Il Regime dei Minimi scelto da un terzo delle nuove partite Iva

Il Regime dei Minimi è stato scelto, nel 2012, da un terzo delle nuove partite Iva aperte da autonomi e da professionisti, decisi dunque ad utilizzare il regime fiscale agevolato per la loro attività.

Si tratta di un regime per contribuenti minimi che riserva un‘imposta del 5% e che sostituisce Irpef e addizionali regionali, anche se coloro che ne possono beneficare sono pochi.
In particolare, questa formula è rivolta a giovani e lavoratori che, avendo perso il lavoro, avviano un’attività in proprio.

I dati indicano i giovani come i maggiori utilizzatori del nuovo regime, tanto che il il 70% delle adesioni riguarda autonomi e professionisti con meno di 35 anni.

Buona parte dei nuovi minimi, un terzo del totale, riguarda il settore delle professioni seguito, a lunga distanza, dal commercio. Quanto alla distribuzione geografica, il 45,3% delle adesioni si è registrato al Nord, il 24,2% al Centro, il 30,5% al Sud e Isole.

Tra i “paletti” fissati c’è quello dell’età, poiché bisogna essere minori di 35 anni, e del fatturato, che non deve superare i 30mila euro all’anno.
Fra le nuove Partite IVA (+ 2,2% rispetto al 2011), spiccano le persone fisiche (+5,76% rispetto al 2012) mentre diminuiscono le nuove società di persone (-10,34%), società di capitali (-5,8%), non residenti (-2,87%), e altre forme giuridiche (-2,44%).

Le novità per il 2013, poi, arriveranno dalla Riforma del Lavoro, che ha ulteriormente irrigidito l’accesso a questo regime, pensando soprattutto alle partite Iva che mascherano rapporti di lavoro subordinato.

Vera MORETTI

Il decreto sviluppo è diventato legge

Il decreto sviluppo è legge: il 3 agosto, dunque, è stata data l’approvazione definitiva ed è stato ufficialmente pubblicato.

Sono state aggiunte modifiche alla Riforma Fornero sul lavoro e riguardano, in particolare un credito di imposta per le nuove assunzioni di profili altamente qualificati, pari al 35% della spesa fino a un massimo di 200 mila euro.
Vengono inoltre modificati i requisiti per le partite Iva, che saranno calcolati su due anni solari.

Importanti sono anche le agevolazioni fiscali, a favore soprattutto di professionisti ed imprese. In particolare, si tratta della possibilità di liquidare l’Iva per la cassa.
Per imprese e professionisti con volumi d’affari fino a 200 mila euro, ad esempio, il limite sale a 2 milioni di euro, e cambia anche la modalità: chi opta per tale sistema dovrà applicare il principio della cassa sia all’Iva a debito che all’Iva a credito e la scelta non influirà sul proprio cliente o fornitore che potrà detrarre l’Iva normalmente.
In questo modo, perde importanza l’indicazione sulla fattura dell’esigibilità differita dell’Iva.

L’Iva differita ha comunque una “scadenza annuale”: trascorso questo lasso di tempo l’Iva sia a debito che a credito dovrà concorrere alla liquidazione dell’imposta e diventare quindi definitiva. L’eccezione riguarderà il cliente assoggettato a procedure concorsuali o esecutive.

Le agevolazioni riguardano anche l’edilizia e il risparmio energetico, con un aumento dal 36% al 50% per i lavori di ristrutturazione edilizia i cui bonifici saranno eseguiti entro il 30 giugno 2013 con aumento del limite di 48.000 euro per immobile a 96.000 euro.
Per quanto riguarda la detrazione del 55% per il risparmio energetico, è stata prorogata, dal 31 dicembre 2012, fino al 30 giugno 2013.

Ad approfittare di questa proroga saranno soprattutto i soggetti Ires, mentre le persone fisiche si avvarranno della detrazione del 50%, che prevede procedure più semplici e snelle.

Alcune modifiche riguardano anche le società a responsabilità semplificata e la possibilità di costituire la srl con un capitale sociale di un euro non solo per i giovani fino a 35 anni, ma anche ai meno giovani, per favorire una ripresa a chiunque si trovi in difficoltà, indipendentemente dall’età.

Novità anche per la deducibilità delle perdite su crediti. L’art. 33 del decreto sviluppo modifica l’art. 101 del Tuir prevedendo la possibilità di dedurre fiscalmente le perdite su crediti di modesto ammontare.
Viene pertanto stabilito che i crediti che non superano 2500 euro elevato a 5 mila per le imprese di grandi dimensioni e che sono scaduti da oltre sei mesi,possono essere considerati certi.

Vera MORETTI

La Riforma della Fornero? Non ce la siamo bevuta: la parola al Consulente

 

La Riforma del Lavoro è stata varata la scorsa settimana e subito ha riscosso un mare di dissensi, per non dire perplessità, da parte di imprenditori, professionisti, inoccupati e di chi, in prima battuta, risentirà delle modifiche a contratti di lavoroordini professionali e sovvenzioni che (non) arriveranno per implementare le risorse interne delle imprese.

Da subito, i dirigenti in capo all’Associazione dei Consulenti del Lavoro ha parlato di una NON riforma che non risolverà affatto il problema della disoccupazione giovanile.

Infoiva ha chiesto il parere del dott. Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro

Perché siete così convinti che la riforma del lavoro non farà ripartire le assunzioni? Che cosa avreste proposto e che cosa manca?
In nostro grande timore che la riforma del lavoro, così come pensata ed approvata, non porterà nuova occupazione. Il rischio, invece, è che si verifichino perdite di occupazione e contenzioso a causa dell’aumento del costo del lavoro (contratto a termine e aspi), dell’eccessiva burocratizzazione (intermittente, part-time, convalida dimissioni), dei nuovi vincoli (apprendistato), delle nuove presunzioni (partite iva e associati in partecipazione), delle abrogazioni (contratto d’inserimento) e delle restrizioni (voucher).
L’irrigidimento complessivo nella gestione del rapporto di lavoro con la presunzione di subordinazione, unito all’introduzione della comunicazione obbligatoria della presenza per i lavoratori intermittenti con la previsione di una sanzione sproporzionata; le nuove procedure in materia di dimissioni e gli interventi in materia di flessibilità non faranno certamente bene ad un mercato del lavoro che ha bisogno di fluidità e non di freni e vincoli come quelli che le nuove norme stanno introducendo.

Ci sono dei lavori o delle soluzioni su cui puntare oggi giorno, occasioni o campi dalle maggiori possibilità occupazionali?
Anche se siamo in presenza di un mercato del lavoro in crisi, con una disoccupazione degli under 24 che supera il 30%, esistono profili di difficile reperibilità per le aziende. Ad esempio tecnici informatici o personale sanitario, dove assistiamo al reperimento delle risorse in paesi esteri. Ma anche lavori manuali come cuochi o conduttori di macchine da lavoro. Una buona formazione tecnica oggi mette al sicuro un lavoratore e non ha niente da invidiare a percorsi più incerti e dispendiosi.

Tanti, per ovviare alla mancanza di occupazione, stanno puntando sull’apertura della partita IVA a rischio super tassazione: secondo lei, tanti singoli fanno un mercato del lavoro o dovrebbe pensarci lo Stato?
Il mondo del lavoro ha tante sfaccettature. Ma dobbiamo superare lo storico luogo comune che lavoro significa solo lavoro dipendente. Bisogna anche saper rischiare nel fare impresa o intraprendere un lavoro autonomo. Lo Stato deve evitare di disegnare un sistema giuridico che penalizzi il lavoro autonomo in favore di quello dipendente. Non bisogna dimenticare mai che dal lavoro dipendente non nasce lavoro dipendente. L’occupazione la crea il lavoro autonomo; per questo auspichiamo che i Governi rendano attuali i tanti principi enunciati per favorire l’imprenditoria giovanile. Le professioni regolamentate sono di sicuro uno sbocco importante per le nuove generazioni; le iscrizioni agli albi professionali hanno avuto un incremento importante negli ultimi 10 anni e, da una recente ricerca, l’età media dei professionisti è di 45 anni.

Che cosa è stato fatto per i piani di mobilità sociale e come si equilibrano piani di mobilità con l’effettiva ondata di licenziamenti cui stiamo assistendo, non ultimo il discorso sulla spending review del Premier Monti?
Non c’è alcuna mobilità sociale senza ricambio generazionale. Purtroppo il Paese sta affrontando una crisi profonda sia dal punto di vista economico che dal punto di vista occupazionale. Ma ora siamo in attesa delle misure per lo sviluppo. Credo che per poter rilanciare un Paese non c’è bisogno solo di politiche di contenimento delle spese ma anche di riforme strutturali del sistema produttivo. Per quanto riguarda le misure per lo spending review presentate dal Professor Monti, ciò che grava molto non è il numero dei dipendenti della Pubblica Amministrazione, visto che non sono così poi tanto maggiori (in proporzione) rispetto agli altri paesi, bensì i relativi stipendi, soprattutto di alcuni alti funzionari. La spesa media per il personale e per i servizi del funzionamento dell’attività amministrativa italiana, nel quinquennio 2005/2009, è stata pari a 248 miliardi, ovvero il 16,4 % del Pil.

Secondo lei, le imprese saranno agevolate nell’assunzione di nuove risorse sfruttando il contratto di apprendistato o è solo un bel nome per aggirare l’ostacolo?
La riforma dell’apprendistato, cioè ridisegnare i percorsi di apprendistato, credo sia importante e imprescindibile in un momento in cui i nostri giovani, ce lo dicono tutte le statistiche, hanno difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro.
Siamo a percentuali preoccupanti dei tassi di disoccupazione giovanile ma va posto l’accento su un aspetto altrettanto preoccupante: il fatto che sta aumentando il numero dei giovani che non cerca lavoro, che è scoraggiato e quindi esce da quelli che sono i circuiti in cui invece potrebbe trovare un’occupazione.
L’apprendistato è l’unico contratto a finalità formativa, ma ha anche la funzione importante di accompagnare i giovani e farli transitare dal mondo dell’istruzione al mondo del lavoro.
Il problema resta a livello operativo considerato che la gestione da parte delle Regioni spesso è contraddistinta da procedure molto burocratizzate ed una legislazione non chiara e , a colte, contraddittoria. Situazioni che penalizzano l’espansione dell’apprendistato.

Qual è il vostro punto di vista sulla Riforma degli ordini professionali e lo stato dei liberi professionisti? Si preannuncia meno burocrazia ma i soggetti, come la categoria dei giornalisti pubblicisti, si è sentita defraudata dei suoi diritti?
Di riforma delle professioni si parla ormai da decenni. Il comparto professionale continua, però, a dimostrarsi tra i più dinamici garantendo al Paese il 15% del PIL. Gli Ordini professionali non si sono mai dichiarati contrari all’ammodernamento delle regole, anche per adeguare le leggi ordinamentali al nuovo contesto europeo. Ma quello che abbiamo sempre chiesto è quello di avere un dialogo continuo con le Istituzioni per arrivare ad una riforma condivisa e strutturale. Purtroppo, non si vuole avere la consapevolezza che il sistema ordinistico italiano è una risorsa del Paese e che negli altri stati europei esistono gli ordini caratterizzati esattamente come in Italia. A volte in questa materia si parla più per frasi fatte che per effettiva conoscenza del settore.

Ma secondo voi, questa riforma, si farà per davvero?
Gli Ordini professionali hanno già fatto la loro parte e sono sempre disponibili al confronto.

 

Paola PERFETTI

Come ti stritolo la partita Iva

di Davide PASSONI

L’operazione terrorismo portata avanti dal governo sulle partite Iva ha funzionato. Brava Fornero, bravo Monti. A forza di parlare di false partite Iva e a forza di identificare i veri partitivisti come dei parasubordinati nonché potenziali evasori, una delle risorse più importanti per la nostra asfittica economia schiacciata dalla crisi ha poderosamente tirato il freno a mano.

Ad aprile 2012 sono state infatti aperte 46.337 nuove partite Iva: se nel raffronto anno su anno si parla di una flessione del 3%, rispetto a marzo 2011 il calo è stato pari al 25,8%. Non un calo, un crollo. Il dato emerge dalle cifre pubblicate dal Dipartimento delle Finanze, ovvero il gran nemico dei partitivisti. Che potrà dirsi a pieno titolo soddisfatto del risultato.

Il commercio continua a registrare il maggior numero di aperture di partite Iva: il 22,1% del totale, seguito dalle attività professionali con il 14,7%. Considerando i macrosettori produttivi, solo in quello agricolo si registra un aumento di aperture (+4,5%), mentre l’industria accusa la diminuzione maggiore (-8,9%). Consoliamoci con i giovani: il 51,3% delle aperture è operato da giovani fino a 35 anni, scaglione di età unico in aumento rispetto al corrispondente mese del 2011 a +13,6%.

Che cosa pensare, dunque, se non, come detto all’inizio si tratta di un effetto dell’operazione terrorismo fatta sulle partite Iva? Lo avevamo scritto tempo fa: se passassero gli emendamenti al ddl lavoro su co.co.pro. e partite iva, la piccola impresa che vive di commesse e cerca collaboratori per i quali essere a sua volta committente, si troverebbe nell’impossibilità di offrire commesse perché non potrebbe fruire dei servizi di un professionista a partita Iva pagandolo il giusto. La piccola impresa, che vive di un rischio imprenditoriale proprio, non potrebbe permettersi di pagare un salario minimo ai co.co.pro. perché non potrebbe far fronte ai costi aggiuntivi che tale formula prevedrebbe. Per cui, non avrebbe più committenti, di conseguenza nemmeno commesse. In sostanza, fallirebbe. Questo dato sul crollo delle nuove partite Iva aggiunge amarezza ad amarezza. Non solo, infatti, la riforma del lavoro introduce minore flessibilità in entrata soffocando un mercato già ingessato; in più, la stretta sulle partite Iva chiude l’ultimo rubinetto ancora aperto per dare un minimo di lavoro e ossigeno alla piccola impresa. Prima temevamo che sarebbe successo, oggi questo dato sulle partite Iva ce ne dà la certezza.

Altro che “Cresci Italia“, qui ormai siamo “Crepa Italia“.

Fiaip accoglie positivamente le modifiche alla riforma del lavoro

La riforma del lavoro, come era stata presentata inizialmente, non era piaciuta alle categorie di lavoratori professionisti, a causa dei provvedimenti nei confronti delle partite Iva.
Tra le tante, anche Fiaip si era mostrata contraria all’articolo 9 ma ora, con le modifiche apportate al maxi emendamento, si è ricreduta.

Paolo Righi, presidente Nazionale Fiaip, ha infatti dichiarato: “Le modifiche apportate, volte ad escludere le professioni regolamentate dall’applicazione dell’articolo 9, permetteranno ad oltre 10.000 agenti immobiliari di poter continuare a lavorare serenamente, mantenendo la propria individualità e la libertà di iniziativa, così come prevista dalla Costituzione”.

Questo ottimismo è dovuto al fatto che le attività professionali con iscrizione a registri, albi, ruolo o elenchi professionali qualificati, vengono escluse dalla presunzione di collaborazione coordinata continuativa, tra gli altri, gli agenti immobiliari che collaborano a Partita Iva.

Dopo il passaggio del provvedimento e la sua approvazione alla Camera dei Deputati, spetterà al Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, entro 3 mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento, fare una ricognizione finale sulle varie attività che verranno escluse.

Vera MORETTI

Alzi la mano chi conosce la riforma del lavoro!

La riforma del lavoro, dopo aver suscitato molte polemiche, si ripresenta con alcune modifiche, in certi casi consistenti.
Vediamole punto per punto.

Una delle note dolenti era rappresentata dall’apprendistato, che ora diventa canale d’ingresso nel mondo del lavoro da parte dei giovani. Se si tratta di aziende con meno di 10 dipendenti il rapporto tra apprendisti e professionisti non può superare quello di 1 a 1, se si tratta per le aziende con meno di 10 dipendenti. Nulla di fatto per gli apprendisti in staff leasing.

Per quanto riguarda gli ammortizzatori, arriva la nuova Aspi dal 2013. Dal 2017 sostituirà l’indennità di mobilità e le varie indennità di disoccupazione. C‘è inoltre la possiblità, in via sperimentale, dal 2013 al 2015, di prendere tutta insieme l’indennità per avviare un lavoro autonomo.

Per i collaboratori a progetto è previsto un salario base. In via sperimentale per tre anni l’una tantum, in caso di perdita del lavoro, viene rafforzata: potrà arrivare a 6mila euro per un collaboratore che abbia lavorato da sei mesi a un anno.

Anche il congedo di paternità è stato modificato: si potrà usifruirne nei primi 5 mesi di vita del figlio e sarà obbligatorio un giorno e facoltativo (e in accordo con la madre) per gli altri due. E i voucher per la baby sitter potranno pagare anche le rette dell’asilo.

Le aziende potranno esimersi dall’indicare la causale del contratto, quando si tratta di contratti a tempo, fino a un anno. I contratti collettivi possono prevedere, in alternativa ai 12 mesi, una “franchigia” nei casi di specifici processi organizzativi nel limite del 6% degli occupati.

L’articolo 18 che riguarda i licenziamenti ha subito alcune modifiche: nei licenziamenti disciplinari il reintegro è possibile in base alla “tipizzazioni” dei contratti collettivi (e non più dalla legge). Una finta malattia poi non potrà più inficiare il recesso (salvo maternità e infortuni).

Cambiano le regole anche per accedere alla sospensione delle rate di mutuo sulla prima casa.
In questo caso, non verranno applicate commissioni o spese di istruttoria e il tutto avverrà senza richiesta di garanzie aggiuntive.

Le partite Iva, per le quali si era scatenato un putiferio, sono considerate valide con un reddito lordo annuo superiore a 18mila euro. Per riconoscere quelle fittizie ci si baserà su tre indici: durata di 8 mesi della collaborazione, 80% del reddito totale e avere una postazione fissa.

Gli sgravi sul salario di produttività diventano strutturali dal 2012. La “cedolare secca” del 10%, introdotta in via sperimentale per il triennio 2008-2010,potrà contare su 650 milioni di euro.

Approvati i voucher in agricoltura per studenti, pensionati e casalinghe, ma per le imprese con un fatturato sotto i 7mila euro. Per tutte le altre imprese le casalinghe sono escluse. Previsto un valore orario, da aggiornare con i sindacati.

Vera MORETTI

Roma, manifestazione per i diritti dei collaboratori

Sarà presentata domani a Roma la campagna nazionale per portare a conoscenza degli addetti del settore degli studi professionali le possibilità offerte dal rinnovo del contratto nazionale e stimolarne la partecipazione per la costruzione della contrattazione nazionale. Una campagna lanciata da Filcams Cgil, Nidil Cgil e “Giovani Non+ disposti a tutto Cgil”, insieme ad alcune associazioni di giovani professionisti, “Iva sei Partita” e “VI Piano”.

La campagna vedrà un’iniziativa itinerante che si concluderà con la conferenza stampa alla quale parteciperanno Franco Martini, segretario generale Filcams Cgil, Filomena Trizio, segretario generale del Nidil, e Ilaria Lani, responsabile politiche Giovanili della Cgil. Un bus girerà per la città per incontrare studenti, praticanti, collaboratori e partite Iva, con tre tappe: 9,30 in piazzale Aldo Moro – Università ‘La Sapienza’; 11 in a piazza Cola di Rienzo; a seguire in via Lepanto, di fronte al Tribunale. La conferenza stampa alle 12 all’interno del bus in piazza Mazzini.

Co.co.pro e partite Iva, specchietti per le allodole

di Davide PASSONI

Partiamo con una domanda: in questo momento di crisi, meglio poco per tanti o niente per nessuno?

Proseguiamo con una valutazione: gli emendamenti al ddl lavoro relativi ai co.co.pro. e alle cosiddette “false partite Iva” proposti da Tiziano Treu (Pd) e Maurizio Castro (Udc) sono una porcata. Che cosa prevedono? Relativamente ai co.co.pro., si introduce il concetto di giusta retribuzione, definita sulla base della media tra le tariffe del lavoro autonomo e dei contratti collettivi. Per le “false partite Iva” si parla di un limite massimo di 18mila euro di reddito lordo annuo: se un professionista a partita Iva guadagna di più, per lo stato è automaticamente una falsa partita Iva. Per cui, cara impresa che di lui ti servi, non saranno valide le presunzioni per far scattare l’assunzione. In più, nella formulazione prevista dal ddl si prevede che le partite Iva siano considerate collaborazioni coordinate e continuative se sussistono due di questi tre presupposti: collaborazione con durata superiore ai sei mesi nell’arco dell’anno, corrispettivo derivante dalla collaborazione superiore al 75% del reddito totale annuo, postazione di lavoro presso la sede del committente. Nell’emendamento si passa a otto mesi e 80%. Poco cambia, per le piccole imprese sarà l’ecatombe.

Tiriamo una prima conclusione. In un periodo in cui ci sarebbe bisogno come il pane di un patto forte tra imprese e lavoratori per non affondare tutti, queste misure vanno esattamente nella direzione opposta. E, soprattutto, sono delle cannonate mortali per le piccole imprese. Le uniche, detto per inciso, che nei momenti più neri della crisi hanno continuato, bene o male, a dare lavoro. Quindi la domanda retorica con cui abbiamo aperto troverebbe una risposta a sorpresa: niente per nessuno.

Ebbene, passassero gli emendamenti in questione, la piccola impresa che vive di commesse e cerca collaboratori per i quali essere a sua volta committente, si troverebbe nell’impossibilità di offrire commesse perché non potrebbe fruire dei servizi di un professionista a partita Iva pagandolo il giusto: sforasse i 18mila euro lordi, sarebbero fritti in due, l’impresa e il professionista. La piccola impresa, che vive di un rischio imprenditoriale proprio, non potrebbe permettersi di pagare un salario minimo ai co.co.pro. perché non potrebbe far fronte ai costi aggiuntivi che tale formula prevedrebbe. Per cui, non avrebbe più committenti, di conseguenza nemmeno commesse. In sostanza, fallirebbe. Il professionista, si ritroverebbe a sua volta senza commessa e senza un reddito. E tanti saluti alla spina dorsale dell’economia italiana.

Tiriamo una seconda conclusione. Queste proposte di modifica arrivano sì dai partiti, ma da quei partiti che sostengono il governo. E sembrano quasi il frutto di una manovra diversiva che prepara alla stangata dell’aumento dell’Iva che a ottobre nessuno, statene certi, ci toglierà. Ovvero: cari lavoratori, vedete come siamo bravi, aumentiamo il potere d’acquisto del vostro reddito dandovi la certezza di uno stipendio! Ma intanto… zac! Due punti in più di Iva e deprimiamo i consumi. E i professori assentono. Non sarà mica che questi tecnici, questi professori che non passa giorno senza che sbandierino la loro apoliticità, si stiano invece preparando a candidarsi nel 2013 e lavorino già sul populismo attira-voti?

Perché lasciare la posizione di AD di un grande gruppo bancario per fare il ministro e prendersi pesci in faccia dal mattino alla sera, peraltro, pensiamo, guadagnando di meno? Perché assumere la guida di un governo e di un’economia alla frutta quando negli ambienti accademici si poteva stare tranquilli tranquilli? Per puro senso dello stato e spirito di servizio? Un tecnico alla guida di un governo e poi, qualche anno dopo, al Quirinale, lo abbiamo già visto. E nel 2013 anche Napolitano lascerà. Che sia tutta propaganda sulla pelle delle imprese? Non lo vogliamo credere, ma se due indizi fanno una prova…

Riforma del lavoro, le criticità secondo i consulenti del lavoro

I consulenti del lavoro chiedono al Parlamento di intervenire su diversi punti della riforma del lavoro. Nello specifico, insistono su partite Iva, contratti a termine, lavoro a chiamata, lavoro accessorio, apprendistato, le cui norme devono essere riviste “per rendere quanto più efficace e produttivo il disegno di legge che mira a modificare sostanzialmente le regole poste a base del mondo del lavoro“, come si legge in una nota del Consiglio Nazionale dell’Ordine.

La presidente Marina Calderone ha sottolineato nei giorni scorsi alla Commissione Lavoro alcune delle criticità che dovrebbero trovare soluzione con il percorso parlamentare. In particolare, riguardo alle partite Iva, secondo Calderone “tutto ruota attorno al meccanismo di conversione automatica del rapporto, ‘salvo che sia fornita la prova contraria da parte del committente’, con un approccio che penalizza qualsiasi rapporto di lavoro diverso dal ‘tempo pieno e indeterminato’. Le distorsioni e gli illeciti si devono contrastare non con norme presuntive, ma con accertamenti effettivi che invertano l’onere della prova. Il mantenimento dell’articolato così come è pervenuto al Senato potrebbe comportare l’effetto perverso negativo per l’occupazione, con la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro, scaturente dal timore di tali conversioni forzose“.

Davide SCHIOPPA

I punti critici della riforma del lavoro

di Vera MORETTI

Sarà una settimana intensa per il Governo, ma soprattutto delicata, poiché a tenere banco sarà la tanto criticata riforma del lavoro.

A questo proposito, i Consulenti del Lavoro hanno formulato le proposte di modifica ritenute necessarie per rendere quanto più efficace e produttivo il disegno di legge che mira a modificare sostanzialmente le regole poste a base del mondo del lavoro.

Marina Calderone, presidente del Consiglio Nazionale, durante un’audizione alla Commissione del Lavoro di qualche giorno fa, ha elencato gli elementi critici di tale riforma, che perciò dovrebbero essere cambiati.

Inutile dire che l’argomento delle partite Iva è quello più spinoso e per questo la richiesta è che vengano scoperti gli illeciti, ma senza penalizzare gli altri, che rappresentano la maggioranza.
Insomma, via alle partite Iva false, ma solo se sono veramente tali.
A fare la differenza sono anche le categorie di lavoratori, poiché esistono alcuni settori per i quali lavorare con partita Iva è usuale e necessario, e anche l’obbligo di passare a contratto a tempo determinato dopo sei mesi sarebbe tutt’altro che vantaggioso.

Anche la penalizzazione dei contratti a termine potrebbe portare ad un aumento considerevole dei disoccupati. La penalizzazione per chi utilizza questi contratti è talmente forte che farebbe desistere la maggioranza degli imprenditori, con una conseguenza catastrofica in termini di occupazione.
Non è detto, infatti, che i contratti a termine sarebbero destinati a diventare tutti contratti a tempo indeterminato. Occorre, dunque, maggiore flessibilità e meno rigidità. Insomma, fare di tutta l’erba un fascio non porterebbe a nulla di buono.

Per quanto riguarda il lavoro a chiamata, la proposta al Senato è considerata incoerente per due motivazioni: perché contraddice la centralità delle comunicazioni che riguardano il rapporto di lavoro e perché introduce una misura sanzionatoria del tutto sproporzionata per l’omessa comunicazione.
A questo proposito, vengono richiesti interventi di modifica che mirino ad ampliare la platea dei soggetti del lavoro a chiamata, nonché a semplificare le procedure di notifica della chiamata, con eliminazione degli adempimenti inutili.

Risulta inoltre discutibile la scelta di escludere dalle prestazioni di lavoro accessorio gli imprenditori commerciali e i professionisti. L’inclusione di queste categorie tra i soggetti autorizzati darebbe invece un grande impulso al lavoro accessorio con conseguente spinta occupazionale.

Criticate, infine, le modifiche riguardanti l’apprendistato e l’assunzione di apprendisti nelle aziende: le nuove disposizioni introdurrebbero un ingiustificato limite di accesso al contratto di apprendistato che si pone in contraddizione con la finalità della riforma che lo individua come il principale contratto di ingresso nel modo del lavoro.
Il limite numerico ancora più rigido, infatti, penalizzerebbe ulteriormente l’ingresso nel mondo del lavoro da parte dei giovani.