Utilizzare la fattura elettronica, tutto ciò che c’è da sapere

Dal 1° luglio 2022 scatterà l’obbligo di utilizzare la fattura elettronica anche per le partite Iva a regime forfettario, finora esonerate. Persiste un tetto di ricavi e di compensi al di sotto del quale l’utilizzo del formato elettronico sarà ancora una scelta. Si tratta delle piccole partite Iva che non superano i 25 mila euro di ricavi e di compensi. Per tutte le partite Iva sopra questa soglia cambia tutto. Ecco quali sono i consigli e le indicazioni da seguire per non commettere errori a chi si affaccia per la prima volta alla fattura elettronica.

Obbligo di fattura elettronica per le partite Iva forfettarie: da quando?

A distanza di un paio di mesi dell’entrata in vigore dell’obbligo di adozione della fattura elettronica alle partite Iva forfettarie risulta necessario adeguarsi ai nuovi strumenti. Il relativo provvedimento, il decreto legge “Pnrr 2”, che verrà pubblicato nei prossimi giorni nella Gazzetta Ufficiale, stabilisce che l’obbligo di fattura elettronica per i soggetti finora esonerati scatterà il 1° luglio 2022 e rimarrà in vigore fino al 31 dicembre 2024. L’esonero per le partite Iva a regime forfettario che hanno compensi e ricavi non eccedenti i 25 mila euro rimarrà in vigore fino al 31 dicembre 2023. Anche le nuove partite Iva che verranno aperte nel 2022 potranno scegliere se aderire alla fattura elettronica oppure no. In ogni modo, il passo è stato già segnato e, obblighi normativi a parte, l’adozione della fattura elettronica potrebbe rappresentare una svolta nell’organizzazione del proprio lavoro e della propria attività.

Quali differenze ci sono tra la fattura elettronica e quella cartacea?

Le differenze sostanziali tra la fattura elettronica e quella cartacea risiedono nella modalità di compilazione, di invio e di conservazione dei documenti. La fattura elettronica, rispetto a quella cartacea, deve essere compilata telematicamente mediante l’utilizzo di un personal computer, di uno smartphone o di un tablet. Dunque dal 1° luglio prossimo, i soggetti rientranti nell’obbligo di adozione del formato elettronico dovranno abbandonare il vecchio “blocco fatture” di carta. L’invio della fattura, poi, dovrà essere effettuato mediante il servizio messo a disposizione dall’Agenzia delle entrate del Sistema di interscambio (Sdi). La piattaforma verifica che i dati della fattura siano completi e corretti e consegna il documento elettronico al destinatario. Il sistema, dunque, permette di abbandonare le vecchie modalità di recapito.

Partite Iva a regime forfettario, come compilare la fattura elettronica?

Le modalità di compilazione della fattura elettronica consistono nell’utilizzare software specifici che elaborano il documento nel formato Xml. Il software si può utilizzare gratuitamente dal portale dell’Agenzia delle entrate “Fatture e corrispettivi”, oppure avvalersi dei tanti servizi offerti da aziende specializzate. Tuttavia, l’utilizzo del formato elettronico consente, tra i vari vantaggi, di non dover compilare tutti i campi per le fatture da inviare allo stesso destinatario. I dati, infatti, possono essere memorizzati per poi procedere alla compilazione veloce del documento. I campi da “popolare” nella fattura elettronica sono gli stessi presenti nella fattura cartacea: non vi sono, dunque, più dati da inserire.

Quali sono i campi più importanti per l’invio della fattura elettronica?

Rispetto alla fattura cartacea, per l’invio di quella elettronica è necessario disporre di un indirizzo telematico al quale il cliente desidera ricevere il documento. Si possono utilizzare, per l’invio, sia il codice destinatario che l’indirizzo di posta elettronica certificata (Pec). Se il cliente non comunica al mittente della fattura nessuno dei due dati, si può inviare la fattura elettronica al Sistema di interscambio che, in ogni modo, non potrà consegnarla al cliente ma la renderà reperibile nell’area personale del cliente stesso sul portale dell’Agenzia delle entrate. In questi casi, sarebbe meglio fornire anche una copia cartacea della fattura al cliente, ricordandogli che si tratta di una copia del documento di cortesia.

Partite Iva a regime forfettario: quali codici utilizzare nella fattura elettronica?

Le partite Iva a regime forfettarie, nell’utilizzo dei software per l’emissione della fattura elettronica, devono utilizzare il codice RF 19 – Regime forfettario. Oltre al codice, la fattura necessita della marca da bollo di due euro per gli importi eccedenti i 77,47 euro. In tal caso, la piattaforma dell’Agenzia delle entrate permette l’inserimento del bollo in modalità elettronica pagando le marche da bollo dovute anche a cadenza trimestrale. Inoltre, per le partite Iva a regime forfettario è fondamentale utilizzare la dicitura: “Operazione senza applicazione dell’Iva, effettuata ai sensi dell’articolo 1, commi da 54 a 89, legge numero 190 del 2014 così come modificato dalla legge numero 208 del 2015 e dalla legge numero 145 del 2018”.

Invio della fattura elettronica: come essere sicuri che è andato a buon fine?

Infine, tra le diciture da utilizzare nella fatture elettroniche emesse da una partita Iva a regime forfettario è occorrente indicare sempre il codice “Ivan 2.2 – Non soggette altri casi”. Si tratta, infatti, di prodotti e di servizi in regime forfettario e, pertanto, non soggetti ad applicazione dell’Iva. Una volta terminata la compilazione, la partita Iva invia la fattura elettronica tramite il Sistema di interscambio al destinatario. Al mittente arriva una ricevuta telematica di corretto invio del documento. Può arrivare anche una ricevuta di “corretta consegna” se il documento, oltre a essere stato compilato correttamente, è stato anche ricevuto dal destinatario.

Cosa succede se il destinatario non riceve la fattura elettronica emessa?

Nel caso in cui la fattura elettronica non arrivi a destinazione, il mittente riceve una ricevuta di “mancato recapito“. In tal caso, è necessario verificare il perché e se i dati sono stati correttamente inseriti, compresi il codice destinatario o l’indirizzo Pec. Le fatture elettronica vanno numerate progressivamente per anno. Il numero deve essere unico e riferito alla progressività della data di emissione. Dunque, anche la fattura elettronica deve avere una data di emissione e un numero progressivo unici.

Conservazione delle fatture elettroniche: come si fa?

L’emissione della fattura elettronica comporta anche l’obbligo di conservarle. La conservazione non si fa scaricando la fattura sul computer o su memorie esterne, ma tramite i sistemi di conservazione messi a disposizione (anche dall’Agenzia delle entrate) dai fornitori dei software. La corretta conservazione dei documenti elettronici evita l’applicazione di sanzioni. Ulteriori sanzioni possono essere applicate nel caso di invio errato della fattura elettronica. Infatti, alla ricezione del messaggio di errore nell’invio, è necessario procedere con un altro invio nel termine di cinque giorni. In questo caso, la data e il numero della fattura devono essere uguali al documento risultato errato.

Cosa fare se si sbaglia a inserire informazioni su una fattura elettronica?

In tutti gli altri casi, se l’errore è presente nei dati interni alla fatturazione (e il Sistema di interscambio non ha rilevato errori) è necessario:

  • emettere una nota di variazione;
  • inserire una nota di credito;
  • emettere una nuova fattura.

A tale verifica deve provvedere chi emette la fattura elettronica. Infatti, il Sistema di interscambio non segnala l’errore ed esita la fattura come “emessa”.

Fattura elettronica, per le partite Iva forfettarie sanzioni per irregolarità di 500 euro

Il decreto legge “Pnrr 2” riorganizza le sanzioni per le irregolarità relative alla fattura elettronica per le partite Iva a regime forfettario. L’utilizzo del documento elettronico è previsto per gli operatori in regime forfettario per volumi annui di compensi e di ricavi superiori a 25 mila euro a partire dal 1° luglio 2022 secondo quanto prevede l’articolo 18 decreto legge “Pnrr 2”. Ma anche per le violazioni dovute per la mancata accettazione dei pagamenti elettronici effettuati tramite Pos, bancomat e carte di credito sono previste sanzioni che entreranno a regime dal 30 giugno 2022.

Quale sanzione spetta alle partite Iva forfettarie per il mancato utilizzo della fattura elettronica?

Per le partite Iva forfettarie, il mancato utilizzo della fattura elettronica comporterà una sanzione amministrativa tra il 5% e il 10% di quanto non documentato con un minimo di imposto pari a 500 euro. Inoltre, quando la violazione non rileva ai fini della determinazione del reddito la sanzione amministrativa parte da un minimo di 250 euro fino a un massimo di 2 mila euro. Le sanzioni amministrative entreranno a regime a decorrere dal quarto trimestre del 2022.

Regime transitorio, per i forfettari da luglio a settembre un mese di tempo per emettere la fattura elettronica

Fino a tutto il terzo trimestre (dal 1° luglio al 30 settembre 2022) le partite Iva forfettarie beneficeranno del regime transitorio. Ovvero, la mancata emissione della fattura elettronica non comporterà l’applicazione della sanzione a patto che le partite Iva forfettarie emettano il documento elettronico entro il mese successivo a quello nel quale sia stata fatta la relativa operazione. L’obbligo di utilizzo della fattura elettronica vigerà fino al 31 dicembre 2024.

Sanzioni per mancato utilizzo di Pos per accettare i pagamenti elettronici con carte di credito e bancomat

Il decreto “Pnrr 2” anticipa anche le sanzioni a carico di commercianti ed esercenti per il mancato utilizzo del Pos per l’accettazione dei pagamenti elettronici con carte di credito e bancomat. A partire dal 30 giugno 2022, anziché dal 1° gennaio 2023, i commercianti che non accetteranno i pagamenti con Pos e carte di credito saranno soggetti a una sanzione amministrativa del valore di 30 euro fissi, più il 4% del valore della transazione.

Fattura elettronica, obbligo a partite Iva forfettarie: quali nuovi costi e adempimenti?

L’estensione dell’obbligo della fattura elettronica anche al regime forfettario aumenta costi e adempimento alle partite Iva. Si tratta della conseguenza delle novità che il governo si appresta a varare per l’attuazione delle misura di attuazione del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr) nell’ambito della legge fiscale. Nell’articolo 15 della bozza del provvedimento è prevista l’estensione della fatturazione elettronica ai soggetti finora esonerati fino al 31 dicembre 2024. L’obbligo dovrebbe scattare a partire dal 1° luglio 2022. Tuttavia, rimarranno esonerate le piccole partite Iva con limite di ricavi e di compensi entro i 25 mila euro.

Fattura elettronica, quali sono i nuovi soggetti e partite Iva soggetti all’obbligo?

L’estensione dell’obbligo di fattura elettronica alle partite Iva a regime forfettario era tra gli interventi più attesi in materia fiscale. Infatti, l’Italia già il 13 dicembre 2021 aveva recepito la decisione di esecuzione dell’Unione europea numero 2251 che prevedeva l’estensione dell’obbligo ai soggetti finora esonerati. La modifica che il governo si appresta ad apportare è quella al comma 3 dell’articolo 1, del decreto legislativo numero 127 del 2015. Il provvedimento ha previsto l’introduzione della fatturazione elettronica esonerando dall’obbligo determinati soggetti, ovvero:

  • i soggetti in regime di vantaggio;
  • quelli forfettari;
  • le associazioni che esercitano l’opzione prevista dagli articoli 1 e 2 della legge numero 398 del 1991 per compensi commerciali che non eccedano i 65 mila euro nel precedente anno.

Obbligo di fattura elettronica alle partite Iva forfettarie: cosa cambia dal 1° luglio 2022?

L’obbligo di utilizzo della fattura elettronica scatterà, per i nuovi soggetti prima esonerati, a decorrere dal 1° luglio 2022. Tra gli adempimenti fiscali richiesti, vi rientrano:

  • l’utilizzo della fattura elettronica verso i soggetti residenti. Per il terzo trimestre di quest’anno la fatturazione elettronica vige senza le sanzioni se i documenti risultano emessi entro il mese successivo a quello nel quale viene effettuata l’operazione;
  • la fatturazione elettronica verso i non residenti, attualmente con scelta tra la modalità cartacea o elettronica. Dal 1° luglio 2022 comporterà invece l’adempimento dell’esterometro disciplinato dal comma 3 bis. In particolare, per le relative operazioni, a partire dal prossimo luglio scatterà l’obbligo di trasmettere le informazioni inerenti le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in entrata o in uscita da e verso soggetti non residenti nel territorio italiano. La trasmissione dovrà avvenire in via telematica. L’adempimento, dunque, comporta la scelta dell’alternativa della fattura elettronica più l’esterometro, oppure della sola fattura elettronica.

Fattura elettronica, nuovi adempimenti per le partite Iva che fanno acquisti su internet da soggetti non residenti

La fattura elettronica per le operazioni da e verso i soggetti non residenti comporterà, dunque, maggiori adempimenti soprattutto per le partite Iva che effettuano acquisti via internet da soggetti non residenti nel territorio nazionale. Il passaggio comporterà dei costi perché i nuovi soggetti tenuti ad adempiere alle norme difficilmente potranno gestire questo tipo di operazioni, almeno inizialmente, senza il sostegno di un commercialista o di un professionista. Peraltro, a differenza della fattura elettronica, la gestione dell’esterometro dovrà avvenire entro il 15esimo giorno successivo a quello dell’operazione.

Altri adempimenti legati all’estensione dell’obbligo di fattura elettronica

Per quanto concerne gli altri adempimenti legati all’estensione dell’obbligo di fattura elettronica, gli acquisti in reverse charge dai fornitori residenti, attualmente comporta per i forfettari la reverse charge con il versamento dell’Iva attraverso il modello F24. A partire dal prossimo luglio, tale regime rimarrà invariato. Varierà invece, con obbligo di esterometro a decorrere da luglio prossimo, l’acquisto intracomunitario di beni sotto la soglia annua di 10 mila euro dai fornitori comunitari senza l’iscrizione al Vies.

Fattura elettronica ed esterometro, gli adempimenti che comportano l’iscrizione al Vies

La procedura serve per le autorizzazioni a compiere operazioni intracomunitarie, ovvero di vendita o di acquisto di beni o di servizi da e verso altri Paesi dell’Unione europea.  Fino al prossimo luglio, ai forfettari è imposto la sola conservazione, con l’Iva pagata al fornitore dell’Unione europea. Da luglio sarà necessario l’esterometro con la particolarità di ottemperare all’adempimento al più tardi entro il 15 del mese susseguente all’operazione.

Fattura elettronica, quali altre operazioni necessiteranno dell’esterometro?

Per gli altri acquisti territoriali da non residenti, che non siano importazioni, attualmente le partite Iva forfettarie utilizzano la reverse charge con versamento dell’Iva attraverso il modello F24. Da luglio prossimo, il versamento dell’Iva con il modello F24 sarà accompagnato dall’esterometro. Obbligo, dell’esterometro, che vigerà anche per tutti gli altri acquisti non territoriali che, ad oggi, non prevedono alcun adempimento. Da luglio sarà obbligatorio l’esterometro con termine al massimo entro il 15 del mese susseguente a quello dell’operazione.

 

Fattura elettronica ai forfettari dal 1° luglio 2022, chiesto il rinvio

L’obbligo di fattura elettronica alle partite Iva a regime forfettario scatterà a decorrere dal 1° luglio 2022. Il provvedimento non è stato ancora pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, ma varie categorie chiedono il rinvio al prossimo anno. L’obbligo di abbandonare il vecchio sistema delle fatture cartacee e di adottare il formato elettronico, tuttavia, non colpirà la generalità delle partite Iva a regime forfettario. Infatti, nel decreto si prevede l’esclusione dei lavoratori autonomi in regime di vantaggio con compensi e ricavi fino a 25 mila euro. Il decreto, inoltre, prevede l’obbligo di fatturazione elettronica fino al 31 dicembre 2024.

Fattura elettronica, si chiede che l’obbligo alle partite Iva forfettarie scatti il 1° gennaio 2023

Tuttavia, sull’estensione della fattura elettronica alle categorie finora esonerate emergono richieste di rinvio della data di decorrenza da varie parti. Ovvero di modificare la bozza del decreto entrata nel Consiglio dei ministri (e già corretta con il tetto minimo dei 25 mila euro voluto dal ministro per lo Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti) facendo decorrere l’obbligo dal 1° gennaio 2023. Il problema principale è di carattere pratico nella gestione, durante l’anno e a partire dal 1° luglio prossimo, di due tipologie di fatture, quelle cartacee e quelle elettroniche.

Fattura elettronica alle partite Iva forfettaria, cosa cambia dal 1° luglio 2022?

La bozza del decreto prevede anche un periodo di transizione per l’adeguamento al nuovo regime per le partite Iva forfettarie. Infatti, l’emissione del formato elettronico del documento può avvenire entro un mese dal giorno della corrispondente operazione. Tale periodo vige per le operazioni effettuate ad agosto e a settembre prossimi. Ciò che i rappresentanti dei professionisti e delle piccole e medie imprese lamentano è il poco tempo a disposizione per prendere confidenza con il nuovo sistema di emissione e di conservazione delle fatture elettroniche. La cui gestione può essere effettuata, gratuitamente, attraverso la piattaforma messa a disposizione dall’Agenzia delle entrate, il Sistema di interscambio (Sdi). In più il sistema prevede il pagamento del bollo sulla fattura da effettuare in via telematica.

Fattura elettronica alle partite Iva forfettarie, il limite dei 25 mila euro

Anche il limite dei 25 mila euro per l’adozione della fattura elettronica dei forfettari rischia di creare confusione. Si è espressa in questi termini l’Unione nazionale dei giovani dottori commercialisti ed esperti contabili (Ungdcec), reclamando che il cambio nel corso dell’anno rischia di creare confusione e destabilizzare la platea dei contribuenti interessati. In particolare, il tetto minimo dei 25 mila euro dei compensi e dei ricavi non sarebbe ben definito, soprattutto nelle modalità di calcolo.

Obbligo di fattura elettronica per combattere frodi ed evasione fiscale

Tuttavia, pur nelle difficoltà pratiche già incontrate dalle prime categorie di lavoratori autonomi che hanno sperimentato la fattura elettronica nel 2018, non si possono mettere da parte i vantaggi che l’adozione del formato elettronico può comportare, soprattutto nella lotta all’evasione fiscale. L’allargamento della platea delle partite Iva obbligate alla fatturazione elettronica permette al Fisco di poter avere notevoli dati da incrociare. E di bloccare sul nascere potenziali operazioni a rischio di frode. Secondo le stime, rimarrebbero fuori dall’obbligo di fatturazione elettronica circa 800 mila partite Iva a regime forfettario. I cui ricavi e compensi non arrivano a 25 mila euro.

QR Code partita IVA, come si genera per la fatturazione elettronica e a cosa serve

Per i titolari di partita IVA c’è un modo semplice e sicuro per fornire, ai fini della predisposizione della fattura elettronica, tutti i propri dati al fornitore. E questo, avviene, in particolare, grazie alla generazione del QR Code. Che non è altro che un codice a barre bidimensionale che, mostrandolo al fornitore, permette a quest’ultimo di acquisire, senza errori, i dati del cliente.

Ovverosia, non solo il numero della partita IVA, ma anche i dati anagrafici e l’indirizzo telematico. Vediamo allora, proprio per quel che riguarda il QR Code partita IVA, come questo si genera per la fatturazione elettronica e quali sono tutti i casi per cui questo serve e quindi è molto utile.

Come funziona il servizio di generazione del QR Code partita IVA

Nel dettaglio, per la generazione del QR Code partita IVA, accedendo al portale dell’Agenzia delle Entrate con le proprie credenziali, le strade possibili sono due. Ovverosia, si può generare il QR Code partita IVA dal proprio cassetto fiscale.

Oppure, il QR Code partita IVA si può generare dal portale ‘Fatture e Corrispettivi’ dell’Agenzia delle Entrate, e precisamente dal modulo ‘Generazione QR Code partita IVA’ che a sua volta fornisce due possibili scelte. Ovverosia, la generazione del QR Code partita IVA in formato immagine, oppure in formato PDF.

Come si utilizza il QR Code partita IVA dopo che questo è stato generato

Dopo che questo è stato generato, seguendo le indicazioni sopra riportate, il QR Code partita IVA si può utilizzare non solo dal portale ‘Fatture e Corrispettivi‘, ovverosia con la stessa applicazione web di predisposizione della fattura elettronica, ma anche con la procedura stand-alone per personal computer in accordo con quanto si legge sul sito Internet dell’Agenzia delle Entrate.

In più, il QR Code partita IVA generato si può utilizzare pure attraverso l’applicazione per i dispositivi mobili ‘FatturAE‘. Nonché con qualsiasi altro software di terze parti che sia abilitato all’acquisizione e quindi alla lettura del QR Code partita IVA del cliente.

Quando il QR Code partita IVA necessita di un nuova procedura di generazione

Il QR Code partita IVA contiene sempre i dati aggiornati al momento della sua generazione. Il che significa che, in caso di modifica dei dati anagrafici e/o del numero della partita IVA, il QR Code partita IVA, per essere corretto, dovrà essere generato di nuovo. E quindi dovrà essere poi comunicato di nuovo a tutti i fornitori invitandoli a non tener più conto del precedente codice a barre bidimensionale.

Fattura elettronica, scatta l’obbligo per le partite Iva forfettarie fino al 2024

Arriva l’obbligo di utilizzare la fattura elettronica per tutti i soggetti finora esonerato, tra i quali i possessori di partita Iva a regime forfettario. La novità arriva dal decreto legge Pnrr che, tuttavia, prevede la soglia minima di compensi e ricavi di 25 mila euro per l’adozione del formato elettronico. L’obbligo varrà fino al 31 dicembre 2024. Altre novità sono contenute nel decreto del governo. I concorsi pubblici passeranno dal portale InPa, al quale dovranno adeguarsi gradualmente i vari ministeri ed enti locali.

Fattura elettronica, scatta l’obbligo dal 1° luglio 2022 per le partite Iva forfettarie sopra i 25 mila euro di ricavi e compensi

L’obbligo di utilizzare la fattura elettronica si estende, dunque, a tutte le partite Iva in regime di flat tax. Riguarderà dunque i soggetti finora esonerati, tra i quali le partite Iva a regime forfettario, che dal 1° luglio 2022 dovranno adottare il formato elettronico. Rimane l’esonero per le partite Iva che abbiano volumi di compensi e di ricavi entro il limite di 25 mila euro: oltre vige l’obbligo. A conti fatti, potranno continuare a utilizzare il formato cartaceo circa 800 mila partite Iva. L’obbligo di fatturazione elettronica rimarrà in vigore fino a tutto il 2024.

Regime transitorio fattura elettronica partite Iva forfettarie: fino a ottobre emissione entro un mese dall’operazione

È previsto un periodo transitorio nel decreto Pnrr, anche se temporalmente limitato. Sole per i mesi di luglio, agosto e settembre 2022, non ci saranno sanzioni se la fattura elettronica viene emessa entro il mese successivo a quello nel quale sia stata effettuata l’operazione. Al termine del terzo trimestre dell’anno (a partire da ottobre), anche per le partite Iva a regime forfettario scatterà il limite temporale di 12 giorni per emettere la fattura elettronica.

Altre misure del decreto Pnrr: obbligo di utilizzo del Pos

Lo stesso decreto anticipa le sanzioni per le attività che non accettano i pagamenti mediante il Pos. Non dal 1° gennaio 2023, ma dal 30 giugno prossimo le attività che non accetteranno i pagamenti elettronici incorreranno nella sanzione di 30 euro, aumentata del 4% dell’importo della transazione.

Concorsi pubblici, dal 1° luglio 2022 il passaggio dal portale InPa

Novità in arrivo dal decreto anche per i concorsi pubblici nella Pubblica amministrazione. A partire dal 1° luglio, infatti, i concorsi saranno centralizzati e passeranno dal portale InPa, avviato nello scorso anno dal ministro per la Funzione Pubblica, Renato Brunetta. L’obiettivo è quello di permettere agli interessati di avere un unico portale di riferimento per la ricerca dei bandi di concorso, senza dover navigare sui tanti portali dei ministeri e siti specializzati. È previsto che da luglio 2022 partano le Pubblica amministrazioni centrali. Da novembre il portale InPa aprirà le porte ai concorsi delle Regioni e degli enti locali.

Apertura partita Iva, serve il conto corrente dedicato?

Serve il conto corrente dedicato all’apertura della partita Iva? Oppure i lavoratori autonomi, i piccoli imprenditori e i professionisti possono lavorare senza avere un conto corrente da utilizzare esclusivamente per la propria attività? È questa una delle questioni di maggiore interesse nel momento in cui si voglia avviare una attività in proprio, professionale, autonoma o imprenditoriale. Oppure se tale obbligo si generi in un qualsiasi altro momento di svolgimento della propria attività. Oltre a tutti gli adempimenti da ottemperare all’Agenzia delle entrate, all’Inps, alla Camera di commercio, si deve avere anche un conto corrente dedicato? Oppure, almeno nella fase iniziale si può utilizzare il proprio conto corrente?

Conto corrente dedicato: è obbligatorio in caso di apertura di partita Iva?

In realtà, per rispondere alla domanda se sia obbligatorio o meno avere un conto corrente dedicato all’apertura della partita Iva, non esiste alcun vincolo per le partite Iva e per i lavoratori autonomi. Si tratta di una facoltà che, peraltro, potrebbe avere anche dei vantaggi. Così non avveniva in passato. Infatti, nel 2006 il decreto Bersani stabiliva l’obbligatorietà, in capo a tutte le partite Iva, di possedere un unico conto corrente, in banca o alle poste, da dove far passare tutte le somme relative all’attività autonoma. Il decreto Bersani è stato superato nel 2008 e il conto corrente dedicato è rimasto una facoltà per professionisti e partite Iva. Anche se, come avviene in tutti gli ambiti, il conto corrente esclusivo per l’attività economica rappresenta un deterrente a commettere illeciti ed evasioni fiscali.

Partite Iva, quando è obbligatorio avere uno o più conti correnti dedicati?

Secondo la disciplina attuale, l’obbligo del conto corrente dedicato per le partite Iva sussiste solo in specifiche situazioni. Ovvero, per i soggetti che hanno la partita Iva in contabilità ordinaria. E dunque, anche tutte le società di capitali, a prescindere dal volume annuale dei ricavi e da quanto tempo siano attive, devono possedere uno o più conti correnti dedicati per avere un quadro comprensibile e univoco dei flussi finanziari in uscita e in entrata della propria attività.

Professionisti, società di persone e partite Iva individuali: è obbligatorio avere il conto corrente dedicato?

Per le partite Iva individuali, per le società di persone e le società di professionisti, tutti in regime di contabilità ordinaria, l’obbligo del conto corrente dedicato sussiste solo nel momento in cui si superino specifici limiti di fatturato all’anno. Tali limiti sono nell’ordine di 400 mila euro o di 700 mila euro a seconda del codice Ateco.

Quali vantaggi hanno le partite Iva con un conto corrente dedicato?

Avere un conto corrente dedicato comporta per i lavoratori autonomi e per le partite Iva anche dei vantaggi. In primo luogo, la possibilità di avere una separazione netta tra i movimenti in entrata e in uscita relativi alla propria sfera personale e quelli relativi alla propria attività o professione. Con un conto corrente dedicato la gestione dei movimenti, inoltre, risulta più fluida e ordinata. E soprattutto si hanno sotto controllo i costi sostenuti per portare avanti la propria attività.

Conto corrente dedicato delle partite Iva e controlli dell’Agenzia delle entrate

Inoltre, il conto corrente dedicato dei lavoratori autonomi e delle partite Iva permette all’Agenzia delle entrate di effettuare in maniera più agevole i controlli fiscali relativi all’attività. Risultano, peraltro, più agevoli i pagamenti dei modelli F24 relativi alle tasse e alle imposte rientranti nell’attività. E le somme non passano da quello che rappresenta il conto corrente personale.

Partite Iva e coltivatrici dirette, maggiori tutele per congedi parentali e indennità di maternità

Per le partite Iva, i liberi professionisti e i lavoratori autonomi arrivano maggiori tutele sui congedi parentali e sulle indennità di maternità. Le nuove disposizioni rientrano nella bozza del decreto legislativo di attuazione della direttiva europea numero 1158 del 2019. In particolare, ai lavoratori autonomi spettano maggiori tutele sulla maternità difficile e sul congedo parentale per quanto attiene le indennità.

Partite Iva e professionisti, quali le novità in arrivo per la maternità e i congedi parentali?

Le nuove disposizioni comprese nel decreto legislativo prevedono che, i liberi professionisti e le lavoratrici autonome abbiano diritto alle indennità giornaliere anche nei periodi prima dei due mesi antecedenti il parto. Sarà estesa l’indennità di congedo parentale per i liberi professionisti e le partite Iva. Inoltre, per gli iscritti alla Gestione separata Inps, si innalzerà da sei a nove mesi il periodo di congedo parentale e la fruizione sarà allargata dai tre ai dodici anni del figlio.

Lavoratori autonomi e libere professioniste, le novità della maternità difficile

La prima disposizione in arrivo per le libere professioniste riguarda le iscritte alle Casse previdenziali autonome e le partite Iva per la maternità difficile. Tra le lavoratrici autonome rientrano:

  • le mezzadre, le colone e le coltivatrici dirette;
  • le commercianti e le artigiane;
  • le pescatrici autonome.

Professioniste iscritte alle Casse previdenziali e lavoratrici autonome avranno maggiori tutele in caso di maternità difficile. In particolare, entrambe le categorie autonome potranno beneficiare di un’indennità estesa a prima dei due mesi antecedenti il parto.

Cosa cambia per il parto difficile per le lavoratrici autonome e le professioniste?

La bozza del decreto legislativo, dunque, pone modifiche all’attuale disciplina sulla maternità difficile. Quest’ultima avviene nel caso di “gravi complicazioni della gravidanza o nel caso di persistenti forme morbose che potrebbero aggravare lo stato della gravidanza”. La maternità difficile deve essere accertata dalla Asl. Per tutti questi casi, la bozza del provvedimento estende il diritto a ottenere l’indennità. Attualmente, l’indennità è dell’80% di 5/12 del reddito professionale denunciato ai fini fiscali per le libere professioniste; per le lavoratrici agricole l’indennità è fissata all’80% della retribuzione minima giornaliera.

Partite Iva, in arrivo l’estensione del congedo parentale anche agli uomini

Ancora, il decreto legislativo pone maggiori tutele anche alle partite Iva e ai lavoratori autonomi per quanto attiene al congedo parentale. La misura attualmente in vigore prevede che il congedo parentale spetti alle lavoratrici autonome per un periodo di tre mesi da fruirne entro il compimento di un anno di vita del bambino. Se si tratta di adozione, entro il primo anno dall’entrata in famiglia. La bozza del provvedimento estende la stessa misura anche ai lavoratori autonomi padri.

Congedo parentale, le novità in arrivo per i lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata Inps

Infine, novità in arrivo anche per i professionisti senza la Cassa previdenziale. Si tratta di lavoratori autonomi, uomini e donne, iscritti alla Gestione separata Inps, che sono tenuti a versare contributi previdenziali con importi maggiorati. In tal caso, il congedo parentale verrebbe elevato da sei a nove mesi (per un periodo di almeno tre mesi da fruire da parte di ognuno dei due genitori). L’attuale normativa consente un periodo di fruizione del congedo parentale di sei mesi nei primi tre anni di vita del bimbo. Complessivamente, la coppia può usufruire di sei mesi di congedo parentale.

Congedo parentale, come potrebbe cambiare per partite Iva e professionisti della Gestione separata Inps?

Il cambiamento, rispetto all’attuale normativa, del congedo parentale per i lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata Inps prevederebbe:

  • un periodo di fruizione incrementato dagli attuali sei mesi a nove mesi;
  • si potrebbe usufruire del congedo parentale entro i primi dodici anni di vita del figlio;
  • ciascun genitore potrebbe beneficiare di un periodo minimo di tre mesi del congedo parentale;
  • a uno dei due genitori spetterebbe un periodo aggiuntivo di tre mesi (dunque, il congedo spetterebbe per tre mesi a un genitore e per sei mesi all’altro);
  • non si può superare il limite dei nove mesi sommando i congedi parentali dei due genitori.

 

 

Contributi a negozi e attività commerciali, domande al via

Al via le domande per i contributi a fondo perduto a favore dei negozi e delle attività commerciali colpiti dalla crisi conseguente all’emergenza sanitaria. I ristori arrivano fino al 60% della differenza dei ricavi tra gli anni 2021 e 2019. È quanto prevede il decreto del ministero per lo Sviluppo Economico (Mise) del 24 marzo scorso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 7 aprile 2022. Per i negozi, compresi gli ambulanti, oltre alla differenza di ricavi, il requisito essenziale è l’ammontare entro i 2 milioni di euro dei ricavi riferito al 2019.

Ristori ai negozi e alle attività commerciali: le risorse del ministero per lo Sviluppo Economico

Si potranno presentare dal 3 maggio 2022 le domande per i contributi a fondo perduto del Mise per i negozi e le attività commerciali. Il Fondo per il rilancio delle attività economiche istituite dal ministero per lo Sviluppo Economico ha risorse per 200 milioni di euro. Il Mise intende ristorare i negozi e le attività commerciali, rientranti in determinati codici Ateco, che abbiano subito le maggiori perdite dall’emergenza Covid.

Quali sono i negozi e le attività beneficiarie dei ristori Mise?

I negozi che potranno presentare domanda per i contributi a fondo perduto del Mise sono  quelle che svolgono attività di commercio al dettaglio prevalente rientrante nei seguenti codici Ateco:

  • 47.19; 47.30; 47.43;
  • tutte le attività dei gruppi 47.5 e 47.6;
  • e 47.71; 47.72; 47.75; 47.76; 47.77; 47.78; 47.79; 47.82; 47.89 e 47.99.

Contributi a fondo perduto per i negozi: calcolo di quanto spetta

I contributi a fondo perduto per i negozi sono calcolati applicando una percentuale alla differenza tra l’ammontare medio mensile dei ricavi del 2021 rispetto all’ammontare medio mensile dell’anno 2019. La riduzione dei ricavi del 2021 rispetto al 2019 deve essere di almeno il 30% per ottenere il ristoro. Le percentuali da moltiplicare variano in questo modo:

  • il 60% per le attività che nel 2019 abbiano avuto ricavi entro i 400 mila euro;
  • il 50% per i negozi con ricavi nel 2019 dal 400 mila euro a un milione di euro;
  • il 40% per i soggetti che nel 2019 abbiano avuto ricavi da un milione di euro a due milioni di euro.

Ristori ai negozi, le percentuali potrebbero essere ridotte a seconda delle domande presentate

Tuttavia, suddette percentuali di ristoro potrebbero essere ridotte dal ministero per lo Sviluppo Economico nel caso in cui le risorse stanziate dovessero risultare insufficienti a coprire tutte le domande pervenute e in linea con i requisiti richiesti. Dunque l’importo effettivo dei contributi a fondo perduto ai negozi e alle attività commerciali potrebbe essere rideterminato successivamente alla chiusura delle domande. Ragione per la quale, le procedure di presentazione delle istanze non rientrano in un click day.

Come presentare domanda dei contributi a fondo perduto per i negozi e le attività commerciali

Le domande per i contributi a fondo perduto dei negozi e delle attività commerciali possono essere presentate a partire dalle ore 12:00 del 3 maggio prossimo e fino alle ore 12:00 del 24 maggio 2022. La domanda va presentata on line utilizzando il modello allegato al decreto del ministero per lo Sviluppo Economico (Mise). La domanda va presentata sulla piattaforma messa a disposizione da Invitalia. L’ordine temporale di presentazione delle istanze non comporta dei vantaggi per l’eventuale riduzione dei ristori conseguente all’incapienza delle risorse.

 

Acconto partita Iva: che cos’è, come si calcola e qual è il metodo più conveniente?

Che cos’è l’acconto delle partite Iva, come si calcola e quando si paga? A fine anno del 2021 era scaduto l’ultimo termine di versamento dell’acconto Iva relativo allo scorso anno. Il versamento è a carico dei lavoratori autonomi, delle ditte individuali e delle società, di persone e di capitali. È un adempimento obbligatorio al quale sono tenute tutte le partite Iva a eccezione di quelle ricadenti nel regime forfettario, e consiste in un acconto dell’Iva per le liquidazioni periodiche relative alla chiusura del mese o dell’ultimo trimestre dell’anno. Il pagamento può avvenire anche nel momento in cui si presenta la dichiarazione Iva annuale.

Come si calcola l’acconto Iva?

Per calcolare l’acconto Iva ci sono tre procedure. La prima rientra nel metodo storico, la seconda in quello analitico e l’ultima in quello previsionale. Le partite Iva obbligate all’acconto possono scegliere, di anno in anno, la procedura di calcolo da utilizzare. La procedura del metodo storico è quella più utilizzata e si basa sull’annualità precedente. Oppure, si può prendere in riferimento l’ultima liquidazione Iva effettuata, trimestrale o mensile.

Metodo storico per il calcolo dell’acconto Iva

Con il metodo storico di calcolo dell’acconto Iva si va a pagare l’88% del versamento fatto per la scadenza dell’ultimo trimestre o dell’ultimo mese dell’anno precedente. L’importo va preso al lordo dell’acconto dovuto per l’anno precedente. Pertanto, prendendo ad esempio l’ultimo versamento dell’anno, per chi versa mensilmente l’acconto Iva, la base di calcolo è la liquidazione periodica del mese di dicembre; per chi versa trimestralmente, la base di calcolo è la liquidazione dell’Iva relativa al 4° trimestre. Anche per la semplicità di calcolo, questo metodo risulta quello più utilizzato.

Base di calcolo dell’acconto Iva con il metodo storico

In altre parole, la base di calcolo per l’applicazione dell’88%, è corrispondente al debito di imposta risultante per:

  • i versamenti mensili dalla liquidazione periodica inerente il mese di dicembre dell’anno precedente;
  • per i soggetti trimestrali ordinari dalla dichiarazione annuale dell’Iva;
  • per i soggetti trimestrali “speciali” (ovvero i distributori di carburante, gli autotrasportatori, le imprese di somministrazione di energia, di gas, di acqua) alla liquidazione periodica del quarto trimestre dell’anno precedente.

Metodo previsionale per calcolare l’acconto Iva: che cos’è?

Con il metodo di calcolo previsionale dell’acconto Iva si considera la stima delle operazioni passive e attive che si ritiene di dover effettuare entro la fine dell’anno. Anche per questa procedura la percentuale di acconto è corrispondente all’88% dell’Iva, sia per il versamento mensile che per quello trimestrale. In particolare:

  • per il mese di dicembre, per i contribuenti mensili;
  • nel momento della dichiarazione dei redditi, per i contribuenti trimestrali ordinari;
  • per il 4° trimestre per i soggetti trimestrali “speciali”.

Calcolo previsionale dell’acconto Iva, quando conviene utilizzarlo?

In confronto alla prima procedura di calcolo, con il metodo previsionale si formulano delle vere e proprie ipotesi circa l’andamento delle attività nell’ultimo scorcio dell’anno. Per molti lavoratori autonomi non sempre risulta facile fare delle previsioni, soprattutto nelle fasi di incertezza economica dettate da emergenze sanitarie e del caro energia. Questo metodo, inoltre, in caso di errore prevede delle sanzioni: per questo motivo non risulta molto utilizzato. Risulta particolarmente utilizzato solo se si ha la certezza di aver avuto un anno peggiore rispetto al precedente in termini di risultati economici.

Metodo analitico per il calcolo dell’acconto Iva: come si procede?

L’ultimo metodo per il calcolo dell’acconto Iva è quello analitico. Si calcola prendendo in considerazione le operazioni effettuate dal principio del mese o del trimestre fino (per il 2021) al 20 dicembre. Pertanto, pochi giorni prima della scadenza del versamento dell’acconto dell’Iva. L’acconto è corrispondente al 100% dell’importo risultante da una specifica liquidazione che tenga conto dell’Iva inerente le seguenti operazioni:

  • quelle iscritte nel registro delle fatture emesse (o nel registro dei corrispettivi) nel periodo 1°-20 dicembre (per i contribuenti mensili) o nel periodo 1° ottobre-20 dicembre (per i contribuenti trimestrali);
  • le operazioni già effettuate, ma non ancora fatturate o registrate, nel periodo dal 1° novembre al 20 dicembre;
  • quelle iscritte nel registro delle fatture degli acquisti nel periodo dal 1° al 20 dicembre (per i contribuenti mensili) o nel periodo dal 1° ottobre al 20 dicembre (per i contribuenti trimestrali).

Metodo analitico del calcolo dell’acconto Iva, quando conviene?

Il metodo di calcolo analitico dell’acconto Iva non produce errori di stima a differenza del metodo previsionale. Si tratta, pertanto, di una procedura sicura. È adottato soprattutto dalle partite Iva che hanno subito riduzioni del fatturato in confronto all’anno prima. Consente, quindi, di evitare di versare più di quanto dovuto mediante un calcolo che tiene conto dell’andamento reale dell’ultimo periodo.

Come si paga l’acconto Iva ed esenzione per le partite Iva a regime forfettario

Il pagamento dell’acconto Iva avviene mediante l’uso del modello F24. Si può pagare in modalità solo telematica mediante i servizi messi a disposizione dall’Agenzia delle entrate. Per il calcolo di quanto dovuto si possono portare in compensazione eventuali contributi a disposizione o crediti di imposta. Non sono sottoposte al pagamento dell’acconto Iva le partite Iva:

  • a regime forfettario;
  • che abbiano effettuato esclusivamente operazioni esenti e non imponibili;
  • la cui cessazione dell’attività sia avvenuta entro il 30 novembre (per i versamenti mensili) o il 30 settembre (per quelli trimestrali);
  • con un credito Iva per le operazioni svolte nell’ultimo trimestre o mese del 2020;
  • le partite Iva che abbiano un importo dovuto a titolo di acconto non eccedente i 103,29 euro.