Rendita vitalizia dei contributi prescritti: quando è possibile il riscatto?

Per un lavoratore, i periodi non coperti o con insufficienti contributi previdenziali rappresentano un danno per la sua futura pensione. La legge permette di rimediare, anche nel momento in cui il termine di prescrizione sia scaduto. Si tratta della rendita vitalizia, lo strumento mediante il quale si possono riscattare in modo oneroso i periodi non coperti o carenti di contributi previdenziali. Il riscatto può avvenire da parte del datore di lavoro o, in mancanza, per iniziativa del lavoratore stesso.

Circolare Inps numero 78 del 29 maggio 2019

Sulla questione è intervenuta recentemente l’Inps con la circolare numero 78 del 29 maggio 2019. Nel documento l’Istituto di previdenza elenca i dettagli procedurali per la presentazione della domanda e l’indicazione dei mezzi di prova che supportano la richiesta. La prova documentale dell’esistenza del rapporto di lavoro, la data certa, l’esistenza certa, le dichiarazioni ora per allora e quelle dalla Pubblica amministrazione, le attestazioni del sindaco sono altresì precisate nella medesima circolare. Tuttavia, l’istituto del riscatto dei contributi omessi risale già all’articolo 13 della legge numero 1338 del 1962.

La legge 1338 del 1962 sulla costituzione della rendita vitalizia

Secondo la legge, infatti, “il datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l’assicurazione obbligatoria di invalidità, vecchiaia e superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione ai sensi dell’articolo 55 del regio decreto legge 4 ottobre 1935, numero 1827, può chiedere all’Istituto nazionale della previdenza sociale di costituire una rendita vitalizia reversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione obbligatoria, che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi”.

Rendita dei contributi prescritti, effetto immediato sulla pensione

La stessa legge specifica che la rendita dei contributi prescritti integra con effetto immediato la pensione già in essere. In caso contrario, i contributi sono valutati ai fini dell’assicurazione obbligatoria prevista per la pensione di invalidità, per la vecchiaia e a favore dei superstiti.

Contributi prescritti, quando il pagamento spetta al datore di lavoro

Il datore di lavoro può esercitare la facoltà del versamento dei contributi prescritti esibendo all’Inps i documenti di data certa, dai quali si evince l’effettiva esistenza e la durata del rapporto di lavoro. Deve risultare, inoltre, anche la misura della retribuzione corrisposta al lavoratore stesso.

Quando i contributi prescritti devono essere versati dal lavoratore?

I contributi prescritti possono essere versati dal lavoratore nel momento in cui non possa ottenere dal datore di lavoro la costituzione della rendita. In questo caso, il lavoratore si sostituisce al datore di lavoro, salvo il diritto del risarcimento del danno. Ricade sul lavoratore stesso l’onere di fornire all’Inps le prove del rapporto di lavoro e della retribuzione. Tra i soggetti interessati alla costituzione della rendita vitalizia rientrano anche i superstiti del lavoratore.

Quando può essere presentata la domanda all’Inps dei contributi prescritti?

La domanda dei contributi prescritti può essere presentata all’Inps senza limiti temporali, anche dopo il verificarsi del pagamento di un trattamento di pensione. È inoltre ammessa la domanda per omissioni parziali, nel caso in cui sia stata versata una contribuzione parziale rispetto alle retribuzioni che sono state percepite effettivamente. Infine, si può presentare domanda dei contributi prescritti anche per coprire parzialmente il periodo durante il quale si sia verificata omissione contributiva. Ad esempio, il riscatto può avvenire solo per le settimane necessarie per perfezionare i requisiti della pensione.

Chi sono i destinatari del riscatto o della costituzione della rendita vitalizia?

La circolare Inps 78 del 29 maggio 2019 riporta compiutamente i destinatari dello strumento del riscatto dei contributi omessi, ovvero gli interessati alla costituzione della rendita vitalizia. Infatti, figurano:

  • i lavoratori di un rapporto di lavoro subordinato;
  • i familiari coadiuvanti e coadiutori di chi è titolare di impresa artigiana o commerciale;
  • i collaboratori del nucleo diretto coltivatore diversi dal titolare e collaboratori dei nuclei colonici e mezzadrili;
  • i lavoratori che, essendo soggetti al regime assicurativo della gestione separata, non siano obbligati al versamento diretto della contribuzione, essendo la propria quota trattenuta dal committente o associante e versata direttamente da quest’ultimo;
  • gli iscritti alla Cassa per le pensioni degli insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate.

Prescrizione dei contributi, quale attesa?

Il presupposto per attivare l’istituto del riscatto dei contributi omessi è che i contributi stessi siano caduti in prescrizione. Ciò avviene al trascorrere di cinque anni se la domanda viene presentata dal datore di lavoro e di dieci anni se è invece il lavoratore stesso a farne denuncia all’Inps.

Quanto si paga per riscattare i contributi omessi nel sistema retributivo?

Se i periodi per i quali si richiede il riscatto dei contributi omessi rientrano nel meccanismo retributivo, il costo viene calcolato in termini di “riserva matematica”. Ciò significa che si effettua il differenziale annuo tra la pensione con il riscatto dei contributi e quella senza il riscatto. Il risultato va moltiplicato per il coefficiente inerente al sesso, all’età e all’anzianità contributiva.

Costo del riscatto dei contributi omessi nel sistema contributivo

Diverso è il calcolo del riscatto di periodi di contributi omessi rientranti nel sistema contributivo. In questo meccanismo rientrano i lavoratori:

  • che abbiano iniziato a versare contributi a partire dal 1° gennaio 1996 e con meno di 18 anni di contribuzione prima del 1996;
  • i periodi dal 2012 in poi per contribuenti che abbiano almeno 18 anni di contributi versati prima del 1996.

Per queste categorie di contribuenti il costo è quantificato applicando l’aliquota contributiva in vigore nel momento in cui si presenta domanda alla retribuzione percepita nei 12 mesi precedenti la domanda stessa. Si tratta di un sistema simile, dunque, al riscatto della laurea per chi non può beneficiare del sistema agevolato dell’articolo 4 del 2019.

Costo riscatto contributi iscritti alla Gestione separata Inps, artigiani e commercianti

Per i contribuenti iscritti alla Gestione separata Inps il costo del riscatto di periodi di omessa contribuzione fa riferimento al valore medio mensile dei compensi assoggettati alla contribuzione obbligatoria degli ultimi dodici mesi precedenti la domanda stessa. Non è stato ancora chiarito, invece, quale sia il reddito sul quale debbano far riferimento gli artigiani e i commercianti per il riscatto dei periodi non coperti.

Neutralizzare contributi dannosi per la pensione: come funziona?

La riduzione dello stipendo, il ricorso alla cassa integrazione e i periodi di disoccupazione possono ridurre i contributi previdenziali. Come conseguenza, ne potrebbe risentire l’importo della futura pensione, ma è possibile neutralizzare i contributi svantaggiosi. Focus, dunque, sui contributi, l’elemento principale nel calcolo della pensione. Alcuni periodi contributivi infatti sarebbe meglio escluderli dal calcolo della pensione, come ad esemio i contributi figurativi.

Chi rischia l’assegno di pensione ridotto per i ‘contributi dannosi’?

La neutralizzazione dei contributi dannosi per la pensione futura riguarda, in primo luogo, i lavoratori che rientrano nel sistema previdenziale retributivo. La medesima situazione, invece, non si verifica se il lavoratore ricade nel mecacnismo previdenziale contributivo, con inizio di contribuzione a partire dal 1° gennaio 1996. La motivazione risiede proprio nel calcolo della pensione. Per il contribuente del regime retributivo, infatti, incidono principalmente gli stipendi percepiti negli ultimi cinque o dieci anni di lavoro.

Futura pensione in diminuzione per chi perde il lavoro prima dell’uscita

Ciò equivale a dire che, negli anni precedenti l’uscita da lavoro per la pensione, i contribuenti del sistema retributivo, in corrispondenza di stipendi più bassi, si vedrebbero calcolata la futura pensione sulla base di salari in diminuzione, anziché in aumento. Questa relazione è tanto vera quanto più penalizzante risulta per i lavoratori che perdono il proprio lavoro e percepiscono l’assegno di disoccupazione. A fronte di retribuzioni ridotte corrisponderà una pensione futura in diminuzione.

Contributi dannosi per il calcolo della pensione futura: i riferimenti normativi

I passaggi normativi rigurdanti la disciplina della neutralizzazione dei contributi “dannosi” ha radici molto indietro nel tempo. Inizialmente la questione è stata affrontata dall’articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica numero 818 del 26 aprile 1957. Infatti, nell’articolo si fa riferimento ai periodi da escludere in modo che non concorrano al calcolo della pensione nel quinquennio di riferimento, ovvero i periodi di:

  1. assenza facoltativa dal lavoro;
  2. lavoro subordinato all’estero;
  3. servizio militare;
  4. malatttia.

La sterilizzazione dei contributi penalizzanti

I successivi provvedimenti legislativi con la legge numero 297 del 1982 e il decreto legislatio numero 503 del 1992, nonché gli interventi della Corte costituzionale, sono andati nella direzione del riconoscere ai lavoratori, anche autonomi, la facoltà di sterilizzare gli eventuali contributi penalizzanti. In tal senso, è possibile non farli rientrere nel calcolo della futura pensione purché vengano accreditati una volta maturato il requisito contributivo richiesto per la pensione anticipata o per quella di vecchiaia.

Quali contributi si possono neutralizzare e in quali limiti?

Fatta la premessa del momento in cui si può attivare la sterilizzazione dei contributi penalizzanti, la legge riconoscere il meccanismo per un massimo di 260 settimane di contributi. Il limite fa riferimento ai periodi:

  • di rioccupazione con uno stipendio inferiore a qello che si percepita prima;
  • alla disoccupazione indennizzata.

Non vi sono limiti, invece, per la neutralizzazione dei seguenti contributi:

  • quelli riguardanti periodi figurativi di integrazione dello stipendio;
  • i periodi di contribuzione volontaria.

Domanda di neutralizzazione dei contributi penalizzanti

Spetta al lavoratore l’iniziativa di fare richiesta di neutralizzazione dei contributi penalizzanti. In particolare, la richiesta deve essere presentata all’Inps nel caso in cui il lavoratore ravvisi una decurtazione della pensione. In particolare, una volta raggiunti i requisiti della pensione di vecchiaia o della pensione anticipata, l’eventuale ed ulteriore montante di contributi accreditato può essere neutralizzato se dal calcolo dell’accredito risulti un nocumento sull’assegno di pensione.

Contributi da neutralizzare: il caso della retribuzione inferiore

Sul caso dei contributi da neutralizzare a causa di una retribuzione inferiore che possa produrre un assegno di pensione decurtato, è intervenuta l’Inps con la circolare numero 133 del 1997 e con il messaggio 12002 del 2006. La circolare, che si rifà alla sentenza della Corte Costituzionale numero 264 del 1994, recita: “In base ai principi enunciati dalla Corte Costituzionale con la sentenza numero 264, l’esclusione dal calcolo della pensione dei periodi di retribuzione ridotta non necessari ai fini del perfezionamento dell’anzianità contributiva minima è finalizzata a evitare un depauperamento del trattamento pensionistico causato dallo svolgimento di un’attività lavorativa meno retribuita nell’ultimo quinquennio di lavoro”.

Il calcolo delle 260 settimane ai fini della confronto dei contributi

Ciò premesso, la circolare Inps specifica che: “La diminuzione della retribuzione deve essersi verificata nell’ultimo quinquennio di contribuzione, e cioe in coincidenza con il periodo di riferimento (le ultime 260 settimane di contribuzione) o nel corso di esso”. Al verificarsi di queste condizioni, l’applicabilità della sentenza numero 264 nel caso di cambiamento dell’attività lavorativa nell’ultimo quinquennio di contribuzione, necessita di “prendere a riferimento la retribuzione settimanale media percepita nell’anno di cessazione della precedente attività, calcolata sulla base delle retribuzioni percepite per tale attività, e metterla a confronto con la retribuzione media settimanale percepita nello stesso anno, calcolata sulla base delle retribuzioni percepite in relazione alla nuova attività lavorativa”.

Periodi da escludere dal calcolo della pensione

La circolare Inps detta, dunque, disposizioni in merito ai periodi da escludere dal computo della pensione. Infatti, come poi specificato dalla stessa Inps con il messaggio 12002 del 2006, “deve essere escluso dal computo della retribuzione pensionabile e dell’anzianità contributiva tutto il periodo di lavoro svolto a partire dal cambiamento di attività ovvero, in caso di riduzione retributiva avvenuta nell’ambito dello stesso rapporto di lavoro, tutto il periodo di lavoro svolto a partire dall’anno solare in cui è iniziata tale riduzione. In ogni caso non possono essere escluse dal computo più di 260 settimane di contribuzione”.

Contributi dannosi in caso di disoccupazione indennizzata

Sui contributi dannosi in caso di disoccupazione indennizzata è intervenuta la Corte costituzionale con la sentenza numero 82 del 2017. Nel caso di pensione retributiva non si conta il periodo di disoccupazione, se dannoso. Ovvero deve essere possibile, per il lavoratore, eslcudere i periodi in cui si sono percepiti contributi per disoccupazione.

La sentenza della Corte costituzionale sui periodi di disoccupazione

I periodi di disoccupazione andrebbero ad abbassare l’assegno pensionistico. La sentenza della Corte costituzionale ha stabilito, dunque, l’illegittimità del comma 8 dell’articolo 3, della legge 297 del 1982. Il provvedimento, infatti, non permetteva al lavoratore, che già avesse matrato il diritto alla pensione, di scorporare il periodo non lavorato coperto da disoccupazione.

Integrazione salariale ai fini della pensione nel retributivo

Non è soggetto al vincolo delle 260 settimane il caso dell’integrazione salariale. La circolare Inps numero 158 del 1996 prende in esame il lavoratore che percepisce, nell’ultimo periodo antecedente la decorrenza della pensione, il trattamento di integrazione salariale. In particolare, l’Inps stabilisce che: “La liquidazione dell’assegno pensionistico risulta determinata in misura sensibilmente più ridotta rispetto a quella che sarebbe derivata tenendo conto dei soli contributi obbligatori già versati e sufficienti, all’atto dell’ammissione all’integrazione salariale, a far conseguire il trattamento pensionistico di anzianità al raggiungimento dell’età pensionabile”.

Esclusione dei periodi di integrazione salariale

La circolare Inps disponde che “nei casi in cui nel periodo utile per il calcolo della retribuzione pensionabile, e cioè nelle ultime 260 settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione, siano compresi periodi di contribuzione per integrazione salariale, la contribuzione per integrazione salariale non deve essere considerata a nessun effetto”.  Ne consegue che le pensioni con decorrenza posteriore al 31 dicembre 1992 devono essere calcolate senza tener conto dell’integrazione salariale.

Periodi di contribuzione volontaria

Rientrano nella casistica dei contributi dannosi anche quelli versati volontariamente dei quali parla l’Inps nella circolare 127 del 2000. In particolare, il ricalcolo della pensione e, dunque, la neutralizzazione dei contributi dannosi riguarda:

  • le pensioni a carico dell’assicurazione obbligatoria dei lavoratori dipendenti;
  • i lavoratori autonomi per il cumulo di contribuzione.

Il versamento dei contributi volontari, effettuato nell’ultimo quinquiennio di contribuzione, deve aver comportato una riduzione della pensione maturata sulla base dei contributi versati nella vita lavorativa.

Pensione integrativa e convenienza fiscale: la deducibilità delle partite Iva forfettarie

I lavoratori autonomi che adottano la partita Iva in regime forfettario non possono sfruttare tutte le detrazioni e le deduzioni fiscali contemplate nel regime ordinario della partita Iva, ad eccezione dei contributi previdenziali obbligatori. Tuttavia, anche chi rientra nel regime forfettario può avvalersi di deduzioni e detrazioni fiscali nel caso di altri redditi sui quali sono dovute le imposte Irpef. Rientrano in questo campo di applicazione l’ulteriore reddito da lavoro dipendente o da locazione, purché senza cedolare secca.

Pensione integrativa e regime forfettario

Nel caso del regime forfettario, l’adesione alla pensione integrativa, dunque, non comporta l’applicabilità della deduzione fiscale dei contributi versati al fondo pensione. La deducibilità, tuttavia, è possibile sugli ulteriori altri redditi soggetti a Irpef. L’esenzione fiscale sulla prestazione pensionistica è prevista sulla parte di contributi non dedotta.

Esenzione fiscale della prestazione finale del fondo pensione

Tuttavia, anche nel caso del regime forfettario di partita Iva è prevista l’esenzione fiscale sulla prestazione pensionistica futura. Infatti, nell’erogazione della prestazione previdenziale si deve considerare:

  • che la prestazione è soggetta a ritenuta con aliquota agevolata, tra il 15 % e il 9% a seconda della durata, in anni, di partecipazione al fondo pensione;
  • che la ritenuta è esente, in parte, da tassazione.

Base imponibile prestazione pensione integrativa soggetta a ritenuta

Il vantaggio, anche per le partite Iva a regime forfettario, consiste nel fatto che sulla base imponibile della futura prestazione pensionistica, e sulla quale andrà applicata la ritenuta d’imposta, dovrà essere escluso quanto già tassato precedentemente. Dunque, risultano esenti dalla prestazione pensionistica:

  • i rendimenti già tassati nella fase in cui si sono versati i contributi;
  • i contributi che il contribuente non ha dedotto ficalmente.

Partita Iva con regime forfettario: come funziona la deducibilità dei contributi al fondo pensione

Un contribuente con partita Iva a regime forfettario che abbia versato al fondo pensione contributi per 4.500 euro, dunque, non potrà godere, a differenza degli altri regimi di partita Iva, della deduzione fiscale sui contributi versati. In ogni caso, il contribuente dovrà procedere a inoltrare al fondo pensione la comunicazione dei “contributi non dedotti“. Il lavoratore autonomo deve presentare la comunicazione non oltre il 31 dicembre dell’anno successivo a quello nel quale i contributi sono stati versati. L’importo che deve contenere la comunicazione è pari a 4.500 euro, ovvero al totale annuo dei contributi pagati al fondo.

Contribuenti forfettari: esenzione fiscale della prestazione pensionistica

Come già detto in precedenza, i 4.500 euro versati al fondo pensione, pur non essendo deducibili nel momento in cui sono stati versati, rappresentano l’esenzione fiscale della futura prestazione pensionistica. E pertanto, il contribuente in regime forfettario, con la comunicazione dei contributi non dedotti, dichiara al gestore del fondo di non essersi avvalso della deducibilità fiscale dei contributi versati. Ma godrà della detassazione totale per 4.500 euro una volta che avrà ottenenuto la prestazione previdenziale complementare.

Deducibilità contributi pensione integrativa per partite Iva ordinarie

Diverso è il caso dei lavoratori autonomi con partita Iva ordinaria. Un contribuente che versi al fondo pensione contributi per 3.000 euro l’anno, ottiene la deducibilità fiscale dei versamenti per lo stesso importo.  I contributi versati al fondo non superano il limite massimo della deducibilità, fissato in 5.164,57 euro. Non dovrà presentare alcuna comunicazione al fondo pensione per contributi non dedotti, ma cambia la fiscalità della futura prestazione pensionistica. Infatti, all’ottenimento della pensione integrativa i rendimenti saranno tassati.

Pensione integrativa: quali vantaggi per la partita Iva ordinaria?

Diverso è, inoltre, il caso di un contribuente, in regime di partita Iva ordinaria, che versi contributi al fondo pensione superiori al limite di deducibilità. Ad esempio, un lavortore autonomo che versi 7.000 euro annui a fronte del massimo deducibile di 5.164,57 euro. Proprio il limite costituisce dunque, il massimo della deduzione fiscale dei contributi versati in sede di dichiarazione dei redditi. Tuttavia, la differenza tra quanto versato e il massimo, pari a 1.835,37 euro, deve essere comunicata al fondo pensione. La comunicazione dovrà avvenire per mettere al corrente dei contributi che il contribuente non ha dedotto.

Futura pensione complementare di chi lavora con partita Iva

In quest’ultimo caso, dunque, il contribuente si avvarrà, nella futura prestazione complementare, di una quota esente da tassazione rappresentata dai contributi che non sono stati dedotti fiscalmente. E pertanto, nella base imponibile soggetta a ritenuta d’imposta sulla futura pensione integrativa, dovranno essere sottratti i contributi che non sono stati dedotti fiscalmente negli anni di accumulo. Nel caso in questione, tali contributi sono pari proprio a 1.835,57 euro.

Pensione quota 100 dopo il 2021: il diritto è cristallizzato, come si esercita?

I contribuenti che raggiungeranno i requisiti anagrafici e contributivi per la formula di pensione anticipata quota 100 nel corso del 2021, o che li abbiano raggiunti negli anni precedenti, possono accedere alla misura anche nel 2022. In tal caso, la domanda di pensionamento va presentata nel prossimo anno. Il chiarimento arriva direttamente dal decreto legge che ha istituito il meccanismo di uscita anticipata risalente a inizio 2019.

Requisiti della quota 100: uscita dai 62 anni con 38 anni di contributi

La precisazione è particolarmente importante per la circostanza che le pensioni nella formula della quota 100 termineranno la loro sperimentazione il 31 dicembre 2021. Ciò significa che, a partire dal 1° gennaio 2021, non potranno andare in pensione con quota 100 i contribuenti che matureranno, nel prossimo anno, 38 anni di contributi all’età minima di 62 anni. Ma nel 2022 potranno andare in pensione con quota 100 i contribuenti che i requisiti li hanno raggiunti entro il 31 dicembre 2021.

Quota 100, requisiti da raggiungere entro il 31 dicembre 2021 altrimenti si subirà lo ‘scalone’

Per chi maturerà i requisiti nel 2022, in assenza di nuove misure previdenziali o di incompatibilità con i meccanismi alternativi di uscita attualmente in vigore, si prospetta un’attesa di 5 anni per andare in pensione. I contribuenti in questa situazione dovranno attendere, infatti, i 67 anni della pensione di vecchiaia o continuare a lavorare fino a raggiungere almeno 42 anni e 10 mesi di contributi per la pensione anticipata. Si tratta del cosiddetto “scalone” previdenziale.

Pensioni quota 100: domanda 2022 con i requisiti maturati nel 2021

Sulla base di quanto chiarito dall’articolo 14 del decreto legge 4 del 2019, i lavoratori che perfezionano i requisiti per la quota 100 nel periodo tra il 2019 e ail 2021 possono conseguire la prestazione previdenziale anche successivamente. Nello specifico, in qualsiasi momento successivo all’apertura della cosiddetta finestra. Il decreto legge, poi convertito nella legge 26 del 2019  (“Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e pensioni”), specifica quanto segue: “Il diritto alla ‘pensione quota 100’ acquisito nel triennio 2019-2021 potrà essere esercitato anche successivamente al 31 dicembre 2021 e l’età anagrafica dei 62 anni non sarà ‘indicizzata’ alla cosiddetta ‘speranza di vita’”.

Pensioni anticipate a quota 100 e finestre mobili

Peraltro, nella scelta di uscita con quota 100 e di posticiparne la domanda pur avendo già maturato i requisiti, è necessario considerare le finestre mobili. La pensione anticipata che matura a partire dai 62 anni unitamente ad almeno 38 anni di contributi prevede una finstra di tre mesi. Ciò significa che per la decorrenza della pensione occorre attendere 90 giorni dalla maturazione del requisito.

Finestra mobile della quota 100 nella Pubblica amministrazione e scuola

Per i lavoratori della Pubblica amministrazione, invece, la finestra è di 6 mesi. Fanno eccezione i dipendenti del comparto scuola per i quali varia la decorrenza delle pensioni a quota 100. Infatti, tale decorrenza è fissata al 1° settembre dell’anno in cui raggiungono i requisiti. Pertanto, se i dipendenti scuola dovessero maturare la quota 100 entro la fine del 2021, devono aver già inoltrato le dimissioni entro il 7 dicembre 2020. Il rimando della presentazione della domanda di quota 100 farebbe trascorrere anche il periodo di finestra mobile.

Quota 100: il requisito anagrafico dei 62 anni rimane invariato alla speranza di vita

Lo stesso decreto legge 4 del 2019 ha escluso, inoltre, la possibilità che il requisito anagrafico dei 62 anni possa innalzarsi per la variazione della speranza di vita. In realtà, i requisiti anagrafici delle pensioni sono rimasti stabili negli ultimi anni. La pensione di vecchiaia è fissata a 67 anni e non subirà variazioni anche nei prossimi anni.

‘Cristallizzazione’ requisiti di uscita delle pensioni anticipate

La pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi di contributi (per gli uomini) e di 41 anni e 10 mesi (per le donne) rimarrà invariata fino al 2026. E’ stato lo stesso decreto 4 del 2019 a bloccare il requisito dei versamenti richiesti per l’uscita senza considerare l’età anagrafica. Indipendentemente da quanto stabilito dal decreto legge 4 del 2019, l’età della pensione non sarebbe comunque variata parallelamente agli altri meccanismi di pensionamento.

Pensioni quota 100 e non cumulabilità con i redditi da lavoro

E’ importante sottolineare che il rinvio della pensione a quota 100 al 2022, pur con la maturazione dei requisiti nel 2021, deve essere attentamente valutato nel caso si continui a lavorare. Infatti, lo stesso articolo 14 del decreto 4 del 2019 disponde il divieto di cumulo dei redditi da lavoro con la pensione a quota 100. Nel dettaglio, la pensione con quota 100 è incumulabile con redditi da lavoro, da dipendente o da autonomo. Fa eccezione il reddito derivante dal lavoro autonomo svolto occasionalmente nel limite dei 5.000 euro lordi annui.

Quando inizia e finisce il divieto di cumulo pensione-lavoro della quota 100

Il limite del cumulo dei redditi si applica nel periodo che intercorre dalla data di decorrenza della pensione a quota 100 e la data di maturazione del requisito anagrafico della pensione di vecchiaia. Dunque tale limite, secondo i requisiti attuali, incombe fino al compimento dei 67 anni di età, indicizzabile alla speranza di vita.

Riscatto laurea per la pensione: si può interrompere?

Con il decreto legge numero 4 del 2019 sono diventati tre i metodi per il riscatto degli anni di laurea. Al riscatto ordinario e a quello per inoccupati, infatti, si è aggiunto il riscatto agevolato. Tutti e tre i metodi consentono al contribuente di ridurre il periodo che lo separa dalla pensione. Inoltre, il contribuente può ottenere un importo proporzionalmente più alto in base a quanto versato. Proprio la proporzione tra quanto versato ai fini del riscatto e gli effetti e aspettative sulla futura pensione confermano la possibilità di interrompere il pagamento delle rate previste per il riscatto stesso.

Quanto costa riscattare la laurea?

L’interruzione è valida per tutte e tre le tipologie di riscatto della laurea previste:

  • il riscatto ordinario;
  • quello riservato agli inoccupati;
  • il nuovo riscatto agevolato previsto dal decreto 4 del 2019.

In linea generale, con il riscatto ordinario si procedere al pagamento di un costo per il riscatto degli anni universitari variabile. Per chi rientri nel sistema retributivo, ovvero con contributi prima del 1995, il riscatto si calcola in base al sistema della riserva matematica. Tale meccanismo quantifica il beneficio sulla futura pensione considerando sia l’età che altre caratteristiche del contribuente.

Calcolo del riscatto di laurea ai fini della pensione

Per studi universitari che si collocano dopo il 1995 il calcolo di quanto costa il riscatto si ottiene da una formula matematica che prevede di moltiplicare il reddito dei 12 mesi precedenti la domanda per la percentuale di imponibile (per il lavoro alle dipendenze è del 33%). Il riscatto per gli inoccupati prevede, in maniera simile, l’applicazione della percentuale a forfait del 33%, pari all’imponibile figurativo del reddito minimo.

Col riscatto di laurea agevolato si paga poco più di 5 mila euro per ogni anno di studio

Il riscatto previsto dal decreto legge numero 4 del 2019 si chiama agevolato perché consente di pagare poco più di 5 mila euro per ogni anno da riscattare. In tutti i casi indicati, ci si chiede se il contribuente che abbia pagato un certo numero di rate del riscatto di laurea, possa sospendere il pagamento. E, in questo caso, se vedrà comunque riconosciuti i mesi pagati fino al momento della sospensione in vista di un assegno di pensione più alto e di una uscita prima dal lavoro.

Riscatto laurea per avere una pensione più alta: si può interrompere il pagamento delle rate

La risposta se il pagamento delle rate del riscatto di laurea si possa interrompere è positiva. Nel senso che il contribuente può interrompere il pagamento delle rate usufruendo dei benefici proporzionalmente a quanto già pagato. E, pertanto, ai fini della futura pensione, il contribuente si vedrà riconoscere il riscatto limitatamente agli anni per i quali ha versato quanto previsto. Inoltre, anche dopo l’interruzione del pagamento delle rate, il contribuente può decidere di riprendere i pagamenti con la rideterminazione delle rate.

Cosa succede se si interrompe di pagare il riscatto della laurea?

Nel caso in cui si decida di non pagare la prima rata, oppure l’unica rata se si è scelto di versare quanto dovuto per il riscatto della laurea in un’unica soluzione, la domanda decade. Nel caso in cui, invece, non si pagano le rate successive, sarà l’Inps a interrompere gli effetti della domanda di riscatto laurea. Tuttavia, i periodi per i quali sono stati effettuati i pagamenti rimangono validi ai fini della futura pensione.

Riscatto parziale della laurea, cosa succede alla futura pensione?

La rinuncia a pagare la prima (o unica) rata del riscatto della laurea, o l’interruzione successiva non preclude mai la possibilità di procedere con una nuova domanda di riscatto. Inoltre, è importante ricordare che il riscatto può essere parziale, anche di una sola settimana. E può essere richiesto in più momenti, sempre per la parte residua non ancora saldata.

Coefficienti di trasformazione, come influiscono sull’assegno di pensione?

Il calcolo delle pensioni del meccanismo contributivo implica un equilibrio tra il montante dei contributi che si sono versati durante la vita lavorativa e l’importo della pensione attesa. Questa equivalenza necessita, dunque, dell’applicazione di coefficienti di trasformazione, cioè di parametri che, moltiplicati per il montante dei contributi rivalutati, determinano l’assegno di pensione maturato in corrispondenza dell’età dell’uscita da lavoro.

Prestazione pensionistica e assegno futuro di pensione legato alla speranza di vita

Il coefficiente di trasformazione delle pensioni implica anche una componente aleatoria, dipendente dalla speranza di vita attesa all’età di uscita da lavoro. L’aumento della speranza di vita, e dunque il numero di anni sul quale spalmare la futura pensione, determina una conseguente riduzione della prestazione pensionistica. Viceversa, una speranza di vita in diminuzione implica (come sta avvenendo a causa della Covid) un assegno pensionistico più elevato.

Sistema pensionistico ed equilibrio dei coefficienti di trasformazione

Il sistema previdenziale contributivo si basa essenzialmente sul coefficiente di trasformazione per determinare, in maniera equa, il futuro assegno di pensione. Un aumento o una diminuzione accentuati della speranza di vita determinerebbe uno squilibrio finanziario direttamente proporzionale al numero, rispettivamente maggiore o minore, di assegni mensili. In linea di massima, il sistema previdenziale si può equilibrare agendo su tre fattori:

  • innalzando il valore dei contributi;
  • aumentando l’età di uscita per il pensionamento;
  • diminuendo i coefficienti di trasformazioni e quindi riducendo il valore del mensile di pensione.

Riequilibrio del sistema previdenziale

L’aumento del valore dei contributi è una soluzione impraticabile data la pressione alla quale è sottoposta, al giorno d’oggi, la previdenza italiana. Pertanto, la revisione periodica dei coefficienti di trasformazione, oltre ad agire sull’età del pensionamento, rappresenta il meccanismo tramite il quale il sistema previdenziale provvede al riequilibrio. Ovvero all’equilibrio tra i contributi versati, l’età di uscita per il pensionamento e la rata della prestazione previdenziale.

Coefficienti di trasformazione, più si anticipa la pensione più sono bassi

Analizzando i coefficienti di trasformazione si può notare che, fin dalla loro introduzione nel 1995, i parametri sono più bassi quanto più bassa è l’età di uscita per il pensionamento. Contrariamente, più si esce a un’età avanzata, più i coefficienti sono elevati. Dunque, una prima osservazione porta a concludere che più si beneficia di meccanismi di pensione che fanno abbandonare prima il lavoro e minore sarà l’assegno futuro di pensione. Ciò dipende sia dal minor numero di anni di contributi versati (ad esempio 38 anni, quanti ne richiede la quota 100 rispetto ai circa 43 della pensione anticipata), ma anche dal coefficiente di trasformazione. Che, all’età di 62 anni, quella minima della quota 100, fa corrispondere un indice più basso dei 67 anni richiesti per la pensione di vecchiaia.

Coefficienti di trasformazione, diminuiscono a ogni aggiornamento

La seconda considerazione che si può fare sui coefficienti di trasformazione è quella secondo la quale gli indici sono decrescenti nel tempo. Ovvero, i valori dei coefficienti diminuiscono a ogni revisione che, attualmente, si fa ogni due anni. Considerando l’età di uscita dei 67 anni, quella per la pensione di vecchiaia, nel periodo dal 1995 al 2009 il coefficiente di trasformazione era pari a 6,136%. Da notare che fino al 2009, il coefficiente di trasformazione dai 65 anni in su era sempre lo stesso. Attualmente, l’Inps determina il coefficiente sulla base dei dati demografici Istat dai 57 ai 71 anni di età.

Qual è l’attuale coefficiente di trasformazione per le pensioni di vecchiaia?

Con i valori in vigore dal 1° gennaio 2021, chi va in pensione a 67 anni ha un coefficiente pari a 5,575%, ancora più basso del 5,604% del biennio precedente, ovvero il 2019-2020. Considerando l’età minima per la quota 100, i 62 anni, l’attuale coefficiente è pari a 4,770%, meno del precedente aggiornamento (4,790% del 2019-2020) e infinitamente inferiore a quello del 1995-2009 pari a 5,514%.

Coefficienti di trasformazione, aggiornamento periodico

La costante diminuzione dei coefficienti di trasformazione a ogni aggiornamento può portare i contribuenti a uscire da lavoro alla prima data utile possibile. Da un lato, infatti, è vero che più si esce tardi e più il coefficiente di trasformazione è alto. Ma, dall’altro lato, è altrettanto vero che il coefficiente diminuisce ogni due anni, cioè ad ogni aggiornamento. per ciascuna età di uscita. E i requisiti di uscita, ovvero l’età minima richiesta o i contributi minimi versati, sono sempre più in aumento. La riforma delle pensioni di Elsa Fornero del 2011 aveva previsto il ricalcolo dei coefficienti dapprima ogni tre anni e poi, dal 2019, ogni due. E, di conseguenza, anche una diminuzione del mensile di pensione a una rotazione più elevata.

Esempio di calcolo dei coefficienti di trasformazione

La relazione tra coefficienti di trasformazione, aspettativa di vita e montante contributivo può essere spiegata con un esempio. Ammettiamo un contribuente che, nella vita lavorativa, abbia accumulato 280 mila euro di montante contributivo. È interessante verificare di quanto è diminuita la pensione del contribuente nel tempo a parità di età di uscita, ovvero a 67 anni. Innanzitutto, è indispensabile verificare le variazioni della speranza di vita, mediamente di 77,88 anni nel periodo 1995-2009 e di 83,25 nel 2019-2020 (calcolo pre-Covid). Per continuare a crescere, secondo le stime demografiche, a quasi 86 anni nel 2040 e a quasi 88 anni nel 2060.

Coefficienti di trasformazione, come influiscono sul mensile di pensione

In costante diminuzione risulta il coefficiente di trasformazione a 67 anni per i quattro periodi considerati. Nel 1995-2009 risulta pari a 6,136%, nel 2019-2020 è del 5,604%, nel 2040 corrispondente a 5,202% e nel 2060 pari a 4,994%. Considerando le 13 rate annuali di pensione e il montante di contributi di 280 mila euro per tutti e quattro i periodi considerati, a una pensione di 1.332 euro del 1995-2009 corrisponde un assegno mensile di 1.207 euro del periodo 2019-2020. Nell’esempio, il montante contributivo di 280 mila euro deve essere moltiplicato per il coefficiente di trasformazione corrispondente all’anno e all’età di uscita (6,136% del 1995-2209). Il risultato va diviso per 13 mensilità per ottenere il mensile di pensione (1.332 euro). Ulteriormente in diminuzione la pensione mensile nel 2040 (pari a 1.120 euro) e nel 2060 (1.076 euro).

Quanto incide la speranza di vita sulle pensioni?

Come si può notare dall’esempio, dunque, le pensioni sono mediamente più basse a parità di montante contributivo versato. E, come facilmente intuibile, questo dipende da più fattori. In primo luogo da una speranza di vita sempre crescente e quindi su un numero di anni più elevato per spalmare la vita da pensionato. L’attuale situazione di alta mortalità tra i pensionati per la Covid rappresenta, statisticamente, un evento eccezionale che ha ridotto la speranza di vita anche di anni. Ad esempio, in alcune zone della Lombardia, si sono persi mediamente cinque anni di aspettativa di vita. E nelle altre parti d’Italia, in attesa di dati più aggiornati, la perdita si attesta su uno, due o anche tre anni. Ma, passata l’emergenza, la speranza di vita tornerà a crescere e a ristabilirsi a livelli pre-Covid presumibilmente a partire dal 2025-2026.

Con la speranza di vita in calo si bloccherà l’età di uscita per la pensione?

In secondo luogo, la diminuzione della speranza di vita potrebbe incidere, nei prossimi anni, anche sul mancato aggiornamento dell’età di uscita per la pensione. Presumibilmente, l’età dei 67 anni per la pensione di vecchiaia potrebbe non subire variazioni anche nel prossimo biennio, nel 2022-2023. Anziché aumentare di 3 mesi come avrebbe dovuto essere seguendo le stime demografiche prima della Covid.

Perché le pensioni diminuiscono sempre?

Quanto è presumibile possa avvenire per l’età di uscita delle pensioni, con un blocco per almeno il prossimo biennio, potrebbe succedere anche ai coefficienti di trasformazione. Ovvero che la diminuzione della speranza di vita sulla quale si basa la determinazione dei coefficienti possa subire uno stop nei prossimi anni e per un periodo limitato, in conseguenza di quanto sta avvenendo per l’emergenza Covid. In ogni caso, con il tornare a crescere della speranza di vita anche i coefficienti di trasformazione torneranno a diminuire conseguentemente. E a determinare assegni di pensione sempre più ridotti a parità di anni di contributi versati e di età di uscita.

Pensione Enasarco, quanti contributi servono?

Quanti sono gli anni di contributi, i requisiti, le condizioni e le combinazioni per raggiungere la pensione di vecchiaia o la pensione anticipata Enasarco? Gli agenti e i rappresentanti di commercio devono verificare il possesso di requisiti che sommino l’anzianità contributiva, l’età anagrafica e il raggiungimento di una “quota” in corrispondenza dell’anno nel quale si voglia uscire da lavoro.

La riforme delle pensioni Enasarco a partire dal 2013 fino al 2021

Come per le pensioni di altre gestioni previdenziali, anche la Fondazione Enasarco ha modificato le regole per andare in pensione negli ultimi anni. Con l’entrata in vigore dell’ultimo regolamento, a partire dal 1° gennaio 2013 i requisiti sono cambiati progressivamente, fino agli ultimi parametri richiesti a partire dal 2019 al termine del regime transitorio.

La pensione di vecchiaia o ordinaria Enasarco

Nell’anno 2021 i rappresentanti e gli agenti di commercio maturano i requisiti per la pensione di vecchiaia o ordinaria Enasarco al raggiungimento dei 20 anni di contributi. Inoltre, devono aver raggiunto un’età anagrafica minima che, sommata alla contribuzione, dia come risultato una “quota” minima richiesta per andare in pensione. Nel 2021 per andare in pensione ordinaria l’agente deve raggiungere la quota 92 e l’età minima di 67 anni.

Pensioni Enasarco, come si raggiunge la quota?

Ciò significa che all’età minima dei 67 anni, per poter andare in pensione l’agente deve aver maturato almeno 25 anni di contributi. Per le donne, invece, la quota minima prevista per il 2021 è pari a 91 con l’età minima di uscita di 65 anni. Ciò equivale a dire che gli anni di contributi minimi devono essere pari a 26, oppure l’uscita può essere garantita da una combinazione tra età anagrafica e contributi maggiori.

Pensione di vecchiaia Enasarco: quali sono i requisiti a partire dal 2022?

Tuttavia, i requisiti di uscita per le pensioni di vecchiaia Enasarco sono in continua evoluzione negli anni. Se per gli agenti uomini la quota 92 sarà richiesta fino al 2024, con l’età minima di 67 anni e un numero di anni di contributi pari a 20 anni, per le donne salirà ancora la quota e l’età minima. Infatti, le contribuenti Enasarco nel 2022 dovranno raggiungere la quota 92. L’innalzamento dipende dell’aumento dell’età di uscita minima a 66 anni, fermo restando i 20 anni di contributi minimi.

Pensione di vecchiaia Enasarco donne: come cambiano i requisiti di uscita fino al 2024

La quota 92 sarà in vigore fino al 31 dicembre 2023, mentre dal 1° gennaio 2024 è previsto un ulteriore aumento dei requisiti per le lavoratrici. Infatti, le donne che svolgano lavoro di agente o di rappresentante di commercio avranno l’equiparazione dell’età minima di uscita a quella degli uomini dal 2024, quando l’età anagrafica richiesta sarà pari a 67 anni, fermo restando la quota 92.

Alternativa alla pensione di vecchiaia Enasarco: la pensione di vecchiaia anticipata

L’alternativa alla pensione ordinaria o di vecchiaia Enasarco consiste nel raggiungere i requisiti della pensione di vecchiaia anticipata. In base a quanto previsto dal Regolamento Enasarco, a partire dal 1° gennaio 2017 l’agente di commercio può uscire in anticipo al raggiungimento di un’età minima di 65 anni unitamente a 20 anni di anzianità contributiva. La quota richiesta per la pensione anticipata è pari a 90, limite minimo che a partire dal 2021 è stato stabilito anche per le donne agenti unitamente all’età minima sempre di 65 anni.

Requisiti di uscita della pensione anticipata Enasarco e tagli

La pensione anticipata Enasarco comporta, in ogni modo, un taglio dell’assegno pensionistico. Infatti, il Regolamento ha stabilito un assegno di pensione ridotto del 5% per ogni anno di anticipo rispetto ai requisiti ovvero alla quota, della pensione di vecchiaia. Tuttavia, la pensione anticipata consente di maturare l’uscita da lavoro uno o due anni prima, con la quota 90 o 91 al posto della quota 92. Pertanto, un agente che nel 2021 compia 65 anni essendo nato nel 1956, potrà andare in pensione con la quota 90 se ha maturato 25 anni di contributi.

Combinazioni per maturare la pensione anticipata Enasarco

Con gli attuali requisiti di uscita, si possono stabilire le combinazioni richieste per la pensione di vecchiaia anticipata Enasarco. All’età di 65 anni unitamente a 25 anni di contributi, un agente o un rappresentante di commercio matura la pensione anticipata con quota 90 e una decurtazione, per sempre, del 10%. All’età di 66 anni sono sufficienti 24 anni di contributi per raggiungere quota 90, sempre con la decurtazione del 10%. Nel caso in cui, ai 66 anni di età si unissero 25 anni di contributi, raggiungendo quota 91, la decurtazione si fermerebbe al 5%.

Decorrenza della pensione di vecchiaia anticipata agenti e rappresentanti Enasarco

La pensione di vecchiaia anticipata Enasarco decorre dal primo giorno del mese susseguente a quello nel quale si è presentata la domanda di pensionamento. Conseguentemente l’importo della pensione viene calcolato con specifico riferimento alla data di presentazione della domanda stessa.  Inoltre è importante sottolineare che l’inoltro della domanda on line, anche tramite i patronati, deve avvenire non prima del compimento dell’età minima di 65 anni. Si rischierebbe, altrimenti, il respingimento della domanda stessa.

Esempio di presentazione della domanda di pensione anticipata Enasarco

Pertanto, un agente di commercio che raggiunga l’età di 65 anni il 30 agosto 2021 dovrà inoltrare la domanda non prima del 30 agosto. Ad esempio, all’età di uscita di 65 anni, unitamente ai contributi pari ipoteticamente a 25 anni, l’agente potrà raggiungere la quota 90. A questa quota corrisponderà una decurtazione del 10% (differenza di quota, 92 – 90 = 2 x 5% = 10%).

Pensioni Enasarco, come inviare domanda di uscita ordinaria o anticipata

Sia la pensione ordinaria di vecchiaia Enasarco che la pensione anticipata, ma anche la trasformazione di invalidità in vecchiaia e il supplemento di pensione devono essere richieste mediante domanda da inoltre on line. L’invio cartaceo è previsto solo per le pensioni dei superstiti e per le pensioni di inabilità e di invalidità. In alternativa, gli agenti e i rappresentanti di commercio possono avvalersi dei servizi del Patronato Enasarco che provvede all’invio di domanda di pensionamento all’Ente previdenziale. Avvalersi del patronato è gratuito.

 

Lavoratori dello spettacolo, le nuove regole per maternità, malattie, infortuni e pensioni

Per i lavoratori dello spettacolo dallo scorso 1° luglio sono arrivare le nuove regole che riguardano la maternità, la malattia, l’infortunio, la disoccupazione, i contributi e le pensioni. Il nuovo sistema di welfare per i lavoratori dello spettacolo è diventato legge con la conversione del decreto “Sostegni bis” nella legge numero 106 del 2021.

Cosa cambia per i lavoratori dello spettacolo con il nuovo welfare?

Più nel dettaglio, ci si chiede cosa sia cambiato per i lavoratori dello spettacolo con le nuove regole del welfare. Innanzitutto, gli interessati possono godere di un rafforzamento delle tutele assistenziali, a partire dalla genitorialità, con la modifica del calcolo delle indennità. Infatti, si è provveduto a modificare il sistema di calcolo delle indennità: l’ammontare giornaliero va parametrato al reddito maturato nei 12 mesi che precedono il periodo indennizzabile. In precedenza il periodo di riferimento era limitato alle ultime 4 settimane.

Nuove tutele assistenziali per i lavoratori dello spettacolo: meno contributi per la malattia

Inoltre, dal 1° luglio sono cambiate le tutele assistenziali per i lavoratori dello spettacolo con la previsione di meno contributi a copertura della malattia. Infatti, per usufruire dell’indennità economica durante la malattia, i contributi giornalieri versati al Fondo pensione dei lavoratori dello spettacolo devono essere pari a 40 e non più a 100.  I lavoratori dello spettacolo devono aver versato i contributi a partire dal 1° gennaio dell’anno precedente a quello della malattia stessa.

Retribuzione giornaliera ai fini assistenziali

Passa da 67,14 euro a 100 euro la retribuzione massima giornaliera prevista nei casi assistenziali. La retribuzione massima di 100 euro, dunque, riguarda:

  • le prestazioni e i contributi del Servizio sanitario nazionale;
  • le prestazioni per le indennità economiche della malattia e della maternità.

I lavoratori dello spettacolo, anche autonomi, sono inoltre assicurati presso l’Inail. A tal fine l’adesione è automatica: è sufficiente l’iscrizione al Fondo pensione dei lavoratori dello spettacolo.

La disoccupazione dei lavoratori dello spettacolo

Il decreto legge “Sostegni bis” ha introdotto un’importante novità in tema di ammortizzatori sociali. Infatti, è prevista a partire dal 1° gennaio 2022, l’assicurazione per la disoccupazione involontaria dei lavoratori autonomi dello spettacolo, chiamata “Alas“. L’indennità si rende necessaria per l’assenza di veri ammortizzatori sociali a favore di questa categoria di lavoratori autonomi e per l’impossibilità di accesso alla disoccupazione Naspi.

Lavoratori dello spettacolo: come possono accedere alla disoccupazione dal 2022?

Per accedere all’Alas, si richiede:

  • la non esistenza di rapporti di lavoro subordinato o autonomo;
  • l’aver maturato, nell’ultimo anno, almeno 15 giornate di contribuzione;
  • un reddito riferito all’ultimo anno non eccedente i 35.000 euro.

Disoccupazione lavoratori dello spettacolo, a quanto ammonta l’indennità di disoccupazione?

L’indennità di disoccupazione per i lavoratori dello spettacolo, a partire dal 2022, verrà corrisposta mese per mese per un numero di giornate pari alla metà di quelle relative alla contribuzione al Fondo pensioni lavoratori dello spettacolo. Il calcolo delle giornate comprende quelle che vanno dal 1° gennaio del precedente anno fino alla conclusione dell’ultimo rapporto di lavoro.

Lavoratori dello spettacolo: le novità sui contributi previdenziali e sulle pensioni

Novità arrivano dal decreto “Sostegni bis” anche per quanto concerne i contributi previdenziali e le pensioni dei lavoratori dello spettacolo. Si riducono i contributi giornalieri, da 120 a 90, affinché possa essere riconosciuta al lavoratore l’annualità intera di contribuzione. Per gli attori cinematografici e audiovisivi, che in media maturano un numero di giornate inferiore, il calcolo varia. Infatti, per ogni giornata contributiva di versamento al Fondo pensioni ne viene accreditata un’altra, fino al raggiungimento delle 90 previste per la maturazione di un’annualità.

Bonus giornate accreditate ai fini della contribuzione

I lavoratori dello spettacolo che fossero sotto la soglia di reddito e con almeno 45 giornate di contributi, si vedranno accreditare le giornate mancanti fino alla concorrenza delle 90 necessarie. Ai fini pensionistici valgono, inoltre, anche le attività di insegnamento retribuite, quelle di formazione e quelle di promozione degli spettacoli. Infine, i contributi maturati presso altre gestioni previdenziali possono essere ricongiunti nel limite di un terzo dei contributi annuali. Ciò significa che l’annualità di 90 giornate di contributi viene raggiunta con 60 contributi giornalieri presso il Fondo pensioni dei lavoratori dello spettacolo e altre 30 giornate presso altre gestioni previdenziali.

 

Riscatto laurea agevolato: quanto conviene per la pensione?

Quali sono i vantaggi o gli svantaggi, sia per l’età di pensionamento che per l’importo della pensione, con il riscatto della laurea? In particolare, ci si riferisce al riscatto degli anni universitari con pagamento agevolato e a chi convenga questa operazione. Innanzitutto è importante determinare il costo del riscatto della laurea.

Riscatto della laurea per la futura pensione, quanto costa?

Il regime agevolato del costo inerente al riscatto della laurea deriva dal decreto numero 4 del 2019. Con il sistema agevolato si pagano, nel 2021, 5.264,49 euro per ogni anno di laurea da riscattare. Non sono da conteggiare gli anni di “fuori corso”. Dunque il massimo costo che si deve sostenere, nel 2021, per riscattare la propria laurea è di 26.322,45 euro per corsi di 5 anni e 21.057,96 per corsi di 4 anni.

Rateizzazione del costo del riscatto di laurea

Le cifre indicate per riscattare gli anni universitari possono essere rateizzate, senza l’applicazione degli interessi, fino a un massimo di dieci anni. Da un rapido costo, preferendo la rateizzazione dell’importo per tutti e dieci gli anni, il riscatto della laurea ai fini della futura pensione costerebbe 220 euro al mese per le lauree di cinque anni e 175 euro mensili per quelle di quattro anni. Il contributo annuale, tuttavia, può essere dedotto al 100% dall’imponibile fiscale. Se non si riuscisse più a pagare o si volesse interrompere il pagamento, la quota maturata fino a quel momento rimarrebbe valida ai fini dello sconto sull’età della pensione.

Riscatto agevolato della laurea, chi può richiederlo?

Il riscatto agevolato della laurea (con i calcoli tradizionali si potrebbe arrivare anche a cifre di 80mila euro), secondo quanto prevede il comma 6 dell’articolo 20, del decreto-legge numero 4 del 28 gennaio 2019, è un sistema riservato ai lavoratori che si collocano nel sistema contributivo della pensione. Si tratta, nello specifico, di chi abbia iniziato a lavorare e a versare contributi a partire dal 1° gennaio 1996.

Il riscatto agevolato della laurea per la pensione anche ai lavoratori pre 1996

Successive modifiche e interpretazioni del decreto 4 del 2019 hanno allargato la possibilità di riscatto agevolato della laurea anche a chi abbia contributi entro il 31 dicembre 1995. In questo caso, però, è necessario optare per il ricalcolo con il metodo contributivo degli anni di contributi previdenziali. È in ogni modo necessario che gli anni di contributi versati prima del 1996 siano:

  • meno di 18 anni;
  • che almeno 15 anni di contributi siano stati già versati alla data di richiesta del riscatto laurea;
  • che almeno cinque anni di contributi siano stati versati a partire dal 1996.

Pensione con riscatto laurea, cosa non vale?

I periodi universitari che non possono essere riscattati consistono in due tipologie:

  • gli anni di iscrizione fuori corso;
  • i periodi già coperti da contribuzione obbligatoria o figurativa.

Come si richiede il riscatto agevolato della laurea?

La richiesta di riscatto della laurea può essere fatta online. Nello specifico è necessario accedere con il Pin del sito dell’Inps o rivolgersi al Caf per inoltrare la pratica. Dopo la presentazione della domanda, l’Inps verifica i documenti depositati e i requisiti vantati. L’Istituto previdenziale accerta anche il versamento di almeno un contributo previdenziale obbligatorio. Al termine delle verifiche, l’Inps invia i bollettini Mav da pagare insieme al provvedimento di accoglimento della domanda.

Come si paga il riscatto agevolato della laurea

Il pagamento dell’onere del riscatto della laurea avviene con l’utilizzo dell’Avviso di pagamento pagoPa. Per accedere al portale dei pagamenti è possibile utilizzare il proprio codice fiscale con il numero della pratica indicato nel provvedimento inviato dall’Inps.

Convenienza del riscatto laurea per la futura pensione

Ammettiamo che un contribuente, nato a febbraio del 1979, abbia conseguito una laurea di quattro anni nel 2004 e voglia riscattare il titolo di studio. Inoltre, il contribuente lavora dal 2006 in maniera continuativa. Sulla base dei dati in possesso, il lavoratore andrebbe in pensione con la vecchiaia nel 2048. Con gli aumenti previsti nel tempo dell’aspettativa di vita, l’età pensionabile slitterebbe a 69 anni.

Pensione anticipata contributiva con il riscatto laurea

Per un contribuente del sistema contributivo (con inizio dei versamenti dal 1° gennaio 1996 in poi) l’alternativa alla pensione di vecchiaia è la pensione anticipata contributiva. Si raggiunge a 64 anni di età (salvo gli adeguamenti della speranza di vita nel tempo) e con 20 anni minimi di contributi versati. Inoltre, il primo importo della futura pensione deve essere di 2,8 volte quello della pensione sociale. Nel caso preso in esame, il lavoratore andrebbe in pensione con questo meccanismo nel 2045.

Pensione anticipata con i requisiti della riforma Fornero

Con i requisiti della riforma Fornero per la pensione anticipata mediante versamento di 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi per le donne) la prima data utile per il pensionamento risulterebbe più avanti rispetto alla pensione di vecchiaia. Pertanto, questa possibilità non sarebbe conveniente. Anche riscattando la laurea, la prima data utile sarebbe nel 2046, meno conveniente della pensione anticipata contributiva a 64 anni che rimarrebbe la soluzione più praticabile per l’uscita prima da lavoro.

Importo della futura pensione con il riscatto della laurea

In merito all’importo della futura pensione, poiché il contribuente versa un onere per il riscatto della laurea, l’importo previdenziale futuro risulterebbe più elevato rispetto a quello di una pensione senza riscatto. Questo risultato deriva dal fatto che l’onere per riscattare la laurea va a determinare un incremento del montante contributivo della vita lavorativa del contribuente.

Simulatore pensioni Inps: come funziona

Il sito istituzionale dell’Inps mette a disposizione un servizio gratuito per simulare quale sarà la propria pensione futura, ovvero quanto si andrà a prendere di pensione nel momento in cui terminerà la propria attività lavorativa. Il calcolo si fonda su tre elementi della normativa previdenziale, ovvero l’età, la storia lavorativa e la retribuzione (o reddito).

La mia pensione futura Inps: a chi è rivolto il servizio

Possono usufruire del servizio “La mia pensione futura”:

  • i lavoratori che abbiano contributi versati al Fondo pensione dei lavoratori dipendenti;
  • i lavoratori che abbiano contributi versati alla Gestione Separata Inps;
  • gli iscritti alla Gestione dirigenti di aziende industriali;
  • i lavoratori che abbiano versato contributi ad altri fondi amministrati dall’Inps.

Cosa permette di sapere il simulatore delle pensioni Inps

Il simulatore delle pensioni Inps permette di:

  • controllare i versamenti fatti all’Inps e di comunicare all’Istituto previdenziale eventuali periodi di contribuzione che mancano tramite la funzione di segnalazione contributiva;
  • conoscere la data nella quale presumibilmente maturi la pensione di vecchiaia o quella anticipata;
  • stimare l’importo della pensione futura senza tener conto dell’inflazione (funzione “a moneta costante”);
  • ottenere il tasso di sostituzione, ovvero il rapporto tra l’ultimo stipendio percepito e la prima rata di pensione.

Pensione futura, prevedere scenari di variazione della propria retribuzione

Con il servizio della futura pensione dell’Inps è possibile prevedere anche variazioni della propria situazione lavorativa futura o dell’economia nel medio e lungo termine. Le previsioni sono particolarmente indicate per i contribuenti più distanti dall’uscita da lavoro e si basano sulla possibilità:

  • di ipotizzare la sospensione del lavoro, ovvero di inserire la data nella quale si prevede di interrompere l’attività lavorativa;
  • di modificare le previsioni sul Prodotto interno lordo futuro. Ad esempio, modificare le previsioni dell’1,5% di Pil all’1% di incremento nel medio e lungo periodo;
  • di modificare l’andamento della propria retribuzione o del reddito annuale con valori da 0 a +5%;
  • di scegliere il fondo sul quale basare la propria simulazione.

Costruire la futura pensione confrontando diversi scenari

Per i contribuenti più indecisi sulla data del pensionamento, è possibile modificare i parametri della simulazione. Ad esempio, si può:

  • calcolare la futura pensione verificando l’incidenza di retribuzioni diverse. Si può, in altre parole, modificare la retribuzione dell’anno in cui si utilizza il servizio e verificare l’andamento percentuale annuo;
  • si può verificare cosa succede se si posticipa la data presunta del pensionamento (quanto si guadagna di pensione se si rimane ancora a lavoro?);
  • modificare entrambe le variabili, retribuzioni e data di uscita da lavoro, che possono essere combinate per verificare la soluzione più conveniente.

Come accedere e utilizzare il servizio Inps ‘La mia pensione’

Per poter utilizzare il servizio online La mia pensione è necessario andare sul sito dell’Inps nella sezione “Prestazioni e servizi – La mia pensione futura: simulazione della propria pensione” e scorrere alla voce “Accedi al servizio”. In alternativa, non appena si apre la pagina Inps, è possibile direttamente l’accesso dalla sezione “Vai a MyInps”. L’autenticazione è possibile combinando il codice fiscale con il Pin rilasciato dall’Istituto previdenziale, con l’identità Spid almeno di secondo livello, con la Carta di identità elettronica 3.0 (Cie) oppure con una Carta nazionale dei Servizi (Cns).

Come calcolare la pensione futura: caso concreto sul sito Inps

Dopo aver fatto l’accesso e confermato le informazioni sulla privacy, la prima pagina del servizio Inps per il calcolo della pensione futura riepiloga la posizione contributiva fino al giorno dell’accesso da parte del richiedente mediante l’estratto conto previdenziale. Per andare avanti, è necessario selezionare nella parte in basso la casella nella quale si dichiara di aver preso visione della propria situazione contributiva.

Come funziona il simulatore delle pensioni Inps?

La pagina successiva è quella di maggiore interesse per il calcolo della pensione futura. Infatti sono presenti due specchietti, corrispondenti alle presunte uscite da lavoro con la pensione di vecchiaia o con la pensione anticipata. In corrispondenza delle due colonne sono presenti anche gli importi mensili lordi delle pensioni previsti con il meccanismo di uscita prescelto (vecchiaia o anticipata). Ulteriore informazione presente per le due formule di pensione è quella dell’ultima retribuzione rispetto al reddito lordo stimato (pensione lorda futura). Dal rapporto di questi due valori il sistema restituisce il tasso di sostituzione, ovvero a quanto ammonta la pensione futura rispetto all’ultimo stipendio percepito a lavoro.

Quale sarà l’importo della pensione futura rispetto all’ultimo stipendio?

Il valore del tasso di sostituzione lordo indicato in corrispondenza della pensione di vecchiaia è normalmente più alto dello stesso valore iscritto nella pensione anticipata. Questo andamento si può spiegare con il meccanismo di calcolo delle pensioni che tiene conto sia degli anni di contributi versati che dell’età di uscita effettiva da lavoro. Infatti, con la pensione di vecchiaia, attualmente a 67 anni, si dovrebbe accumulare un numero di anni di contributi più alto della pensione anticipata.

Pensione di vecchiaia o pensione anticipata, quale conviene?

La pensione anticipata è maturabile, con le attuali regole previdenziali, per gli uomini con 42 anni e 10 mesi di contributi e per le donne con 41 anni e 10 mesi. Inoltre, il coefficiente di trasformazione è variabile in base all’anno di uscita: più è alta l’età, maggiore è l’indice di calcolo delle pensioni. Proprio il coefficiente concorre, insieme al Prodotto interno lordo, a trasformare il montante dei contributi versati in pensione futura.

Pensione futura: quanto incidono retribuzioni e Pil?

I valori indicati nella pagina della pensione futura, tuttavia, sono indicativi della situazione attuale proiettata nel futuro, ipotizzando crescite costanti della retribuzione e del Prodotto interno lordo. Un calcolo più realistico si può ottenere inserendo un valore del Pil più basso e, sicuramente, più in linea con l’andamento attuale dell’economia. Inoltre, si presume che il lavoro che si svolge abbia un andamento, in termini delle ultime retribuzioni percepite, di crescita fino alla pensione. Il valore, dunque, può essere modificato a seconda della propria situazione per renderlo più aderente al reale andamento retributivo.

Come modificare la retribuzione nel calcolo della pensione futura Inps?

Proprio in previsione di variazioni della retribuzione è possibile, nella parte bassa della pagina, modificare il reddito di partenza della simulazione. Dunque per migliorare la precisione della proiezione della futura pensione, si potrebbe inserire l’attuale retribuzione annuale lorda se diversa o in previsione differente rispetto a quella per la quale l’Inps ha già fatto la sua previsione. Le retribuzioni inerenti agli anni futuri verrebbero costruite a partire dal valore di retribuzione annuale indicato, con i consueti criteri di crescita delle retribuzioni stesse e dell’andamento del Prodotto interno lordo.