Contributi volontari: quanto si paga, ritardi e deducibilità

Quanto si paga per i contributi versati volontariamente ai fini della pensione? E i contributi versati periodicamente possono essere deducibili? Sono queste alcune delle domande che si pongono i contribuenti nel momento in cui vogliano produrre richiesta di autorizzazione al versamento volontario dei contributi. Sicuramente il costo dei contributi da versare rappresenta uno degli aspetti sui quali si riflette maggiormente. Leggiamo quanto costa versare i contributi in maniera volontaria.

Quanto costa versare i contributi volontariamente ai fini della pensione?

Il costo da sostenere per versare i contributi volontari ai fini della pensione si calcola sulla retribuzione media percepita nell’ultimo anno nel quale si è lavorato. Per i lavoratori dipendenti (non appartenenti al settore agricolo), l’importo da pagare si determina applicando l’aliquota contributiva prevista per ciascun anno, alla retribuzione media percepita nelle 52 settimane antecedenti il giorno di presentazione dell’istanza. Non si paga più, come in passato, in base alle classi di contribuzione determinate dal decreto legislativo numero 184 del 1997.

Versamento dei contributi volontari, come si determina la retribuzione minima settimanale?

La determinazione della retribuzione minima settimanale ai fini del versamento dei contributi volontari si determina secondo quanto prevede il comma 1, dell’articolo 7, della legge numero 638 del 1983. Il calcolo, pertanto, consiste nell’applicazione del 40% sull’importo del trattamento minimo stabilito per il 1° gennaio di ciascun anno. In base all’indice Istat per il calcolo della retribuzione minima settimanale utile al calcolo dei contributi volontari, l’importo del 2022 è corrispondente a 210,15 euro. Tale importo è ottenuto applicando il 40% alla pensione minima che per il 2022 è pari a 525,38 euro.

Contributi volontari di lavoratori dipendenti, quanto si paga?

Per i lavoratori dipendenti, il calcolo di quanto si versa una volta ottenuta l’autorizzazione per i contributi volontari tiene conto dell’aliquota contributiva del 33%. Pertanto, se un contribuente ha percepito 20 mila euro nei 12 mesi di retribuzione precedenti alla presentazione della domanda, l’importo da pagare per i contributi volontari è pari a 6.600 euro all’anno. I contributi, dunque, si calcolano applicando il 33% a 20 mila euro. Il che corrisponde a un importo di 1.650 euro a trimestre e di 126,92 a settimana.

Contributi volontari, non si possono fare ritardi nel pagamento per non perdere il beneficio

Ai fini del pagamento dei contributi volontari, i soggetti non possono pagare nemmeno con un giorno di ritardo, pena la perdita dell’accredito del trimestre corrispondente che rimane pertanto scoperto. Il pagamento effettuato anche con un solo giorno di ritardo rispetto a quando previsto provoca il mancato riconoscimento del periodo di accredito con conseguente restituzione di quanto versato. In tal caso, il contribuente può chiedere che il pagamento in ritardo di un trimestre sia valido per il trimestre susseguente.

Contributi volontari, quali sono le scadenze per pagare?

Dunque, se il contribuente paga in ritardo i contributi scadenti il 30 giugno e relativi ai mesi di gennaio, febbraio e marzo, in alternativa può chiedere che quanto pagato sia utile per il trimestre successivo, ovvero per i mesi di aprile, maggio e giugno da pagare entro il 30 settembre. Il primo trimestre, in ogni modo, rimane vacante da contributi volontari. In linea generale, i versamenti dei contributi volontari devono essere effettuati entro le scadenze del:

  • 30 giugno per i mesi di gennaio, febbraio e marzo (1° trimestre dell’anno);
  • 30 settembre per i mesi di aprile, maggio e giugno (2° trimestre dell’anno);
  • 31 dicembre per i mesi di luglio, agosto e settembre (3° trimestre dell’anno);
  • 31 marzo per i mesi di ottobre, novembre e dicembre dell’anno prima (4° trimestre dell’anno).

Deduzione o detrazione dei contributi volontari ai fini della pensione?

Il versamento dei contributi volontari produce una deduzione e non a una detrazione. Ovvero, un abbattimento del reddito complessivo. Pertanto, la deduzione permette di non pagare l’Irpef sulle spese relative. Nel caso della detrazione, invece, si ha diritto a uno sconto sull’Irpef da versare in base alla percentuale dello sconto stesso. I contributi versati volontariamente sono peraltro deducibili anche se versati a favore dei famigliari fiscalmente a carico (ad esempio, il coniuge).

Pensione, come versare i contributi volontari per chi ha perso il lavoro?

Come avvicinare la pensione con il versamento dei contributi volontari? E quali sono i requisiti richiesti per quanti hanno perduto il lavoro e non trovano un’altra occupazione? Si tratta di una situazione ricorrente nella quale continuare a versare i contributi volontari, in molti casi, rappresenta l’unica possibilità per arrivare al trattamento pensionistico. Tuttavia, è necessario distinguere i lavoratori autonomi da quelli dipendenti in merito all’autorizzazione (e quindi ai requisiti) per procedere con il versamento dei contributi volontari.

Lavoratori autonomi, chi può versare i contributi volontari per accorciare la via della pensione?

Per ottenere l’autorizzazione a versare i contributi volontari dei lavoratori autonomi iscritti all’Inps è occorrente che:

  • i commercianti e gli artigiani abbiano già versato almeno 5 anni di contributi effettivi riferiti a qualunque periodo della propria vita. In alternativa, possono essere stati versati anche 3 anni di contributi nei 5 anni precedenti la domanda nella quale si chiede di poter versare i contributi volontari;
  • per i coloni, i mezzadri e i coltivatori diretti è necessario aver versato almeno 5 anni di contributi in tutta la vita assicurativa. In alternativa, i contributi giornalieri sono pari a 279 per gli uomini e a 186 per le donne e i giovani nei 5 anni che precedono la domanda nella quale si chiede di poter versare i contributi volontari.

Lavoratori dipendenti e parasubordinati, quando possono richiedere il versamento dei contributi volontari?

Per i lavoratori parasubordinati, la possibilità di richiedere i contributi volontari è vincolata ad avere un anno di contributi versato nei 5 anni precedenti al momento in cui si presenta domanda di autorizzazione a versare i contributi volontari stessi. Per i lavoratori dipendenti, invece, l’autorizzazione a versare i contributi volontari è subordinata all’aver versato 5 anni di contributi effettivi, in qualunque epoca lavorativa. Oppure, in alternativa, aver provveduto ai versamenti contributivi per tre anni degli ultimi 5 che precedono la richiesta stessa.

Casi particolare di domanda di contributi volontari per arrivare prima alla pensione

I lavoratori domestici, nel caso di lavoro alle dipendenze, possono in alternativa al meccanismo dei 5 anni di versamenti o dei 3 degli ultimi 5 anni, aver versato 156 contributi settimanali. Chi svolge un lavoro part time, purché dal 1997 in poi, può richiedere il versamento dei contributi volontari se ha versato almeno un anno di contributi nei 5 che precedono la domanda di autorizzazione. In questo caso specifico, l’autorizzazione al versamento dei contributi volontari può essere ottenuta anche se il rapporto di lavoro risulti ancora in corso. Non è necessaria dunque la cessazione del rapporto di lavoro.

Richiesta di versare i contributi volontari per i lavoratori stagionali

Per i lavoratori stagionali, la domanda di autorizzazione all’Inps per il versamento dei contributi volontari può avvenire a condizione che siano stati versati contributi per almeno un anno nei 5 che precedono la presentazione dell’istanza stessa. Il lavoro può essere svolto in maniera stagionale, temporanea e discontinua, ma relativamente solo ai periodi non coperti da contributi obbligatori o figurativi successivi al 31 dicembre 1996. Per i lavoratori stagionali l’Inps rilascia l’autorizzazione con decorrenza successiva al termine oppure alla sospensione del lavoro.

Quando avviene l’autorizzazione al versamento dei contributi volontari per la pensione?

L’autorizzazione al versamento dei contributi volontari ai fini della pensione può essere rilasciata dall’Inps solo nel caso ci sia stata cessazione o interruzione del rapporto di lavoro. Per i lavoratori alle dipendenze, tale autorizzazione perviene a partire dal primo sabato susseguente ala presentazione dell’istanza. Per i lavoratori autonomi, invece, l’autorizzazione parte dal primo giorno del mese di presentazione della domanda.

Cosa avviene se la domanda di versare i contributi volontari viene presentata prima della cessazione del lavoro?

Diverso è il caso in cui il contribuente presenti la domanda di autorizzazione a versare i contributi volontari prima che cessi il rapporto di lavoro. In questo caso, se si tratta di lavoratore alle dipendenza, la decorrenza coincide con il primo sabato successivo alla cessazione del rapporto di lavoro. Per i commercianti e gli artigiani, la decorrenza parte dal primo giorno del mese susseguente alla cancellazione degli elenchi professionali.

Caso di un artigiano che richieda di poter versare i contributi volontari per arrivare alla pensione

Spesso mancano davvero pochi anni per arrivare alla pensione. Ad esempio, un artigiano iscritto all’Inps che abbia l’età intorno ai 60 anni e oltre 40 di contributi versati, alla chiusura della propria attività può richiedere di versare i contributi volontari. Lo può fare, alle condizioni descritte, per arrivare ad esempio alla pensione anticipata. Per l’uscita prima rispetto alla pensione di vecchiaia occorrono 42 anni e 10 mesi di contributi. Al raggiungimento dei requisiti contributivo, l’artigiano potrà andare in pensione, a prescindere dall’età anagrafica.

Pensione: quando si applicano il calcolo retributivo, contributivo e misto?

Il sistema pensionistico italiano attualmente prevede tre sistemi di calcolo della pensione: contributivo, retributivo e misto. Questi si applicano a seconda del percorso assicurativo del lavoratore. Gli stessi comportano importi maggiori o minori. Vediamo ora quando si applicano.

Metodo contributivo, retributivo e misto

La prima cosa da sottolineare è che il sistema migliore per calcolare la pensione è il retributivo. Si tratta però di una misura in via di esaurimento e la data da tenere in mente è il 31 dicembre 1995. Un cosa è certa: chi ha iniziato a versare i primi contributi dopo il 1995 avrà la pensione calcolata solo con il metodo contributivo. Si tratta in genere di persone che nel 1995 avevano circa 18 anni, nati quindi nel 1977 considerando questa come età in cui si entra nel mondo del lavoro. Ci sono sicuramente persone nate prima che sono entrate nel mondo del lavoro dopo il 1995, quindi diciamo che questo è un riferimento abbastanza labile.

Il metodo retributivo: a quali categorie di pensione viene applicato?

La seconda opzione riguarda coloro che prima del 31 dicembre 1995 hanno maturato anzianità contributiva, in questo caso:

  • se gli anni di contributi sono meno di 18 (prima del 31 dicembre 1995), la pensione si calcola con il sistema retributivo per il periodo relativo e con il sistema contributivo per gli anni versati dal primo gennaio 1996 fino al momento della pensione.
  • Se gli anni di contributi versati prima del 31 dicembre 1995 sono almeno 18 c’è un trattamento di maggiore favore. In questo caso il calcolo con il sistema retributivo viene applicato per i contributi versati fino al 31 dicembre 2011.

Il metodo retributivo prevede il calcolo della pensione basandosi sulla media delle retribuzioni maturate rivalutate. In base alle indicazioni dell’INPS con il calcolo retributivo era possibile avere una pensione pari al 70% della retribuzione media percepita se si accede con 35 anni di contributi e l’80% della retribuzione media percepita nel caso in cui il lavoratore abbia maturato un’anzianità contributiva di 40 anni.

Il sistema contributivo

Il sistema contributivo, in base a quanto indicato dall’INPS, è più complesso, infatti prevede:

  • il calcolo della base imponibile annua, cioè la retribuzione annua versata dall’assicurato ogni anno;
  • si procede con il calcolo dei contributi versati ogni anno  moltiplicando la base imponibile per l’aliquota del 33% per i lavoratori dipendenti. Gli importi devono quindi essere rivalutati attraverso i dati elaborati dall’ISTAT e applicando un coefficiente di trasformazione legato all’età del lavoratore che vuole accedere alla pensione.
  • Il coefficiente aumenta all’aumentare dell’età, quindi chi cerca di accedere prima alla pensione, avrà comunque una pensione inferiore rispetto a chi accede all’età prevista per la pensione di vecchiaia.

Ricordiamo che per gli anni 2023 e 2024 non è previsto nessun adeguamento dell’età pensionabile alla speranza di vita.

Attenzione alla pensione anticipata

Il calcolo pensionistico maggiormente favorevole è quello con il sistema retributivo e naturalmente il sistema misto. Proprio per questo è bene porre attenzione, infatti alcune forme pensionistiche agevolate richiedono la rinuncia al calcolo retributivo e l’applicazione del solo metodo di calcolo contributivo, succede ad esempio con Opzione Donna, per questo solitamente si afferma che chi sceglie di andare in pensione con Opzione donna perde circa il 30% dell’assegno.

Il calcolo contributivo non si applica invece alla pensione Precoci che si calcola in modo ordinario.

Pensioni, quali possibilità di uscita con quota 102?

Quali possibilità vi sono per andare in pensione con quota 102 nel 2022? Fino alla fine di quest’anno si potrà andare in pensione anticipata con requisiti meno gravosi rispetto alla pensione di vecchiaia purché si maturino i 64 anni di età unitamente ad almeno 38 anni di contributi. Sulle chance di uscita con quota 102 l’Inps, lo scorso 8 marzo, è intervenuta con la circolare numero 38 per segnalare i passaggi utili per arrivare alla maturazione della quota 102.

Quota 102, quali differenze con le pensioni a quota 100?

Rispetto alla quota 100, in vigore fino al 31 dicembre 2021, con la quota 102 vi sono due novità. La prima è l’elevazione dell’età minima richiesta da 62 a 64 anni di età. La seconda novità riguarda la durata della sperimentazione. A differenza di quota 100, la quota 102 durerà solo per un anno. Tuttavia, ad oggi non si può essere certi che il governo consenta l’estensione anche al 2023 della quota 102. Molto dipenderà da come andrà il processo di riforma delle pensioni nel corso dell’anno.

Pensioni, quali lavoratori usciranno prima con la quota 102?

Con la circolare, inoltre, l’Inps ha già fissato le decorrenze del trattamento di pensione con quota 102 per l’anno 2022 in base alle differenti categorie lavorative. I prima a poter andare in pensione con quota 102 a decorrere dal 2 aprile 2022 saranno i lavoratori il cui trattamento previdenziale sia liquidato dalla gestione esclusiva dell’Assicurazione generale obbligatoria (Ago). Rientrano in questa categoria i lavoratori del Fondo Quiescenza delle Poste, ad esempio, o i lavoratori iscritti al Fondo Speciale delle Ferrovie dello Stato.

Quando andranno in pensione i lavoratori autonomi, del settore privato e quelli del pubblico impiego con quota 102?

A seguire, i lavoratori prossimi all’uscita per la pensione con quota 102 saranno quelli appartenenti al settore privato e gli autonomi. La decorrenza della pensione è prevista a partire dal 1° maggio 2022. A tale data corrisponde la regola del primo giorno del mese susseguente allo scadere dei tra mesi susseguenti alla maturazione dei requisiti. Infine, per i lavoratori del pubblico impiego, la prima data utile è quella del 2 luglio 2022.

Requisiti utili per la pensione a quota 102 maturati nel 2022, il diritto si cristallizza anche per gli anni successivi

Come specifica l’Inps nella circolare, inoltre, i requisiti utili per la maturazione della quota 102 devono essere raggiunti nell’anno 2022. Al raggiungimento dei requisiti, il lavoratore può decidere di andare in pensione anche nei prossimi anni con la misura in vigore nel 2022. Come per la quota 100, dunque, il diritto alla pensione con quota 102 si cristallizza e si può decidere di differire ai prossimi anni l’uscita da lavoro. Risulta decisivo, pertanto, raggiungere l’età di 64 anni e 38 anni di contributi nel corso dell’anno.

Quante settimane di lavoro sono necessarie per raggiungere i contributi per la quota 102?

I 38 anni di contributi necessari per maturare la quota 102 sono pari a 1976 settimane di lavoro. I contributi necessari possono ottenersi anche sommando i contributi non coincidenti accreditati nelle gestioni pensionistiche obbligatorie differenti, a eccezione che si tratti di contributi versati alle Casse previdenziali professionali.

Come avviene il calcolo della pensione per la quota 102?

Inoltre, il pensionamento con quota 102 è calcolato normalmente con il sistema pensionistico misto. Ovvero, una quota parte della pensione è calcolata con il metodo retributivo (normalmente fino a tutto il 1995); la restante quota con il sistema previdenziale contributivo, per i versamenti effettuati dal 1° gennaio 1996. Tuttavia, la quota 102 si può esercitare anche dopo aver esercitato l’opzione per il sistema contributivo. Si possono riscattare anche periodi antecedenti l’anno 1996 con il sistema agevolato, proprio per maturare i 38 anni di contributi richiesti.

Arrivare a 38 anni di contributi per la quota 102: il riscatto

Per arrivare ai 38 anni di contributi necessari per le pensioni a quota 102 si può procedere con il riscatto di periodi di studio. Ad esempio, se un lavoratore nel 2022 compie 64 anni ed ha 36 anni di contributi, può procedere con il riscatto di due anni del corso di laurea per perfezionare il requisiti contributivo. Dovrà procedere con il versamento di tutto l’onere e inoltrare la domanda della quota 102. Tale operazione può essere fatta anche successivamente al 2022.

Pensioni con quota 102, si può procedere con il cumulo lavoro-pensione?

Come per la quota 100, anche per la pensione a quota 102 non si può procedere con il cumulo dei redditi da lavoro con quelli da pensione. La data di decorrenza del divieto di cumulo è quella coincidente con il primo giorno di decorrenza della pensione stessa. Il cumulo persiste fino alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia. Attualmente, e probabilmente fino a tutto il 2026, l’età fissata per la pensione di vecchiaia è pari a 67 anni, unitamente a 20 anni di contributi. Come per la quota 100 si può procedere a un’attività lavorativa purché:

  • si tratti di un lavoro autonomo occasionale;
  • gli incassi siano limitati ai 5 mila euro lordi all’anno.

Aumenti delle pensioni nel mese di aprile. Chi potrà beneficiarne?

L’INPS ha reso noto che dal mese di aprile 2022 molti pensionati riceveranno importi più alti in seguito al ricalcolo basato su inflazione, taglio dell’IRPEF e adeguamento della quota retributiva della pensione. Ecco nel dettaglio cosa succederà e chi potrà beneficiare degli aumenti delle pensioni.

Adeguamento delle pensioni in base all’inflazione: tutti avranno gli aumenti

Il primo aumento delle pensioni ha avuto luogo a marzo ed è dovuto all’adeguamento della pensione all’indice dell’inflazione, infatti nei mesi di gennaio e febbraio i pensionati hanno ricevuto solo l’aumento dovuto alle previsioni di inflazione ed era pari all’ 1,6% calcolato nel mese di ottobre 2021, quindi in un periodo antecedente rispetto alla corsa dei prezzi al rialzo. L’inflazione definitiva per il 2021 si è invece attestata all’1,7% e di conseguenza gli importi sono stati leggermente ritoccati al rialzo. Nel mese di marzo è stato versato anche il maggiore importo dovuto per i mesi di gennaio e febbraio. Ricordiamo però che l’inflazione è in realtà stata fissata successivamente all’1,90%. Questo vuol dire che in sede di perequazione, nel primo pagamento del 2023, saranno versati ulteriori importi determinati dalla differenza tra l’1,7% e l’1,9% calcolato naturalmente su 13 mensilità.

Da aprile 2022 si applicano le nuove aliquote IRPEF: chi avrà aumenti della pensione?

Al beneficio legato all’inflazione, in realtà poca cosa rispetto all’inflazione reale che gli italiani stanno toccando con mano in questi mesi, si cumulano i benefici derivanti dalla nuova tassazione Irpef. Le aliquote sono passate da 5 a 4:

  • fino a 15.000 euro l’aliquota è invariata al 23%;
  • il secondo scaglione comprende i redditi da 15.000 a 28.000 euro e si applica l’aliquota del 25% ( prima l’aliquota era al 27%);
  • la terza fascia comprende i redditi da 28.000 euro a 50.000 euro e si applica l’aliquota del 35%. Prima della riforma 38% per redditi fino a 55.000 euro;
  • il quarto scaglione ai redditi superiori ai 50.000 euro ed è del 43%.  In passato c’era la doppia aliquota 41% per redditi fino a 75.000 euro e 43% oltre 75.000 euro).

Come si applicano le aliquote?

Questo implica che molti pensionati in forza della nuova tassazione maggiormente vantaggiosa potranno ricevere un importo maggiore. Grazie inoltre all’aumento della No Tax Area da 8.000 euro a 8.500 euro, ci saranno benefici anche per le pensioni più basse. Ricordiamo però che chi ha un reddito superiore a 8.500 euro non beneficia della No Tax Area e di conseguenza paga l’Irpef sull’intero importo.

Per maggiori informazioni sugli effetti della No Tax Area, leggi l’articolo: No Tax Area: cos’è a quanto ammonta e novità previste per il 2022

Inoltre le aliquote si applicano a scaglioni, questo vuol dire che coloro che hanno un reddito annuo di 18.000 euro pagano l’aliquota al 23% sui primi 15.000 euro, mentre sugli ulteriori 3.000 euro pagano il 25%, con un risparmio di due punti percentuali. Il risparmio dovrebbe essere di circa 60 euro in un anno, quindi, in questo specifico caso, l’aumento mensile dovrebbe essere di circa 4,60 euro. L’aumento della pensione cresce all’aumentare dell’importo mensile “normalmente percepito”. Dai calcoli fatti dall’INPS l’aumento medio per gli italiani sarà di 180 euro l’anno, ma ci saranno forti oscillazioni, infatti qualche contribuente riuscirà ad ottenere anche aumenti di 700 euro su base annua.

Nuovi aumenti delle pensioni per chi ha contributi antecedenti al 1996

Infine, c’è l’ultima novità per coloro che hanno maturato almeno 18 anni di contributi prima del 1° gennaio 1996. Per costoro ci sarà un ulteriore adeguamento degli importi.

Lavori usuranti e pensione: chi presenta la domanda entro il 1° maggio 2022?

Gli addetti ai lavori usuranti possono accedere alla pensione in anticipo rispetto a tutte le altre categorie di lavoratori. La normativa prevede che le domande debbano però essere proposte una volta l’anno, ecco chi deve proporre la domanda nel 2022.

Quali solo i lavori usuranti che permettono di avere la pensione anticipata?

La prima cosa da capire è quali lavoratori possono accedere alla pensione per lavori usuranti. Si tratta di categorie che svolgono mansioni piuttosto pensanti e turni di notte. Tra i lavoratori ammessi ci sono:

  • lavoratori in miniere, cave, gallerie oppure svolgono lavori con esposizione ad alte temperature (forni) oppure in locali ad alte temperature;
  • conducenti di veicoli adibiti al trasporto pubblico;
  • addetti alla linea catena;
  • notturni a turno o per l’intero periodo lavorativo;
  • lavoratori notturni con almeno 64 notti lavorate nell’anno;
  • subacquei (palombari);
  • addetti a lavori da svolgere in spazi angusti (ad esempio intercapedini, pozzetti, doppi fondi);
  • lavori in cassoni ad aria compressa;
  • asportazione amianto;
  • lavorazione del vetro cavo.

Affinché si possa accedere alla pensione per i lavori usuranti, tali mansioni devono essere state svolte per almeno metà del periodo contributivo e per almeno 7 anni negli ultimi 10 anni di contributi.

Al persistere di tali condizioni è possibile accedere alla pensione a condizioni agevolate, cioè al compimento di 61 anni e 7 mesi con 35 anni di contributi. Per i lavoratori autonomi che svolgono tali mansioni il requisito anagrafico richiesto è più elevato, costoro possono accedere a 62 anni e 7 mesi di età. Questi sono i requisiti previsti per coloro che nell’arco dell’anno lavorano per un numero di giorni pari o superiore a 78 unità.

Coloro che nell’arco dell’anno hanno maturato un numero di giornate di lavoro compreso tra 71 e 77 devono aver maturato un’età minima di 62 anni e 7 mesi (63 anni e 7 mesi per i lavoratori autonomi). Resta fisso il requisito di 35 anni di contributi.

Nel caso in cui i giorni lavorati nell’arco di un anno siano compresi tra 64 e 71, è necessario aver maturato un’età minima di 63 anni e 7 mesi, tale requisito è aumentato di un anno per i lavoratori autonomi.

L’INPS ha sottolineato che non si prevedono adeguamenti alla speranza di vita per gli anni 2022, 2023, 2024 e 2025.

Chi deve presentare la domanda per la pensione lavori usuranti entro il 1° maggio 2022?

La domanda per la pensione lavoratori usuranti deve essere presentata un anno prima rispetto alla data in cui sono maturati i requisiti. Questo implica che entro il primo maggio 2022 devono presentare la domanda coloro che maturano i requisiti dal primo gennaio 2023 al 31 dicembre 2023. Dopo la presentazione della domanda, l’INPS comunicherà se la stessa è stata accettata e la decorrenza.

Coloro che maturano i requisiti nel 2022 dovevano presentare la domanda nel 2021, presentandola in ritardo si potrà comunque percepire, ma con decorrenza ritardata. Con un ritardo di un mese la decorrenza sarà ritardata di un mese, con un ritardo fino a tre mesi, la decorrenza sarà ritardata di due mesi, mentre presentando la domanda con un ritardo pari o superiore a tre mesi, la decorrenza sarà ritardata di tre mesi.

Deve essere ricordato che devono essere distinti i lavori gravosi che consentono di accedere all’APE Sociale dai lavori usuranti veri e propri. Per le ultime novità sui lavori gravosi, leggi l’articolo: pensione gravosi: si allarga la platea dei beneficiari per lavori usuranti

Contributi volontari INPS 2022: quanto costano ai lavoratori?

Chi è vicino a maturare i requisiti pensionistici, ma ha perso il lavoro o semplicemente è disoccupato, ha i requisiti per accedere alla pensione, ma vuole incrementare l’importo del futuro assegno, può versare i contributi volontari. Molti si chiedono: quanto costano i contributi volontari? Vedremo ora il costo per il 2022 in base alle varie categorie di lavoratori.

In quali casi è possibile versare i contributi volontari INPS 2022?

Affinché un lavoratore possa versare contributi volontari è necessario che ci siano dei presupposti. In primo luogo è necessario avere versato almeno 5 anni di contributi, pari a 260 contributi settimanali o 60 contributi mensili. Inoltre occorre aver versato almeno 3 anni di contributi negli utili 5 anni. La contribuzione volontaria è utile a coprire buchi, ma sia chiaro, non si possono versare contributi per gli anni passati. Cioè se Tizio, ad esempio nel 2010, non ha versato i contributi, oppure ha perso alcune settimane o mesi, oggi non può decidere di versare i contributi a copertura di quel periodo.

La copertura può riguardare periodi in cui non sono stati versati fino ad un periodo antecedente rispetto a quello della domanda massimo di sei mesi. Quindi oggi si può proporre la domanda a copertura anche dei sei mesi precedenti. Non si può andare oltre. Per poter pagare i contributi volontari INPS è inoltre necessario non avere un rapporto di lavoro in corso e non essere titolari di una pensione diretta.

Quanto costa versare i contributi volontari INPS 2022?

Il costo dei contributi volontari INPS 2022 è stato reso noto con la circolare INPS 24 dell’11 febbraio 2022. L’aliquota contributiva per lavoratori ( non lavoratori agricoli) che hanno ottenuto l’autorizzazione a versare contributi volontari dopo il 31 dicembre 1995, è del 33%. Questa aliquota viene applicata sulla retribuzione minima settimanale aggiornata in base ai dati Istat sull’inflazione. Per il 2022 è previsto l’importo di retribuzione minima settimanale di 210,15 euro, naturalmente ciò deve essere moltiplicato per 52 settimane, cioè quanto è necessario maturare per avere un anno di contributi INPS. Si tratta quindi di un importo minimo di reddito di 10.927,80 su questa deve essere applicata l’aliquota del 33%. Il risultato è 3.606, 174 euro.

Questa aliquota oltre ad essere applicata ai lavoratori iscritta all’INPS, si applica anche agli iscritti delle gestioni:

  • Elettrici;
  • autoferrotranvieri;
  • telefonici;
  • fondo dipendenti delle ferrovie;
  • dirigenti ex INPDAI .

L’aliquota viene aumentata di un punto percentuale nel caso in cui i redditi dichiarati da coloro che vogliono versare contributi volontari è pari o superiore a 48.279,00 euro.

L’aliquota vista scende per coloro che hanno fatto domanda di versare i contributi volontari e sono stati autorizzati con decorrenza antecedente al 1° gennaio 1996. In questo caso l’aliquota è del 27,87%.

I contributi volontari INPS 2022 hanno un’aliquota leggermente più bassa per alcune categorie di lavoratori, infatti per i dipendenti del settore sanità e degli enti locali, per i lavoratori del settore servizi postali, telegrafici, telefonici, la stessa è fissata al 32,65%.

Costo contributi volontari INPS 2022 per partita IVA

Il calcolo è diverso per i titolari di partita IVA che versano, o hanno versato, i contributi in qualità di commercianti o artigiani. In questo caso si parte dal reddito medio degli ultimi 36 mesi di attività e si applica un’aliquota diversa in base alla categoria. La stessa è del:

  • 22,80% per gli artigiani titolari di età inferiore a 21 anni e 24% in caso di età superiore a 21 anni.
  • 23,28% per commercianti di età inferiore a 21 anni e 24,48% per commercianti età superiore a 21 anni.

Per gli iscritti alla Gestione Separata INPS il minimale su cui viene calcolato l’importo dei contributi volontari INPS è di 16.243 euro e su questo importo viene applicata un’aliquota del 25% per i professionisti senza cassa obbligatoria e del 33% per i collaboratori a progetto e altri professionisti. Di conseguenza per i primi un anno di contributi volontari costa 4.060,75 euro mentre per i secondi 5.360,28 euro .

Deve essere ricordato che i contributi volontari INPS una volta versati non possono essere recuperati. Proprio per questo prima di presentare al domanda è bene calcolare in modo attento se è davvero necessario e utile versarli.

Per informazioni sulle rare ipotesi in cui è possibile ottenere la restituzione dei contributi versati, leggi l’articolo: Contributi volontari INPS: si può chiedere la restituzione?

Pensioni quota 102, decorrenza dal 2 aprile 2022: ecco tutte le istruzioni

Prime indicazioni dell’Inps delle pensioni a quota 102. L’Istituto previdenziale, infatti, è intervenuto per chiarire le regole valide per questa formula di pensione anticipata con decorrenza della pensione a partire dal 2 aprile 2022. I requisiti di accesso alla quota 102 sono fissati nell’età di 64 anni e nel numero di anni di contributi pari a 38. Entrambi i requisiti devono essere maturati nell’arco dell’anno 2022. Inoltre, l’Inps ha formulato le ipotesi per le quali si potrà accedere alla quota 102 anche dopo il 2022.

Pensioni anticipate a 64 anni con quota 102, chi può accedere al prepensionamento?

Con la circolare numero 38 dell’8 marzo 2022, l’Inps ha fornito le istruzioni per le pensioni a quota 102. Possono accedere alla formula di pensionamento anticipato, in via sperimentale fino al 31 dicembre di quest’anno, gli iscritti:

  • all’assicurazione generale obbligatoria;
  • alla Gestione separata Inps;
  • alle formule esclusive e sostitutive gestite dall’Inps rispetto all’assicurazione generale obbligatoria.

Pensioni a quota 102, da quanto decorre il pensionamento anticipato?

Sulla decorrenza delle pensioni a quota 102, la prima data utile è per i lavoratori assicurati alle gestioni esclusive, come ad esempio il fondo dei dipendenti postali. Per questi soggetti, la decorrenza della quota 102 parte dal 2 aprile 2022. Per i lavoratori del settore privato, invece, la decorrenza inizia trascorsi i tre mesi dalla data di maturazione dei requisiti. Pertanto, la decorrenza della pensione non può essere anteriore alla data del 1° maggio 2022.

Pensioni con quota 102, quando decorre il trattamento per i lavoratori della Pubblica amministrazione e della scuola?

Per i lavoratori dipendenti della Pubblica amministrazione, la decorrenza è fissata in sei mesi dalla maturazione dei requisiti previsti. Pertanto, il trattamento di pensione sarà liquidato a partire dal 1° agosto 2022. Per il personale impiegato nella scuola e nell’Afam, si deve continuare a far riferimento alle disposizioni specifiche previste dal comma 9, dell’articolo 59, della legge numero 449 del 1997.

Maturazione requisiti di pensione a quota 102, come vanno considerati i contributi versati?

Per la maturazione dei diritto ad andare in pensione con quota 102, i contributi richiesti sono di almeno 38 anni. Per raggiungere questo requisito, la circolare Inps specifica che risulta “valutabile la contribuzione a qualsiasi titolo versata o accreditata in favore dell’assicurato, fermo restando il contestuale perfezionamento del requisito di 35 anni di contribuzione utile per il diritto alla pensione di anzianità, ove richiesto dalla Gestione a carico della quale è liquidato il trattamento pensionistico”. Inoltre, “i lavoratori che perfezionano i prescritti requisiti, nel periodo compreso tra il 2019 e il 2021, per la pensione quota 100, ovvero entro il 2022, per la pensione anticipata introdotta dalla disposizione in oggetto, possono conseguire il relativo trattamento pensionistico in qualsiasi momento, anche successivo alle predette date, al ricorrere delle condizioni previste”.

Pensioni a quota 102, diritto ‘cristallizzato’ per uscite anche dopo il 2022

Pertanto, chi perfeziona i requisiti di uscita per le pensioni a quota 102 nel 2022, potrà comunque richiedere di accedere alla misura anche dopo il termine di quest’anno. Il diritto alla quota 102, come per la quota 100, si intente pertanto cristallizzato alla maturazione dei requisiti di uscita richiesti maturati durante l’anno in corso.

Possibilità di cumulare i contributi per arrivare alla pensione a quota 102: ecco come

Come per la quota 100, anche per la quota 102 i lavoratori hanno la possibilità di cumulare i contributi. A tal proposito, l’Istituto previdenziale chiarisce che i lavoratori hanno la facoltà di cumulare i contributi accantonati in tutte le gestioni dell’Inps per arrivare ai 38 anni di versamenti richiesti. Inoltre, la circolare Inps chiarisce anche la possibilità dei riscatti contributivi. I lavoratori che avessero raggiunto nel 2022 il numero di anni di contributi previsti grazie al riscatto, potranno accedere alla pensione a quota 102. L’accesso è diretto, e può avvenire rispettando le finestre di uscita a seconda che si lavori nel pubblico o nel privato.

Accesso alla quota 102 per chi è titolare di assegno ordinario di invalidità

La circolare Inps, inoltre, chiarisce l’accesso alla pensione a quota 102 per chi fosse titolare di assegno ordinario di invalidità. Ci si riferisce all’istituto previsto dalla legge numero 222 del 12 giugno 1984. I soggetti che maturino i requisiti richiesti per la quota 102, hanno la possibilità di conseguire, mediante domanda, la pensione anticipata in argomento. Ciò può avvenire “subordinatamente alla cessazione della titolarità dell’assegno ordinario di invalidità, per mancata conferma o a seguito di revisione per motivi sanitari”.

Trattamento di fine rapporto (Tfr) o di fine servizio (Tfs) con la pensione a quota 102

L’erogazione delle indennità di Trattamento di fine rapporto (Tfr) per i lavoratori del settore privato o del Trattamento di fine servizio (Tfs) per quelli del pubblico, anche nel caso di uscita con le pensioni a quota 102, non è contestuale alla conclusione del rapporto di lavoro. Pertanto, i lavoratori interessati non riceveranno il Tfr o il Tfs a decorrere dal collocamento a riposo. Ma dalla data in cui il lavoratore avrebbe maturato il diritto al trattamento pensionistico secondo le disposizioni in vigore.

Quanto viene pagato il Tfr o il Tfs dalla data di pensionamento anticipata con quota 102?

La circolare, pertanto, chiarisce anche la decorrenza del Trattamento di fine rapporto o di fine servizio a decorrere dal collocamento a riposo con quota 102. “Il trattamento di fine servizio o di fine rapporto – si legge nella circolare Inps – sarà pagabile decorsi 12 mesi dal raggiungimento del requisito anagrafico utile alla pensione di vecchiaia ovvero dopo 24 mesi dal conseguimento teorico del requisito contributivo per la pensione anticipata”. Alla decorrenza dei 12 o dei 24 mesi, partono gli ulteriori tre mesi di intervallo temporale affinché l’Inps possa provvedere al pagamento della prestazione previdenziale.

 

Autonomi che continuano a lavorare dopo la pensione: chi e quanti sono?

Sono in crescita i lavoratori autonomi e, nello specifico, i liberi professionisti che continuano a lavorare anche dopo essere andati in pensione. Il numero dei pensionati attivi è raddoppiato negli ultimi 15 anni. A eccezione dei geometri, tutti i professionisti iscritti alle Casse previdenziali continuano a lavorare anche dopo aver ottenuto il primo assegno di pensione. Soprattutto gli avvocati e i commercialisti, ma anche le altre libere professioni.

Lavoratori autonomi e liberi professionisti che continuano a lavorare dopo la pensione: quali tendenze?

La crescita del numero dei liberi professionisti che continua a lavorare anche dopo la pensione, rimanendo dunque attivi nel mondo del lavoro, è in costante aumento da 15 anni a questa parte. Nei quattro anni dal 2017 al 2020 (ultimo anno per il quale si hanno a disposizione dei dati), la crescita dei lavoratori autonomi pensionati ancora attivi è pari al 19%. La percentuale ricalca quella dei professionisti pensionati iscritti alle Casse previdenziali. I numeri degli ultimi quattro anni confermano una crescita che, in realtà, è iniziata già dal 2005. Una tendenza che, analizzandola, potrebbe andare a braccetto con le misure previdenziali introdotte nel corso degli ultimi decenni.

Liberi professionisti, quali sono quelli che lavorano di più dopo la pensione?

I numeri sui lavoratori autonomi e sui liberi professionisti pensionati ma ancora attivi nel mondo del lavoro sono stati forniti da Adepp. Se per i geometri si riscontra una flessione tra chi continua a lavorare dopo la pensione, i numeri sono in crescita per tutti gli altri professionisti. I biologi e i medici non dipendenti, ad esempio, mostrano una crescita del 42%. Ma i numeri più alti si riscontrano tra i veterinari, attivi dopo la pensione con crescita del 75% dei casi negli ultimi quattro anni.

Quanti sono i liberi professionisti che preferiscono continuare a lavorare anche dopo la pensione?

In totale, dunque, su un numero pari a 150.9891 pensionati tra i professionisti nel 2020, corrispondenti al 21% del totale dei pensionati, gli attivi nello stesso anno sono stati 81.697. Ovvero il 54% medio dei liberi professionisti iscritti alle Casse previdenziali ha preferito continuare a lavorare anche dopo la pensione. Il dato esprime, negli ultimi quattro anni, la crescita del 21% del numero dei professionisti andati in pensione e, parallelamente, l’aumento del 19% di chi rimane a esercitare la professione. È possibile prevedere una classifica dei professionisti che maggiormente tendono a rimanere a lavoro dopo la pensione.

Commercialisti, psicologi e avvocati, quanti rimangono a lavorare dopo la pensione?

I commercialisti iscritti alla Cassa previdenziale che nel 2020 sono andati in pensione sono stati pari a 6.364, dei quali 4.756 hanno continuato a lavorare. Il rapporto tra pensionati attivi sul numero di pensionati è pari, dunque, al 75%. Ciò significa che tre commercialisti su quattro preferiscono continuare a lavorare dopo la pensione. Percentuali in linea anche quelle degli psicologi dell’Enpap (4.842 in pensione nel 2020 ma 3.371 ancora a lavoro) con un rapporto tra attivi su pensionati pari al 70%. E degli avvocati: 19.819 in pensione nel 2020 ma 13.735 rimasti a lavoro per una percentuale attivi/pensionati del 69%.

Architetti, ingegneri e ragionieri: quanti preferiscono continuare a lavorare dopo la pensione?

A scorrere la classifica si ritrovano gli architetti e gli ingegneri dell’Inarcassa. A fronte di 22.869 pensionamenti nel 2020, il numero dei professionisti rimasti a lavoro è stato pari a 15.657. I rapporto tra pensionati attivi su pensionati è pari al 68%. A seguire i medici liberi professionisti dell’Enpam. Su 44.699 nuovi pensionati nel 2020, 24.950 sono rimasti a lavorare (il 56%). I ragionieri iscritti alla Cassa previdenziale andati in pensione nel 2020 sono stati 7.293, metà dei quali (49%) hanno preferito continuare a lavorare (3.539).

Tutte le libere professioni e quanti lavorano dopo la pensione

A seguire nella classifica dei liberi professionisti che rimangono a lavoro anche dopo essere andati in pensione si ritrovano:

  • i biologi dell’Enpab (1.610 in pensione, 710 rimasti a lavoro, il 44% degli attivi rispetto ai pensionati);
  • i periti industriali (4.413 in pensione, 1.963 ancora attivi, pari al 44%);
  • i pluricategorie (2.704 in pensione, 1.353 ancora attivi pari al 41%);
  • i consulenti del lavoro (8.427 in pensione, 3.641 rimasti a lavoro, il 43% ancora in attività);
  • i periti agrari (602 in pensione, 234 ancora attivi pari al 39%);
  • i geometri (19.094 in pensione, 6.635 ancora attivi ma in discesa del 7%, il 35% del totale dei nuovi pensionati continua a esercitare la professione);
  • gli agrotecnici (39 in pensione, 12 ancora attivi pari al 31%);
  • gli infermieri dell’Enpapi (2.776 in pensione, 419 ancora attivi pari al 15%);
  • i veterinari dell’Enpav (4.873 in pensione, 722 ancora attivi con percentuale di crescita del 75% per un totale del 15% dei nuovi pensionati ancora attivi).

Contributi volontari INPS: si può chiedere la restituzione?

I contributi volontari sono uno strumento messo a disposizione dall’INPS per poter integrare i versamenti contributivi nei periodi di inoccupazione. Cercheremo ora di capire se è possibile chiedere la restituzione dei versamenti di contributi volontari.

In quali casi si versano i contributi volontari?

Sono diversi i motivi che possono portare una persona a scegliere di versare contributi volontari, ad esempio nel caso in cui sia vicino a raggiungere i requisiti per la pensione di vecchiaia, ma perde il lavoro e non ha raggiunto il minimo dei venti anni previsti.

Oppure quando si è vicini a raggiungere il requisito contributivo, ma si perde il lavoro. In questi casi viene concessa la possibilità di versare contributi volontari e quindi raggiungere il tanto agognato traguardo della pensione. Deve essere sottolineato che essi possono essere versati solo limitatamente a periodi di inoccupazione. Naturalmente è conveniente solo nel caso in cui manca poco a raggiungere l’obiettivo, infatti se è necessario integrare molte settimane contributive, il peso economico potrebbe essere davvero rilevante.

Perché chiedere la restituzione degli importi versati?

Ci sono però dei casi in cui il contribuente può avere la necessità di recuperare le somme già versate, potrebbe ad esempio accadere che per motivi economici non riesca più a sostenere il peso del versamento dei contributi e quanto già versato sia insufficiente a maturare il diritto alla pensione, di conseguenza i soldi già versati per i contributi volontari risultano persi.

Può inoltre capitare che ci sia stato un errore di calcolo e quindi il soggetto in realtà non aveva bisogno di versare quegli oneri. Infine, il contribuente potrebbe decedere prima di maturare i requisiti per la pensione quindi tali versamenti potrebbero essere stati inutili, in questo caso potrebbero essere i familiari a voler recuperare le somme. Il contribuente a questo punto si chiede: posso recuperare i contributi volontari già versati?

La risposta è no. Questo per il principio generale in materia di assicurazioni sociali che si applica anche all’INPS. Di conseguenza i contributi incamerati e non utilizzati non devono essere restituiti. Questo non implica che le somme siano perse, infatti i contributi versati contribuiscono comunque a modificare l’importo della pensione, ad esempio se per errore sono stati versati più di 20 anni di contributi, comunque questo consente di avere un assegno maggiore. L’eventuale decesso invece porta comunque un eventuale titolare del diritto alla pensione superstiti a poterne beneficiare. Nel caso in cui la contribuzione volontaria sia stata versata a una gestione diversa rispetto a quella in cui è stata maturata la pensione è possibile chiedere l’erogazione di una pensione supplementare.

Casi in cui è possibile richiedere la restituzione dei contributi volontari

Ci sono però tre casi in cui il contribuente può ottenere la restituzione delle somme. Ora vediamo quali.

Le tre ipotesi di obbligo di restituzione dei contributi volontari da parte dell’INPS sono disciplinate dal DPR 1432 del 1971 all’articolo 10. Si tratta dei casi in cui i versamenti sono indebiti perché:

  • versati in ritardo rispetto alla data prevista per l’assolvimento;
  • in contrasto con le disposizioni dello stesso decreto 1472, ad esempio perché il soggetto è già titolare di pensione diretta;
  • infine, nel caso in cui i periodi per i quali il soggetto versa i contributi volontari è in realtà già coperto da contribuzione effettiva o figurativa (ad esempio i periodi in cui si gode di cassa integrazione).

Oltre queste tre possibilità il contribuente che ha versato contributi volontari non può chiederne la restituzione anche se dovesse accorgersene che questa contribuzione è stata in realtà inutile.

Sei interessato al pagamento di contributi volontari? Per sapere in quali casi si può fare e quanto costa, leggi l’articolo: Contributi volontari pensione: quando, come si versano e quanto costa