Dichiarazione dei redditi integrativa oltre i termini: modalità e sanzioni

Nel caso in cui il contribuente si renda conto di avere commesso degli errori o delle omissioni nella presentazione della dichiarazione dei redditi è possibile presentare una dichiarazione dei redditi integrativa finalizzata a correggere gli errori e a ad effettuare eventuali integrazioni in caso di omissioni. Ecco i termini.

Cos’è la dichiarazione dei redditi integrativa?

Il 30 settembre 2022 è scaduto il termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi con il modello 730. Fino a tale termine chi aveva presentato la dichiarazione e nel frattempo avesse riscontrato errori, poteva correggerli modificando la prima dichiarazione presentata. In questo caso abbiamo una dichiarazione correttiva dei termini. Nel caso in cui gli errori siano stati riscontrati successivamente, è possibile presentare la dichiarazione integrativa.

Si tratterà di una vera e propria nuova dichiarazione che andrà a sostituire quella precedentemente resa. Nel frontespizio della dichiarazione deve essere barrata la casella con la dicitura “dichiarazione integrativa”. Inoltre devono essere barrate le caselle dei quadri che si vanno a modificare rispetto alla precedente dichiarazione presentata.

La stessa sarà prodotta con la compilazione del modello predisposto dall’Agenzia delle Entrate e dovrà essere resa entro il 31 dicembre del quinto anno successivo rispetto a quello interessato dalla dichiarazione. La dichiarazione deve essere presentata tramite i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate, oppure attraverso gli intermediari abilitati ( CAF, commercialisti, patronati).

Gli errori che possono essere corfretti con la dichiarazione dei redditi integrativa

Gli errori commessi possono essere di diversa natura, ad esempio nel caso in cui:

  • non sia stato dichiarato un reddito da lavoro autonomo;
  • sia stata fatta valere una detrazione a cui non si aveva diritto;
  • sia stata valere una deduzione non dovuta;
  • nel caso in cui non siano state fatte valere detrazioni e deduzioni;
  • In ogni caso in cui l’errore abbia determinato un calcolo errato dell’imposta dovuta.

La dichiarazione integrativa prevede che il soggetto dichiarante che corregge l’errore sarà tenuto a versare la maggiore imposta comprensiva di interessi e sanzioni.

Come viene calcolata la sanzione?

L’entità della sanzione dipende dalla tipologia di omissione ed errore commesso. Se trattasi di un errore rilevabile attraverso il controllo automatico della dichiarazione ( mero errore di calcolo), la sanzione applicata è del 30% rispetto alle maggiori imposte dovute. La sanzione scende al 15% nel caso in cui la dichiarazione integrativa sia presentata entro 15 giorni dal termine di scadenza iniziale.

Nel caso in cui invece gli errori non siano rilevabili con il controllo automatico e quindi si versi nell’ipotesi di infedele dichiarazione, la sanzione varia dal 90% al 180% rispetto alla maggiore imposta dovuta.

Il versamento non deve per forza essere contestuale rispetto alla presentazione della dichiarazione integrativa. Nel caso in cui sia già stato notificato l’avviso di accertamento non è più possibile presentare la dichiarazione integrativa.

Nel caso in cui il dichiarante intenda operare attraverso il ravvedimento operoso sarà possibile ottenere anche una riduzione delle sanzioni.

Per conoscere il funzionamento del ravvedimento operoso, leggi l’articolo: Ravvedimento operoso: come fare pace con il fisco in maniera low cost.

Quali sono le sanzioni per mancato versamento acconto IVA

Come per l’IRPEF, pure per l’IVA in Italia il Fisco impone non solo il versamento del dovuto, ma anche il pagamento entro dei termini ben precisi. In particolare, uno degli adempimenti per l’Imposta sul Valore Aggiunto è rappresentato dal versamento del cosiddetto acconto. Vediamo allora, nel dettaglio, cos’è l’acconto IVA e quando si versa. Ed anche quali sono le sanzioni a carico del contribuente in caso di omesso o di tardivo versamento dell’acconto IVA.

Cos’è l’acconto IVA annuale e quando si versa

L’acconto IVA non è altro che il versamento di un anticipo, proprio sull’Imposta sul Valore Aggiunto, da effettuarsi ogni anno entro e non oltre il 27 dicembre. Ed il tutto con la possibilità di calcolare l’importo dell’acconto IVA avvalendosi di uno tra tre metodi possibili. Ovverosia, il metodo di calcolo storico, il metodo di calcolo analitico ed il metodo di calcolo previsionale.

In particolare, il metodo di calcolo storico si basa sui dati dell’anno di imposta precedente, mentre con il calcolo analitico si considerano tutte le operazioni dello stesso anno di imposta che sono state registrate fino alla data del 20 dicembre. Con l’acconto IVA calcolato con il metodo di calcolo previsionale, invece, si considera l’88% dell’IVA che si prevede versare per il mese di dicembre o per il quarto trimestre del corrente anno di imposta.

Cosa succede se non si versa l’acconto IVA e quali sono i codici tributo per il pagamento

Se non si versa l’acconto IVA nei termini previsti il contribuente rischia l’applicazione delle sanzioni amministrative che sono crescenti in ragione del ritardo. In particolare, la sanzione può arrivare anche fino al 30% dell’importo dovuto con l’aggiunta degli interessi. Ma con la possibilità di abbattere le sanzioni, se si rientra nei termini e nei requisiti, sfruttando l’istituto del ravvedimento operoso.

Per evitare le sanzioni, l’acconto IVA entro i termini previsti si versa con il modello F24. E con il codice tributo 6013 per i contribuenti con la liquidazione mensile dell’Imposta sul Valore Aggiunto. Mentre il codice tributo è 6035 per i contribuenti con la liquidazione dell’IVA con cadenza trimestrale.

Per il versamento dell’acconto IVA con il ravvedimento operoso, invece, il codice tributo da utilizzare per le sanzioni è 8904. Con le sanzioni da calcolare in base al numero di giorni che sono trascorsi dalla data di scadenza per il versamento dell’acconto IVA.

Ferie non godute 2020 termini e rischi per le imprese

Le ferie sono un diritto del lavoratore e nel caso in cui lo stesso, per un qualunque motivo non riesca a goderle, sono previste sanzioni per il datore di lavoro/impresa. Ecco entro quando il datore di lavoro deve far in modo che i dipendenti fruiscano delle ferie per evitare sanzioni legate a ferie non godute.

Entro quando il lavoratore deve godere delle ferie per evitare sanzioni al datore di lavoro?

Scade il 30 giugno 2022 il termine per consentire ai lavoratori che hanno maturato ferie nel 2020 e non le hanno utilizzate di usufruirne evitando così l’applicazione di sanzioni a carico del datore di lavoro. L’articolo 2109 comma 2 del codice civile stabilisce il lavoratore ogni  anno  ha diritto a un periodo di ferie retribuito possibilmente continuativo. La durata di tale periodo è stabilito dalla legge, dalle norme corporative, dagli usi.

Il decreto legislativo 66 del 2003 stabilisce inoltre che il lavoratore ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite di almeno 4 settimane. Il periodo feriale secondo le norme deve essere goduto per almeno 2 settimane nell’anno di maturazione e le restanti due settimane possono essere godute nell’arco dei 18 mesi successivi, quindi entro il 30 giugno. Per il 30 giugno 2022 scade il termine per godere delle ferie del 2020, mentre il 30 giugno 2023 scade il termine per godere delle ferie maturate nel 2021.

Quali sono le sanzioni per il datore di lavoro per le ferie non godute dai dipendenti?

In caso di mancato rispetto delle norme relative al godimento delle ferie sono previste sanzioni a carico del datore di lavoro/impresa. Le stesse sono da:

  • da 120 a 720 euro per un anno di violazioni riguardanti fino a 5 lavoratori;
  • da 480 euro a 1.800 euro nel caso in cui la violazione abbia riguardato più di 5 dipendenti oppure nel caso in cui la violazione sia stata perpetrata per 2 anni;
  • da 960 euro a 5.400 euro nel caso in cui la violazione abbia riguardato più di 10 dipendenti oppure si sia prolungata in almeno 4 anni.

Tagli forniture gas dalla Russia: impennata dei prezzi per i carburanti

La tempesta perfetta? È molto probabilmente ciò che si sta verificando con le importazioni del gas, infatti la Gazprom ha annunciato un taglio del 40% delle forniture di gas alla Germania. Contemporaneamente c’è stato l’incendio al terminal Freeport Lng, l’unico da cui arriva la fornitura di gas liquefatto dagli USA e serviranno 90 giorni per ripristinarlo. La conseguenza sono aumenti vertiginosi dei prezzi del gas.

Perché la Russia ha ridotto le forniture di Gas all’Europa facendo aumentare i prezzi?

Che le sanzioni alla Russia per l’attacco all’Ucraina potessero ritorcersi contro l’Occidente, e in particolare contro l’Europa, era cosa nota, ma sembra che ora le cose stiano precipitando. Ci sono stati guasti tecnici al gasdotto Nord Stream che porta gas dalla Russia alla Germania, la Russia ha però sottolineato che a causa delle sanzioni i tempi per la riparazione saranno piuttosto lunghi.

Questo ha portato il gas russo a superare la soglia dei 100 euro a Megawattora al Ttf. L’aumento del prezzo è stato del 20% in corrispondenza di una diminuzione del flusso dell’ordine del 40%. Finora, nonostante gli attriti, Gazprom attraverso il gasdotto Nord Stream aveva mantenuto un flusso costante e questo aveva aiutato a calmierare i prezzi. Il guasto della linea che dalla Russia arriva alla Germania attraversando al Mar Baltico sembra ricada nella responsabilità di Siemens quindi ufficialmente la riduzione della fornitura viene addebitata a tale società che dovrebbe riparare le apparecchiature rotte. Il flusso normale del gasdotto è pari a 167 metri cubi di gas al giorno, ridotti ora a 100 metri cubi.

Nuovi aumenti dei prezzi dei carburanti: gasolio e benzina non fermano la corsa

L’aumento del prezzo del gas ha avuto ulteriori ripercussioni, infatti nella giornata di oggi subiscono un ulteriore balzo i prezzi di benzina e diesel che ormai sono costantemente sopra la soglia dei 2 euro anche in modalità self. Questo avviene nonostante il prezzo del petrolio al barile sia in leggera discesa. Il motivo deve attribuirsi alla debolezza dell’euro nello scambio con il dollaro. Il petrolio infatti viene pagato in dollaro.

Oggi il prezzo medio praticato per la benzina al self è di 2,05 euro ( qualche marchio 2,07 euro ), si risparmia scegliendo le pompe senza marchio che hanno un importo medio di 2,038 al litro.

Il gasolio a 1,98 euro al litro quindi con una leggera differenza rispetto alla benzina, generalmente il diesel è sempre costato molto meno. Rispetto a ieri il rialzo medio del prezzo dei carburanti è stato di un centesimo, ma ormai anche questo pesa ai cittadini visto che gli aumenti sono costanti e non accennano a fermarsi.

Resta particolarmente conveniente il GPL che si attesta tra 0,835 a 0,849 euro/litro, il metano invece continua ad avere prezzi alti rispetto al passato e si colloca tra 1,605 e 1,891.

Visita fiscale 2022: orari di reperibilità settore pubblico e privato

Il dipendente in malattia, sia nel settore pubblico sia nel settore privato, può essere sottoposto a visita fiscale inviata dall’INPS, ma questa può avvenire solo nelle fasce di reperibilità previste per legge. Ecco quali sono.

Visita fiscale: come si attiva la procedura

Le fasce di reperibilità per la visita fiscale 2022 sono determinate con la legge Madia (decreto 17 ottobre 2017, n. 206). La procedura per godere del periodo di malattia viene attivata dal medico curante che inoltra il certificato di malattia sul sito dell’INPS, attraverso la piattaforma a cui lui ha accesso. Il certificato contemporaneamente viene inviato al datore di lavoro. Nella maggior parte dei casi l’input per la visita fiscale viene fornito dal datore di lavoro, ad esempio quando ritiene che in realtà la richiesta di godere del periodo di malattia sia da verificare. L’input può però arrivare anche dall’INPS, ad esempio nel caso in cui i permessi per malattia riguardino i dipendenti di una grande azienda e nota delle anomalie, ad esempio numerose assenze per lavoro, permessi richiesti sempre a ridosso del week end.

Quali sono le fasce orarie di reperibilità?

Le fasce orarie di reperibilità sono in parte diverse a seconda del settore in cui si lavora. Vedremo ora gli orari in cui è necessario farsi trovare presso l’indirizzo indicato per la reperibilità.

Fasce di reperibilità settore pubblico:

  • dalle 9:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle ore 18:00

Fasce di reperibilità per visite fiscali per il settore privato

  • dalle ore 10:00 alle ore 12:00 e dalle ore 15:00 alle ore 17:00.

Come si può notare le fasce di reperibilità per i dipendenti pubblici sono più ampie rispetto a quelle previste per il settore privato, questo anche perché si è verificato soprattutto in questo settore un vero e proprio abuso.

False credenze sulle fasce di reperibilità per la visita fiscale

Molti lavoratori sono convinti che durante il primo giorno di permesso per malattia non si effettuino visite fiscali. Non corrisponde al vero, anche se è difficile che il primo giorno sia attivata l’INPS, può comunque succedere. Un’altra falsa credenza è che nei giorni festivi non ci siano visite fiscali: chi è in malattia deve essere reperibile all’indirizzo indicato e negli orari visti anche nel giorni festivi e pre-festivi.

Cosa può fare il lavoratore se non ritiene giusta la valutazione del medico che esegue la visita fiscale?

Il lavoratore deve immediatamente formulare il suo dissenso (ad esempio nel caso in cui il medico ritiene che il lavoratore possa riprendere il lavoro) il medico provvederà a redigere il verbale di tale dissenso e il lavoratore sarà invitato nel primo giorno utile a sottoporsi a visita fiscale ambulatoriale presso l’ufficio competente per territorio.

Cause di esenzione dalla visita fiscale

Il diritto del lavoro prevede dei casi in cui non si effettuano visite fiscali al lavoratore in malattia e di conseguenza non deve rispettare gli orari di reperibilità. Sia nel settore pubblico che privato l’esenzione si ha in caso di gravi patologie.

Inoltre nel settore del lavoro pubblico si ha l’esenzione dalla visita fiscale nel caso in cui di malattia per causa di servizio riconosciuta e che abbia portato a una menomazione, unica o plurima, prevista negli allegati A (prime tre categorie) ed E del DPR 834 del 1981. Si tratta di importanti menomazioni come la perdita degli arti, patologie tumorali, perdita della vista, dell’udito, lesioni al sistema nervoso centrale. Sempre nel settore pubblico si esclude la possibilità di essere sottoposti a visita fiscale a domicilio in caso di malattia richiesta in relazione a patologie per le quali sia stata riconosciuta una invalidità con percentuale dal 67% .

Nel settore privato invece, oltre alle gravi patologie, portano all’esenzione dalla visita fiscale gli stati patologici connessi a un’invalidità riconosciuta con percentuale almeno del 67%.

Infine, un altro caso in cui non è prevista la visita fiscale si ha quando l’assenza è dovuta a Covid.

Cosa succede se il medico non trova il lavoratore all’indirizzo indicato durante l’orario delle fasce di reperibilità?

In questo caso il medico che effettua la visita all’indirizzo indicato deve darne immediata comunicazione al datore di lavoro. Il medico inoltre invita il lavoratore a presentarsi nel primo giorno utile alla visita presso l’Ufficio medico legale dell’INPS competente per territorio. Il lavoratore è tenuto a indicare il motivo per cui non era presente all’indirizzo indicato durante l’orario di reperibilità.

In caso di assenza ingiustificata del lavoratore le sanzioni possono essere molto pesanti. La prima sanzione è di tipo amministrativo e consiste nella decurtazione del 100% dell’indennità prevista per un periodo massimo di 10 giorni;

La seconda sanzione è sempre di tipo amministrativo, si applica nel caso in cui sia rilevata un seconda assenza durante il periodo di malattia. In tale caso si ha una decurtazione del 50% del trattamento economico previsto per tutto il periodo della malattia.

In caso di terza assenza, l’indennità viene del tutto sospesa.

Le ulteriori sanzioni hanno luogo nei casi più gravi e consistono nel licenziamento senza preavviso nel caso in cui il periodo di malattia sia stato sfruttato attraverso l’uso di certificati medici attestanti il falso.

Infine si applica il licenziamento con preavviso in caso di:

  • assenza ingiustificata per un numero di giorni superiori a 3 anche non continuativi nell’arco di un biennio;
  • assenza ingiustificata per più di 7 giorni in un arco temporale di 10 anni;
  • in caso di mancata ripresa del servizio entro il termine fissato dall’amministrazione.

Ho indicato un determinato domicilio, ma avendo bisogno di assistenza ho deciso di farmi ospitare durate il periodo di malattia da un parente, cosa faccio?

In questo caso il nuovo indirizzo deve essere comunicato in modo immediato. Ora questa operazione può essere compiuta in modo autonomo attraverso il sito dell’INPS. A rendere note le modalità operative è la circolare 106 del 2020 dell’INPS. Occorre accedere ai servizi online presenti sul portale dell’INPS e andare alla voce Sportello al cittadino per le VMC e scegliendo la voce “Indirizzo reperibilità ai fini delle visite mediche di controllo” .

Modello F24: l’errore da evitare per non essere soggetto a sanzioni

Per versare le tasse in Italia c’è un modello grazie al quale i contribuenti possono pagare il dovuto all’erario per quel che riguarda la stragrande maggioranza delle imposte. Ci riferiamo, nello specifico, all’F24 che, tra l’altro, è noto per essere un modello di pagamento unificato. Dato che, con un’unica operazione non solo si possono pagare le tasse, ma queste si possono pure compensare con eventuali ed altri crediti fiscali maturati.

Pur tuttavia, anche per il modello F24 occorre fare molta attenzione alla fase di compilazione evitando degli errori. Vediamo allora qual è l’errore, o comunque quali sono gli errori più comuni che, per il modello F24, occorre sempre evitare. Altrimenti poi il contribuente può essere anche soggetto a sanzioni.

Quali sono gli errori più comuni legati all’utilizzo del modello di pagamento unificato F24

Nel dettaglio, l’errore più comune nella compilazione e nella trasmissione del modello F24 è quello relativo alla scelta corretta del codice tributo. In tal caso, infatti, con tale errore si rischia di pagare una tassa per un’altra. Gli altri due errori più comuni, compilando il modello di pagamento unificato F24, sono invece legati sia al periodo di riferimento. Sia alla corretta indicazione del codice fiscale.

Un altro errore da evitare, per non essere soggetto a sanzioni inevitabili, è quello relativo alla mancata trasmissione quando l’F24 è a saldo zero. Pure con saldo zero, infatti, il modello di pagamento unificato deve essere comunque trasmesso al Fisco. Altrimenti scatterà una sanzione che è pari a 100 euro. E che si dimezza a 50 euro se e solo se il ritardo nella trasmissione non supera i 5 giorni lavorativi.

Per non commettere questi ed altri tipi di errori sull’F24, la soluzione migliore è quella di affidarsi ad un esperto fiscale e contabile. Per esempio, al proprio commercialista di fiducia. O comunque leggere attentamente le istruzioni di compilazione dell’F24 che sono reperibili insieme al modello collegandosi al sito Internet dell’Agenzia delle Entrate.

Limiti utilizzo contanti: cosa è cambiato con il 2022

La lotta all’evasione fiscale è al centro dell’attenzione del Governo e proprio per questo ci sono nuovi limiti utilizzo contanti per il 2022. Ecco cosa cambia.

Limiti utilizzo contanti 2022: attenti ai dettagli

Se l’estensione dell’obbligo di fatturazione elettronica ai forfettari ancora è in forse, o meglio ancora non è stata determinata una data, ciò che è certo è il nuovo limite utilizzo contanti per il 2022. Ciò sempre nell’ottica di contrastare in modo energico l’evasione fiscale attraverso uno stretto controllo delle transazioni effettuate.

Dal primo gennaio 2022 il limite all’uso del contante è di 999,99 euro. Vuol dire che superata tale soglia dovranno essere utilizzati pagamenti tracciabili, ad esempio la carta oppure il bonifico. Tale norme valgono sia nei trasferimenti tra persone fisiche (ad esempio una donazione di una modica somma di denaro tra genitore e figlio), sia per i trasferimenti tra persone fisiche e persone giuridiche, ad esempio per pagare un televisore, sia tra persone giuridiche, come per le operazioni tra due società.

Cosa succede con i prelievi e i versamenti in banca?

Sia chiaro, non vi sono novità per i prelievi e i versamenti in banca.  E’ ancora possibile andare in banca e ritirare somme superiori al limite, ad esempio 1.200 euro, in contanti. Poi questi soldi potranno essere spesi però in modo frazionato. E’ altrettanto possibile andare in banca e versare in contanti somme superiori a 1.000 euro, ad esempio il supermercato nell’arco della giornata riceve sicuramente molti pagamenti con carta di credito o di debito, ma anche pagamenti in contanti. Molto probabilmente anche per questioni di sicurezza decide di andare in banca a versare gli importi ricevuti in contanti, se anche questi superano i 1.000 euro, non vi è violazione degli obblighi visti.

La normativa ammette anche la possibilità di effettuare pagamenti per un’unica prestazione utilizzando sia contanti sia carta o bonifici, ad esempio se si va da un professionista e la fattura è di 1.400 euro, è possibile pagargli 999 euro in contanti e 401 con l’uso della carta. L’importante è che non sia mai superata la soglia dei 1000 euro in contanti.

Le sanzioni per violazione dei limiti utilizzo contanti

Naturalmente contravvenire a queste regole può portare a sanzioni. Una novità positiva è data dal fatto che con l’entrata in vigore del nuovo limite all’uso dei contanti 2022 diminuisce anche il minimo edittale. Fino al 31 dicembre 2021 il limite all’uso del contante era fissato in 1.999,99 euro e la sanzione minima applicabile era di 2.000 euro. Dal 1° gennaio 2022 il limite all’uso dei contanti è 999,99 euro e di conseguenza la sanzione minima è di 1.000 euro, quella massima resta di 50.000 euro, le sanzioni sono comunque calcolate tenendo come riferimento l’ammontare dell’operazione compiuta in violazione della normativa.

Le sanzioni sono però diverse nel caso dei professionisti che decidano di non segnalare le irregolarità, in questo caso la sanzione ha un minimo di 3.000 euro e un massimo di 15.000 euro. Il reato in questo caso è l’omessa segnalazione delle operazioni.

Deve, infine, essere ricordato che possono essere pagate in contanti le prestazioni lavorative di colf e badanti, per conoscere tutti i casi in cui i lavoratori possono essere pagati in contanti, leggi l’articolo: Quando il datore di lavoro può pagare in contanti i lavoratori?

Obblighi delle aziende per l’etichettatura ambientale

Sarebbe dovuta entrare in vigore il 1° gennaio 2022 la disciplina sugli imballaggi, ma con il Decreto Milleproroghe tutto è stato rimandato. Nonostante questo, è bene riepilogare quali saranno i nuovi obblighi delle aziende sull’etichettatura ambientale.

L’etichettatura ambientale

Le linee guida dell’etichettatura ambientale sono contenute nel decreto legislativo 116 del 2020, che modifica il decreto legislativo 152 del 2006 anche conosciuto come Codice dell’Ambiente, e si adeguano alla decisione 129/1997/CE . La disciplina prevedeva, dopo diverse proroghe, l’entrata in vigore dell’etichettatura ambientale dal primo gennaio 2022, ma a causa dell’emergenza epidemiologica, tale termine è stato ulteriormente abrogato, c’è però da dire che sono molte le imprese che si erano già adeguate, quindi in realtà la maggior parte dei prodotti che oggi acquistiamo contengono le nuove formule.

La prima cosa da sottolineare è che tutti gli imballaggi adottati in Italia, che siano primari (quello che entra direttamente a contatto con il prodotto), secondari o terziari devono avere l’indicazione del codice alfanumerico previsto dalla codifica europea e che identifica la tipologia di materiale utilizzato per l’imballaggio stesso, ad esempio la tipologia di polimero utilizzato.

Se gli imballaggi sono destinati al consumatore finale oltre a contenere il codice alfanumerico appena citato, devono contenere anche ulteriori informazioni inerenti la disciplina prevista per lo smaltimento delle varie parti dell’imballaggio. Le aziende possono scegliere come apporre le indicazioni, cioè possono essere stampate direttamente sul packaging, come succede nella maggior parte dei casi, oppure possono essere apposte su un cartellino o etichetta comunque attaccate alla confezione. Le aziende hanno anche libertà circa la grafica da utilizzare, i colori, i caratteri della scrittura utilizzati per fornire tali indicazioni essenziali.

Etichettatura ambientale per prodotti specifici

La normativa non prevede una dimensione minima per le indicazioni, ma viene suggerito di utilizzare le specifiche tecniche indicate nella normativa.

L’etichettatura ambientale dovrà essere seguita per tutte le componenti dell’imballaggio, in caso di imballaggio neutro, di piccole dimensioni o componenti separabili, è possibile adottare diverse soluzioni, in particolare si possono utilizzare etichette esterne, documenti di trasporto, schede tecniche, manuali QRCode o addirittura strumenti digitali come i link.

Per imballaggi neutri si intendono quelli privi di grafica, cioè senza segni distintivi particolari. Nella maggior parte dei casi si tratta di semplici semilavorati come fogli di carta, pluriball, film per la pallettizzazione, pallet, scatole, interfalde di cartone ondulati in questi casi si ritiene ottemperato l’obbligo nel momento in cui il produttore indica le caratteristiche dell’imballaggio nel documento di trasporto. Per i pre-incarti ad esempio quelli che vengono utilizzati al banco salumi, è necessario che le informazioni siano facilmente reperibili, ad esempio su un sito internet o attraverso schede informative rese note al pubblico presso gli esercizi commerciali.

Qualunque sia il metodo utilizzato è essenziale che la comunicazione sia idonea.

Attenzione alle indicazioni sugli imballaggi compositi in carta

Particolare attenzione deve essere posta agli imballaggi compositi in carta, in questo caso le indicazioni circa la raccolta differenziata devono tenere in considerazione la percentuale cellulosica. La disciplina prevede che possano essere avviati al recupero e quindi al riciclo gli imballaggi che abbiano una percentuale cellulosica compresa tra il 60% e il 95% del peso complessivo. Per percentuali inferiori non sarebbe conveniente avviare un ciclo di riciclo. Questo implica che per questa tipologia di imballaggio, se la percentuale di cellulosa è inferiore al 60% non deve essere data indicazione di riciclo con la carta.

In base alla disciplina prevista, pur essendoci per le aziende libertà circa le diciture da inserire, visto che i Comuni hanno regole in parte diverse per la raccolta differenziata, è consigliato inserire nell’etichettatura la dicitura Raccolta differenziata. Verifica le disposizioni del tuo comune” .

Imballaggi separabili

Per i prodotti confezionati con imballaggi separabili le indicazioni sull’etichettatura ambientale dovranno essere fornite per ogni componente dell’imballaggio, ad esempio la classica scatola delle merendine deve avere l’indicazione per lo smaltimento della plastica esterna (imballaggio terziario), le indicazioni per il cartoncino interno (imballaggio secondario) e per la confezione della singola merendina (imballaggio primario). La bottiglia di vetro con tappo in plastica dovrà avere indicazione per la bottiglia e per il tappo e via discorrendo. Se l’imballaggio è composto da più parti non separabili, ad esempio un’etichetta attaccata e non separabile, devono essere fornite le indicazioni circa lo smaltimento della componente principale e la codifica identificativa del corpo principale.

Imballaggi destinati all’estero

La normativa vista si applica agli imballaggi prodotti e immessi in commercio in Italia, ma cosa succede nel caso in cui i prodotti siano destinati all’esportazione presso Paesi Terzi? In questo caso la disciplina prevede che debbano essere rispettati anche i canoni, le normative richieste nei Paesi di destinazione e siano accompagnati da idonea documentazione da cui sia possibile rilevare la destinazione del prodotto e informazioni sulla composizione degli imballaggi.

Le sanzioni previste in caso di violazione dell’obbligo sull’etichettatura ambientale

Naturalmente a fronte di un obbligo, cioè quello dell’etichettatura ambientale, c’è connesso un sistema sanzionatorio. Il problema reale è dato dal fatto che spesso chi immette in commercio un prodotto non è certo chi produce gli imballaggi ed è proprio quest’ultimo a decidere la composizione del materiali utilizzati, sebbene seguendo le indicazioni di conservazione del prodotto indicate dal produttore. A questo punto, resta da risolvere un ulteriore dubbio, cioè chi è responsabile della corretta etichettatura ambientale?

La normativa stabilisce che la responsabilità per l’apposizione dell’etichettatura ambientale è condivisa tra i due soggetti. Sarà cura del produttore degli imballaggi dare corrette informazioni agli altri produttori della catena inerenti la composizione dei vari packaging, mentre l’azienda dovrà accertare che gli imballaggi siano conformi alle normative di legge. Quindi il produttore di pasta dovrà comunicare le informazioni circa il prodotto a colui che produce l’imballaggio, questo dovrà realizzare un imballaggio consono al prodotto alimentare e inserire le informazioni sullo smaltimento dell’imballaggio e dovrà comunicarne le caratteristiche al produttore di pasta che dovrà a sua volta verificare che l’imballaggio segua le direttive dell’etichettatura ambientale. L’articolo 261 comma 3 del decreto 116 del 2020 stabilisce che “ chiunque immetta sul mercato imballaggi privi dei requisiti di etichettatura, sia applicata una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.200 a 40.000 euro.”

Se vuoi conoscere tutte le proroghe intervenute con il decreto Milleproroghe, leggi l’articolo: Decreto Milleproroghe 2022: ecco tutti i nuovi termini

Riduzione delle sanzioni fiscali, come sfruttare al massimo il ravvedimento

Quando non si onorano gli impegni con il Fisco, nel versare le tasse, in Italia c’è un istituto grazie al quale il contribuente può sanare la propria posizione, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, al fine di evitare dei contenziosi.

Inoltre, grazie a questo istituto, che è quello del ravvedimento operoso, il Fisco tende la mano al contribuente attraverso un’agevolazione che è rappresentata da una riduzione anche rilevante delle sanzioni applicabili.

Sia per le tasse non pagate, sia per versamenti insufficienti e per altre irregolarità fiscali. Ecco allora, al fine di beneficiare di una riduzione delle sanzioni fiscali applicabili dall’Agenzia delle Entrate, tutto quello che c’è da sapere per sfruttare sempre al massimo l’istituto del ravvedimento operoso.

Ravvedimento operoso per chi, come e quando è accessibile

Nel dettaglio, l’istituto del ravvedimento operoso è accessibile per tutti i contribuenti al fine di sanare la propria posizione con un alleggerimento delle sanzioni. Ma a patto che, per le tasse da pagare, non siano già stati emessi atti di liquidazione o di accertamento includendo pure le comunicazioni da controllo automatizzato e formale delle dichiarazioni dei redditi.

In ogni caso, precisa altresì l’Agenzia delle Entrate attraverso il proprio sito Internet, proprio sul ravvedimento operoso, l’accesso all’istituto non va a precludere, a carico dei contribuenti, l’eventuale avvio di ispezioni, di accessi, di verifiche e di ogni altro accertamento o controllo avviato o avviabile da parte del Fisco.

Come sfruttare al massimo il ravvedimento operoso attraverso una riduzione delle sanzioni

L’istituto del ravvedimento operoso permette una riduzione delle sanzioni applicate, rispetto a quelle standard, ma non incide sull’imposta dovuta. E nemmeno sulle somme dovute a titolo di interessi. In base al tipo di irregolarità, la riduzione delle sanzioni rispetto a quelle standard può variare da un quinto ad un decimo utilizzando appositi codici da riportare sul modello di versamento. L’ammontare delle sanzioni, con la relativa percentuale di riduzione, è sempre riportata nell’avviso bonario che viene recapitato dal Fisco al contribuente.

In particolare, in base al tipo di pagamento di tassa omessa o non sufficiente, e per le irregolarità fiscali, i modelli di versamento da utilizzare spaziano dall’F24 all’F23, e passando per il modello di versamento F24 Elide. In particolare, l’F24 si utilizza per Irap, per l’IVA, per le imposte sui redditi e  per le relative imposte sostitutive. Nonché per l’imposta sugli intrattenimenti.

Mentre l’F23 si utilizza per l’imposta di registro e per gli altri tributi indiretti. L’F24 Elide, invece, si utilizza, tra l’altro, per l’imposta ipotecaria e per le tasse ipotecarie. Nonché per i tributi che sono connessi alla registrazione dei contratti di affitto e di locazione di beni immobili. A livello legislativo, l’istituto del ravvedimento operoso è disciplinato ai sensi di legge dal Decreto legislativo del 18/12/1997 n. 472, in corrispondenza dell’Articolo numero 13.

Infortuni sul lavoro: circolare INPS 24 del 2021 su ritardata denuncia INAIL

Le notizie degli ultimi giorni sugli infortuni sul luogo di lavoro sono drammatiche e purtroppo molti di questi eventi hanno portato alla morte, tra i lavori maggiormente coinvolti vi sono quelli nell’agricoltura, edilizia e industria. La maggior parte degli infortuni è purtroppo determinata dalla mancata applicazione della normativa sulla sicurezza sul luogo di lavoro. Al verificarsi di infortuni sul luogo di lavoro è previsto l’obbligo di denuncia a carico del datore di lavoro e la normativa stabilisce conseguenze rilevanti in caso di omessa o ritardata denuncia INAIL.

Infortuni sul lavoro: obbligo di denuncia INAIL

In seguito al verificarsi di infortuni sul lavoro è prevista una prassi specifica per la loro denuncia all’INAIL, questa deve avvenire anche nel caso in cui per la tipologia e l’entità dell’infortunio non sia previsto un ristoro economico. L’obbligo di denuncia all’INAIL ricade sul datore di lavoro e sono previste sanzioni in caso di ritardata denuncia INAIL, o omissione.

La normativa stabilisce che il datore di lavoro ha l’obbligo di denunciare all’INAIL gli infortuni sul lavoro prevedendo due termini specifici:

  • per gli infortuni con prognosi di guaribilità superiore a tre giorni, in base all’articolo 53 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, la denuncia del datore di lavoro deve essere fatta entro 2 giorni decorrenti dal giorno successivo rispetto a quello in cui ha ricevuto notizia del sinistro;
  • per gli infortuni di grave entità, tra cui quelli che hanno determinato la morte del lavoratore la denuncia deve essere presentata entro 24 ore dall’evento.

La procedura per la denuncia infortuni INAIL

La procedura prevede che il lavoratore, in seguito ad infortunio, si rechi presso una struttura ospedaliera o studio medico e qui sia rilasciato il certificato medico, dovendo dichiarare come è avvenuto il sinistro, partirà la segnalazione all’INAIL. A questo punto il certificato deve essere consegnato dal lavoratore al datore di lavoro e da questo momento iniziano a decorrere per  lui i termini per denunciare il sinistro. Naturalmente non possono applicarsi sanzioni al datore di lavoro se lo stesso non riceve tale certificato.

Dal certificato medico devono emergere tutte le circostanze in cui il sinistro si è verificato e quindi anche eventuali carenze inerenti le condizioni di igiene e sicurezza sul luogo di lavoro.

Le modalità per l’invio della denuncia variano in base alla tipologia di imprenditore/datore di lavoro, infatti la procedura ordinaria prevede l’invio telematico, attraverso il sito dell’INAIL (Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) in cui è presente un’apposita sezione. Nel caso in cui il datore di lavoro non sia un imprenditore e si tratti di lavori domestici o contratti di collaborazione, la denuncia può essere inviata anche tramite PEC (Posta Elettronica Certificata), se il soggetto non è titolare di un indirizzo di posta elettronica certificata può essere utilizzata la raccomandata A/R. La raccomandata o PEC deve essere inviata alla sede INAIL territorialmente competente.

Ricordiamo che, in caso di infortunio sul lavoro, la legge tutela anche il lavoratore in nero.

Circolare INAIL 24 del 9 settembre 2021

La circolare INAIL 24 del mese di settembre 2021 ha chiarito ulteriori punti. I termini visti per la denuncia da parte del datore di lavoro iniziano a decorrere dal momento in cui riceve dal lavoratore il certificato con il numero identificativo dell’infortunio trasmesso all’INAIL dal medico o dalla struttura sanitaria ( ad esempio il pronto soccorso). Se il termine coincide con un giorno festivo, lo stesso slitta al primo giorno non festivo. Il sabato è considerato giorno feriale anche nel caso in cui nell’azienda non sia considerato giorno lavorativo.

Può capitare che un infortunio sia inizialmente giudicato guaribile nell’arco di 3 giorni e che quindi non si verifichi la condizione essenziale per la denuncia INAIL, se in seguito a nuova visita dovesse emergere che in realtà non sono bastati i tre giorni alla guarigione e che quindi è necessario prolungare il periodo di assenza dal lavoro per infortunio, deve essere presentata una nuova certificazione medica che attesti tale condizione. In tal caso i termini prima visti iniziano a decorrere da questo momento.

Nella circolare viene sottolineato anche che l’INAIL è tenuta a iniziare l’istruttoria in seguito alla segnalazione della struttura sanitaria/medico, su segnalazione del lavoratore o dei patronati che assistono i lavoratori, di conseguenza, se alla primaria denuncia di tali soggetti non succede quella del datore di lavoro, l’INAIL è tenuta a richiedere la lavoratore la denuncia stessa in modo da poter proseguire l’istruttoria. Naturalmente visto il ritardata denuncia INAIL o omessa, si applica la sanzione che vedremo a breve.

Ritardo nella denuncia INAIL: conseguenze

Si è visto quindi che sono previsti termini stringenti per la denuncia dell’infortunio da parte del datore di lavoro,  se gli stessi sono violati sono applicate delle sanzioni amministrative. Il reato è stato depenalizzato dal primo gennaio 1994, con la legge 561 del 1993, in precedenza era prevista l’ammenda (sanzione per reato penale). L’ammontare varia da un minimo di 1.290,00 a un massimo di 7.745,00 euro. Nel caso in cui il datore di lavoro non ottemperi a tali obblighi, è prevista la notifica presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro che provvederà alla riscossione delle somme, prima attraverso l’emissione di un’ordinanza e in seguito con esecuzione forzata.

Infortuni sul lavoro: obbligo segnalazione al SINP a fini statistici e di ricerca

Oltre alla denuncia INAIL, in base all’18, comma 1, lettera r), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 a fini statistici è prevista anche la segnalazione allo stesso ente e tramite questi al SINP (Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione nei luoghi di lavoro) di tutti gli infortuni, compresi quelli con prognosi inferiore a 3 giorni. Anche in questo caso si tratta di un obbligo e in caso di mancato adempimento si applica al sanzione amministrativa di sanzione amministrativa da :

  • 1.228,50 a 5.528,28 euro per gli infortuni con prognosi superiore a 3 giorni
  • da 614,25 a 2.211,31 euro per gli infortuni con prognosi inferiore.

Nel caso di infortuni inizialmente giudicati guaribili nell’arco di 3 giorni e successivamente rivelatisi più gravi, sul sito è presente la voce “converti in denuncia”, in questo modo le segnalazioni a fini statistici sono convertite direttamente, dal datore di lavoro, in denuncia con recupero automatico di tutti i dati. Tale funzione è operativa dal 28 settembre 2018.