Statuto Enti Terzo settore: proroga termini per adeguamento

Con la conversione del decreto Semplificazioni  entra in vigore la proroga del termine previsto per gli Enti del Terzo Settore (ETS) per adeguare lo Statuto al Codice del Terzo Settore. Il nuovo temine è il 31 dicembre 2022.

Termini per adeguamento Statuto Enti Terzo Settore

Il Codice del Terzo Settore si trova nel decreto legislativo 117 del 2017 entrato in vigore il 3 agosto 2017. Per gli enti del Terzo Settore costituiti successivamente all’entrata in vigore del codice, trovano immediata applicazione le nuove norme, mentre per gli enti già costituiti in tale data, è stato previsto un periodo transitorio entro il quale adeguare lo statuto.

Le norme trovano applicazione nei confronti di Onlus, Associazioni di Promozione Sociale (APS) e Organizzazioni di Volontariato (OdV). In base all’articolo 101 comma 2 del Codice, tali soggetti possono continuare ad adottare le normative previgenti fino all’operatività del Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (Runts).

Entro il termine prorogato del 31 dicembre 2022 ( proroga che ricordiamo è contenuta nella conversione del decreto Semplificazioni) tali soggetti, quindi Onlus, OdV e APS, possono adottare le modifiche dello statuto con delibera dell’assemblea ordinaria, scaduto tale termine sarà invece necessario procedere con delibera dell’assemblea straordinaria. In seguito all’approvazione di un nuovo statuto che sia in linea con le previsioni del Runts, è necessario inviare copia dello stesso all’Agenzia delle Entrate e all’autorità competente per la tenuta dei registri.

Occorre ribadire che scaduto il termine del 31 dicembre 2022 ai soggetti che non si sono adeguati non sono applicate sanzioni e non sono prodotti effetti negativi, ma sicuramente il dover convocare l’assemblea straordinaria è un “peso” ulteriore.

Leggi anche: Registro Volontari Enti del Terzo Settore: come cambia con le nuove regole?

Volontario e associato nel Codice del Terzo Settore e associazioni culturali

Trasmigrazione di OdV e APS nel Runts

Ricordiamo che dal 23 novembre 2021 ha preso il via il procedimento automatico di trasmigrazione di APS e OdV dai vecchi registri regionali e provinciali al nuovo Registro Unico Nazionale Terzo Settore (RUNTS). Tale operazione si è conclusa il 21 febbraio 2022. Da questo periodo decorrono i termini per i controlli sugli statuti degli enti trasmigrati, il termine previsto è di 180 giorni e scade il 20 agosto 2022.

I controlli sono volti a determinare se gli statuti sono in linea con le nuove disposizioni e al termine degli stessi è previsto che gli uffici competenti comunichino ai soggetti interessati eventuali difformità e questi a loro volta devono adeguare gli statuti entro 60 giorni. Nel caso in cui l’ente non provvede entro il termine previsto si procede alla non iscrizione nel Runts.

Terzo Settore: rinvio dell’entrata in vigore dell’IVA fino al 2024

Il terzo settore negli ultimi anni è stato oggetto di numerosi interventi volti a uniformare la disciplina, particolare rilevanza hanno il codice del Terzo Settore e il Registro Unico Nazionale Terzo Settore RUNTS. Una delle riforme che più ha destato clamore è stata introdotta con il decreto legge 146/2021, questo prevedeva che dal primo gennaio 2022 le Associazioni di Promozione Sociale e le Associazioni di Volontariato, pur non svolgendo alcuna attività commerciale fossero, assoggettate ad IVA. Con la legge di bilancio 2022 c’è invece stato il rinvio dell’entrata in vigore dell’IVA fino al 2024. Vediamo i vari passaggi che hanno portato al rinvio.

Normativa su obbligo di applicazione IVA per gli Enti del Terzo Settore

La disciplina dell’applicazione dell’IVA anche alle operazioni compiute da OdV e APS deriva dalla normativa comunitaria, quindi l’Italia in un certo senso ha dovuto adottare queste misure. Infatti è in corso una procedura d’infrazione a carico dell’Italia, n° 2008 del 2010, proprio per non aver provveduto ad adeguare la disciplina del Terzo Settore e per violazione degli obblighi imposti dagli artt. 2, 9 della direttiva IVA (2006/112/CE).

In base alla disciplina dettata dal decreto fiscale le operazioni esentate ( ma da dichiarare ai fini IVA) sono per i servizi prestati e i beni ceduti dagli enti nei confronti dei propri soci, ad esempio corsi di formazione in favore degli associati. Questo naturalmente comporta sia un maggiore esborso a fronte di attività considerate socialmente utili, sia un aggravio dei costi di gestione con obbligo di tenuta dei registri IVA

La normativa prevede delle semplificazioni per le Organizzazioni di Volontariato (OdV) e per le Associazioni di Promozione Sociale (APS) che al permanere dei requisiti previsti dalla legge decidono di aderire al regime forfettario.

Naturalmente vista la situazione pandemica e le difficoltà a cui devono fare fronte gli Enti del Terzo Settore, i partiti hanno presentato diversi emendamenti volti a far slittare l’entrata in vigore dell’obbligo di pagare l’IVA per gli Enti del Terzo Settore.

Perplessità sul regime IVA per Enti del Terzo Settore

La portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore Vanessa Pallucchi ha espresso molte perplessità. Ha sottolineato come in realtà questa norma introdotta con il decreto fiscale 146/2021 non solo arreca un ingiusto danno alle associazioni, in particolare a quelle più piccole, ma non porta alcun vantaggio reale alle Casse dello Stato. Il regime IVA prevede, ad esempio, che debba essere applicata l’IVA sulla somministrazione di bevande e alimenti, ma se questa è in favore di indigenti, le operazioni sono esenti da IVA. Nonostante questo possa sembrare un vantaggio in realtà non lo è, infatti se le Associazioni sono escluse dal regime IVA non devono compiere adempimenti, ma nel momento in cui si parla di esenzione e non di esclusione, le operazioni devono essere dichiarate e quindi occorre comunque dotarsi di partita IVA e la tenuta dei Registri che comunque rappresentano costi.

Inoltre la portavoce critica il momento di introduzione dell’IVA che arriva nel corso dell’esecuzione degli adempimenti per l’iscrizione nel RUNTS con tutti gli oneri relativi ad eventuali cambi di Statuti da raccordare alla nuova disciplina. Ciò che molti contestano alla disciplina prevista dal decreto fiscale è il fatto che la norma non differenzia il regime IVA in base alla tipologia di prestazioni e alla tipologia di associazioni, o meglio in base allo scopo. Trattando in modo indifferenziato diverse realtà, da un lato si va oltre le richieste dell’Unione Europea creando un danno agli Enti del Terzo Settore e dall’altro si realizza un’ingiustizia sostanziale. Della disciplina del decreto fiscale sono inoltre contestati i tempi brevi tra l’approvazione di questa novità e i tempi di entrata in vigore, cioè già dal 1° gennaio 2022.

Rinvio dell’entrata in vigore dell’ IVA per il Terzo Settore fino al 2024

Con la legge di bilancio 2022 si è quindi provveduto a posticipare l’entrata in vigore dell’obbligo di dichiarazione IVA, tenuta dei registri e pagamento delle relative imposte fino al 2024. In realtà si spera nella scrittura di una nuova normativa che possa coinvolgere anche i diretti interessati.

Per saperne di più sulle nuove norme relative al Terzo Settore, puoi leggere:

Codice del Terzo Settore: cosa cambia per le associazioni culturali 

Registro Unico del Terzo Settore diventa operativo dal 23 novembre 2021

 

ONLUS: come si estingue per scioglimento? Procedura e competenza

Non possiamo evitare di parlare anche di proroga, l’ultima della serie attualmente, quando si affronta la questione degli adeguamenti degli statuti per ODV, APS e ONLUS, prevista dal Decreto Semplificazioni al 31 maggio 2022. L’ulteriore decisione è stata condizionata dal perdurare dell’emergenza coronavirus, con cui si è voluto concedere più tempo agli ETS di modificare i propri statuti nelle modalità e con le maggioranze previste per le deliberazioni dell’assemblea ordinaria.

Premesso ciò, entriamo nel vivo del discorso. Il termine ONLUS è già desueto in quanto divenuto sinonimo di associazione no profit. Quello che ci si chiede oggi, è cosa accade alla ONLUS che non vuole passare al RUNTS e quale sarà la procedura di estinzione per scioglimento.

Cos’è il RUNTS

In qualità di brevissimo promemoria, si ricorda che RUNTS non è altro che l’acronimo di registro unico nazionale del Terzo settore, il quale rappresenta una delle novità più importanti della riforma del Terzo Settore, poiché, la sua istituzione ha lo scopo di superare l’attuale sistema di registrazione degli enti, caratterizzato da una serie infinita di registri gestiti dalle Regioni e dalle Province autonome.

Estinzione ONLUS per scioglimento: la procedura

La riforma del terzo settore ha definitivamente eliminato la qualifica fiscale di ONLUS, la quale cesserà di esistere nel momento in cui la medesima sarà completamente entrata in vigore.

Le ONLUS che decidono di non entrare a far parte del RUNTS e anche quelle che subiranno la trasmigrazione al nuovo registro unico dovranno seguire dei precisi passaggi, che le porteranno comunque alla perdita di codesta qualifica, seppure con conseguenze diverse.

In questo articolo cerchiamo di capire cosa succede ad una ONLUS che decide di optare per il proprio scioglimento, non volendo adeguare il proprio statuto per passare al RUNTS.

Scioglimento di una ONLUS: mancato transito al RUNTS

Una ONLUS che non vuole passare al terzo settore e che, quindi, non intende procedere con l’iscrizione al RUNTS, procedura automatica solo per gli enti che risultano essere iscritti ai registri regionali delle ODV o delle APS e che per gli altri resta invece demandata al legale rappresentante su iniziativa dell’associazione, dovrà fare i conti con l’ardua scelta tra l’estinzione dell’ente o il perseguimento dell’attività, in veste di ente non commerciale.

Se il percorso da seguire per le ONLUS che decideranno di proseguire la loro attività al di fuori del RUNTS come enti non commerciali è abbastanza chiaro, non è ancora stato chiarito il destino spettante la ONLUS a seguito della perdita di qualifica fiscale per mancata transizione al nuovo registro unico del terzo settore.

La perdita della qualifica di ONLUS accompagnata dall’impossibilità di proseguire con lo svolgimento della propria attività porta allo scioglimento dell’ente. Ciò comporta a livello procedurale la cancellazione dello stesso dall’Anagrafe delle ONLUS e alla devoluzione totale del patrimonio stesso.

Cancellazione dall’anagrafe e devoluzione del patrimonio

La ONLUS che prediligerà l’azione di scioglimento sarà chiamata a formalizzare la propria intenzione nel corso dell’assemblea attenendosi a quanto previsto dalla normativa. Pertanto, dovrà inviare una richiesta scritta all’Anagrafe delle ONLUS (formalmente non sono più in essere dal 2012 ma che risultino ancora ad oggi, presenti nel registro comprendente le associazioni a cui è stata attribuita questa qualifica fiscale).

A questo punto, ci si deve rivolgere al dipartimento dell’Agenzia delle Entrate competente del territorio per poter procedere alla cancellazione dell’ente. Il passo successivo consiste in un ulteriore invio di richiesta scritta di parere al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, utilizzando il modello Ts5 reperibile e scaricabile sul portale dedicato nella sezione modulistica (Modello TS5- parere devoluzione patrimonio per scioglimento ente).

Il predetto modulo contiene i dati dell’associazione che sta procedendo con lo scioglimento, indicando il patrimonio dell’ente che dovrà debitamente essere compilato dal legale rappresentante e inviato tramite i canali appositi al Ministero.

La ONLUS avrà la facoltà di proporre uno o più enti in veste di beneficiari localizzati nel territorio in cui avevano sede, esprimendo una preferenza per quelli che si prefiggono di svolgere attività similare a quella svolta dalla ONLUS in fase di scioglimento.

Seguirà poi la risposta dal Ministero con apposito parere il quale decreterà i passi successivi che dovrà compiere l’ente.

Parere sulla devoluzione del patrimonio dopo la perdita della qualifica di ONLUS: organo competente

Ma fino a quando la riforma del terzo settore non entrerà effettivamente in vigore, la ONLUS può accedere ai benefici fiscali previsti sino a quel momento?

L’Agenzia delle Entrate risponde al quesito fissando un limite temporale, superato il quale non sarà più possibile mantenere l’iscrizione all’Anagrafe delle ONLUS. Con la risoluzione 89 del 25 ottobre 2019, il Fisco espone che un ente iscritto all’Anagrafe può fruire delle disposizioni fiscali discendenti, se in possesso dei requisiti richiesti dal decreto legislativo del 4 dicembre 1997, n.460, fino al termine di cui al comma 2, dell’articolo 104 del Codice, anche nel caso in cui non proceda ad adeguare lo statuto entro il 30 giugno 2020 alle disposizioni inderogabili del Codice.

Ma qual è il vero problema? E’ che, in realtà l’Anagrafe delle ONLUS è stato di fatto soppresso nel 2012, demandando le funzioni da essa svolte al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Quindi? Il legislatore ha creato una nuova incongruenza normativa, in quanto le nuove disposizioni previste dalla riforma del terzo settore non sono ancora state poste in essere.

Pertanto, la ONLUS può venire obbligata a devolvere il proprio patrimonio a seguito della perdita di tale qualifica che può avvenire per scioglimento o decadenza dei requisiti, per estinzione dell’ente o proseguimento dell’attività, il che porta a differenti procedure da applicare.

Qualora la ONLUS dovesse decidere di proseguire l’attività seppur priva di qualifica, dovrà procedere con la devoluzione del patrimonio incrementale, dietro il parere del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Sul portale di quest’ultimo sarà reperibile la modulistica adatta.

Il modello TS 4 (devoluzione del patrimonio) in assenza di estinzione, che prevede molti documenti da allegare all’apposito modulo scaricabile dal sito e riportante tutte le indicazioni per la sua compilazione.

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Volontario e associato nel Codice del Terzo Settore e associazioni culturali

Le associazioni culturali in Italia svolgono attività di promozione culturale a 360° e operano in diversi settori. Si è visto in precedenza che con il Codice del Terzo Settore per poter continuare a operare in regime di fiscalità agevolata dovranno  trasformarsi in APS, Associazioni di Promozione Sociale. Per queste attività sono però previsti nuovi limiti ed è importante fin da ora parlare di due importanti figure, cioè il volontario e l’associato nel Codice del Terzo Settore.

Il successo del volontariato in Italia

In Italia l’associazionismo ha un appeal molto importante questo perché risponde all’esigenza di operare nel sociale e consente di avere delle agevolazioni fiscali. In Italia ci sono oltre 340 mila istituzioni no profit (dati 2018), o di volontariato, e la maggior parte delle stesse operano al Nord. Proprio in virtù del rilevante numero delle associazioni no profit, tra cui le associazioni culturali, è nato il Codice del Terzo Settore che però ancora non è applicato in tutte le sue parti, manca infatti l’entrata in vigore della parte più importante, cioè il Registro Unico Nazionale del Terzo Settore. L’ingresso delle nuove regole è stato più volte procrastinato per dare alle associazioni, e al mondo del volontariato, in genere tempo per adeguare il proprio statuto alle nuove regole, infatti con la nuova disciplina entrano in vigore anche nuove norme, tra cui quelle inerenti i vincoli assunzionali.

I lavoratori impiegati nel terzo settore infatti superano le 800.000 unità, ma con l’applicazione del RUNTS per le associazioni che vorranno mantenere i benefici fiscali vi saranno dei limiti e le assunzioni non potranno superare il 50% del numero dei volontari e il 5% degli associati. Si tratta quindi di un doppio limite da rispettare molto importante perché, avendo un numero esiguo di volontari e associati, la possibilità di assumere professionisti che aiutino a raggiungere lo scopo e porre in essere le attività sociali sarà ridotta. Ciò potrebbe indurre delle difficoltà operative importanti, allo stesso tempo potrebbe essere una forma di incoragimento nella ricerca di volontari “specializzati”.

Se vuoi scoprire cosa cambia con l’entrata in vigore del RUNTS leggi l’articolo: Codice del Terzo Settore: cosa cambia per le associazioni culturali
Se vuoi scoprire i tratti salienti si un’associazione culturale leggi l’articolo: Cosa fa un’associazione culturale? Scopriamo insieme le caratteristiche

Volontario e associato nel Codice del Terzo Settore

Proprio in virtù di questi vincoli assunzionali è importante distinguere tra l’associato e il volontario nelle associazioni del terzo settore. Il volontario rappresenta un figura chiave nella normativa e infatti nel codice su parla di lui circa 150 volte.

Il Volontario, in particolare, è al centro del Titolo III del Codice e viene definito all’articolo 17: “una persona che per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un Ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà”.

Incompatibilità tra volontariato e rapporti di lavoro

Da questa descrizione emerge che vi è incompatibilità tra la figura del volontario e quella del dipendente, appare quindi evidente che colui che opera come volontario non può essere assunto dalla stessa associazione o svolgere incarichi dietro il pagamento di corrispettivo, neanche in qualità di professionista. Ad esempio, un volontario che svolge autonomamente attività di archeologo, non può fornire una consulenza a pagamento presso l’associazione in cui è volontario.

Appare altrettanto palese dallo stesso articolo 17 che il volontario può ottenere il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate. In realtà su questo punto non mancano voci critiche, infatti il comma 4 dell’articolo 17 del Codice del Terzo Settore prevede che sia possibile ottenere rimborsi fino a 150 euro mensilie non più di 10 euro al giorno, avvalendosi semplicemente dell’autodichiarazione ai sensi del DPR 445 del 2000, articolo 46. Molti hanno pensato che questa possa essere una sorta di scorciatoia per dare piccole retribuzioni forfettarie, in realtà non è così perché si applicano tutti i principi e le sanzioni previste dallo stesso DPR 445/2000 per le false dichiarazioni. Si deve quindi ritenere che in realtà tale disposizione non intenda avallare l’ipotesi di rimborsi non dimostrabili, ma semplicemente semplificare le modalità di rimborso.

Diritti del volontario

Il volontario deve essere iscritto in un apposito registro tenuto dall’associazione stessa, inoltre può ricevere premi di modico valore e onorificenze.  Tra le norme che sembrano tutelare l’associato vi sono quelle che prevedono il diritto a usufruire di forme di flessibilità sull’orario di lavoro. L’associazione è obbligata anche a stipulare a tutela dei volontari un’assicurazione contro infortuni, malattie e responsabilità civile verso terzi.

L’associato: chi è?

I volontari devono però essere tenuti distinti dagli associati, che però all’interno della associazione possono assumere anche il duplice ruolo di volontari. Gli associati sono coloro che fanno parte degli organi sociali di un’associazione, ad esempio l’assemblea, il consiglio direttivo e il presidente. Partecipano all’assemblea coloro che versano la quota sociale, ottengono quindi una tessera e coloro che fondano l’associazione stessa.

Per loro non vi è il divieto di avere rapporti di lavoro con l’associazione stessa, quindi possono essere dipendenti.

Questa differenza di trattamento tra l’associato e il volontario non è esente da critiche, infatti sono in molti a sollevare dei dubbi. In particolare viene sottolineato che il divieto vige anche al contrario e quindi impedisca di fatto a coloro che sono dipendenti dell’associazione di prestare anche attività di volontariato all’interno della stessa. In realtà l’obiettivo del legislatore è fare in modo che le associazioni di promozione culturale che operano sul territorio cerchino di avvalersi in modo prevalente di attività di volontariato e non siano trasformate in enti utilizzati per dividere gli utili avendo però una fiscalità agevolata, una sorta di cooperative con finalità mutualistiche, ma nascoste.

Di certo per vedere l’impatto definitivo delle nuove norme sul mondo dell’associazionismo sarà necessario attendere ancora qualche mese, anche se nel frattempo le associazioni sono già impegnate nella scelta della strada da percorrere per la propria associazione.

 

 

 

Associazione culturale con scopo di lucro: cosa cambia

L’associazione culturale è un gruppo organizzato di persone e beni finalizzato al raggiungimento di uno scopo di interesse collettivo, senza fini di lucro, ciò vuol dire che se vi sono degli utili gli stessi non possono essere divisi tra gli associati, ma devono restare nell’associazione ed utilizzati per svolgere le attività previste nell’atto costitutivo. Vi sono però delle peculiarità che meritano un accenno, cioè la possibilità di avere dei dipendenti e il rimborso spese e in questi casi si può genericamente parlare di associazione culturale con scopo di lucro.

Associazione culturale con scopo di lucro: esiste?

Si è visto negli articoli precedenti:

Resta ora da chiarire se è possibile avere un’associazione con scopo di lucro e quale forma giuridica è possibile dare a un’associazione che vuole perseguire tali finalità.

La prima cosa da fare è provare a capire cosa vuol dire scopo di lucro: lo scopo di lucro altro non è che la finalità di dividere gli utili che derivano dall’attività svolta. Molti però confondono lo scopo di lucro vero e proprio con i compensi dovuti ai dipendenti e i rimborsi spesa. In linea di massima l’associazione culturale non può dividere gli utili, può però stipulare contratti di lavoro anche in favore degli stessi associati e naturalmente le prestazioni lavorative devono essere retribuite, ma tale attività ha dei limiti altrimenti potrebbe configurarsi una divisione indiretta degli utili.

Contratti di lavoro

L’associazione cultutrale può stipulare contratti di lavoro, sono però previsti dei limiti per evitare una distribuzione indiretta degli utili. In particolare se colui che presta lavoro per l’associazione culturale ha una partita IVA, deve emettere una regolare fattura per il pagamento delle prestazioni. Nel caso in cui non sia un lavoratore autonomo, vi sono diverse possibilità, in pratica è possibile stipulare:

  • un contratto di lavoro subordinato;
  • un contratto di lavoro parasubordinato, ad esempio a progetto;
  • oppure si può stipulare un contratto di collaborazione occasionale.

E’ stato anticipato in precedenza che vi sono dei limiti inerenti tali contratti, in particolare il corrispettivo non deve superare del 20% dei salari e stipendi previsti dal Contratto Collettivo Nazionale per quel tipo di prestazione. In caso contrario si ritiene che in realtà vi sia una distribuzione indiretta di utili vietata dalla legge. Deve essere inoltre sottolineato che non vi è alcuna norma specifica che vieta di assumere, per le mansioni inerenti la realizzazione delle scopo dell’associazione culturale, i soci, anche se membri del comitato direttivo. Naturalmente anche in questo caso devono essere rispettati i limiti previsti dalla normativa altrimenti si può ipotizzare una distribuzione indiretta degli utili.

I rimborsi spesa

Svolgere le attività all’interno dell’associazione comporta per associati e volontari delle spese, in questo caso è possibile ottenere il rimborso spese che non ricade nella divisione degli utili. Ad esempio i soci di una compagnia teatrale potrebbero sostenere in proprio i costi per gli abiti di scena.

Per ottenere il rimborso spese occorre una deliberazione del consiglio direttivo, inoltre le spese effettuate devono essere provate attraverso le “pezze giustificative” , più comunemente chiamate fatture. Le spese devono essere inerenti all’attività svolta. In realtà molte associazioni hanno la cattiva abitudine di stabilire dei rimborsi spesa forfettari, questo comportamento però deve essere considerato a rischio perché potrebbe essere considerato come una divisione degli utili e quindi vietata per tale tipologia di associazione.

Cosa cambia con l’entrata in vigore del Codice del Terzo Settore

Occorre ricordare che con l’entrata in vigore del RUNTS, Registro Unico Nazionale Terzo Settore, che probabilmente avverrà nel 2022, entreranno in vigore nuovi limiti.  In questo caso infatti è previsto che, le associazioni che decidono di avere la forma delle Associazioni di Promozione Sociale, hanno l’obbligo di avvalersi prevalentemente del lavoro dei volontari e nel caso in cui si proceda all’assunzione di dipendenti questi non possono superare il 50% dei volontari e il 5% degli associati. Anche in questo caso non vi è il divieto di assumere associati.

Di fatto, se ci si chiede cosa cambia nel caso di associazione culturale con scopo di lucro e senza tale finalità, occorre sottolineare che sono due “fenomeni” incompatibili, le associazioni non possono avere scopo di lucro, non possono dividere gli utili tra gli associati, possono invece assumere, ma vi sono dei limiti da rispettare questo vuol dire che è improbabile “remunerare” tutti i soci.

Associazione culturale con scopo di lucro e trasformazione in società cooperativa

La strada per evitare tutti i limiti visti è quella di istituire una società cooperativa, in questo caso infatti è previsto che i benefici ricadano direttamente sui soci della stessa e nel caso di cooperative di lavoro, lo scopo è proprio quello di fornire occasioni di lavoro agli associati a condizioni particolarmente favorevoli. Un divieto espresso di assumere soci si ha soltanto nelle associazioni di volontariato.

L’articolo 2500 octies del codice civile prevede però la possibilità di trasformare le associazioni culturali in società cooperative e viceversa. In particolare il comma terzo di questo articolo stabilisce: la trasformazione di associazioni in società di capitali può essere esclusa dall’atto costitutivo o, per determinate categorie di associazioni, dalla legge; non è comunque ammessa per le associazioni che abbiano ricevuto contributi pubblici oppure liberalità e oblazioni del pubblico. Il capitale sociale della società risultante  dalla trasformazione è diviso in parti uguali fra gli associati, salvo diverso accordo tra gli stessi”.

Come si può notare è quindi possibile trasformare l’associazione in una società e quindi ottenere la divisione degli utili, ma solo nel caso in cui l’associazione non abbia ricevuto contributi pubblici o oblazioni da privati e se l’atto costitutivo non lo vieta espressamente. Deve essere sottolineato che in realtà l’associaizone può essere trasformata in qualunque società di capitali, ma lo schema più simile, a causa dello scopo mutualistico, è quello della società cooperativa.

Se vuoi conoscere le similitudini tra associazione culturale e società cooperative, leggi l’articolo: Associazione culturale e società cooperativa: cosa scegliere?

Per deliberare la trasformazione dell’associazione in società è necessaria una delibera da parte dell’assemblea a maggioranza dei ¾, come stabilito dall’articolo 21 del codice civile.

Codice del Terzo Settore: cosa cambia per le associazioni culturali

Nella disamina fatta finora inerente alle associazioni culturali più volte ci siamo imbattuti nel Codice del Terzo Settore e in particolare nel RUNTS, pur precisando anche attualmente il Registro non è ancora attivo e quindi continuano ad applicarsi le norme previste dal TUIR e dalla legge 391 del 1998, è bene fin da ora fare qualche breve cenno al Codice del Terzo Settore e ai cambiamenti che interverranno per le associazioni culturali che potranno scegliere tra diverse opzioni.

Cos’è il Codice del Terzo Settore

Il Codice del Terzo Settore è una riforma organica contenuta nel decreto legislativo 117 del 2017, la stessa riforma prevede l’emanazione di successivi regolamenti attuativi e ad oggi, complice anche la crisi pandemica, non è ancora entrato in vigore in tutte le sue parti.  Nel momento in cui entrerà in vigore andrà però a determinare dei notevoli cambiamenti anche per quanto riguarda le associazioni culturali, in quanto lo stesso codice prevede espressamente che queste siano assoggettate al codice del terzo settore. Ciò infatti è espressamente previsto nell’articolo 4 che sottolinea che tale disciplina si applica sia alle associazioni riconosciute, quindi che hanno chiesto e ottenuto la personalità giuridica, sia a quelle non riconosciute, che ad oggi sono la maggior parte.

Il Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS)

La principale novità del Codice del Terzo Settore è l’introduzione del RUNTS, cioè il Registro Unico Nazionale Terzo Settore. Le associazioni culturali non sono obbligate ad iscriversi, ma se non lo fanno perdono molte agevolazioni fiscali. Per potersi iscrivere è però necessario adeguare il proprio statuto alle nuove regole del RUNTS. Attualmente le associazioni culturali si trovano in una situazione di transizione che diventa particolarmente pesante perché l’entrata in vigore del RUNTS è slittata già più volte e in teoria dovrebbe entrare in vigore nel 2022 (salvo ulteriori proroghe dei termini).

Le associazioni culturali per l’iscrizione potranno scegliere tra 7 settori:

  • Organizzazione di volontariato;
  • Associazione di promozione sociale (APS);
  • Ente filantropico;
  • Impresa sociale (che comprende anche le cooperative);
  • Rete associativa;
  • Società di mutuo soccorso;
  • Altro ente del Terzo Settore.

Le associazioni culturali devono scegliere una sezione del registro che sia congrua rispetto alle finalità perseguite. Tutte le associazioni del terzo settore senza scopo di lucro potranno però aderire ad un regime di tassazione forfettario. I vantaggi fiscali non finiscono qui, infatti le donazioni e le quote di associazione versate dai contribuenti alle associazioni culturali  godono di agevolazioni sulle imposte indirette.

Se vuoi scoprire gli attuali vantaggi delle associazioni culturali, leggi l’articolo: Pro e contro di un’associazione culturale

Le Associazioni di Promozione Sociale (APS)

Naturalmente non mancano svantaggi legati alla iscrizione nel registro. Tra questi vi è l’impossibilità di continuare a beneficiare della de-commercializzazione  dei corrispettivi versati dai soci, infatti tale agevolazione è riconosciuta solo agli enti di promozione sociale, ma un associazione culturale per ricevere tale qualificazione deve rispettare canoni particolarmente stringenti:

  • il numero minimo di soci è di 7 persone e non tre come per le associazioni culturali semplici;
  • deve avvalersi in modo prevalente dell’attività di volontariato dei propri soci e riduce al massimo l’assunzione di lavoratori dipendenti;
  • l’assunzione di dipendenti è limitata ai soli casi in cui questa sia necessaria per lo svolgimento delle attività sociali e per raggiungere lo scopo sociale. In base all’articolo 36 del codice, tale assunzione di dipendenti può riguardare gli associati;
  • Il numero dei lavoratori impiegati non deve essere superiore al 50% dei volontari e al 5% degli associati.

Questi requisiti possono essere difficili da raggiungere per molte associazioni, come quelle di promozione culturale che organizzano corsi. L’esempio classico è quello delle associazioni culturali che formano bande musicali, in questo caso è necessario avere un numero congruo di insegnanti per i vari strumenti e può essere difficile non superare la quota del 5% degli associati.  Diventa essenziale a questo punto distinguere la figura del volontario da quella dell’associato, infatti non coincidono.

Il volontario in base all’articolo  17 del CTS è una persona che mette a disposizione il suo tempo e le proprie capacità in modo gratuito e senza scopo di lucro al fine di raggiungere lo scopo sociale. Gli associati sono coloro che partecipano alla struttura sociale dell’associazione stessa, come soci fondatori o soggetti che hanno aderito successivamente versando la quota sociale. Naturalmente gli associati possono ricoprire anche il ruolo di volontari, mentre non è detto che i volontari siano associati.

I vantaggi delle Associazioni di Promozione Sociale

Deve però essere sottolineato che in base al Codice del Terzo Settore avere la qualifica di Associazione di Promozione Sociale è molto rilevante perché:

  •  consente di avere benefici fiscali simili a quelli attualmente vigenti con la legge 398 del 1991 per ricavi commerciali inferiori a 130.000 euro (art.86);
  • inoltre le associazioni culturali che scelgono di avvalersi della disciplina prevista per le Associazioni di Promozione Culturale possono ottenere contributi pubblici e privati;
  • possono  partecipare a percorsi di co-progettazione e co-programmazione con pubbliche amministrazioni (artt.55 e 56);
  • possono incentivare fiscalmente le donazioni anche attraverso il riconoscimento del social bonus (artt.81 e 83).

Questi benefici si perdono nel caso in cui si opti per la soluzione dell’ente del terzo settore generico (punto 7 dei settori) , ma come visto non sempre è facile riuscire a qualificarsi come associazione culturale di promozione sociale.

Le Imprese Sociali

La terza soluzione possibile è quella di iscriversi nel settore delle Imprese Sociali, anche in questo caso vi sono dei pro e dei contro. Sicuramente vi sono più agevolazioni fiscali rispetto agli enti del terzo settore generico, ma comunque si tratta di una struttura più complessa con:

  • necessità di nominare i sindaci a prescindere dai volumi delle attività commerciali effettuate;
  • necessità di adottare una contabilità ordinaria;
  • approvare il bilancio civilistico e sociale;
  • effettuare la valutazione di impatto sociale.

Tra gli elementi presenti nel Codice del Terzo Settore che sono positivi vi è la possibilità di migrare da un settore all’altro del Registro senza particolari oneri. E’ possibile iscriversi inizialmente come ente del terzo settore generico e passare poi all’Impresa Sociale oppure alle Associazioni di Promozione sociale e viceversa, cioè sono possibili diversi passaggi. Tali passaggi possono essere effettuati senza dover devolvere il patrimonio sociale. Quest’ultimo può essere un vantaggio rispetto alla disciplina corrente, infatti abbiamo visto che l’associazione culturale al momento dello scioglimento deve devolvere il patrimonio ad un’associazione/ ente che abbia finalità simili.

Associazione culturale con personalità giuridica: come si costituisce

Nei precedenti articoli presenti sul sito e inerenti le associazioni culturali si è detto che è possibile costituire due tipi di associazione, cioè quella senza personalità giuridica e quella con personalità giuridica, vedremo ora in cosa si differenziano e soprattutto quali sono i passi per costituire un’associazione culturale con personalità giuridica.

Differenza principale tra l’associazione culturale con personalità giuridica e senza

Le associazioni culturali sono enti no profit, cioè non possono perseguire scopo di lucro, da intendere come impossibilità di dividere gli utili tra gli associati. Per portare avanti la loro attività di promozione culturale hanno bisogno di fondi e questi derivano dalle quote versate dagli associati, ad esempio quelle di iscrizione, ma anche donazioni, raccolte fondi e attività svolte (ad esempio, se l’associazione culturale ha come obiettivo la promozione della cultura teatrale e organizza spettacoli, il prezzo del bigliettocostituisce incasso da utilizzare per le attività della stessa). Naturalmente possono stipulare contratti e svolgere attività da cui derivano responsabilità verso terzi o verso le stesse parti, degli impegni economici rispondono con il patrimonio.

Bisogna però fare delle differenze, infatti, le associazioni culturali che non hanno personalità giuridica, ma che comunque devono essere costituite seguendo le disposizione di legge, rispondono dei debiti con il patrimonio dell’associazione. Se questo non è sufficiente, rispondono anche con il patrimonio personale di coloro che hanno agito in nome e per conto della società e laddove l’atto costitutivo lo preveda, rispondono anche con il patrimonio degli associati.

Vuoi leggere un approfondimento su chi risponde dei debiti dell’associazione culturale? Puoi trovarlo QUI.

Come nasce un’associazione culturale con personalità giuridica: atti pubblici

Per evitare questo rischio la soluzione è creare un’associazione culturale con personalità giuridica, vedremo ora i passi. Alcune incombenze sono comuni, cioè devono essere espletate sia per la costituzione di un’associazione culturale senza personalità giuridica, sia per un’associazione con personalità giuridica. Di conseguenza devono essere presenti almeno 3 soci fondatori che assumano le principali cariche previste per l’associazione stessa: assemblea, presidente, consiglio direttivo.

Per poter procedere è necessario redigere atto costitutivo, definito dai giuristi come  un contratto plurilaterale e aperto in quanto altre persone successivamente possono aderire diventando così associati, e statuto dell’associazione in cui sono delineate le regole per il funzionamento dell’associazione. Su questo punto c’è una prima differenza tra associazione culturale con personalità giuridica o riconosciuta e quella senza personalità giuridica, infatti gli elementi necessari di questi atti sono uguali, ma per ottenere il riconoscimento della personalità giuridica devono essere redatti alla presenza di un notaio, devono quindi avere la forma dell’atto pubblico e sottoscritti da tutti gli associati presenti al momento della fondazione dell’associazione stessa.

Patrimonio

Per ottenere il riconoscimento della personalità giuridica e quindi la separazione tra il patrimonio dell’associazione e quella degli associati, evitando così che i creditori possano aggredire il patrimonio degli associati, occorre ovviamente costituire un patrimonio iniziale su cui i creditori possono trovare soddisfazione. Di conseguenza per ottenere il riconoscimento della personalità giuridica, l’associazione culturale deve costituire un patrimonio il cui valore minimo è 15.000 euro.

Registrazione dell’associazione presso la Prefettura

Per procedere è necessario quindi richiedere il codice fiscale e la registrazione dell’ente, per ottenere questi occorre versare l’imposta di registro e applicare le marche da bollo sulle 2 copie dell’atto costitutivo e dello statuto. Solitamente il costo totale è di circa 300 euro, infatti è necessario inserire una marca da bollo da 16 euro ogni 100 righe o due fogli (quattro facciate).

Se si ha intenzione, attraverso l’associazione culturale riconosciuta di svolgere delle attività commerciali che diventano parte dell’attività istituzionale, occorre avere anche la partita IVA che va a costituire un ulteriore costo per la sua gestione in quanto è necessario rivolgersi a un commercialista. A questo proposito occorre ricordare che le entrate istituzionali delle associazioni no profit o senza scopo di lucro sono detassate.

Per ottenere il riconoscimento la domanda deve essere presentata presso la Prefettura della provincia in cui ha sede l’associazione stessa, alla domanda devono essere allegati gli atti visti, cioè atto costitutivo e statuto che devono seguire le regole indicate dall’articolo 16 del Codice Civile “L’atto costitutivo e lo statuto devono contenere la denominazione dell’ente, l’indicazione dello scopo, del patrimonio e della sede nonchè le norme  sull’ordinamento e sulla amministrazione. Devono anche determinare, quando trattasi di associazioni, i diritti e gli obblighi degli associati e le condizioni della loro ammissione. L’atto costitutivo e lo statuto possono inoltre contenere le norme relative alla estinzione dell’ente e alla devoluzione del patrimonio e, per le fondazioni, anche quelle relative alla loro trasformazione

Controlli della Prefettura

Al momento del deposito della domanda per l’iscrizione nel Registro delle Persone Giuridiche, la Prefettura rilascia una ricevuta che attesta l’avvenuta richiesta. Entro 120 giorni dalla data di presentazione, se la documentazione è idonea, cioè rispetta le condizioni previste dalla legge, si può ottenere il riconoscimento della personalità giuridica con atto del Prefetto. Ricordiamo che lo scopo deve essere possibile e lecito e il patrimonio deve essere adeguato al raggiungimento dello scopo, inoltre la consistenza del patrimonio deve essere dimostrata. Nel caso in cui rilevi dai controlli effettuati che lo scopo non appare lecito e possibile o che il patrimonio sia insufficiente, la Prefettura entro 30 giorni richiede delle integrazioni o modifiche.

Il Codice del Terzo Settore e il RUNTS 2021

Deve però essere ricordato che tale disciplina può oggi essere considerata transitoria in quanto è stato emanato il Codice del Terzo Settore. Questo prevede l’istituzione del RUNTS Registro Unico Nazionale del Terzo Settore in cui devono confluire tutti i dati presenti nel Registro delle Persone Giuridiche detenuto dalle Prefetture.

Il RUNTS prevede dei tempi inferiori per i controlli sull’atto costitutivo e sullo Statuto, cioè il notaio deve depositare l’atto costitutivo e lo statuto presso il RUNTS entro 20 giorni dalla loro stipula, ed entro 60 giorni la richiesta di iscrizione deve essere apporvata, in caso di mancata risposta/conferma da parte del RUNTS, si applica il principio del silenzio diniego . Di fatto l’entrata in vigore del RUNTS è slittata nuovamente dopo diverse proroghe e di conseguenza si applica ancora la procedura vista in precedenza e da espletare presso la Prefettura.  Ciò almeno fino al 2022, sperando in tempi brevi di avere l’attuazione di questa importante riforma.

Per un approfondimento sul RUNTS leggi QUI.

Ulteriori oneri per la costituzione dell’associazione con personalità giuridica

Tra gli oneri che affiancano la costituzione di un’associazione culturale riconosciuta o con personalità giuridica vi è l’apertura di un conto corrente, lo stesso è necessario per depositare le somme. Naturalmente anche questo ha un costo di gestione.

Dalla disamina vista emerge che per aprire un’associazione culturale con personalità giuridica è necessario avere una certa disponibilità economica questo è il motivo per cui molte associazioni culturali almeno nella fase iniziale svolgono le loro attività senza ottenere il riconoscimento della personalità giuridica. Questa scelta merita certamente attenzione alla gestione perché coloro che agiscono in nome e per conto dell’associazione possono ritrovarsi a dover rispondere con il loro patrimonio, ma non preclude alcuna altra possibilità, infatti per ottenere i benefici fiscali previsti dal Codice del terzo Settore per gli Enti del Terzo Settore, ETS, non è necessario avere personalità giuridica, così come questa non è richiesta per poter ottenere il 2×1000.

Se vuoi conoscere maggiori dettagli sul 2×1000 alle associazioni culturali leggi questo ARTICOLO.