“Basta lacrime e sangue, ora produttività”

di Davide PASSONI

Apprendistato da panacea per i giovani a palla al piede del sistema? Via, non siamo drastici, il sistema è una palla al piede già di per sé, quello che manca sono regole chiare e certe. Sulle potenzialità inespresse del contratto di apprendistato, Infoiva ha sentito il presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, dott. Rosario De Luca.

L’apprendistato avrebbe dovuto essere il canale d’ingresso principale dei giovani nel mercato del lavoro, ma a oggi pare fatichi ancora a decollare? Perché?
Il problema sta nella diversa e, molto spesso contorta, applicazione nelle varie Regioni italiane. Non bisogna infatti dimenticare che la competenza è stata assegnata a livello regionale e questo non è d’aiuto. La nostra Fondazione Studi ha rilevato, tramite un’indagine eseguita su un campione rappresentativo di consulenti del lavoro, che sebbene sia possibile sottoscrivere il contratto d’apprendistato in tutte le regioni italiane, si scoprono ritardi nel varo degli strumenti che dovrebbero favorirne la diffusione con la conseguente reticenza dei datori di lavoro a farne uso a causa dei costi elevati e delle difficoltà burocratiche.

Come Consulenti del Lavoro, qual è la vostra posizione rispetto a questa tipologia di contratto?
Assolutamente favorevoli, nonostante le citate difficoltà operative che di fatto ne impediscono o ne rallentano la diffusione. C’è un affannarsi nel dichiarare populisticamente che l’apprendistato è il canale privilegiato per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Ma si tratta di pura teoria, non suffragata da alcun riscontro empirico, ma   accompagnata dai numerosi limiti che questo tipo di contratto comporta: dal numero massimo di apprendisti da assumere alla durata minima di 6 mesi.

Perché un’azienda dovrebbe scegliere questo tipo di contratto piuttosto che un altro? Ci sono, a suo avviso, strumenti migliori per incentivare l’occupazione giovanile?
L’apprendistato prevede agevolazioni contributive per l’azienda che lo utilizza. Però, con la riforma Fornero, i datori di lavoro possono assumere apprendisti beneficiando di detti sgravi solo se dimostrano di aver stabilizzato a tempo indeterminato una parte degli apprendisti assunti in precedenza. Purtroppo non sono rimasti molti strumenti ai giovani per entrare nel mondo del lavoro; in pratica c’è solo l’apprendistato, ma l’incompatibile e diversificata gestione regionale lo vanifica.

Pensa che il mercato del lavoro in Italia sia ancora troppo rigido, specialmente riguardo ai vincoli all’ingresso, nonostante gli sforzi del governo?
C’è ancora molto da fare  per consentire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. E questo problema, come gli altri, non si risolve assumendo scelte a tavolino , senza cioè riscontri concreti. I monitoraggi vanno effettuati prima di intervenire normativamente e non dopo, come invece avviene. Le nostre indagini, ad esempio, attestano che il 63% delle aziende ritiene “difficile” applicare la normativa di settore, mentre il 13% lo considera “inconveniente”.

Situazioni straordinarie come è quella attuale per le imprese, l’economia e il lavoro necessitano di iniziative e progetti straordinari: secondo voi il Paese e il governo stanno dando segnali positivi in tal senso?
Delle tante riforme fatte finora, nessuna incide efficacemente sui problemi reali del Paese che merita interventi strutturali di prospettiva. Per questo, dopo il periodo delle manovre di lacrime e sangue, è giunta l’ora della produttività e degli interventi di sostegno alle piccole aziende e ai lavoratori autonomi, che sono i veri sostenitori dell’occupazione in Italia. E questi interventi devono passare dalla madre di tutti gli interventi: la riduzione del costo del lavoro, che oggi tutti scoprono essere un problema; ma che noi danni definiamo come il freno inibitore della nostra economia.

Per il rinnovo dei contratti a termine serve un accordo tra le parti

La Riforma del Lavoro emanata da Elsa Fornero rischia di mettere a repentaglio 400mila posti di lavoro.

Questo è il numero dei contratti a termine in scadenza entro l’anno e che, invece di essere rinnovati, possono diventare cessazioni del rapporto, nel caso in cui la regola degli intervalli obbligatori fra contratti a termine venga applicata.
Ricordiamo che la Riforma Fornero prevede un lasso di tempo anche di 90 giorni tra un contratto e l’altro, e dunque ora c’è molta confusione al riguardo.

L’allungamento della pausa obbligatoria fra contratti a termine è stata introdotta dalla Riforma del Lavoro – comma 9, lettera g, dell’articolo 1: 90 giorni di pausa fra contratti a termine (dai precedenti 20 giorni), 60 giorni (da 10) in caso di contratti fino a sei mesi.

Intervalli ridotti (30 e 20 giorni) sono ammessi per contratti legati a: avvio di una nuova attività, lancio di prodotti e servizi innovativi, implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico, fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo, rinnovo o proroga di una commessa consistente.
Inoltre, i termini ridotti a 30 o 20 giorni trovano applicazione anche “in ogni altro caso previsto dai contratti collettivi stipulati ad ogni livello dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale“, per citare la circolare ministeriale appena emanata.

Il ministero è quindi tenuto ad intervenire qualora non ci siano accordi collettivi, per precisare i diversi casi di esigenze organizzative che possono comportare la riduzione della pause.
Gli accordi collettivi possono anche prevedere di accorciare le pause, sempre a 30 o 20 giorni, senza che ci siano particolari esigenze organizzative, ma se questo non succederà non ci sarà alcun intervento specifico del ministero.

La circolare parla di contratti collettivi di qualsiasi livello, perciò questo non rende necessario attendere i rinnovi nazionali, ma sono sufficienti eventuali accordi territoriali o addirittura aziendali.
Sembra inoltre che, non essendoci scontri o incomprensioni con i sindacati, quello della riduzione delle pause fra contratti può essere una questione di facile soluzione, anche se servono accordi specifici tra le parti sociali.

Vera MORETTI

Le modifiche della riforma del lavoro sui contratti di lavoro

Tra le modifiche apportate dalla Riforma del lavoro ce n’è una relativa ai contratti di lavoro.
Per quanto riguarda, poi, i lavoratori a partita Iva, la riforma Fornero è intervenuta sulla tipologia contrattuale non solo per quelle prestazioni “classiche” rese da professionisti iscritti in Albi, ma anche per le collaborazioni generiche stabili che le parti hanno voluto sottrarre al regime del lavoro subordinato o delle collaborazioni a progetto.

La norma di riferimento dispone che al ricorrere di determinate condizioni, la collaborazione resa dalla persona titolare di posizione fiscale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, debba essere ricondotta nella fattispecie del contratto di collaborazione a progetto.
Il rapporto a partita IVA dovrà essere riqualificato in un contratto di collaborazione a progetto, a meno che non venga fornita, dal committente, prova contraria.

Vediamo nel dettaglio quali casi rientrano nella norma:

  • la durata complessiva della collaborazione è superiore al periodo di 8 mesi nell’arco dell’anno solare ;
  • il “lavoratore” ha a disposizione una postazione fissa di lavoro, presso la sede dello stesso committente;
  • il corrispettivo percepito (sempre dallo stesso committente) è superiore all’80% dei guadagni.

Se ci si trova in presenza di almeno due di queste condizioni, i prestatori di lavoro sono identificati quali subordinati e quindi devono essere trasformati in collaboratori a progetto oppure in dipendenti.

Questo significa che l’applicazione del contratto a progetto comporta l’obbligo di individuare un progetto specifico, focalizzato su un risultato concreto che non potrà coincidere con l’oggetto stesso dell’attività aziendale.
Su quanto deliberato dalla riforma è stato modificato l’arco temporale, che ora prevede che la presunzione introdotta dalla precedente riforma debba essere verificata su un arco temporale di due anni.

Vera MORETTI

Giro di vite sulle auto aziendali

La riforma del lavoro ha colpito duro sulle auto aziendali, che dal 2013 saranno deducibili solo al 27,5, contro il 40% attuale.

Il giro di vite, dunque, continua, anche se non colpirà i contribuenti minimi, che continueranno a dedurre il 50%. Non è, questa, una novità, considerando che già nel Testo unico sulle imposte dei redditi del 2008 era stato stabilito di non far applicare ai soggetti minimi alcuna regola, prevista invece per gli altri contribuenti.

A questo proposito, il testo unico è chiaro: a prescindere dalle disposizioni del TUIR, le spese di acquisto e di gestione dei beni a uso promiscuo possono essere dedotte nella misura del 50% del relativo corrispettivo comprensivo dell’IVA per la quale non può essere esercitato il diritto alla detrazione.

In particolare per le auto non è applicabile neppure il limite del costo di acquisto pari a 18.075,99 euro per gli altri regimi fiscali.

Vera MORETTI

A La Spezia un incontro che illustra la riforma del lavoro

Appuntamento per venerdì 7 settembre presso la sala Carlo Barilli di La Spezia per un incontro organizzato da Confcommercio durante il quale si illustreranno le novità della riforma del mercato del lavoro, focalizzandosi in particolare sulle conseguenze che essa avrà sul settore terziario e su quello artigiano.

Per i piccoli e medi imprenditori si tratterà di una rivoluzione, se si considerano i temi del lavoro a chiamata, l’apprendistato e il lavoro con flessibilità in entrata.

Interverranno Enrico Lupi, presidente regionale Confcommercio; Gianfranco Bianchi, presidente provinciale Confcommercio; Riccardo Spella, Direttore Provinciale D.P.L.; Jole Vernola, responsabile politiche del lavoro e welfare della Confcommercio nazionale.

La partecipazione all’evento è libera e valevole ai fini del credito formativo per i consulenti del lavoro.

Vera MORETTI

Agevolazioni per l’assunzione di lavoratori over 50

Tra le novità della riforma del Lavoro, approvata e diventata operativa il 18 luglio scorso, una riguarda gli incentivi all’assunzione dei lavoratori anziani.

Si tratta di una riduzione del 50% dei contributi per un periodo di 12 mesi in caso di assunzione a tempo determinato di lavoratori con più di 50 anni.
Se, poi, l’assunzione diventa a tempo interminato, l’agevolazione è di 18 mesi.

Questo tipo di agevolazione, già attivo, è valido fino all’1 gennaio 2013.

Vera MORETTI

Da gennaio ASPI sosterrà i lavoratori disoccupati

Per favorire l’occupazione, dal 1 gennaio 2013 sarà operativa l’Assicurazione Sociale per l’Impiego, ASPI, che prevederà l’erogazione di una indennità mensile ai lavoratori dipendenti del settore privato, compresi gli apprendisti e i soci di cooperativa di lavoro, che si trovano in stato di disoccupazione.

Questa assicurazione va a sostituire l’indennità di disoccupazione e tutti i vari ammortizzatori sociali come, ad esempio, la mobilità.

Gli importi previsti consistono nel 75% di € 1.180,00 (€ 885,00) aumentati di una quota del 25% del differenziale tra retribuzione percepita ed il limite di € 1.180,00 nel caso in cui la retribuzione del lavoratore superi quest’ultimo limite.
Il massimale previsto è di € 1.119,00, mentre la durata è di un anno per coloro i quali hanno meno di 55 anni (alla data di assegnazione dell’ammortizzatore) e 18 mesi per coloro con più di 55 anni.
È prevista la riduzione del 15% di quanto percepito dopo i primi sei mesi di fruizione e di un ulteriore 15 % dopo un anno.

Al finanziamento del nuovo trattamento saranno oggetto i seguenti interventi (dal 1° gennaio 2013):

  • Contributo integrativo pari al 1,31% che sostituirà, a regime, l’attuale contributo DS;
  • Contributo addizionale pari al 1,4% (carico datore) per ogni rapporto di lavoro a tempo determinato
  • Contributo a carico del datore di lavoro in tutti i casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per cause diverse dalle dimissioni intervenute dal 1 gennaio 2013.

Il contributo di licenziamento si applica anche nei casi di licenziamento per giusta causa o in caso di cessazione attività ed è pari al 50% del trattamento iniziale di ASPI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni.
Ciò significa che se viene licenziato un lavoratore con anzianità di almeno tre anni, il contributo di licenziamento è pari ad € 1.327,50 (885,00*1,5).

Vera MORETTI

La riforma del lavoro tocca anche i costi delle auto

Tra i tanti cambiamenti portati dalla Riforma del Lavoro, alcuni riguardano la deducibilità dei costi delle auto per professionisti e imprese a partire dal 2013.

Da quel momento in poi, dunque, verranno ridotti al 27,50%, contro il 40% ora in vigore, percentuale che vale sia per il costo d’acquisto che per le spese effettuate durante la vita del bene in questione.

Si tratta, ovviamente, di una sola vettura a professionista e, nel caso di associazioni professionali, a un veicolo per ogni socio o associato. Non rientrano in questi parametri gli imprenditori commerciali.

Il costo massimo riconosciuto, se si tratta di un’auto, resta di 18.075.99 mentre il costo deducibile massimo scende dagli attuali 7230 € a 4971 € nei 4 anni per i professionisti e 5 anni per le imprese.

Per i motocicli il costo massimo fiscalmente riconosciuto è di 4131.66 €, per i ciclomotori è di 2065.83 € e il costo deducibile massimo è rispettivamente di 1136 € e di 568 € nei 4 anni.

Per le imprese tale quota di ammortamento per il primo anno andrà ulteriormente ridotta a metà a norma dell’art. 102 del Tuir, che non viene richiamato dall’art. 54 del Tuir che disciplina la determinazione del reddito per i lavoratori autonomi. Quindi i professionisti potranno dedurre il costo in 4 anni mentre le imprese in 5 anni.

Per quanto riguarda i leasing, la durata del contratto di locazione finanziaria non incide più sulla deducibilità dei beni strumentali dei professionisti e imprenditori. Essi non dovranno quindi più preoccuparsi della durata del contratto che andranno a firmare per l’uso del veicolo ma la deducibilità sarà sempre ammessa per un periodo non inferiore al periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito, che per le auto è il 25% e quindi di norma 48 mesi.

In caso di contratti full service nella fattura le predette soglie massime s’intendono con esclusione dei costi accessori quali i costi di manutenzione, assicurazione e varie.

I costi di locazione e di noleggio non sono fiscalmente rilevanti per la parte che eccede 3615.20 € annui per le autovetture, 774.69 € per i motocicli, 413.17 € per i ciclomotori. Il costo massimo deducibile sarà quindi rispettivamente di 994 €, 213 € e 114 € annui.

Anche le soglie per queste due tipologie di contratti s’intendono con esclusione dei costi per le prestazioni accessorie. Per gli agenti di commercio, invece, non cambia nulla, poiché la percentuale di deducibilità è l’80%.

Vera MORETTI

Per la riforma del lavoro ci sono i nuovi ebook

Nello store online della Fondazione Studi dei consulenti del lavoro (www.consulentidellavoro.it/store/ebook.html) sono disponibili i nuovi ebook, preziosi strumenti per orientarsi all’interno delle “complicazioni burocratiche” in seguito all’entrata in vigore le nuove regole del lavoro. All’interno si trovano commenti, suggerimenti, consigli pratici e modulistica. Da segnalare in particolare quello sulle dimissioni e risoluzione consensuale, che contiene anche alcuni fac-simile, utili ai datori di lavoro nella fase di prima applicazione della normativa.

Altri due ebook, poi, sono dedicati alla flessibiltà in entrata e in uscita. Il primo si prefigge l’obiettivo di analizzare la legge 92/12 (la riforma del lavoro) mettendo in luce le novità introdotte, con un’attenta riflessione critica, da cui emergono aspetti problematici di una riforma giudicata “poco attenta alle reali necessità del mercato del lavoro”. “Sul tema della flessibilità in entrata – osservano i consulenti del lavoro dalle colonne di ‘Italia Oggi’ – le norme portano a una scarsa appetibilità degli istituti e un aumento dei costi”. Per gli esperti, quindi, “la previsione è che le norme conducano a risultati diversi rispetto agli obiettivi prefissati”.

La guida operativa sulla flessibilità in uscita, invece, analizza tutele e procedure per i licenziamenti e in particolare licenziamento individuale disciplinare, individuale economico, collettivo e discriminatorio, le dimissioni e la procedura preventiva e la rinuncia al licenziamento.

La Riforma della Fornero? Non ce la siamo bevuta: la parola al Consulente

 

La Riforma del Lavoro è stata varata la scorsa settimana e subito ha riscosso un mare di dissensi, per non dire perplessità, da parte di imprenditori, professionisti, inoccupati e di chi, in prima battuta, risentirà delle modifiche a contratti di lavoroordini professionali e sovvenzioni che (non) arriveranno per implementare le risorse interne delle imprese.

Da subito, i dirigenti in capo all’Associazione dei Consulenti del Lavoro ha parlato di una NON riforma che non risolverà affatto il problema della disoccupazione giovanile.

Infoiva ha chiesto il parere del dott. Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro

Perché siete così convinti che la riforma del lavoro non farà ripartire le assunzioni? Che cosa avreste proposto e che cosa manca?
In nostro grande timore che la riforma del lavoro, così come pensata ed approvata, non porterà nuova occupazione. Il rischio, invece, è che si verifichino perdite di occupazione e contenzioso a causa dell’aumento del costo del lavoro (contratto a termine e aspi), dell’eccessiva burocratizzazione (intermittente, part-time, convalida dimissioni), dei nuovi vincoli (apprendistato), delle nuove presunzioni (partite iva e associati in partecipazione), delle abrogazioni (contratto d’inserimento) e delle restrizioni (voucher).
L’irrigidimento complessivo nella gestione del rapporto di lavoro con la presunzione di subordinazione, unito all’introduzione della comunicazione obbligatoria della presenza per i lavoratori intermittenti con la previsione di una sanzione sproporzionata; le nuove procedure in materia di dimissioni e gli interventi in materia di flessibilità non faranno certamente bene ad un mercato del lavoro che ha bisogno di fluidità e non di freni e vincoli come quelli che le nuove norme stanno introducendo.

Ci sono dei lavori o delle soluzioni su cui puntare oggi giorno, occasioni o campi dalle maggiori possibilità occupazionali?
Anche se siamo in presenza di un mercato del lavoro in crisi, con una disoccupazione degli under 24 che supera il 30%, esistono profili di difficile reperibilità per le aziende. Ad esempio tecnici informatici o personale sanitario, dove assistiamo al reperimento delle risorse in paesi esteri. Ma anche lavori manuali come cuochi o conduttori di macchine da lavoro. Una buona formazione tecnica oggi mette al sicuro un lavoratore e non ha niente da invidiare a percorsi più incerti e dispendiosi.

Tanti, per ovviare alla mancanza di occupazione, stanno puntando sull’apertura della partita IVA a rischio super tassazione: secondo lei, tanti singoli fanno un mercato del lavoro o dovrebbe pensarci lo Stato?
Il mondo del lavoro ha tante sfaccettature. Ma dobbiamo superare lo storico luogo comune che lavoro significa solo lavoro dipendente. Bisogna anche saper rischiare nel fare impresa o intraprendere un lavoro autonomo. Lo Stato deve evitare di disegnare un sistema giuridico che penalizzi il lavoro autonomo in favore di quello dipendente. Non bisogna dimenticare mai che dal lavoro dipendente non nasce lavoro dipendente. L’occupazione la crea il lavoro autonomo; per questo auspichiamo che i Governi rendano attuali i tanti principi enunciati per favorire l’imprenditoria giovanile. Le professioni regolamentate sono di sicuro uno sbocco importante per le nuove generazioni; le iscrizioni agli albi professionali hanno avuto un incremento importante negli ultimi 10 anni e, da una recente ricerca, l’età media dei professionisti è di 45 anni.

Che cosa è stato fatto per i piani di mobilità sociale e come si equilibrano piani di mobilità con l’effettiva ondata di licenziamenti cui stiamo assistendo, non ultimo il discorso sulla spending review del Premier Monti?
Non c’è alcuna mobilità sociale senza ricambio generazionale. Purtroppo il Paese sta affrontando una crisi profonda sia dal punto di vista economico che dal punto di vista occupazionale. Ma ora siamo in attesa delle misure per lo sviluppo. Credo che per poter rilanciare un Paese non c’è bisogno solo di politiche di contenimento delle spese ma anche di riforme strutturali del sistema produttivo. Per quanto riguarda le misure per lo spending review presentate dal Professor Monti, ciò che grava molto non è il numero dei dipendenti della Pubblica Amministrazione, visto che non sono così poi tanto maggiori (in proporzione) rispetto agli altri paesi, bensì i relativi stipendi, soprattutto di alcuni alti funzionari. La spesa media per il personale e per i servizi del funzionamento dell’attività amministrativa italiana, nel quinquennio 2005/2009, è stata pari a 248 miliardi, ovvero il 16,4 % del Pil.

Secondo lei, le imprese saranno agevolate nell’assunzione di nuove risorse sfruttando il contratto di apprendistato o è solo un bel nome per aggirare l’ostacolo?
La riforma dell’apprendistato, cioè ridisegnare i percorsi di apprendistato, credo sia importante e imprescindibile in un momento in cui i nostri giovani, ce lo dicono tutte le statistiche, hanno difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro.
Siamo a percentuali preoccupanti dei tassi di disoccupazione giovanile ma va posto l’accento su un aspetto altrettanto preoccupante: il fatto che sta aumentando il numero dei giovani che non cerca lavoro, che è scoraggiato e quindi esce da quelli che sono i circuiti in cui invece potrebbe trovare un’occupazione.
L’apprendistato è l’unico contratto a finalità formativa, ma ha anche la funzione importante di accompagnare i giovani e farli transitare dal mondo dell’istruzione al mondo del lavoro.
Il problema resta a livello operativo considerato che la gestione da parte delle Regioni spesso è contraddistinta da procedure molto burocratizzate ed una legislazione non chiara e , a colte, contraddittoria. Situazioni che penalizzano l’espansione dell’apprendistato.

Qual è il vostro punto di vista sulla Riforma degli ordini professionali e lo stato dei liberi professionisti? Si preannuncia meno burocrazia ma i soggetti, come la categoria dei giornalisti pubblicisti, si è sentita defraudata dei suoi diritti?
Di riforma delle professioni si parla ormai da decenni. Il comparto professionale continua, però, a dimostrarsi tra i più dinamici garantendo al Paese il 15% del PIL. Gli Ordini professionali non si sono mai dichiarati contrari all’ammodernamento delle regole, anche per adeguare le leggi ordinamentali al nuovo contesto europeo. Ma quello che abbiamo sempre chiesto è quello di avere un dialogo continuo con le Istituzioni per arrivare ad una riforma condivisa e strutturale. Purtroppo, non si vuole avere la consapevolezza che il sistema ordinistico italiano è una risorsa del Paese e che negli altri stati europei esistono gli ordini caratterizzati esattamente come in Italia. A volte in questa materia si parla più per frasi fatte che per effettiva conoscenza del settore.

Ma secondo voi, questa riforma, si farà per davvero?
Gli Ordini professionali hanno già fatto la loro parte e sono sempre disponibili al confronto.

 

Paola PERFETTI