Truffa RCA falsa: cosa rischia il proprietario del veicolo?

Il premio assicurativo auto è senza dubbio una delle spese più rilevanti per gli italiani, proprio per questo sono sempre alla ricerca della polizza RCA più conveniente. Capita però che nella ricerca del risparmio si incorra in una truffa RCA. Cosa succede in questo caso?

Truffa RCA falsa: la maggior parte degli automobilisti scopre per caso di non avere copertura assicurativa

Per circolare su strada con veicoli a motore è necessario avere la copertura assicurativa obbligatoria, anche conosciuta come RCA. I costi di questa possono però essere molto esosi, soprattutto se si è al primo contratto assicurativo, senza poter beneficiare della legge Bersani, oppure se si verifica un sinistro e si perde la classe di merito. Inoltre in alcune regioni del Sud le polizze sono generalmente più alte. Proprio a causa dei costi elevati e della concorrenza spesso spietata tra le varie compagnie, sono molti gli automobilisti che cercano preventivi “più convenienti” rischiando di cadere in truffe.

Le truffe assicurative sono una pratica frequente, molti pensano che solo stipulando le polizze online si possa incorrere in tale errore, ma in realtà sono capitate anche truffe presso agenzie assicurative “fisiche”. I casi più frequenti sono quelli di persone che cercano in rete preventivi convenienti e stipulano le polizze, ricevono contratti e tagliandi senza però sapere che si tratta di documenti falsi e quindi circolano tranquillamente fino a quando non sono sottoposti a controlli mentre sono alla guida, a quel punto in seguito a verifica fatta dagli agenti si scopre che in realtà il veicolo non è assicurato.

Questo è il caso più fortunato, infatti, può anche capitare che ci si accorga di essere sprovvisti di copertura assicurativa solo quando si verifica un sinistro e in questo caso, oltre a dover pagare le sanzioni, è necessario pure provvedere a rimborsare il sinistro. Cosa fare se si verifica una simile ipotesi?

Sanzioni  e altre conseguenze per truffa RCA falsa

La prima cosa da sottolineare è che, se in corso di controlli alla guida gli agenti scoprono che il veicolo è privo di copertura assicurativa, si rischia una multa dagli 866 ai 3.464 euro (articolo 193 del Codice della Strada), a questo si aggiunge il sequestro del veicolo. La sanzione è raddoppiata nel caso in cui ci sia reiterazione del fatto nell’arco dei due anni, in questo caso è prevista anche la sospensione della patente. Ricordiamo che il veicolo sequestrato deve essere portato presso un deposito, a spese del proprietario, e deve essere pagato il servizio di custodia del veicolo stesso, quindi gli importi crescono a dismisura. La posizione può essere regolarizzata con il pagamento della sanzione e della polizza con un contratto almeno semestrale.

Come controllare la compagnia di assicurazione

Gli agenti non hanno il compito di verificare cosa sia realmente accaduto e quindi una volta scoperta la falsa assicurazione e aver segnalato la cosa, non devono fare altre indagini inerenti la buona fede del proprietario circa la mancata copertura assicurativa, ma naturalmente il soggetto multato può proporre ricorso. In teoria può dimostrare che era inconsapevole di essere caduto in una truffa RCA e di conseguenza ottenere il dissequestro del veicolo.

Deve però essere ricordato che la prova non è così facile, infatti, l’IVASS, Istituto di Vigilanza sulle Assicurazioni, aggiorna costantemente la lista degli assicuratori irregolari attraverso il bollettino di vigilanza https://www.ivass.it/pubblicazioni-e-statistiche/pubblicazioni/bollettino-vigilanza/ questo implica che le persone hanno effettivamente la possibilità di controllare se una compagnia è stata segnalata per truffe assicurative sulla RCA.

A questo deve essere aggiunto che i controlli possono essere fatti anche tramite il portale dell’automobilista raggiungibile da questo link  https://www.ilportaledellautomobilista.it/web/portale-automobilista/verifica-copertura-rc , qui è possibile controllare se il proprio veicolo ha una copertura regolare. In questa pagina basta inserire il tipo di veicolo (auto, ciclomotore…) e il numero di targa, in pochi secondi è possibile sapere se la propria auto, o qualunque altro veicolo, ha una copertura assicurativa valida. Questo implica che l’automobilista ha sempre la possibilità di controllare la validità dell’assicurazione e di conseguenza difficilmente un giudice decide di annullare le multe, mentre in alcuni casi è stato disposto il dissequestro del veicolo.

Nonostante questa nota, non sono mancati giudici disposti ad andare incontro agli automobilisti, ad esempio il Tribunale di Siracusa ha dissequestrato un veicolo intestato a una donna e sprovvisto di copertura assicurativa perché è riuscita a provare il pagamento del premio assicurativo e la sottoscrizione del contratto.

Cosa controllare prima di stipulare una polizza RCA

Si è detto che è bene controllare il sito IVASS prima di stipulare una polizza online, ci sono però anche dei segnali da non sottovalutare. L’automobilista deve essere messo in allarme da alcuni fattori, ad esempio se il premio da pagare è troppo basso rispetto agli altri preventivi ricevuti, deve avere il ragionevole dubbio sulla validità della polizza. Meglio diffidare dalle compagnie assicurative che comunicano esclusivamente tramite canali come Whatsapp oppure Telegram in quanto in tali casi spariscono appena dopo aver incassato i soldi, inoltre è sempre bene controllare di acquistare polizze su siti verificati, questi sono caratterizzati dalla presenza della “https/” nella barra degli indirizzi, l’eventuale assenza della “s” finale indica che il sito potrebbe non essere sicuro.

Lavoratore autonomo non versa i contributi INPS: cosa succede?

Per i lavoratori autonomi i contributi INPS sono un appuntamento fisso, può però capitare che vi siano dimenticanze, oppure che, a causa di una liquidità inferiore rispetto alle aspettative, si decida di rimandare il versamento, ma cosa succede se il lavoratore autonomo non versa i contributi INPS nei termini previsti?

Termini per il versamento dei contributi INPS

L’emergenza Covid ha portato molti termini di pagamento a slittare in avanti e sicuramente questo costante  provvedere a spostare i termini ha generato in molti confusione, inoltre le difficoltà economiche incontrate soprattutto dagli autonomi possono aver contribuito a maturare dei ritardi. Occorre ricordare che con il messaggio INPS 2731 del 27 luglio è stata prorogata la scadenza dei termini di versamento dei contributi previdenziali INPS dovuti per la Gestione speciale degli esercenti attività commerciali, per la Gestione speciale degli artigiani e per i professionisti con obbligo di iscrizione alla Gestione Separata, fino al 15 settembre 2021, di conseguenza si è ancora nei termini per provvedere. Fatta questa premessa, andiamo a vedere cosa succede se il lavoratore autonomo non versa i contributi INPS.

Lavoratore autonomo non versa contributi INPS: avviso bonario

Nel caso di omesso pagamento dei contributi INPS è possibile essere sottoposti al pagamento di sanzioni, queste però sono diverse in base al comportamento del contribuente. Ci sono due possibili situazioni: cioè il caso in cui sia l’INPS ad accorgersi del mancato pagamento e di conseguenza notifichi un avviso comprendente l’indicazione degli importi da versare. Questi sono sono composti da contributi, interessi e sanzioni. In questa fase gli interessi e le sanzioni non sono particolarmente rilevanti, ma una volta ricevuta la notifica occorre procedere al pagamento entro in termini stabiliti, 30 giorni dal ricevimento, oppure chiedere la possibilità di pagare in rate mensili. La dilazione può essere frazionata in 20 rate se gli importi da versare sono superiori a 5.000 euro e in 6 rate trimestrali per importi inferiori a 5.000 euro.

Nel momento in cui si riceve l’avviso bonario la sanzione applicata è del 10% rispetto agli importi dovuti.

Notifica della cartella esattoriale

Nel caso in cui entro i termini stabiliti, cioè 30 giorni dal ricevimento, non si provveda al pagamento, ci sarà l’emissione della cartella esattoriale, con iscrizione a ruolo delle somme da versare. In questo caso la sanzione applicata è del 30% rispetto alle somme originariamente dovute.  Naturalmente vengono applicati anche i tassi di interesse. L’iscrizione a ruolo apre le procedure per l’esecuzione forzata con la possibilità di pignoramento delle somme sul conto corrente, degli immobili o dello stipendio. Occorre ricordare che nei confronti degli avvisi e dell’emissione della cartella esattoriale, il contribuente può sempre proporre ricorso in opposizione.

Mancato versamento dei contributi INPS e ravvedimento operoso

La seconda strada che può percorrere il lavoratore autonomo che non ha versato i contributi INPS è il ravvedimento operoso. Si tratta di una sorta di pentimento che però viene in un certo senso premiato. In questo caso il contribuente che ricorda di aver omesso il pagamento decide di sanare la propria posizione prima dell’arrivo dell’avviso dell’INPS. Non vi sono termini temporali entro cui è necessario procedere al ravvedimento operoso, ma non si può più optare per tale soluzione se l’INPS ha emesso l’avviso bonario. Anche in questo caso si applicano interessi e sanzioni, ma sono ridotti rispetto a quelli visti in precedenza.

  • 0-14 giorni di ritardo si applica la sanzione dello 0.1% sull’importo;
  • 15-30 giorni di ritardo la sanzione ammonta all’1,5% sull’importo iniziale;
  • 31- 90 giorni di ritardo si applica l’1,6%;
  • Oltre 90 giorni e fino a un anno in questo caso la sanzione comincia ad essere importante e ammonta al 3,75% calcolato sugli importi inizialmente dovuti;
  • Da un anno a due anni in questo caso la sanzione è del 4,2% rispetto agli importi iniziali;
  • Dopo i 2 anni  la sanzione è del 5% rispetto alle somme inizialmente dovute.

Alle sanzioni ora viste devono essere sommati i tassi di interesse che attualmente corrispondono allo 0,2%.

La prescrizione dei contributi non versati

Cosa succede se il lavoratore autonomo non versa i contributi INPS e l’Istituto non emette alcun avviso? In questo caso, come tutti i debiti nei confronti della Pubblica Amministrazione, è prevista la prescrizione dei contributi non pagati. Occorre però prestare attenzione, infatti per maturare la prescrizione è necessario che non sia emesso alcun avviso, ad esempio se vi è un avviso bonario, dal momento del suo ricevimento ricominciano a decorrere nuovamente i termini di prescrizione, ma da zero e di conseguenza per maturare un’eventuale prescrizione saranno necessari ulteriori 5 anni senza che l’INPS richieda i versamenti. Inoltre, i contributi non versati, se anche prescritti, naturalmente non contribuiscono a maturare i diritti pensionistici/assistenziali quindi ci saranno periodi scoperti.

Note finali

Spesso il lavoratore autonomo che non versa i contributi, oltre ad omettere il versamento delle proprie quote, omette anche quello degli eventuali lavoratori dipendenti. Per tali soggetti valgono le stesse regole, cioè c’è la prescrizione entro 5 anni e quindi non sarà possibile regolare la loro posizione contributiva. Giustamente questi soggetti sono danneggiati perché si ritrovano ad aver lavorato senza avere una posizione contributiva regolare e spesso ne vengono a conoscenza per caso, magari al momento di richiedere l’estratto conto contributivo all’INPS. In questo caso vi è una possibilità, cioè il lavoratore che scopre l’omesso versamento dei contributi a suo favore, può denunciare il fatto e in questo caso la prescrizione non sarà in 5 anni, ma in 10 anni. La denuncia per l’omesso versamento dei contributi può essere presentata anche dagli eredi.

Sanzioni e interessi per il bollo auto scaduto: a quanto ammontano?

Il bollo auto, anche conosciuto come tassa di possesso o tassa di circolazione, è una delle tasse meno amate dai cittadini italiani, proprio per questo spesso si accumulano ritardi nei pagamenti, ma ci sono sanzioni e interessi per il bollo auto scaduto?

Il bollo auto: cos’è

Il bollo auto è una tassa automobilistica gestita da Regioni e province autonome di Trento e Bolzano; deve essere pagato annualmente. Regole diverse si applicano per Friuli Venezia Giulia e Sardegna in cui la tassa è gestita direttamente dall’Agenzia delle Entrate. La normativa stabilisce che deve essere pagato entro un mese dalla scadenza, ad esempio se scade il 31 dicembre deve essere pagato entro il 31 gennaio. Può però capitare che ci sia una dimenticanza oppure che a causa di una scarsa disponibilità si decida di pagare successivamente, in questi casi è bene sapere si applicano sanzioni e interessi per il bollo auto scaduto e questi sono commisurati al ritardo maturato.

Sanzioni e interessi per il bollo auto scaduto

Le sanzioni e gli interessi da pagare per il bollo scaduto sono diverse dipendono dal ritardo maturato:

  • dal primo giorno di ritardo fino al 14° è prevista una sanzione dello 0,1% al giorno;
  • dal 15° giorno di ritardo al 30° giorno di ritardo la sanzione è dell’1,5%;
  • dal 31° giorno al 90° giorno la sanzione è dell’1,67%;
  • dal 91° giorno a un anno la sanzione è del 3,75%.

A questi importi devono essere sommati gli interessi  che fino ad un anno di ritardo nel pagamento ammontano allo 0,2% giornaliero per poi aumentare con ulteriori ritardi nei pagamenti.

Bollo auto scaduto: sanzioni e interessi 2021

Sul fronte di interessi e sanzioni per il bollo scaduto e non pagato vi sono state delle importanti novità, infatti in passato dopo il primo anno di ritardo le sanzioni previste erano del 30% degli importi  da pagare. Ora tali importi risultano ridotti e quindi per i mesi successivi al primo anno si pagherà una quota corrispondente a 1/7 di quella prevista in precedenza e quindi con una percentuale del 4,286% a cui si aggiungono gli interessi. Oltre i 24 mesi la sanzione raggiunge il 5% (decreto 124 del 2019).

Deve però essere sottolineato che vista l’emergenza Covid molte Regioni hanno provveduto a sospendere la maturazione di interessi e sanzioni per i pagamenti effettuati in ritardo. Ad esempio l’Emilia Romagna con la delibera 317 dell’08/03/2021 ha stabilito che le tasse automobilistiche in scadenza fino al 31 maggio 2021 possono essere pagate entro il 2 agosto 2021 senza che siano applicate sanzioni e interessi per il bollo auto scaduto. Di conseguenza prima di pagare il bollo auto è bene verificare se la propria Regione di residenza ha statuito delle agevolazioni per l’anno in corso. Naturalmente è possibile pagare anche alla normale scadenza.

Merita particolare attenzione il fatto che molte Regioni, al fine di incentivare il pagamento nei termini del bollo auto, hanno previsto degli sconti per coloro che attivano la domiciliazione su conto corrente della tassa automobilistica, su questa linea ci sono la Lombardia e la Campania, quindi in ogni caso prima della scadenza è bene verificare le disposizioni della propria Regione anche recandosi presso le Agenzie di Pratiche Auto oppure agli sportelli ACI.

Cosa succede in caso di notifica della cartella di pagamento

Queste sono le tariffe previste per sanzioni e interessi per il bollo auto scaduto se c’è il ravvedimento operoso, quindi se volontariamente il contribuente si reca agli sportelli per pagare. La situazione cambia nel caso in cui sia l’ente di riscossione ad accorgersi del mancato pagamento e quindi notifichi una cartella. Il primo atto è un avviso bonario in cui si invita il proprietario del veicolo a regolarizzare la posizione entro 30 giorni. Ricordiamo che per il leasing, il noleggio a lungo termine, acquisto con patto di riservato dominio, usufrutto e contratti simili il pagamento spetta al possessore e non al proprietario.

Se il proprietario non procede al pagamento entro 30 giorni, le somme non riscosse vengono iscritte a ruolo, da questo momento il contribuente ha 60 giorni di tempo per regolarizzare la sua posizione. Nel caso in cui non dovesse ottemperare, si potrà procedere al fermo amministrativo del veicolo, da questo momento il veicolo non potrà circolare. Prima del fermo amministrativo viene notificato il preavviso di fermo. Dopo tre anni dal mancato pagamento si può procedere alla radiazione del veicolo dal Pubblico Registro Automobilistico. Occorre ricordare però che se l’Agenzia delle Entrate non pone in essere comportamenti volti a riscuotere il credito, il bollo auto scaduto cade in prescrizione. Il termine è di 3 anni, ma lo stesso viene interrotto da avvisi bonari, cartelle di pagamento e atti volti comunque a riscuotere il credito.

Superbollo: chi è tenuto al pagamento e quanto si paga?

Chi ha un’auto con una potenza elevata sa che purtroppo è tenuto a pagare il Superbollo, ma di cosa si tratta e chi deve pagarlo?

Cos’è il Superbollo e quando entra in vigore

Dal punto di vista tecnico il Superbollo è un’addizionale erariale, cioè un’addizionale rispetto al Bollo auto tradizionale, mentre questo entra nelle casse della Regione, il Superbollo è di pertinenza delle casse dello Stato. La prima volta è stato introdotto nel 1976 sulle auto Diesel: l’obiettivo era scongiurare l’acquisto di auto più inquinanti. L’impatto fu tale da generare un consistente cambio nel mercato dell’auto, infatti la disciplina prevedeva un superbollo pari a 12.000 lire per ogni cavallo fiscale e l’importo comunque non poteva essere inferiore a 200.000 lire.  Questa addizionale fu però eliminata nel 1997.

La reintroduzione del Superbollo è dovuta al Governo Berlusconi nel 2011 e veniva applicato sulle auto con una potenza superiore a 225 kw (Decreto Legge 98 del 2011). Le auto con tale potenza erano però poche e quindi gli incassi erano esigui rispetto alle aspettative. Nel 2012 il Governo Monti ha provveduto a una revisione del Superbollo (articolo 16 legge 214 del 2011, in applicazione dal 1° gennaio 2012):

  •  ha diminuito la potenza a cui si applica, ora è 185 kw;
  • ha aumentato gli importi, in passato era 10 euro per ogni kw ulteriore rispetto ai 225, ora l’importo è di 20 euro per ogni kw ulteriore;
  • ha introdotto dei correttivi basati sull’età del veicolo.

Nonostante da tempo si parli di una revisione di questa imposta, e spesso si evochi addirittura un’abolizione anche del bollo auto, in realtà per ora i possessori di veicoli con un’elevata potenza del motore e inquinanti devono continuare a sostenere questi costi che, tenendo in considerazione anche il bollo auto, possono portare davvero a cifre esorbitanti.

Come si calcola il Superbollo

Applicando la disciplina già vista è possibile calcolare il Superbollo, per ogni kw superiore a 185, per verificare i kw della propria auto basta prendere il libretto di circolazione, si pagano 20 euro in più. Il Superbollo, o addizionale erariale, va a penalizzare soprattutto le auto sportive, ad esempio sono tenute al pagamento del Superbollo Alfa Romeo Giulia 2.0 Turbo e la Stelvio, molti modelli dei marchi Audi e BMW, la Ferrari, alcuni modelli Jeep, come Jeep Wrangler 2.0 Turbo, Land Rover, Maserati, Mercedes, a sorpresa pagano il Superbollo anche alcuni modelli Mini Cooper, come Mini John Cooper Works GP e Mini Clubman John Cooper Works.

Si è però detto che la riforma del Governo Monti introduce dei correttivi legati agli anni del veicolo, quindi con il trascorrere del tempo si applicano degli sconti, in particolare:

  • dopo 5 anni dall’immatricolazione la quota di superbollo passa a 12 euro kw (60%);
  • dal 10° anno 6 euro kw (30%);
  • dal 15° anno 3 euro kw (15%);
  • dal 20° anno non si paga il Superbollo.

Gli sconti sono applicati dal 1° gennaio successivo rispetto all’anno di immatricolazione. Ad esempio per un veicolo immatricolato a marzo 2009, lo sconto si ha dal bollo successivo al 1° gennaio 2015.

Chi paga il Superbollo?

Questa è un’altra domanda importante, si tratta degli stessi soggetti che sono tenuti al pagamento del bollo, cioè i possessori/utilizzatori: coloro che hanno un’auto in proprietà, ma anche usufruttuari, acquirenti con patto di riservato dominio, soggetti che hanno un contratto di leasing e ora anche coloro che hanno un contratto di noleggio a lungo termine.

Sono invece esentati dal pagamento del Superbollo i veicoli che sono esenti anche dal bollo auto e quindi i veicoli storici, quelli in uso alle forze armate, le auto elettriche per i 5 anni successivi all’immatricolazione. Non si è tenuti al pagamento del Superbollo in caso di furto.

Per i pagamento è possibile avvalersi del canali già disponibili per il pagamento del bollo auto e quindi delegazioni ACI, uffici postali, banche, tabaccherie convenzionate con banca ITB o aderenti a Lottomatica e agenzie pratiche auto.

Sanzioni per ritardi e omesso versamento

Naturalmente il mancato pagamento, o il pagamento in ritardo, espone all’applicazione di sanzioni pecuniarie:

  • se la posizione è sanata entro 14 giorni dalla scadenza con il pagamento del Superbollo, si applica una sanzione dello 0,2% e interessi dell1% per ogni giorno di ritardo;
  • dal 15° giorno la sanzione è del 3% a cui si agigunge l’1% di interessi per ogni giorno di ritardo;
  • dal 31° giorno fino ad un anno la sanzione è pari al 3,75% dell’importo e interessi dell’1% per ogni giorno di ritardo;
  • superato un anno la sanzione è del 30% a cui si aggiunge sempre l’1% di interessi per ogni giorno di ritardo.

Sanzioni lavoro nero per datori di lavoro e lavoratori: guida

Sanzioni per il lavoro nero hanno l’obiettivo di essere un deterrente contro questa pratica molto comune che lede i diritti dei lavoratori non riconoscendo loro diritti basilari, come quello ad una retribuzione equa e le prestazioni del welfare.

Il lavoro nero in Italia

Il fenomeno del lavoro nero in Italia è molto sviluppato, da un’indagine condotta dall’ISTAT emerge che nel solo 2020 vale 79 miliardi di euro, pari a 4,3% del PIL. Si tratta di una vera e propria piaga sociale che ha molti risvolti, infatti vi sono oltre 3 milioni di lavoratori che non hanno alcuna tutela e assistenza. Per il loro lavoro non vengono versati contributi all’INPS e di conseguenza non maturano il diritto a prestazioni assistenziali e pensionistiche, inoltre non vengono versati i contributi INAIL e in caso di infortuni sul lavoro non sono tutelati.

Infine, non deve essere dimenticato che i loro redditi non sono tassati, quindi vi è una perdita per l’Agenzia delle Entrate, inoltre spesso non avendo redditi dichiarati usufruiscono anche di prestazioni a cui non avrebbero diritto, come il Reddito di Cittadinanza. Proprio queste connotazioni hanno portato ad un inasprimento delle sanzioni per il lavoro nero che sono a carico del datore di lavoro, ma spesso anche a carico del lavoratore. Vedremo nel prosieguo entrambe queste prospettive.

Cos’è il lavoro nero

La prima cosa da fare è delimitare il campo di applicazione: si definisce lavoro nero o sommerso/ irregolare quello in cui non vi è un regolare contratto di lavoro e il datore di lavoro non comunica  l’assunzione del lavoratore al Centro per l’Impiego territorialmente competente. La normativa stabilisce che entro le 24 ore precedenti rispetto al momento in cui il lavoratore deve iniziare a svolgere le sue mansioni, il datore di lavoro è tenuto a comunicare telematicamente attraverso il modello UNILAV l’assunzione del lavoratore al Centro per l’Impiego, tale pratica è propedeutica rispetto alle comunicazioni fatte all’INPS e all’INAIL dai centri stessi. Solo in caso di emergenza e forza maggiore è possibile far iniziare il rapporto di lavoro, ma anche in questo caso la comunicazione deve essere eseguita nel più breve termine possibile.

Sanzioni lavoro nero per il datore di lavoro

Cosa succede se il lavoratore non viene regolarmente assunto? In questi casi il datore di lavoro può essere sottoposto a pesanti sanzioni e in alcuni casi anche il lavoratore è sanzionato.

Le sanzioni per il datore di lavoro sono :

  • se il lavoratore ha maturato fino a 30 giorni di lavoro in nero si applica una sanzione pecuniaria minima di 1.800 euro e massima di 10.800 euro;
  • se il lavoratore ha maturato da 31 giorni di lavoro in nero a 60 giorni la sanzione minima è di 3600 euro e la massima di 21.600 euro;
  • nel caso in cui il lavoratore abbia maturato più di 60 giorni effettivi di lavoro nero, la sanzione minima è di 7.200 euro e la massima 43.200 euro.

Questi sono gli importi attuali, prima del 2019 erano più bassi, ma in seguito all’entrata in vigore della legge di Bilancio 2019 (legge 145 del 2018, comma 445, lettera d), tali importi sono stati sottoposti ad aumento. L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha anche precisato che tali sanzioni si applicano per le condotte che si realizzano dal 2019, ciò in virtù del principio tempus  regit actum, nel caso di condotte a carattere permanente si applica la disciplina del momento in cui cessa la condotta (circolare 2 del 14 gennaio 2019).

Sanzioni lavoro nero: recidiva

Gli importi visti in precedenza sono raddoppiati in caso di recidiva. Ciò è stato oggetto di precisazione con la nota di approfondimento dell’INL (Ispettorato Nazionale del Lavoro) 1148 del 5 febbraio 2019, dove precisa che “le maggiorazioni sono raddoppiate ove, nei tre anni precedenti, il datore di lavoro sia stato destinatario di sanzioni amministrative o penali per i medesimi illeciti

La nota sottolinea che la recidiva si verifica quando il datore di lavoro aveva già commesso nei tre anni precedenti un illecito della medesima tipologia e questo sia stato oggetto di un provvedimento sanzionatorio diventato definitivo. La definitività di un atto si ha quando sono trascorsi i termini per l’impugnazione; nel caso in cui il datore di lavoro abbia pagato la sanzione ingiunta, oppure nel caso in cui abbia proposto impugnazione e sia stata emessa una sentenza passata in giudicato. La nota sottolinea anche che l’aumento non si applica nel caso in cui il datore di lavoro abbia sanato la sua posizione, ovvero abbia regolarizzato il lavoratore nei termini previsti dalla legge (120 giorni dalla contestazione dell’illecito), abbia proceduto al pagamento in versione ridotta ex art. 16 della L. n. 689/1981.

Quando il lavoro nero è reato?

Si è parlato fino ad ora di sanzioni di tipo amministrativo, ciò perché generalmente assumere un lavoratore in nero non è reato, vi è però un’eccezione, cioè il caso in cui sia adibito a mansioni di lavoro un clandestino irregolare.

Sanzioni per il lavoratore

Si è detto in precedenza che oltre a poter essere sanzionato il datore di lavoro, in alcuni casi è sanzionato anche il lavoratore. Occorre però fare delle precisazioni, nella materia giuslavoristica si ritiene che il lavoratore sia in una posizione deteriore, cioè in una posizione di subordinazione rispetto al datore di lavoro e di minore potere contrattuale, proprio per questo si tende a proteggere il lavoratore che magari ha accettato per un bisogno economico di lavorare in nero e senza tutele. Il discorso però cambia quando vi è una sorta di concorso tra le parti e quindi nel caso in cui lo stesso lavoratore abbia avuto dei benefici dal lavorare in nero.

Il lavoratore in nero subisce sanzioni nel caso in cui mentre lavora in nero percepisce  sussidi statali pensati per i disoccupati, oppure ottiene i vantaggi legati ad un ISEE basso, ad esempio bonus energia, pagamenti ridotti per tasse universitarie e simili. Infine, sono previste sanzioni per coloro che lavorano in nero e contemporaneamente usufruiscono del reddito di cittadinanza. Le conseguenze per il lavoratore in nero in questi casi sono davvero pesanti, infatti si devono:

  • restituire le somme indebitamente percepite;
  • vi è naturalmente l’interruzione dell’erogazioni delle prestazioni;
  • infine vi è un’incriminazione penale per falso in atto pubblico, truffa ai danni dello stato e indebita percezione di benefici.

Queste sanzioni hanno una mitigazione nel caso in cui il lavoratore percepisca la NASPI (Nuova Assicurazione Sociale per l’impiego) , in questo caso se lo stipendio erogato nell’arco di un anno è inferiore a 8.000 euro, non si applicano le sanzioni.

A breve seguiranno aggiornamenti su come denunciare il lavoro nero e diritti per i lavoratori

Pec, l’INT: sulle sanzioni prevalga il buon senso

Come molti sanno, è scaduto ieri il termine per la comunicazione al registro imprese della casella di posta elettronica certificata. Una vicenda che, come spesso accade in Italia, pur se partita con buone intenzioni, rischia di creare più problemi che altro.

Sulla questione interviene l’Istituto Nazionale Tributaristi, secondo cui la vicenda della Pec obbligatoria per le società rischia di aprire un nuovo triste e negativo capitolo della burocrazia italiana. La difficoltà di questi giorni per ottenere le pec, sostiene l’Istituto, e il loro deposito entro la data del 29 hanno indotto il Ministero dello Sviluppo economico a diramare nei giorni scorsi una circolare che di fatto rinvia al 31 dicembre il termine per il deposito della pec al registro imprese con un sospiro di sollievo per le società ed i loro consulenti.

Neanche il tempo di prendere atto della nota del Ministero, dice l’INT, ed ecco la parte peggiore della burocrazia affiorare: le Delegazioni provinciali dell’Istituto Nazionale Tributaristi (INT) segnalano in Emilia Romagna due atteggiamenti opposti di due CCIAA. Bologna non applicherà sanzioni in ossequio alla circolare ministeriale, Forlì – Cesena invece dopo la data del 29 novembre, sanzionerà qualsiasi tardiva iscrizione di pec societarie.

Solo due casi ma che probabilmente non saranno i soli: se è pur vero che una circolare non fa legge, o meglio, non può modificare una norma, è altrettanto vero che la vicenda pec potrebbe invece creare costi e preoccupazioni ulteriori rispetto a quelli già creati.

Il presidente del’INT Riccardo Alemanno spera che prevalga il buon senso, ma nell’incertezza chiederà al Ministero dello Sviluppo di intervenire con un atto normativo che possa evitare ogni interpretazione a danno delle società.

d.S.

Le istruzioni per pagare le sanzioni da accertamento

Sono stati istituiti quattro codici tributo per consentire il versamento delle penalità dovute in caso di pronuncia giurisdizionale sfavorevole nei confronti di chi ha presentato ricorso. A seguito della concentrazione della riscossione nell’accertamento – introdotta, a partire dal 1° ottobre 2011, dall’articolo 29 del Dl 78/2010 – gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate ai fini delle imposte sui redditi, dell’Irap e dell’Iva, relativi ai periodi di imposta in corso alla data del 31 dicembre 2007 e successivi, devono contenere anche l’intimazione ad adempiere al pagamento degli importi indicati.

La risoluzione n. 95/2011 ha istituito i codici tributo da utilizzare per il versamento, tramite modello F24, delle imposte e dei relativi interessi gli importi dovuti in fase di contenzioso per gli adempimenti diversi da quelli connessi agli istituti definitori.

Con la risoluzione n. 78/E del 20 luglio sono stati invece istituiti i codici tributo per versare, sempre mediante F24, le sanzioni dovute in caso di sentenza sfavorevole:

  • 9970, per le sanzioni relative a tributi erariali
  • 9971, per le sanzioni relative all’Irap
  • 9972, per le sanzioni relative all’addizionale comunale all’Irpef
  • 9973, per le sanzioni relative all’addizionale regionale all’Irpef.

I codici devono essere esposti nella sezione “Erario” in corrispondenza degli “Importi a debito versati”. I valori da indicare nei campi “codice ufficio”, “codice atto”, “codice tributo” e “anno di riferimento” vanno ricavati dall’atto di accertamento.

I vigili liguri sono i più severi

 

Quando contestare una multa non serve a niente e litigare con i vigili vi fa solo innervosire ulteriormente. Cosa fare? Nulla, ovviamente. Ma sapete una cosa, se non abitate in Liguria probabilmente siete ancora fortunati.

I vigili liguri sono i più severi del nostro Paese. A rivelarlo non proprio le lamentele degli abitanti della Regione, bensì le statistiche della Commissione sul federalismo fiscale che hanno inserito i comuni della Liguria al primo posto per numero di sanzioni effettuate, tra sequestri, rimozioni di veicoli e attività investigative svolte dalla Polizia locale.

Se in media in Italia vengono fatte 274 euro di multa ogni mille abitanti, in Liguria si arriva addirittura a 618,7 euro, vale a dire tre volte tanto la media nazionale, il doppio della Toscana, seconda nella classifica con 354 euro ogni mille abitanti, mentre la Lombardia è terza con 312 euro. Ultima la Basilicata con un record negativo: solo 100 euro ogni mille abitanti.

I 166 Comuni liguri figurano tra i maggiori utilizzatori dei “b” per la rilevazione delle infrazioni stradali, battuti solo dai municipi di Lazio, Lombardia e Toscana. Altro record della Regione ligure è quello della rimozione forzata dei veicoli che rendono 12,1 euro per ogni mille abitanti, più del doppio rispetto ai 5,7 euro della media nazionale, più del Lazio e della Lombardia, dove pesano moltissimo i dati delle grandi città di Roma e Milano, che superano di poco i 10 euro. Grande differenza rispetto alle altre Regioni dove in alcuni casi sembra addirittura che i carri attrezzi per la rimozione non esistano, vedasi il Molise con 1,4 euro per mille abitanti. Giusto il prezzo di cappuccio e brioche. Se siete fortunati.

Giulia DONDONI

Decreto Patroni Griffi: ecco tutte le novità

La sua sorte verrà discussa venerdì prossimo al Consiglio dei Ministri. Il decreto Patroni Griffi punta, a detta del suo patron, a superare e cancellare lungaggini e vincoli amministrativi.

“Abbiamo usato un metodo particolare con cui misurare gli oneri per i cittadini e per le imprese in maniera tale da poter fare una semplificazione mirata sulle cose che più servono” ha tenuto a precisare il Ministro della Funzione pubblica. Le misure anti-burocrazia riguarderanno, oltre alle famiglie italiane, numerosi altri settori della vita dei cittadini italiani: dal lavoro all’ambiente, dalla scuola all’università, fino alla gestione degli appalti e alle questioni legate all’agricoltura.

1) Punto primo: le novità per le famiglie.

Documenti

– Possibilità di richiedere il cambio di residenza anche online

– Le nuove carte d’identità scadranno sempre nel “giorno e mese di nascita”

– Il bollino blu per le auto non avrà più valenza annuale, ma andrà rinnovato ad ogni revisione della vettura

– Rilascio e rinnovo patente: niente più visita, basta il certificato del proprio medico

Assistenza

– spesa per l’assistenza affidata e monitorata unicamente dall’Inps, tramite il ‘casellario dell’assistenza’ (riunisce tutti i dati del richiedente in possesso dalle amministrazioni comunali)

– Per chi gode di regimi agevolati: incrocio tra i redditi dichiarati ai fini fiscali e la dichiarazione sostitutiva unica (Dsu), il modulo da consegnare all’Inps per il calcolo dell’Isee che garantisce prestazioni sociali agevolate. In caso di discordanze dei dati non giustificabili dal cittadino, l’Inps farà scattare una sanzione.

Scuola e Università

– le iscrizioni all’università, dall’anno accademico 2012-2013, saranno possibili solo online (unico portale bilingue per tutti gli atenei italiani)

– addio al vecchio libretto rosso degli esami: d’ora in poi le verbalizzazioni delle valutazioni saranno tutte virtuali e informatizzate

– potenziata l’autonomia scolastica, attraverso due organismi: organico dell’autonomia e organico della rete

2)Punto secondo. Aziende e realtà imprenditoriali.

– semplificazioni per numerose procedure prima macchinose e gravose per le aziende

– semplificazioni in vista per i contratti di lavoro stagionali

– semplificazioni per partecipare alle gare d’appalto grazie alla nuova “Banca dati nazionale dei Contratti pubblici”

– introduzione delle autocertificazioni in materia ambientale

– controlli sulle imprese più snelli

– le autorizzazioni di polizia avranno durata triennale

3) Punto terzo. Gli oneri per la Pubblica Amministrazione.

– la pubblica Amministrazione dovrà sempre pareggiare gli oneri amministrativi: pari a zero il saldo tra oneri aggiunti e oneri eliminati

valutazione annuale complessiva di ciascun comparto della Pubblica Amministrazione

sanzioni disciplinari e pecuniarie per chi non rispetta i tempi di conclusione delle pratiche. A tal scopo ogni pratica amministrativa finale dovrà certrificare se i tempi siano stati rispettati o meno.

Partita Iva “spenta”, good bye

I titolari di una posizione Iva che, pur non svolgendo alcuna attività, non hanno comunicato la cessazione (sono circa 2 milioni), hanno ora 90 giorni di tempo per regolarizzare la propria situazione, pagando una sanzione ridotta di 129 euro tramite il modello “F24 Versamenti con elementi identificativi“, indicando il codice tributo 8110 (istituito con la risoluzione n. 72/E dell’11 luglio), il numero di partita Iva da chiudere e l’anno di cessazione dell’attività. Chi non si avvale di questa opportunità, rischia una sanzione dai 516 ai 2.065 euro. I 90 giorni si calcolano dal 6 luglio 2011, data di entrata in vigore dell’ultima manovra (decreto legge 98/2011) e l’agevolazione si applica a patto che la violazione non sia stata già contestata dal Fisco con atto portato a conoscenza del contribuente. Nell’ottica della semplificazione, non occorre presentare anche la dichiarazione di cessazione attività con il modello AA7 (i soggetti diversi dalle persone fisiche) o AA9 (le imprese individuali e i lavoratori autonomi), perché a chiudere la partita Iva sarà l’Agenzia sulla base dei dati desunti dal modello F24 presentato.

Nel compilare la delega di pagamento con l'”F24 Versamenti con elementi identificativi” tramite il codice tributo 8110, nella sezione “Contribuente” devono essere riportati i dati anagrafici e il codice fiscale di chi effettua il versamento, mentre nella sezione “Erario ed altro” occorre indicare:

– la lettera “R” nel campo “tipo”
– il numero della partita Iva da chiudere nel campo “elementi identificativi”
– il codice tributo 8110 nel campo “codice”
– l’anno di cessazione dell’attività (nel formato AAAA) nel campo “anno di riferimento”