Direttiva case green: ecco chi dovrà ristrutturare casa nei prossimi anni

I cambiamenti climatici sono diventati una vera emergenza e la prima causa è l’inquinamento. Secondo le stime dell’Unione Europea un terzo delle emissioni inquinanti deriva dagli immobili e il 75% degli edifici è poco efficiente. Proprio per questo è in arrivo la direttiva case green dell’Unione Europea che prevede diverse tappe entro le quali si dovrà arrivare alle emissioni zero. Ecco cosa prevede la normativa.

Case green: ristrutturazione entro il 2030 per il 60% degli edifici

La nuova direttiva dell’Unione Europea sulle case green dovrebbe essere approvata il 24 gennaio 2023 dalla Commissione Energia, in seguito dovrebbe essere l’approvazione definitiva del Parlamento nel mese di marzo 2023. In base alle bozze circolanti dovrebbe prevedere un’importante stretta sulle case inquinanti che dovranno essere man mano eliminate anche attraverso lavori volti all’efficientamento energetico.

La direttiva prevede diversi obiettivi, in primo luogo entro il 2030 tutti gli edifici dovranno essere almeno in classe energetica E, hanno tali caratteristiche edifici costruiti dagli anno 80-90 in poi. Oggi in Italia il 60% degli edifici è in realtà in una classe energetica inferiore rispetto alla E, di conseguenza sarà necessario effettuare degli interventi che possano riequilibrare. Proprio per questo motivo molti sottolineano che se la direttiva UE sulle case green dovesse essere confermata, saranno necessari molti interventi di ristrutturazione che possano prevedere un cappotto termico interno o esterno, la sostituzione dei vecchi infissi, l’installazione di pannelli fotovoltaici o comunque altri interventi in grado di migliorare le prestazioni energetiche.

Questo non è l’unico obiettivo, infatti entro il 2033 si dovrà invece arrivare a edifici tutti in categoria almeno D, il consiglio quindi è effettuare direttamente lavori che possano portare a tale classe energetica.

Sanzioni previste

In base al piano attualmente in approvazione entro il 2040 o 2050 sarà necessario arrivare ad emissioni zero, un obiettivo davvero molto importante e non semplice da realizzare. Naturalmente i nuovi edifici dovranno essere già costruiti con criteri green.

Dalla bozza della direttiva sono state eliminate le sanzioni inizialmente previste in caso di mancato adeguamento, tra cui l’impossibilità di concedere l’immobile in locazione o effettuare compravendite, ma questo non vuol dire che non saranno applicate, infatti spetterà agli Stati Membri curare l’esecuzione della direttiva anche attraverso delle sanzioni volte a “punire” i proprietari di immobili residenziali che non dovessero adeguarsi alla direttiva.

Occorre sottolineare che l’effetto immediato dell’entrata in vigore della direttiva green sugli edifici a uso residenziale sarà la riduzione del valore degli immobili che non rispettano i requisiti.

Immobili esonerati dall’obbligo

Sono esonerati dall’applicazione della disposizione:

  • gli immobili di interesse storico, nella versione iniziale della bozza non era prevista questa possibilità, ma questo avrebbe messo in difficoltà soprattutto l’Italia in quanto ha un parco di edifici storici ampio e quindi si presentava il rischio di deturpare il panorama o comunque rovinare siti di interesse storico archeologico con l’uso di pannelli fotovoltaici oppure con coibentazioni. Tale esenzione riguarderà soltanto gli edifici il cui interesse storico è stato dichiarato, cioè dove è presente un vincolo;
  • Saranno inoltre esentate chiese ed edifici di culto, in questo caso senza particolari limitazioni o requisiti;
  • potranno essere esentate le seconde case a patto che siano abitate per meno di 4 mesi l’anno, ad esempio la casa in montagna o al mare;
  • L’ultima esenzione spetta alle case indipendenti di dimensioni inferiori a 50 metri quadri.

Ricordiamo che, anche se in misura limitata, è possibile ancora sfruttare il Superbonus al 90% per il recupero di due classi energetiche.

Torna l’ora solare, ma quanto si risparmierebbe restando con l’ora legale?

Nella notte tra sabato e domenica torna l’ora solare e le lancette degli orologi dovranno essere spostate indietro di un’ora. Questo vuol dire un’ora in meno di luce perché la sera sarà buio prima. Quanto impatterà il ritorno dell’ora solare sulle tasche degli italiani soprattutto ora che i costi dei kW sono alle stelle?

Ora legale e risparmio energetico in Europa

Il passaggio dall’ora legale all’ora solare ci sarà nella notte tra il 29 ottobre e il 30 ottobre, sarà necessario spostare l’orologio indietro di un’ora. Questo vuol dire che sarà possibile godersi un’ora in più nel letto al mattino, ma di fatto la sera sarà buio molto prima e di conseguenza si avrà la necessità di accendere la luce. Fortunatamente il cambio orario ci sarà in un periodo festivo in cui gli italiani avranno l’opportunità di abituarsi al nuovo orario senza troppi traumi, ma di fatto questa scelta peserà sulla bolletta energetica.

L’ora legale infatti entra nella nostra quotidianità proprio per risparmiare energia. In passato il passaggio dall’ora legale a quella solare avveniva l’ultima domenica di settembre, ci fu quindi il posticipo proprio per aumentare i benefici sui consumi energetici.

Nel frattempo il Parlamento europeo ha deciso di lasciare agli Stati Membri la libertà di decidere quale orario applicare e rimuovere l’obbligatorietà dell’alternanza. Inoltre, entro la fine del 2021 i Paesi avrebbero dovuto scegliere quale orario applicare durante tutto l’arco dell’anno, di fatto però questa scelta non è stata fatta da nessuno e l’alternanza continua ad esservi.

Quanto si risparmia con l’ora solare?

I dati disponibili derivano da uno studio di Terna. Da questo emerge che l’Italia nei sette mesi in cui è stata in vigore l’ora legale ha risparmiato 420 milioni di chilowattora corrispondenti, visti i prezzi di mercato attuali, ben 190 milioni di euro.

Secondo i dati del Centro Studi di Conflavoro Pmi basati sui consumi del 2021 resi disponibili da Terna, se l’Italia mantenesse l’ora legale per tutto il 2023, i risparmi potrebbero arrivare a 2,7 miliardi di euro.

Leggi anche: Caro energia: l’Antitrust su 4 società per comportamento ingannevole

Agenda verde: stop auto benzina e diesel e caricabatteria universale

Il programma FitFor55 dell’Unione Europea punta a ridurre del 55% le emissioni inquinanti di CO2, ma naturalmente per raggiungere questo obiettivo è necessario un impegno costante e l’Unione Europea sta andando in questa direzione. Il Parlamento Europeo infatti ha compiuto un ulteriore passo verso la realizzazione dell’agenda verde con l’approvazione dello stop alla produzione di auto a benzina e diesel e l’introduzione del caricabatterie universale.

Agenda verde: stop alla produzione e vendita di auto diesel e benzina dal 2035

FitFor55 è il programma dell’Unione Europea che si propone di ridurre le emissioni inquinanti del 55% entro il 2030, per raggiungere il traguardo sono state adottate diverse misure come la crescita dell’uso delle energie rinnovabili. Tra le misure che però andranno a impattare di più sui cittadini c’è l’intenzione di vietare la produzione e vendita di auto diesel e benzina dal 2035. Questo non vuol dire che da tale momento non potranno più circolare veicoli di questo tipo, infatti coloro che già li hanno comunque potranno continuare il loro percorso. Si andrà quindi verso una dismissione graduale che però dovrebbe impattare molto sui livelli di inquinamento.

Questa proposta sta naturalmente seguendo tutto l’iter previsto dalle normative dell’Unione Europea. Il primo via libera era arrivato dalla Commissione Ambiente del Parlamento Europeo. Ieri, 8 giugno 2022, invece c’è stato il secondo passo importante, infatti l’emendamento ha ottenuto il voto favorevole del Parlamento Europeo con 339 voti a favore, 249 contrari e 24 astenuti. Il provvedimento contiene però il “salva Ferrari” che consente delle deroghe per i produttori di auto di nicchia come Ferrari e Lamborghini. La deroga sarà in vigore fino al 2036 e consentirà ai produttori di piccole dimensioni ( da 1.000 auto a 10.000 auto l’anno) di continuare la loro produzione. La deroga è prevista anche per i piccoli produttori di furgoni ( da 1.000 a 22.000 pezzi).

Perplessità sul divieto di produzione e vendita di auto diesel e benzina da parte dell’Italia

Occorre sottolineare che, passata la fase di approvazione della normativa, si aprirà un’ulteriore fase di negoziazione a cui parteciperanno anche i Paesi Membri dell’Unione Europea che potranno quindi presentare le loro ragioni e chiedere “aggiustamenti”.

All’interno della compagine politica italiana sembra che l’unico partito a sostenere questa norma sia il Pd, mentre perplessità sono state espresse dal ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti, preoccupato soprattutto della ricaduta di queste norme sul settore automotive italiano, mentre Salvini ha parlato di un regalo alla Cina che effettivamente sulla produzione di auto elettriche è tecnologicamente avanti.

Nell’agenda verde approvato l’obbligo di caricabatteria universale

L’agenda verde ieri ha anche segnato un altro passo, infatti le istituzioni europee hanno raggiunto l’accordo per il caricabatterie universale che dovrebbe essere obbligatorio dal 2024. Per il consumatore questo vuol dire poter utilizzare un solo caricabatterie per tutti i dispositivi di cui è in possesso, ad esempio smartphone, tablet. Inoltre al cambio dello smartphone o di altro dispositivo non dovrà nuovamente comprare anche il caricabatterie perché potrà continuare a usare quello già in suo possesso. L’obiettivo è ridurre i rifiuti tecnologici, ma anche consentire ai consumatori di risparmiare infatti il caricabatterie non sarà incluso nelle confezioni di tutti i dispositivi, potrà essere acquistato separatamente quando ve ne sarà bisogno. Naturalmente non mancano perplessità da parte dei costruttori, di queste avevamo già parlato nell’articolo: Unione Europea: arriva la proposta di legge per il caricabatteria universale.

2035: arriva svolta ecologica con stop alla vendita di auto diesel e benzina

Stop alla vendita di  auto diesel e a benzina dal 2035. E’ arrivato il primo via libera da parte del Parlamento Europeo.

Le politiche green dell’Europa con divieto vendita auto diesel e benzina

Ridurre le emissioni inquinanti è uno degli obiettivi che ci attendono nei prossimi anni, l’impegno non è più procrastinabile e proprio per questo c’è un impegno stringente e pungente nell’adottare politiche green. Tra queste vi è la riduzione di emissioni inquinanti derivanti dalla circolazione dei veicoli su strada. Di conseguenza, oltre ad avere un piano di incentivi volti a sostituire il parco auto con veicoli di nuova generazione ibridi ed elettrici, c’è anche la proposta di vietare la vendita di auto diesel e  benzina. Il primo passo arriva dalla commissione Ambiente del Parlamento europeo che ha approvato a ristretta maggioranza (46 voti favorevoli, 40 contrari e due astenuti) la sola vendita di veicoli ad emissioni di CO2 pari a zero dal 2035.

Quali sono i passi successivi per stop alla vendita di auto diesel e benzina?

I passi successivi sono il voto da parte dell’assemblea plenaria, cioè del Parlamento europeo al completo, previsto nel mese di giugno. In tale sede sarà vagliato il pacchetto ‘Fit for 55‘. Si tratta di un complesso di norme che prevede il taglio delle emissioni inquinanti del 55% entro il 2030. Sono quindi misure impegnative da attuare presto perché in fondo il 2030 non è poi così lontano.

I provvedimenti, se dovessero passare al voto dell’assemblea plenaria, dovrebbero poi superare la successiva fase, cioè i negoziati con il Consiglio Europeo. Questi saranno volti soprattutto a studiare degli aiuti e finanziamernti per consentire a tutta l’Unione Europea di attuare questo passaggio.

Nel pacchetto approvato in Commissione vi sono anche finanziamenti mirati volti a favorire la transizione verso l’elettrico nel settore automobilistico.

Il piano dell’Italia

In realtà l’Italia aveva già provveduto a stilare una mappa volta ad eliminare dal parco auto quelle a benzina e diesel, il programma previsto dall’Italia indica il 2035 come data dalla quale non si potranno più produrre auto alimentate a benzina, diesel e metano. Dal 2040 invece era previsto lo stop alla produzione di furgoni e veicoli commerciali leggeri.

Ora legale: al via dal 27 marzo 2022 con benefici per tasche e ambiente

Nella notte tra il 26 e il 27 marzo 2022 si ritorna all’ora legale che sarà in vigore fino al 30 ottobre 2022, si dormirà un’ora in meno, ma in compenso di potrà risparmiare sulla bolletta energetica e di questi tempi non è davvero una cattiva notizia. Tutti pronti quindi a spostare le lancette degli orologi un’ora avanti, mentre computer, smartphone e altri device faranno tutto in automatico, sempre che nelle impostazioni sia stata scelta tale opzione.

I vantaggi economici dell’ora legale: perché è bene non abolirla

Svegliarsi un’ora prima per molti italiani è una vera tortura, ma passati i primi giorni di adattamento si scopre che i vantaggi sono sicuramente superiori rispetto agli svantaggi. L’ora legale viene denominata così perché è stata introdotta con legge. Si tratta di una soluzione “artificiale” rispetto all’ora solare e consente di avere un’ora di luce in più la sera e quindi di risparmiare energia. Secondo le stime effettuate da Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale, l’Italia in questi mesi risparmierà 420 milioni di Kw. Questo implica un risparmio per le famiglie e le aziende di circa 190 milioni di euro.

Secondo le stime fatte, i mesi in cui si potrà risparmiare più energia saranno aprile e ottobre, infatti negli altri mesi, le ore di luce naturale sono comunque maggiori e di conseguenza il risparmio effettivo che si può ottenere è inferiore. Il risparmio è dovuto al fatto che le aziende che sono in piena attività durante il giorno, con il ripristino dell’ora legale potranno rimandare l’orario in cui saranno accese le luci, arrivando anche al punto di non accenderle. Lo stesso vale anche per le attività commerciali che possono sfruttare a pieno il vantaggio economico dell’ora legale.

Terna è andata oltre e ha stimato i risparmi maturati dal 2004 al 2021 e in complesso le famiglie e le aziende hanno risparmiato oltre 1,8 miliardi di euro. Il risparmio previsto per il 2022 è stato calcolato anche tenendo in considerazione il costo attuale di un Kw che come sappiamo è piuttosto alto.  I  420 milioni di Kw corrispondono al consumo energetico annuo di circa 150.000 famiglie.

L’ora legale abbassa l’impatto ambientale dei consumi energetici

Proprio in forza di tale risparmio derivante dall’ora legale, c’è la proposta di mantenere la stessa per tutto l’arco dell’anno. A sostenere tale tesi sono molte associazioni, tra cui la SIMA, Società Italiana di Medicina Ambientale. L’ora legale oltre a comportare un risparmio economico notevole, porta anche a un impatto ambientale ridotto dovuto proprio al fatto che produrre energia provoca inquinamento a causa della combustione di fossili necessaria per produrre energia.

Secondo il Presidente della SIMA, Alessandro Miani, nel solo 2022 con l’adozione dell’ora legale è possibile ridurre le emissioni di CO2 di 200 mila tonnellate, pari al beneficio che si potrebbe ottenere piantando 2 milioni di alberi. Considerando che l’inquinamento peggiora la salute delle persone, adottando l’ora legale per tutto l’anno si riducono anche i danni alla salute.  Attualmente una riduzione dei consumi energetici vuol dire anche ridurre la dipendenza dell’Italia da Paesi come la Russia, uno degli obiettivi dichiarati dal Governo.

L’Unione Europea approva la Risoluzione per l’abolizione dell’ora legale

Il Parlamento Europeo negli anni passati ha approvato una Risoluzione legislativa per l’abolizione dell’ora legale. La Risoluzione ha ottenuto l’approvazione con una maggioranza piuttosto importante, 410 voti a favore, 192 contrari e 51 astensioni. A premere per questa adozione sono stati soprattutto i Paesi del Nord Europa che, a causa della esposizione ridotta alla luce solare, non hanno mai beneficiato molto in termini economici dell’introduzione dell’ora legale. Questa doveva entrare in vigore già dal 2019, l’applicazione slittò al 2021. Successivamente i Paesi ebbero la possibilità di scegliere quale orario applicare.

L’Italia è uno dei pochi Paesi dell’Unione Europea ad aver ancora mantenuto l’ora legale e ha anche avanzato la proposta di poter mantenere il doppio sistema di ora solare e legale per 6 mesi l’anno. Ha ottenuto questa agevolazione proprio in virtù dei dati sui risparmi e sul benefico impatto ambientale degli orari alternati. Inoltre, studi scientifici hanno dimostrato che la maggiore luce dovuta all’ora legale ha effetti benefici anche sull’umore, infatti l’accorciarsi delle giornate nei mesi invernali contribuisce alla depressione.

Nuove regole per l’e-commerce

Nuove norme per l’e-commerce nella Ue, che dovranno dunque essere osservate dai 28 Stati Membri.
Si tratta di regole pensate per tutelare maggiormente i consumatori, in particolare dando maggiori garanzie nelle procedure di acquisto, e di conseguenza favorire il commercio elettronico.

Ma anche le imprese che operano online riceveranno benefici, a partire da un miglior funzionamento del mercato interno, ma anche su notevoli risparmi in termini di oneri amministrativi.

Alcune delle nuove norme riguardano il risarcimento rapido ai consumatori, in caso di acquisti non andati a buon fine.
Le nuove regole si applicano a tutta l’Europa e hanno stabilito un termine di 14 giorni per restituire la merce acquistata online, per telefono o per corrispondenza, nel caso in cui si cambi idea per qualsiasi ragione. Inoltre, se i rivenditori intendono addebitare ai clienti i costi della restituzione della merce in caso di ripensamento sono obbligati a specificarlo chiaramente e in anticipo.

Sarà in futuro vietato anche utilizzare le caselle preselezionate in caso di opzioni extra per l’acquisto, come capitava soprattutto per i biglietti aerei, le cui transazioni spesso implicavano l’involontario acquisto anche un’assicurazione per il viaggio.
Per le opzioni extra sarà obbligatorio lasciare la casella deselezionata di default, dando la possibilità al cliente di selezionarla in base alla propria volontà ed esigenza.

Il costo totale dei prodotti e servizi dovrà essere esposto chiaramente e non potranno essere addebitate sovrattasse o costi aggiuntivi se non chiaramente specificati prima dell’ordine.
Per quanto riguarda il pagamento con carte di credito dovrà essere stabilito un massimale per le sovrattasse e i commercianti non potranno addebitare ai consumatori più dei costi sostenuti da loro stessi per offrire tale sistema di pagamento.

Nel caso in cui il consumatore debba chiamare un numero a pagamento sarà vietata l’applicazione da parte degli operatori telefonici di tariffe superiori a quelle di base per le normali chiamate.

Vengono poi previste maggiori informazioni precontrattuali per i consumatori in tutti i tipi di contratto di consumo e in particolare nei contratti a distanza e negoziati al di fuori dei locali commerciali.
I potenziali clienti di un sito di e-Commerce avranno quindi a loro disposizione strumenti adatti per valutare l’acquisto e fare scelte consapevoli. Gli operatori, d’altro canto, potranno operare in maniera più trasparente e funzionale sia nel mercato interno che in quello transfrontaliero.

Vera MORETTI

Dal 2017, dichiarazione Iva uguale per tutti gli stati UE

La Commissione Europea ha lanciato la proposta, sicuramente allettante ed efficiente per quanto riguarda la semplificazione burocratica, di passare ad una dichiarazione sull’Iva standardizzata in tutta l’Unione Europea.
Questo passaggio, se avvenisse, permetterebbe infatti di agevolare la vita delle imprese, ma anche di rendere il Fisco più efficiente.

La Commissione Europea, nell’illustrare la proposta, ha anche dichiarato che con questa modalità le imprese vedrebbero i costi ridotti di quindici milioni di euro all’anno.
Ovvio che l’obiettivo primario è proprio quello di ridurre gli adempimenti burocratici per le imprese, soluzione che porterebbe, come prima conseguenza, quella di agevolare il rispetto degli obblighi fiscali e rendere più efficienti le amministrazioni fiscali in tutta l’Unione.
Questo mentre dall’Iva i paesi europei tutta assieme incassano oltre 190 miliardi di euro l’anno, un quinto, il 21%, delle entrate fiscali totali.

Il provvedimento, comunque, potrebbe entrare in vigore non prima del 2017, poichè la procedura richiede l’approvazione da parte del Consiglio degli Stati europei, senza un voto necessario anche del Parlamento Ue che ha un ruolo solo consultivo.

L’iniziativa fa parte di quelle stabilite dal recente programma Refit per semplificare le norme e ridurre gli oneri amministrativi.
La proposta prevede un insieme uniforme di requisiti per le imprese relativi alla compilazione delle dichiarazioni Iva, indipendentemente dallo Stato membro in cui vengono effettuate. La dichiarazione Iva standard, che sostituirà le dichiarazioni Iva nazionali, farà sì che alle imprese siano richieste le stesse informazioni di base entro le stesse scadenze in tutta l’Ue. Poiché le procedure semplificate risultano più facili da rispettare e da applicare, la proposta odierna dovrebbe anche contribuire a migliorare il rispetto della normativa Iva e, secondo la Commissione, aumentare le entrate pubbliche.

Algirdas Semeta, eurocommissario per la fiscalità, ha dichiarato a proposito: “La dichiarazione IVA standard presenta vantaggi per tutti. Le imprese potranno beneficiare di procedure più semplici, costi ridotti e meno burocrazia. I governi avranno a disposizione un nuovo strumento per facilitare il rispetto della normativa IVA, che dovrebbe aumentare il gettito fiscale. La proposta odierna sostiene quindi sia il nostro impegno per un mercato unico favorevole alle imprese sia la nostra volontà di migliorare il rispetto degli obblighi fiscali“.

Quando la normativa verrà attuata, richiederà la compilazione di 5 caselle, contro le 100 di alcuni Stati membri. Inoltre, le imprese saranno chiamate a presentare la dichiarazione Iva ogni mese, mentre le microimprese lavoreranno su base trimestrale.
L’obbligo di presentare una dichiarazione Iva annuale riepilogativa, che alcuni Stati membri attualmente impongono, sarà abolito.

Inoltre, la proposta incoraggia la presentazione elettronica dell’imposta sul valore aggiunto, che potrà essere in tutta l’Unione. L’Iva rappresenta circa il 21% delle entrate degli Stati membri e tuttavia circa 193 miliardi di euro non sono stati riscossi nel 2011.
La dichiarazione standard può migliorare il rispetto della normativa fiscale e così, afferma ancora la Commissione, dare un contributo importante al risanamento del bilancio in tutta l’Ue grazie all’aumento delle entrate pubbliche.

Vera MORETTI

In Sardegna senza Iva?

La Sardegna zona franca?
Potrebbe accadere dal prossimo 30 giugno, con l’entrata in vigore di un nuovo codice doganale.

Se ciò accadesse, la Sardegna, già regione a statuto speciale, diventerebbe anche la prima, almeno in Italia, senza Iva.
Questo cambiamento, la cui richiesta è stata inviata dal Governatore regionale Ugo Cappellacci direttamente a Josè Manuel Barroso, permetterebbe un maggiore sviluppo territoriale e finanziario.

Ecco il testo della richiesta: “Entro il termine perentorio del 24 giugno 2013, si comunica che la Regione Autonoma della Sardegna con delibera del 7 febbraio 2013 ha stabilito l’attivazione di un regime doganale di zona franca esteso a tutto il territorio regionale. Si chiede pertanto la modifica del regolamento prevedendo che tra i territori extra-doganali dell’Italia sia indicato anche il territorio della Sardegna isole minori comprese“.

I vantaggi di questo passaggio sono stati illustrati da Andrea Impera, presidente regionale Associazioni del commercio e artigianato: “L’istituzione della zona franca trasformerà la Sardegna nella nuova Svizzera, e permetterà il rifiorire dei piccoli commercianti e soprattutto dell’edilizia. Abbattere l’IVA ci consentirà di avere il carburante a costi bassissimi, di pagare pochissimo l’energia elettrica e di mettere in moto nuovamente tutto l’indotto legato al settore edilizio un indotto ormai morto da anni e che ha ridotto sul lastrico intere famiglie. La zona franca ci permetterà di costruire a bassissimo costo e quindi favorirà gli investimenti“.

Vera MORETTI

Firmato un trattato per favorire i professionisti in Europa

E’ stato siglato a Roma, presso la sede della Camera, un trattato per le professioni in Europa.

Si tratta di un vero protocollo interconfederale per la promozione dei professionisti europei e l’iniziativa, promossa da Confprofessioni, ha coinvolto quattro confederazioni interprofessionali, di Italia, Germania, Spagna e Romania, che raccolgono complessivamente 5 milioni di professionisti in Europa.

Questa nuova alleanza ha come finalità principale quella di rendere più incisivo il peso delle libere professioni presso le istituzioni politiche europee, ma anche di favorire nuove sinergie tra i liberi professionisti all’interno del Mercato unico.

Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni, ha dichiarato: “Oggi è un giorno importante per i professionisti europei. Abbiamo voluto aprire questo tavolo per rendere più forti i professionisti in seno al Parlamento e alla Commissione Ue, ma soprattutto questo protocollo vuole essere lo strumento principale per agevolare la mobilità e l’integrazione tra milioni di professionisti”.

All’incontro era presente anche Roberta Angelilli, vicepresidente del Parlamento europeo, che ha accolto con entusiasmo l’iniziativa: “Il prossimo maggio, il Parlamento dovrà votare in seduta plenaria la direttiva qualifiche che, con l’introduzione della carta professionale europea, mira ad agevolare la mobilità dei professionisti all’interno del Single Market. In questo ambito, gli studi professionali rappresentano un importante volano per rilanciare l’occupazione e rilanciare la competitività. Bisogna, però, garantire loro migliori condizioni di accesso al credito e abbattere le barriere burocratiche e far sì che anche le strutture di piccole e medie dimensioni possano accedere ai fondi comunitari”.

Ewelina Jelenkowska Lucà, Ufficio Stampa e Media Commissione Europea, ha infine commentato: “Abbiamo deciso di cambiare marcia in favore dei professionisti. Fino a oggi abbiamo visto politiche rivolte quasi esclusivamente alle imprese, ma nel tessuto economico e sociale europeo le libere professioni ricoprono un ruolo fondamentale per lo sviluppo e l’occupazione”.

Vera MORETTI

A Bruxelles importante incontro tra imprese femminili e Istituzioni Europee

Si è svolto un’importante convegno a Bruxelles, durato due giorni, che ha visto riunite le imprenditrici di Cna, Confartigianato e CONFESERCENTI e le Istituzioni Europee.
Gli incontri con i rappresentanti della Commissione Europea, del Comitato Economico e Sociale, del Parlamento Europeo e di UEAPME sono stati fondamentali per far emergere alcune tematiche cruciali.

Prima fra queste, la necessità di supportare l’imprenditoria femminile per uscire dalla durissima fase di recessione. E per farlo sono indispensabili programmazione e utilizzo più efficace delle risorse europee.
Un problema che pesa più sulle donne che non sugli uomini è sicuramente quello legato al credito.
Per affrontare, e cercare di risolvere, le problematiche legate alla loro professione, le tre Confederazioni, Cna Impresa Donna, Confartigianato donne di impresa e Confesercenti imprenditoria femminile, si sono impegnate a proseguire insieme l’azione sul fronte europeo per portare avanti iniziative concrete che possano rilanciare nella UE le tematiche di interesse specifico delle Pmi al femminile.

A questo proposito, è tornato alla ribalta la necessità di una rete di confronto frequente ed aggiornata con le Istituzioni Europee, da monitorare con appuntamenti a decorrenza annuale .

Vera MORETTI