Stessa cosa si può dire per la Fed, la Banca centrale americana.

Poi c’è la questione delle diverse valute, cioè le considerazioni in merito all’andamento del tasso di cambio euro-dollaro. Quando lo spread sale, il dollaro americano tende ad apprezzarsi verso l’euro. Quindi lo spread tra le emissioni dei due Paesi è influenzato da molte più variabili e non necessariamente uno spread elevato significa debolezza, anzi potrebbe voler dire il contrario.

Come ho già detto, in finanza nessuno regala nulla, quindi bisogna capire bene quali sono le motivazioni che fanno salire o scendere il valore di un titolo di stato e prendere le opportune decisioni di acquisto o vendita. Ricordo che queste devono essere prima di tutto funzionali ai progetti di vita e alle aspirazioni di ognuno, a quanto e quando si vuole ottenere qualcosa con il denaro. Non ha nessun senso rincorrere il maggior rendimento possibile, anche perché oltretutto sarebbe una strategia perdente in partenza.

dott. Marco Degiorgis – Consulente patrimoniale e finanziario indipendente, Studio Degiorgis

Spread, parola difficile per un concetto facile

Che cos’è lo spread? Innanzitutto partiamo dalla traduzione dall’inglese, che significa “differenza”: perché è necessario usare termini inglesi quando esiste una perfetta traduzione italiana? Forse per confondere?

Torniamo al nostro “spread”, quindi alla differenza: in finanza può essere usato per diversi concetti, ma normalmente i giornali si riferiscono alla differenza di rendimento tra due obbligazioni o titoli di stato. Quando titolano “lo Spread” senza dare ulteriori definizioni, si riferiscono alla differenza tra rendimenti dei titoli di stato tedeschi (Bundesanleihen, comunemente noti come Bund) e quelli italiani (Buoni del tesoro pluriennali o BTP) con scadenza a 10 anni, emessi in euro.

Il rendimento effettivo è il risultato di componenti diverse tra domanda e offerta: da un lato c’è l’emittente, che ha necessità di ottenere denaro, ma più obbligazioni emette e più deve cercare di renderle attrattive per i compratori, aumentando quindi il rendimento. Dall’altro lato c’è il compratore, che sta cercando un buon affare, tra rendimento, scadenza e solidità dell’emittente.

In tutto questo si innesca la fiducia (o la sfiducia) dei compratori nei confronti dell’emittente o di altre variabili, come la situazione politica, l’inflazione o la crescita economica. A domanda crescente, sale il prezzo e scende il rendimento. Se il titolo è di nuova emissione è più semplice trovare una valore di rendimento congruo, ma se il titolo è già stato emesso, non può che variare di prezzo per riequilibrare un tasso di rendimento troppo alto o troppo basso rispetto ai suoi simili già sul mercato.

Infatti il mercato non regala nulla: se trovate un’obbligazione con rendimento molto elevato e prezzo basso, sarà legata ad un rating molto basso o ad altri rischi, come il rischio politico o l’instabilità valutaria, oppure la politica economica o la spesa pubblica.

Tornando allo spread Bund/BTP, perché esiste un differenziale tra questi due titoli di Stato emessi da due Paesi dell’Unione Europea?

L’ingranaggio dell’Ue non sembra essere lubrificato bene, perché ogni stato membro sembra fare storia a sé. La Germania è considerata Paese solido, con un rischio di insolvenza molto basso. L’Italia invece no, inaffidabile e con un rischio elevato di non riuscire a rimborsare i prestatori di denaro, cioè chi ha acquistato i BTP.

Entrano in gioco anche le attese su inflazione, debito pubblico, PIL. La misura di questa differenza è lo spread, che viaggia ora intorno a 135/145; dipende ovviamente dal momento in cui lo guardate perché varia in continuo. È espresso in punti base, quindi se volete un dato in percentuale basta dividere 1,35%-1,45% di differenza tra il rendimento di un titolo di stato tedesco e uno italiano.

Domani parleremo di mercati primari e secondari e di molto altro.

dott. Marco Degiorgis – Consulente patrimoniale e finanziario indipendente, Studio Degiorgis

Il terrorismo non frena le vacanze

Anche se i dati che arrivano dalle agenzie di viaggi dicono l’opposto, pare che gli italiani per queste vacanze non si stiano facendo influenzare dalla minaccia del terrorismo nella scelta delle loro mete. Almeno da quanto traspare online.

Secondo i risultati di una ricerca svolta da Reputation Manager, principale istituto italiano nell’analisi e misurazione della reputazione online dei brand e delle figure di rilievo pubblico, il terrorismo ha avuto un impatto meno negativo di quanto ci si potrebbe aspettare sul turismo online.

Dalla ricerca emerge che ben il 48% dei contenuti analizzati sul web negli ultimi sei mesi riguardanti le destinazioni sensibili ha un sentiment positivo, mentre solo il 46% negativo. Reputation Manager ha analizzato le conversazioni online dei viaggiatori relativi alle mete che sono state teatro di attacchi di terrorismo negli ultimi sei mesi, e in generale i contenuti presenti sui diversi canali online come articoli e news.

Nello specifico i dati evidenziano che i viaggiatori, che si scambiano commenti e recensioni sui forum di viaggio, sembrano non essere spaventati in maniera eccessiva dal terrorismo, anzi dimostrano una sorta di fatalismo, dettato dall’imprevedibilità e dalla frequenza degli attentati, che non limita la decisione di partire anche verso mete che sono state teatro di attentati recentemente, come la Francia e la Germania, o che hanno un quadro politico instabile come la Turchia.

Infatti ben il 60% delle conversazioni all’interno dei forum ha un sentiment positivo, il 30% negativo, spaventato, e il rimanente 10% neutrale. Al contrario sui siti di news le percentuali si capovolgono: il 66% è negativo e il 34% positivo.

Dall’analisi di Reputation Manager si evince che, mentre i media rilanciano a getto continuo news e aggiornamenti sugli attentati, creando una sorta di allarmismo e panico diffuso, i turisti abituati a viaggiare si dimostrano sì intimoriti rispetto a questi accadimenti, ma non scoraggiati nel partire verso le destinazioni delle vacanze prenotate, magari, mesi fa, senza dare eccessivo peso al terrorismo.

La tendenza trova conferma anche sulle pagine Facebook ufficiali delle principali compagnie aeree: solo nello 0,1% dei casi, i commenti degli utenti riportano parole come terrorismo, o riferibili agli attentati. Anche su Twitter la tendenza appare la medesima: solo nell’1,5% dei tweet analizzati che menzionano le principali compagnie aeree, compare la parola “terrorismo”.

Continua il calo dei prezzi del mercato immobiliare

Prosegue il calo dei prezzi del mercato immobiliare residenziale italiano e, secondo l’Osservatorio condotto dall’Ufficio Studi di Immobiliare.it, nel primo semestre 2016 la riduzione è stata pari al 2,1%.

Si conferma quindi la tendenza del mercato immobiliare residenziale evidenziata nelle rilevazioni precedenti che avevano fatto registrare, per il 2015 un -5,1% sui dodici mesi, diventato poi -2,9% nel secondo semestre dello scorso anno.

A giugno 2016, il prezzo medio di un immobile italiano è stato pari a 1.964 euro al metro quadrato, anche se con oscillazioni importanti da Nord a Sud; al Nord il costo evidenziato dall’Osservatorio sul mercato residenziale italiano messo a punto dall’Ufficio Studi di Immobiliare.it è pari a 1.969 euro al metro quadro che diventano 1.652 euro al Sud e 2.381 euro al metro quadro al Centro.

Importante anche la differenza in termini assoluti fra grandi e piccoli centri: nelle località con oltre 250mila abitanti, il costo medio al metro quadro è pari a 2.610 euro; 1.721 euro per ciascun metro quadrato nei comuni con meno di 250mila residenti.

Le differenze sul mercato immobiliare, però, diventano minime se si analizzano i valori, e le relative variazioni, in termini percentuali; tanto al Nord quanto al Sud Italia i prezzi si sono ridotti del 2% su base annua e, rispettivamente, dello 0,7% e dello 0,6% da marzo a giugno 2016. Al Centro le diminuzioni di costo sono state pari al 2,5% nei dodici mesi e allo 0,5% nell’ultimo trimestre.

La situazione varia poco anche se l’analisi viene fatta considerando come parametro la dimensione della città; nell’anno i prezzi si sono ridotti dell’1,9% nei grandi centri, del 2,2% in quelli più piccoli.

Nessuna sorpresa, secondo Guido Lodigiani, Direttore Corporate e Ufficio Studi di Immobiliare.it: “Come avevamo previsto, dopo anni di forte crisi il mercato immobiliare italiano tende nuovamente alla stabilità e questo non può che essere un bene anche per gli investitori che, infatti, ritornano a guardare con interesse al nostro Paese”.

Chi pensa alla mia casa quando sono in vacanza?

A molti di noi è capitato, è quasi matematico: alcuni dei disastri peggiori in casa avvengono quando siamo in vacanza. Anche perché, una volta in vacanza tendiamo ad “abbassare la guardia” e non ci premuriamo di prendere contromisure ai pericoli.

Lo conferma anche un’indagine di Aviva, assicurazione tra i leader in Europa, e dell’istituto di ricerca Lorien Consulting sull’approccio degli italiani alla gestione della propria abitazione in occasione dei periodi di vacanza. L’analisi, focalizzata su emozioni e abitudini – con un particolare focus su strumenti di prevenzione e pratiche di sicurezza -, ha coinvolto oltre 1.500 italiani tra i 30 e i 74 anni, in 9 regioni (Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Puglia, Sicilia, Sardegna).

Dall’analisi emerge che, in vista della vacanza, il 19% degli italiani si dice in ansia all’idea che possa succedere qualcosa alla propria abitazione mentre è via. Il 44%, invece, se ne preoccupa ma non ci pensa più una volta partito, soprattutto le donne. Gli uomini in vacanza sono invece meno angosciati, con il 42% di loro che non si preoccupa affatto. Quasi 1 italiano su 3, inoltre, dichiara di non essere organizzato per prevenire problemi, con punte del 38% tra chi vive in affitto.

A impensierire gli italiani in vacanza sono principalmente i furti e i danni conseguenti all’intrusione (60%), più degli incidenti domestici (55%) e delle conseguenze di eventi atmosferici avversi (49%). Le donne sono di gran lunga più preoccupate degli uomini, con valori fino anche a dieci punti percentuali più alti.

Chiudere il rubinetto generale del gas (78%) e quello dell’acqua (69%) sono pratiche abbastanza diffuse, ma meno di 1 italiano su 2 stacca tutte le forniture e le prese degli elettrodomestici (43%) quando va in vacanza. Quelli che staccano completamente l’energia elettrica sono meno del 30%.

Quasi tutti buttano la spazzatura (82%) ma, a fronte del 26% che prima di partire “lascia la casa come un gioiello”, un italiano su 2 non svuota il freezer e non lava i panni sporchi. I meno appassionati alla lavatrice sono gli uomini, poiché solo il 43% lava tutto prima di partire. C’è anche una piccola percentuale (3%) – uomini e donne grossomodo in egual misura – che lascia la casa così come è.

La prevenzione, quando si è in vacanza, si basa principalmente sul “fai da te”. Lasciare le chiavi a persone fidate perché passino a controllare è la strategia di prevenzione più diffusa (46%). Un italiano su 4 chiede ad amici o parenti di passare sistematicamente ad accendere la luce e aprire le persiane, così che non ci si accorga che non c’è nessuno a casa. L’8% si affida al portiere.

Circa il 44% ricorre a sistemi d’allarme mentre solo 3 italiani su 10 circa si affidano all’assicurazione come strumento di tutela in vacanza: in particolare, il 27% conta su una copertura sulla casa “tradizionale”, mentre una percentuale minima sceglie una soluzione assicurativa dotata di sensori antiintrusione e per la rilevazione di fumo/allagamenti (4%).

Qualora capitasse qualcosa alla propria abitazione mentre si è in vacanza, l’85% potrebbe contare sui vicini; il 25% è addirittura certo che inizierebbero a darsi da fare per sistemare le cose. C’è anche chi “sentendosi spiato” tutto l’anno, sa che verrebbe informato in tempo reale (4%).

È comunque alta la percentuale di quanti considererebbero la vacanza rovinata: solo il 7% non interromperebbe le ferie per rientrare. E il 6% afferma di aver già vissuto esperienze negative che hanno portato a concludere le ferie in anticipo, principalmente a seguito di furti (44%) o di danni conseguenti l’intrusione (27%).

Italia in deflazione? Ormai è certo

Deflazione è una parola che in pochi vogliono sentire ma che, nei fatti, è il presente dell’Italia. Lo confermano dati relativi ai prezzi al consumo, calati dello 0,2% nel rimo semestre 2016. Secondo un’analisi dell’Ufficio Studi della Cgia, la prospettiva per l’Italia è quella della prima deflazione dal 1959, con la variazione dei prezzi negativa. Con la differenza, ricorda la Cgia, che nel 1959 il Pil italiano era al +7%, mentre oggi si ragione in termini di zerovirgola.

L’Ufficio Studi della Cgia ha analizzato l’andamento dei prezzi su 200 voci di prodotto e ha registrato deflazione in 68 casi. Particolarmente significativa la situazione dei prodotti alimentari, quasi una trentina con il segno meno: pomodori (-7,2%), insalata (-2,4%), zucchero (-2,4%), gelati (-2,0%), pesche/nettarine (-1,8%), cereali per colazione (-1,6%), arance (-1,4%), farina/altri cereali (-1,2%), banane (-1,2%), yogurt (-1,2 %).

La deflazione registrata in comparti come l’hi-tech (computer fisso -12,7 %) e i prodotti energetici (gasolio auto -12,5% e benzina -7,6%) è stata invece generata da fattori contingenti: il progresso tecnologico nel primo caso, il prezzo del petrolio al di sotto dei 50 dollari al barile per tutto il primo semestre del 2016 nel secondo.

L’altra faccia della medaglia deflazione sono i rincari, che hanno colpito diversi settori: i servizi postali (+9,8%), i palmari/tablet (8,2 %) e alcuni alimentari come patate +8,2%, olio d’oliva +5,3%, mele +3,2% e pere +3,1 %.

Secondo il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo, sono chiari i motivi di questa deflazione: “Il fatto che tanti prodotti alimentari abbiano subito un forte deprezzamento è indice delle difficoltà in cui versano le famiglie italiane. Nonostante i consumi abbiano registrato una leggera ripresa, rimangono molto lontani dai livelli raggiunti prima della crisi. Dal 2007 ad oggi, infatti, sono diminuiti di circa 6 punti percentuali. Nonostante il rafforzamento del Quantitative Easing da parte della Banca Centrale Europea, la domanda è ancora fiacca e questo influisce sul livello dei prezzi che continuano a scendere, riducendo in misura preoccupante i margini di guadagno delle imprese”.

Le offerte di lavoro? Pullulano d’estate

Che l’estate sia una stagione buona per trovare un lavoro, anche se magari non stabile, è cosa piuttosto nota. La conferma, ora, arriva anche dai dati del mercato che, in questo caso, sono stati elaborati da InfoJobs, nota piattaforma di reclutamento online in Italia.

Secondo i numeri di InfoJobs, nel corso del mese di maggio 2016 sono state pubblicate 4.640 offerte di lavoro legate alle professioni estive, in crescita del 21% rispetto allo stesso mese del 2015, arrivando a una quota dell’11% del totale degli annunci sul portale. Un dato che conferma il trend già osservato nel 2015, quando il numero delle offerte di lavoro nel settore aveva già più che raddoppiato quello dello stesso periodo del 2014.

Analizzando i profili richiesti, i dati InfoJobs mostrano come tra i lavori estivi più ricercati, ci siano i Promoter/Hostess/Steward, che, nonostante un calo del 20,1% rispetto al mese di maggio 2015, costituiscono il 17% del totale. Seguono i Baristi/Camerieri, in crescita del 9,9% rispetto al 2015 con una quota dell’8,3% delle offerte di lavoro del settore. La classifica vede poi due professioni in netta crescita rispetto al 2015: il Cuoco (+23,7%) e il Consulente/Agente di viaggio/Tour Operator (+13,8%), che rappresentano rispettivamente l’8,2% e l’1,4% degli annunci.

A livello regionale, nello scorso mese di maggio il numero maggiore di offerte di lavoro per le professioni estive si è registrato in Lombardia (più di 1.200), seguita da Emilia Romagna e Lazio (entrambe con più di 600 offerte). Il confronto tra maggio 2016 e lo stesso mese del 2015 evidenzia invece come gli annunci siano più che raddoppiati in Liguria (+170%), Puglia (+165%) e Sicilia (+118%).

E, se spesso capita che le offerte di lavoro siano indirizzate verso profili non particolarmente elevati, al contrario il livello di istruzione richiesto risulta essere medio-alto: circa la metà degli annunci è dedicato a candidati in possesso della laurea breve (+40% rispetto a maggio 2015), mentre poco meno di 2mila sono indirizzati ai diplomati (+18% rispetto allo scorso anno). In aumento del 5% anche le richieste di Lauree specialistiche.

A conferma del fatto che le offerte di lavoro estive sono quasi sempre destinate a lavori che si esauriscono con la fine della bella stagione, dalle rilevazioni di InfoJobs risulta che il tipo di contratto più richiesto è quello di stage: a maggio 2016, questa tipologia di annunci ha rappresentato più della metà del totale delle offerte, in aumento del 41% rispetto allo stesso mese del 2015. In lieve aumento (+3%) risultano anche i contratti a tempo determinato, mentre sono in decisa diminuzione i contratti a partita Iva (-45%).

Se per le offerte di stage non viene richiesta una particolare esperienza, per le altre formule contrattuali si è registrata una significativa crescita degli annunci rivolti a candidati con almeno 4 anni di collaborazione alle spalle (+33%) e con oltre 5 anni (+17%) rispetto a maggio 2015.

Smartphone? Un pericolo per le flotte aziendali

Stare al volante guardando lo smartphone è una delle abitudini di guida più pericolose anche nell’ambito delle flotte aziendali. Un aspetto che, in realtà, è noto a pochi ma che è emerso in tutta la sua preoccupante attualità dallo studio “La sicurezza nelle flotte aziendali”, promosso dall’Osservatorio Top Thousand.

Lo studio, che ha preso in esame flotte aziendali campione per un totale di oltre 31mila veicoli su parchi auto di grandi dimensioni, ha messo in luce come questa cattiva abitudine da parte di chi guida veicoli aziendali sia per le imprese una fonte di costi economici ma anche sociali. Basti sottolineare come, secondo i dati Aniasa (Associazione Nazionale Industria dell’Autonoleggio e Servizi Automobilistici), nel solo ambito del noleggio a lungo termine, di flotte aziendali e non, vi siano quasi 450mila incidenti all’anno, per un danno totale di 285 milioni di euro.

Buona parte dei fleet manager intervistati per lo studio (il 34%) considera l’abitudine più pericolosa quella di utilizzare lo smartphone alla guida per chiamare (senza auricolare o viva voce), inviare mail messaggi e aggiornare i social network. Una minaccia per le flotte aziendali, che doppia altri comportamenti ritenuti rischiosi come la distrazione o l’alta velocità (19%). Minacciano poi l’integrità delle flotte aziendali anche il rischio dei colpi di sonno (9%), l’eccesso di confidenza alla guida (8%) e la stanchezza dei guidatori (6%).

Quali sono, quindi, per i fleet manager, le soluzioni principali per rispondere a un sempre crescente bisogno di sicurezza? Secondo oltre il 30% degli intervistati vincono il bluetooth e i sistemi integrati di comunicazione, seguiti da airbag aggiuntivi (17%), ABS (15%), sistemi di frenata intelligente/Lane Assist (9%) e altri strumenti collaterali.

Tutte queste soluzioni e questi accorgimenti vengono poi messi in atto dai fleet manager per abbattere la percentuale di comportamenti rischiosi e preservare l’incolumità dei guidatori e l’integrità delle flotte aziendali? Secondo lo studio, il 33% delle flotte aziendali considera fondamentale investire sulla formazione e sui corsi di guida, il 15% mira a dotare tutte le auto di bluetooth e un altro 15% sostiene di avere nelle proprie flotte aziendali veicoli di ultima generazione, dotati dei device necessari a garantire la sicurezza.

Sul fronte di eventuali azioni per punire i dipendenti poco virtuosi, il 7% delle aziende ricorre a penalità e provvedimenti disciplinari, un altro 7% monitora le multe e il 4% sanziona un eccessivo consumo di carburante (4%). L’obiettivo è però sempre lo stesso: preservare le flotte aziendali ed educare chi se ne serve.

Il Tar blocca gli aumenti di luce e gas, l’Authority non ci sta. Ira del Codacons

Esultano le associazioni dei consumatori. Il Tar della Lombardia ha infatti sospeso gli aumenti delle tariffe di luce e gas scattati dallo scorso 1 luglio, accogliendo il ricorso del Codacons che adesso chiama “i 30 milioni di utenti italiani dell’energia ad aderire alla class action avviata“.

Per opporsi agli aumenti, il Codacons sostiene infatti che “se le tariffe energetiche sono aumentate per effetto di condotte illecite adottate da speculatori professionisti, e non certo per il normale andamento del mercato, l’Autorità dell’energia avrebbe dovuto sospendere qualsiasi incremento dei prezzi“.

Invece, è arrivato il via libera agli aumenti e l’Autorità, secondo il Codacons, “si è limitata ad avviare un procedimento intimando la cessazione immediata delle condotte anomale ancora in corso e prevedendo ‘l’eventuale adozione di altre misure regolatorie’, ma ha deciso di nascondere ai cittadini l’elenco dei grossisti accusati di condotte illecite, omettendo volutamente di rendere pubblico l’elenco degli operatori coinvolti“.

A sua volta l’Autorità ha chiesto la revoca del decreto del Tar che blocca gli aumenti, provocando la reazione incredula del Codacons, che in una nota rincara la dose: “Nonostante i nostri sforzi, facciamo fatica a credere che l’Autorità per l’energia possa davvero chiedere la revoca del decreto del Tar della Lombardia che sospende gli aumenti di luce e gas, e se ciò dovesse avvenire sarebbe un provvedimento vergognoso contro il quale daremo battaglia in tribunale”.

Con l’annunciata istanza di revoca, l’Autorità insiste su un provvedimento illecito basato su crimini, e sembra voler a tutti gli effetti scaricare sugli utenti dell’energia i costi derivanti dalle speculazioni dei grossisti. È intollerabile che un organismo indipendente come l’Authority possa sostenere la correttezza di aumenti tariffari scaturiti da atti illegali, imponendo ai cittadini i costi di crimini e speculazioni. Siamo esterrefatti e pertanto daremo battaglia in tribunale contro l’Autorità e contro gli autori delle speculazioni che danneggiano gli utenti dell’energia”, conclude il Codacons.