Bando Bit 2022: risorse per le imprese che aumentano la sicurezza sul lavoro

Dal giorno 7 novembre 2022 le imprese possono richiedere l’accesso ai contributi del bando Bit 2022 promosso dall’Inail con il centro di competenza Artes 4.0. I contributi sono volti a finanziare fino al 50% delle spese sostenute per l’aumento della sicurezza.

Bando Bit 2022: a chi è rivolto?

Il bando Bit 2022 prevede il riconoscimento di un contributo fino al 50% delle spese sostenute dalle imprese per progetti di ricerca industriale e sviluppo sperimentale finalizzati alla riduzione del fenomeno infortunistico/tecnopatico o al miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori. Le risorse messe a disposizione sono due milioni di euro e ogni impresa può ricevere un importo del 50% per spese comprese tra 100.000 euro e 140.000 euro.

La domanda per accedere ai fondi del bando Bit 2022 possono essere presentate da start up, micro imprese, piccole, medie e grandi imprese, queste possono partecipare in forma singola o come partenariato. La procedura è aperta dal giorno 7 novembre e fino al giorno 16 gennaio 2022. La domanda deve essere presentata sulla piattaforma https://retecompetencecenter4-0-italia.it/artes/

Ogni impresa può presentare un solo progetto, lo stesso deve però essere ben dettagliato. In particolare deve prevedere:

  • un piano di intervento concreto e devono essere specificati in modo molto meticoloso i benefici in termini di aumento della sicurezza sul luogo di lavoro che il progetto può avere.
  • inoltre, visto il partenariato con Artes 4.0, il progetto deve prevedere il coinvolgimento nella fase di ricerca contrattuale e consulenza tecnologica del Centro di Competenza ARTES 4.0.

Chi è Artes 4.0?

Artes 4.0 è un’associazione senza fini di lucro riconosciuta dal Ministero dello Sviluppo Economico nell’ambito degli interventi connessi al Piano nazionale Industria 4.0 con focus di alta specializzazione nell’ambito delle aree della robotica avanzata e delle tecnologie digitali abilitanti collegate.
Artes 4.0 viene riconosciuto come soggetto di diritto pubblico a cui è associata anche l’Inail e diversi centri di ricerca universitaria.

Quali progetti possono essere finanziati con il bando Bit 2022 ( sicurezza sul lavoro)?

I progetti ammessi al finanziamento riguardano in modo specifico le aree:

a. Robotica e macchine collaborative;
b. Intelligenza Artificiale;
c. Sistemi di controllo model-based per sistemi multivariabili;
d. Tecnologie per l’ottimizzazione real-time di processo;
e. Applicazioni e tecnologie per archiviazione ed elaborazione di dati;
f. Infrastrutture software di base;
g. Tecnologie per la cyber-security;
h. Realtà aumentata e virtuale e sistemi di telepresenza multisensoriale;

I. Tecnologie robotiche e di realtà aumentata e di sistemi di sensori per la manutenzione predittiva e training;
j. Sensori realizzabili con diverse tecnologie;
k. Sviluppo e caratterizzazione materiali avanzati;
l. Digitalizzazione e robotizzazione di processi;
m. Tecnologie, reti e sistemi e comunicazione, wireless e wired.

Leggi anche: Bando Cultura Crea Plus: domande dal 7 novembre. Le imprese che possono accedere

 

 

Sicurezza e lavoro: Il Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC)

Il Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC) è un documento necessario al fine di analizzare i rischi presenti in cantiere, informare i responsabili per la sicurezza sul lavoro e adottare misure preventive per la tutela dei lavoratori, ma vediamo quando è obbligatorio e cosa deve contenere.

Cos’è il Piano di Sicurezza e Coordinamento

Il Piano di Sicurezza e Coordinamento deve essere obbligatoriamente redatto nei cantieri, che siano privati o per lavori pubblici, in cui è presente più di un’impresa. Ad esempio facciamo il caso di una ristrutturazione edile in cui contemporaneamente siano presenti in sede un’impresa che si occupa di impiantistica e una che si occupa degli aspetti edili, in questo caso è necessario adottare il Piano di Sicurezza e Coordinamento. Il piano mira a identificare e definire i rischi inerenti le varie attività poste in essere dalle diverse imprese che stanno operando e quindi a coordinare i sistemi di sicurezza adottati in quanto in tali casi i pericoli possono derivare anche da un errato coordinamento delle diverse operazioni eseguite dalla varie imprese. Si parla in questo caso anche di interferenze.

Il PSC non deve essere adottato nel caso in cui sia necessario far fronte a situazioni di emergenza.

Il PSC deve essere redatto in fase di progettazione, quindi prima che inizino effettivamente i lavori ed è parte integrante della gara di appalto, viene redatto dal Coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione, un professionista che su incarico del committente si occupa di coordinare l’attività delle varie imprese presenti in cantiere. In alcuni casi, ad esempio quando il cantiere è privato, non richiede autorizzazione per l’esecuzione del lavori e ha un valore inferiore a 100.000 euro, può essere sostituito dal Coordinatore per la Sicurezza in fase di esecuzione.

Contenuto minimo del Piano di Sicurezza e Coordinamento

I contenuti del PSC sono delineati dal decreto legislativo 81 del 2008 e in particolare sono contenuti nell’allegato XV proprio come per il POS che abbiamo già trattato e che è in stretta correlazione con il PSC.

Se vuoi conoscere i dettagli del POS, leggi l’articolo: Piano Operativo per la Sicurezza: quali imprese devono redigerlo

Per quanto riguarda i contenuti è necessario indicare:

  • i dati relativi all’opera con indicazione dell’ubicazione del cantiere;
  • le generalità dei datori di lavoro delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, inoltre le generalità dei responsabili del lavoro e del coordinatore per la sicurezza e di tutti i soggetti coinvolti nella gestione della sicurezza sul cantiere;
  • individuazione, analisi e valutazione dei rischi (l’individuazione non deve essere generica ma dettagliata e deve anche indicare il livello di rischio, ad esempio basso, medio, alto);
  • misure preventive e protettive adottate in cantiere e interferenze tra i vari lavori eseguiti con rischi che derivano proprio da tali interferenze, ad esempio recinzioni, impalcature… ;
  • dispositivi per la protezione individuale adottati in cantiere;
  • devono essere individuate le fasi di lavoro e la loro durata (si deve realizzare un vero cronoprogramma da cui si evinca anche quali imprese operano nelle varie fasi);
  • stima dei costi da sostenere per la sicurezza sul luogo di lavoro;
  • indicazione delle modalità di organizzazione del servizio di pronto soccorso, prevenzione incendi ed evacuazioni;
  • descrizione del progetto, delle scelte architettoniche, strutturali e tecnologiche (le scelte devono esser emotivate);
  • devono essere indicate le misure adottate per i servizi igienici, scarico dei rifiuti, impianti organizzati in cantiere;
  • modalità di organizzazione della coordinazione dei lavori.

Verifica del Piano di Sicurezza e Coordinamento

L’applicazione e il controllo del Piano Sicurezza e Coordinamento è devoluta al Coordinatore per l’Esecuzione dei Lavori ( non è detto che debba coincidere con il Coordinatore per la Sicurezza in Fase di Progettazione) che deve anche valutare la corretta applicazione di tutte le misure adottate. Rispetto al POS, che abbiamo visto in precedenza e che è redatto dal datore di lavoro, vi sono delle differenze sostanziali, infatti in questo caso siamo di fronte a una relazione tecnica redatta da un professionista.

Il PSC almeno 10 giorni prima dell’inizio dei lavori deve essere consegnato al RSPP e a tutte la figure che partecipano alla sicurezza sul luogo di lavoro, ad esempio al medico competente nel caso in cui lo stesso debba essere nominato.

Inoltre sempre prima dell’inizio del lavori, ma dopo la verifica del piano e del cantiere, deve essere organizzata una riunione a cui partecipano il direttore dei lavori, le varie imprese appaltatrici e i lavoratori autonomi che dovranno partecipare ai lavori.

Sanzioni per la mancata applicazione delle disposizioni

Anche nel caso di mancata redazione del Piano di Sicurezza e Coordinamento sono previste delle sanzioni per mancanze, inadempienze e irregolarità nella redazione e verifica del Piano. Le sanzioni possono colpire diversi soggetti e di conseguenza possono essere diverse:

  1. per il committente e il responsabile dei lavori è prevista l’ammenda da un minimo di 2.500 euro a un massimo di 10.000 euro oppure arresto da 3 a 6 mesi nel caso in cui omette di nominare i coordinatori visti in precedenza; nel caso in cui non invii il piano ai soggetti che devono averne comunicazione la sanzione prevista ha un ammontare minimo di 1.200 euro e massimo di 3.600 euro.
  2. Le sanzioni per il coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione risultano essere l’arresto da 3 a sei mesi e l’ammenda una minimo di 3.000 a un massimo di 12.000 euro e vengono applicate in caso di omessa redazione del Piano di Sicurezza e Coordinamento;
  3. Infine, restano da contemplare le sanzioni per il Coordinatore per la Sicurezza nell’Esecuzione dei Lavori, queste ammontano a un ammenda da 3.000 euro a 12.000 euro o l’arresto da 3 mesi a 6 mesi per la mancata verifica del piano e delle procedure adottate in corso di esecuzione dei lavori.

Per una redazione corretta ed esaustiva che possa evitare sanzioni, è possibile rivolgersi a professionisti del settore che spesso forniscono modelli da compilare.

Sicurezza sul lavoro: obblighi del lavoratore all’uso dei DPI

I DPI sono dispositivi di Protezione Individuale, si tratta di accessori che i lavoratori devono indossare al fine di prevenire infortuni e di evitare patologie legate alle mansioni svolte sul luogo di lavoro. L’uso dei DPI per il lavoratore costituisce un obbligo, ma quali sono tutti gli obblighi del lavoratore all’uso del DPI?

Sicurezza sul luogo di lavoro: obblighi del datore di lavoro

Nella precedente guida abbiamo delineato gli obblighi del datore di lavoro inerenti i Dispositivi di Protezione Individuale, ma lui non è l’unico soggetto ad avere degli obblighi, infatti anche il lavoratore è tenuto ad adottare accorgimenti il cui obiettivo è migliorare le condizioni di salute e sicurezza sul luogo di lavoro. Si è detto che esiste un’ampia gamma di DPI che servono a proteggere organi e ad evitare infortuni, abbiamo sottolineato che i DPI devono essere scelti dal datore di lavoro tenendo in considerazione le peculiarità delle mansioni svolte e le caratteristiche del luogo di lavoro.

I rischi devono essere indicati nel Documento di Valutazione Rischi e in base a questo devono essere forniti i DPI che devono essere a norma. Tra gli obblighi del datore di lavoro vi è anche quello di organizzare corsi di formazione sull’uso dei DPI per i lavoratori. Naturalmente per tenere sotto controllo i rischi connessi alla salute è assolutamente necessario che anche il lavoratore collabori e da qui derivano gli obblighi per il lavoratore nell’uso dei DPI. Gli stessi sono indicati nel decreto legislativo 81 del 2008, in particolare negli articoli 20 e 78.

Per una guida esaustiva sugli obblighi del datore di lavoro inerenti all’uso del DPI, leggi la guida: DPI: i Dispositivi di Protezione Individuale e obblighi del datore di lavoro

Obblighi del lavoratore all’uso dei DPI

In base all’articolo 20 del decreto legislativo 81 del 2008 il lavoratore:

  • deve contribuire a mantenere elevate condizioni di salute e sicurezza sul luogo di lavoro collaborando con il datore di lavoro con i dirigenti e i preposti;
  • è tenuto a osservare le disposizioni impartite dal datore di lavoro e dai superiori;
  • deve utilizzare i Dispositivi di Protezione Individuale in modo corretto e segnalare le anomalie ai superiori, deve riferire di eventuali inefficienze degli stessi, e deve segnalare qualunque altra situazione di pericolo dovesse verificarsi sul luogo di lavoro;
  • in base all’articolo 20 non deve rimuovere parti dei dispositivi o modificarli. Deve inoltre partecipare ai programmi di formazione messi a disposizione dall’azienda stessa.

Nel caso in cui il lavoratore venga meno a uno di questi obblighi può essere comminata un’ammenda da 200 a 600 euro inoltre è previsto l’arresto fino a un mese.

Obbligo di vigilanza

Deve essere ricordato che gli obblighi del datore di lavoro inerenti l’uso dei DPI non si esaurisce nella consegna degli stessi, infatti deve vigilare affinché gli stessi siano correttamente utilizzati. Nella vigilanza è necessaria che sia adottato il criterio del buon padre di famiglia.

Questo vuol dire che nel caso in cui un lavoratore non usi correttamente i DPI e non segua le indicazioni del datore di lavoro, questo può adottare delle misure di contrasto e in particolare può richiamare verbalmente il lavoratore e nel caso in cui il richiamo verbale non sortisca effetto, può procedere a misure sanzionatorie più rilevanti e in particolare il richiamo scritto, la censura e l’applicazione di sanzioni di tipo pecuniario.

Queste ultime non devono essere confuse con l’ammenda prima vista e che può essere comminata solo dalla pubblica autorità, ciò implica che ci sono due possibili sanzioni a carico dei lavoratori che non dovessero rispettare le disposizioni sull’uso dei DPI. Non solo, come misura finale è possibile attivare anche il licenziamento.

Obblighi del lavoratore all’uso dei DPI: sentenze

E’ bene rammendare che la Corte di Cassazione in alcune sentenze ha sottolineato che esigere il corretto uso dei dispositivi di protezione individuale per il datore di lavoro è un obbligo e che questo deve essere ritenuto garante della correttezza dell’agire del lavoratore.

La Corte di Cassazione  allo stesso tempo ha sottolineato che si può escludere il diritto al risarcimento del danno per il lavoratore che, pur avendo a disposizione i DPI, non li usa correttamente. Nel caso in esame il lavoratore era impegnato nell’installazione di pannelli fotovoltaici in altezza e senza alcuna motivazione ha svincolato l’ancoraggio dell’imbracatura. Da tale comportamento è derivata la caduta da 7 metri di altezza del lavoratore stesso. In appello il tribunale ha condannato il datore di lavoro a un risarcimento di 150.000 euro, ma in Cassazione la sentenza è stata ribaltata perché secondo la Corte lo svincolo dell’ancoraggio rappresenta una condotta anomala, imprevedibile, eccezionale ed abnorme .

Il rigetto della richiesta di risarcimento è basato anche sul fatto che il datore di lavoro non solo aveva fornito i DPI, ma aveva anche perfezionato l’obbligo di formazione per il lavoratore.

Diversa invece la sentenza 19026 del 2017 pronunciata dalla Corte di Cassazione, Sez. Penale. Anche in questo caso l’infortunio è avvenuto nell’applicazione di pannelli fotovoltaici su un capannone all’altezza di 10 metri, ma in questo caso vi è stata condanna e questo perché il datore di lavoro aveva fornito i DPI, ma sul tetto a cui si lavorava non vi erano sistemi di aggancio e di fatto i dispositivi erano inutili, inoltre erano state violate tutte le norme di sicurezza.

DPI: i Dispositivi di Protezione Individuale e obblighi del datore di lavoro

I DPI sono i dispositivi di Protezione Individuale e il datore di lavoro è obbligato a fornirli ai suoi dipendenti. Vedremo in questa guida che vi sono specifici obblighi previsti in capo al datore di lavoro, anticipiamo già da ora che degli obblighi sono anche a carico dei lavoratori, gli stessi saranno trattati a breve.

Cosa sono i DPI e loro classificazione

I Dispositivi di Protezione Individuale sono dei presidi il cui obiettivo è aumentare la sicurezza sul luogo di lavoro, devono essere indossati quando attraverso l’uso di dispositivi di protezione collettiva non è possibile eliminare o ridurre sufficientemente i rischi per la salute dei dipendenti/collaboratori. Sono di diversa natura e specie, ad esempio per chi lavora in altezza o dove vi è il pericolo di caduta di oggetti dall’alto, deve essere utilizzato il casco di protezione, mentre dispositivi per la protezione delle vie respiratorie devono essere usati quando si lavoro con agenti chimici.

I DPI sono classificati tenendo in considerazione le “aree” da proteggere. Sono disponibili DPI per :

  • protezione udito;
  • tutela delle vie respiratorie (polvere, agenti chimici);
  • protezione occhi e viso;
  • piedi, gambe, mani, braccia, pelle, tronco e addome.

In base al decreto legislativo 81 del 2008 devono essere scelti dal datore di lavoro tenendo in considerazione le peculiarità dell’attività che viene svolta e all’ambiente di lavoro, ad esempio se l’attività svolta genera polvere è assolutamente necessario avere una protezione delle vie aeree. Un’altra caratteristica richiesta è la compatibilità tra i vari dispositivi da utilizzare, nel caso concreto può capitare che in una determinata mansione o luogo di lavoro sia necessario indossare due o più dispositivi, gli stessi devono avere caratteristiche tali da non annullare uno l’effetto positivo dell’altro. Infine, i dispositivi devono essere facili da togliere in caso di pericolo.

DPI: classificazione in base al rischio

I DPI sono classificati in base all’entità del rischio da cui devono proteggere. Per il rischio lieve si utilizzano dispositivi di prima categoria, si tratta ad esempio di guanti da giardinaggio, occhiali di protezione per lavori di giardinaggio, questi sono certificati direttamente dal produttore.
I DPI di seconda categoria sono diretti a proteggere da un rischio classificato come significativo, ad esempio ci sono gli occhiali di protezione, in questo caso la conformità alle norme CE deve essere certificata non dal produttore, ma da un organismo di controllo indipendente.

Infine, ci sono i DPI di terza categoria atti a proteggere da danni gravi e permanenti alla salute e dal rischio morte, ad esempio rientrano in questa categoria le protezioni previste per gli addetti al recupero e smaltimento amianto. Anche in questo caso la certificazione del rispetto dei criteri previsti dalle norme UE è affidata a un organismo di controllo autorizzato. Per l’utilizzo di questi Dispositivi di Protezione Individuale deve essere previsto uno specifico addestramento per gli utilizzatori, anche questo è a carico del datore di lavoro.

Disposistivi di Protezione Individuale e obblighi del datore di lavoro

I dispositivi di protezione individuale sono a carico del datore di lavoro (articolo 18 decreto legislativo 81 del 2008) che deve fornire prodotti che abbiano il marchio CE e siano conformi alle normative specifiche previste. Ad esempio per la scelta dei dispositivi di protezione auricolare vige la normativa ENI EN 458:2016, per le vie respiratorie c’è la disciplina UNI EN 529 del 2006.

Le normative non solo stabiliscono i criteri di scelta dei vari DPI, ma indicano anche come devono essere curati in modo che possano mantenere nel tempo inalterate le loro caratteristiche e l’efficienza. Inoltre sono previste date di scadenza dei dispositivi stessi.

Nel caso in cui il datore di lavoro non fornisca DPI, oppure li fornisca ma gli stessi non rispettano le normative, naturalmente incorre in reati e in sanzioni e questo indipendentemente dal fatto che avvenga o meno un sinistro, infatti se dovessero esservi controlli sul luogo di lavoro e dovesse emergere che i dipendenti/collaboratori hanno dispositivi non a norma, comunque viene applicata la sanzione. La normativa prevede in questi casi l’ammenda da un minimo di 1.500 euro e un massimo di 6.000 euro e l’arresto da 2 a 4 mesi.

Competenze del datore di lavoro in merito ai DPI

L’articolo 77 del decreto legislativo 81 del 2008 stabilisce quali sono gli obblighi del datore di lavoro in riferimento ai DPI. In particolare è tenuto non solo a fornirli nel rispetto delle normative, ma anche a:

  • individuare le situazioni in cui i DPI devono essere utilizzati ( ad esempio può essere necessario usarli solo nello svolgimento di determinate operazioni e non per tutta la durata della giornata lavorativa);
  • controllare che gli stessi siano efficienti assicurando al riparazione laddove necessaria;
  • informare i lavoratori sul corretto uso dei DPI, dei rischi che devono evitare/ridurre e addestrare i dipendenti al corretto uso degli stessi.

Quando devono essere usati i Disposuitivi di Protezione Individuale

Per i dipendenti si possono verificare due situazioni, cioè quella in cui i DPI debbano essere utilizzati solo se altre misure di contenimento del rischio non sono sufficienti e quella in cui in realtà è sempre necessario utilizzarli. I settori dove è sempre necessario avere Dispositivi di Protezione individuale sono:

Lavori edili e per ponti, operazioni eseguite nelle vicinanze di particolari macchinari ad esempio escavatori e gru.Devono sempre utilizzati nei lavori per realizzazione di pozzi, fondazioni, cave di pietra, lavori sotterranei, lavori con esplosivi, lavori di smantellamento e demolizioni.

I DPI sono solo una delle misure per aumentare la sicurezza sul luogo di lavoro, per conoscere il complesso delle attività che il datore di lavoro deve svolgere, leggi le guide:

Sicurezza sul luogo di lavoro: la figura del medico competente

Sicurezza sul luogo di lavoro: la figura del RSPP

Sicurezza sul luogo di lavoro e la figura del RSPP: requisiti e funzioni

La sicurezza sul luogo di lavoro dovrebbe essere uno di quei pilastri su cui non dovrebbero mai esserci dubbi e titubanze, purtroppo l’Italia su questo tema non sembra essere molto sensibile, infatti pur avendo una legislazione puntuale, non diminuiscono gli incidenti sul lavoro, anzi gli stessi diventano sempre più gravi al punto che si parla frequentemente di morti sul lavoro. Tra le figure previste dal nostro sistema di prevenzione di infortuni c’è  il RSPP, Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione.

Chi è il RSPP

I dati sulla sicurezza sul lavoro in Italia sono allarmanti, dalle statistiche emerge che in 14 anni ci sono stati 15.000 morti sul lavoro, in media oltre 1.000 morti l’anno, e 10 milioni di infortuni, proprio per questo si sta pensando di potenziare il sistema per la prevenzione dei rischi e soprattutto si auspicano maggiori controlli sui sistemi di sicurezza adottati dalle imprese.

Naturalmente la sicurezza costa soprattutto per le Piccole e Medie Imprese che fanno fatica a investire, proprio per questo ogni anno viene proposto il bando ISI INAIL che concede aiuti alle aziende che propongono piani per migliorare la sicurezza.

Se vuoi conoscere come funziona il bando ISI INAIL, leggi l’articolo: Bando ISI INAIL: fissato il click day

Per le imprese ulteriori vantaggi possono arrivare anche con le agevolazioni previste dalla Nuova legge Sabatini che consente di acquistare nuovi macchinari che naturalmente aumentano la sicurezza. Nell’attuale sistema volto a prevenire infortuni, un ruolo centrale è svolto dal RSPP che si inserisce nell’attuale sistema di prevenzione dei rischi sul luogo di lavoro. Tale figura è prevista dal decreto legislativo 81 del 2008 e il suo ruolo è coordinare il servizio di prevenzione e protezione dai rischi. Viene nominato dal datore di lavoro che può scegliere tra un dipendente che abbia i requisiti previsti dall’articolo 32 del decreto, oppure può conferire l’incarico a un soggetto terzo, che naturalmente abbia i requisiti, infine, in alcuni casi e vedremo quali, il datore di lavoro può assumere tale ruolo.

Requisiti previsti dall’articolo 32 del decreto legislativo 81

La funzione di RSPP può essere conferita a soggetti che abbiano un diploma di scuola secondaria superiore, devono inoltre frequentare dei corsi specifici in materia di prevenzione e protezione dai rischi sul luogo di lavoro. Al termine del corso devono superare una verifica, inoltre è necessario seguire costantemente corsi di aggiornamento. Il corso di formazione è diviso in moduli, c’è un modulo base uguali per tutti i settori, c’è poi un modulo specifico il cui contenuto è strettamente correlato alla tipologia di attività svolta nelle varie aziende, quindi un RSPP che deve occuparsi del settore zootecnico avrà una formazione specifica sui rischi che sono connessi a tale attività, lo stesso vale per chi è impegnato nel settore metallurgico o chimico.

In base al comma 3 dell’articolo in oggetto possono svolgere il ruolo di RSPP anche i lavoratori che pur non essendo in possesso di un diploma di scuola secondaria abbiano svolto per almeno 6 mesi alla data del 13 agosto 2003 le funzioni di RSPP e abbiano svolto i corsi visti in precedenza.

In alcuni casi è possibile ricoprire il ruolo di RSPP pur senza aver seguito il corso di formazione, occorre però avere una laurea che ricada nelle classi di laurea indicate nel comma 4, cioè L07, 08, 09, 17, 23. Si tratta di lauree in ingegneria civile, architettura, materie scientifiche o tecnologiche.

Quando il datore di lavoro può assumere il ruolo di RSPP?

Si è detto in precedenza che ci sono dei casi in cui il datore di lavoro può assumere il ruolo di RSPP, questi però sono strettamente correlati alla dimensione aziendale e alla tipologia.

In particolare è previsto che il datore di lavoro possa assumere tale ruolo:

  • nelle aziende artigiane e industriali se il numero dei dipendenti non supera le 30 unità;
  • imprese impegnate in agricoltura e zootecnia che non superano le 30 unità;
  • pesca con impiegati fino a 20 lavoratori;
  • altre aziende fino a 200 lavoratori.

Il ruolo del Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione RSPP

Il ruolo di questa figura è molto importante, infatti è suo compito individuare i fattori di rischio presenti in azienda, valutarne la potenzialità e di conseguenza individuare le misure al fine di mantenere la salubrità dell’ambiente di lavoro. Tale compito deve essere svolto tenendo in considerazione la normativa vigente e le peculiarità del lavoro svolto. L’articolo 33 del decreto 81 stabilisce anche che spetta al RSPP proporre dei programmi di formazione e informazione per i lavoratori, gli stessi mirano a fornire ai dipendenti la conoscenza dei rischi connessi alle loro mansioni e allo stesso tempo prevenire i rischi e conoscere come comportarsi nel caso in cui si verifichino degli eventi pericolosi. Ad esempio tra le attività che può proporre vi sono esercitazioni per la corretta evacuazione in caso di incendio o di altro evento strettamente correlato ai lavori che si svolgono all’interno dell’unità produttiva.

Il RSPP partecipa anche alle consultazioni in materia di sicurezza sul luogo di lavoro, in particolare collabora con il datore di lavoro e con il medico competente al fine di realizzare il DVR, di cui si parlerà in una successiva guida.

Deve essere sottolineato che l’articolo 33 del decreto legislativo 81 del 2008 precisa al comma 2 lettera F che ci sono per il RSPP anche degli obblighi nei confronti del datore di lavoro, infatti nella sua posizione, più di altri lavoratori, può venire a conoscenza di particolari tecniche di produzione e processi organizzativi che fanno parte del Know How aziendale e che di conseguenza devono essere protetti dalla concorrenza, il decreto quindi stabilisce che il Responsabile deve tenere il segreto sulle informazioni di cui viene a conoscenza.

Ultime informazioni

Si è visto che il ruolo del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione è molto delicato in quanto si tratta di una figura che fa da collante, spesso, tra lavoratori e datore di lavoro. Nel suo ruolo può essere affiancato dall’ASPP (Addetto al Servizio di Prevenzione e Protezione).

Occorre infine ricordare che la mancata nomina di un RSPP da parte dell’azienda costituisce un reato e comporta per il datore di lavoro una saznione penale che varia da 2.740,00 a 7.014,40 euro (articolo 55 decreto 81 del 2008).

Le imprese della sicurezza in Italia

Quando si parte per le ferie, un pensiero va anche alla sicurezza della casa. Così, si presta attenzione a un settore, quello della sicurezza appunto, che in Italia dà lavoro a migliaia di persone e si declina sotto forma di migliaia di imprese. Ma quante sono queste imprese della sicurezza?

Lo ha calcolato la Camera di commercio di Milano, effettuando un’elaborazione su dati Istat 2015 e 2014: in Italia sono 8.879 le imprese della sicurezza, cresciute in un anno del 2,4%. Prime tra le province Roma, con l’8,2% nazionale, specializzata soprattutto in fabbricazione di casseforti e porte blindate (37 attività) e servizi di vigilanza (317), poi Milano con il 7,8% nazionale, che si distingue per installazione e manutenzione di impianti elettronici (446), Napoli con il 4,8% nazionale che conta ben 239 servizi di vigilanza e investigazione, e Torino. Tra le prime 20 città per imprese di sicurezza cresce di più Palermo (+14,4%).

E le casseforti italiane si esportano anche all’estero: quasi 44 milioni di euro nel 2015, +6,4% rispetto all’anno precedente. Vanno soprattutto in Francia, Regno Unito, Nigeria, Svizzera e Taiwan, l’export verso il quale è più che triplicato in un anno (+233,3%).

La Camera di commercio di Milano ha anche focalizzato l’attenzione sulla realtà territoriale, calcolando che sono 1.743 le imprese nel settore della sicurezza in Lombardia al 2016 (circa un quinto del totale italiano), +3% rispetto all’anno precedente. Crescono in particolare le attività di installazione e manutenzione di impianti elettronici (+48 imprese), stabili quelle specializzate nella fabbricazione di casseforti, forzieri, porte metalliche blindate e i servizi di vigilanza e investigazione.

La maggior concentrazione di “imprese della sicurezza” si registra a Milano con 693 (+3,6%), seguono Brescia con 191 (+4,9%) e Monza e Brianza con 174. In un anno il settore sicurezza cresce soprattutto a Lodi, +9,1%, Bergamo, +5,6% e Sondrio, +5%. L’elaborazione della Camera di commercio di Milano è stata effettuata su dati registro delle imprese al I trimestre 2016 e 2015 relativi alle sedi di impresa attive.

Architetti italiani: periferie migliori per combattere il terrorismo

Gli architetti italiani hanno una ricetta tutta loro per contribuire alla lotta contro il terrorismo. Se non è una soluzione, sicuramente è una prospettiva diversa dalla quale osservare un fenomeno che, dopo i fatti di Parigi, preoccupa ormai tutto il mondo.

Secondo gli architetti italiani, se si intervenisse urbanisticamente sulle periferie si comincerebbero a ottenere alcuni risultati importanti. Non a caso, infatti, i terroristi che hanno scatenato il terrore nella Capitale francese, sono nati e cresciuti in periferie degradate in Francia e in Belgio.

La lotta al terrorismo – scrive infatti il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatoripassa anche attraverso la riqualificazione delle periferie. Come ha ricordato il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, l’equilibrio urbano deve essere una priorità affinché esse non siano più luoghi di nessuno, dove si fomenta l’odio e dove chi vi abita è troppo spesso costretto ad una esistenza ai margini, senza diritti e senza speranze. Serve quindi un salto di qualità culturale per realizzare luoghi di convivenza dignitosi ed adeguati ai bisogni di ciascuno”.

Come professionisti – aggiunge Leopoldo Freyrie, presidente degli architetti italiani – abbiamo già fatto il mea culpa per aver contribuito nel passato alla realizzazione di agglomerati urbani costruiti senza fini sociali e che hanno prodotto e che producono disadattamento e alienazione, vere e proprie follie edilizie. Ora quel tempo è lontano e la comunità degli architetti ha dato ampie prove di avere acquisito una nuova coscienza del proprio ruolo culturale e sociale, così come dei propri doveri nei confronti delle comunità”.

Il presidente degli architetti italiani ricorda poi l’importanza del cosiddetto RI.U.SO, progetto del Consiglio Nazionale degli Architetti che ha come obiettivo la rigenerazione urbana sostenibile: “Non è solo il primo obiettivo dei progettisti italiani – ricorda Freyrie – ma è, soprattutto, un grande progetto d’investimento di idee sulle città: è, soprattutto, un grande investimento sociale. Non si limita, infatti alla riqualificazione fisica dei luoghi, ma punta a mettere in atto meccanismi che favoriscano nuove forme di relazione e di socialità e che innescano meccanismi virtuosi dal punto di vista dello sviluppo economico in grado di mitigare anche il fenomeno della disoccupazione. Come ci insegna anche la teoria delle finestre rotte, la cura dell’esistente è la premessa per lo sviluppo e la convivenza positiva di una comunità”.

Attentati Parigi, il punto di vista delle imprese della sicurezza

I tragici fatti di Parigi accaduti venerdì scorso ci ricordano che esistono molte imprese che sulla sicurezza e sull’intelligence costruiscono il proprio business. In Italia la Iliia (Italian Lawful Interception & Intelligence Association) è l’associazione di riferimento delle imprese che offrono servizi e materiali per le attività di intelligence.

La Iliia è intervenuta sui massacri di Parigi con un comunicato, ribadendo alcuni punti chiave:

  • Necessità di restituire a tutti i cittadini la libertà di condurre un’esistenza serena e sicura;
  • Viviamo oggettivamente in pericolo e l’avvento del Giubileo che inizierà l’8 dicembre non fa che acuire maggiormente questo stato di fatto anche nel nostro Paese;
  • Gli attentati di Parigi, hanno evidenziato un’evoluzione del modus operandi delle forze del terrore, in quanto dalle azioni attuate da “lone actors”, si è passati ad azioni coordinate;
  • Gli obiettivi delle azioni terroristiche sono cambiati. Non siamo più di fronte ad attacchi ad obiettivi denominati “sensibili”, ma si va verso missioni contro civili normali ed indifendibili;
  • Non serve mettere in campo i “carri armati” a presidiare le città. Il nostro Paese non può più esimersi dall’aumentare la capacità delle forze d’Intelligence, incrementare l’utilizzo delle tecnologie di intercettazione ed attacco delle comunicazioni e, allo stesso tempo, organizzare strutture di contrasto capaci di  adeguarsi ai cambiamenti di operatività e di prevenire azioni terroristiche.

Secondo Tommaso Palombo, presidente di Iliia, “dopo quanto accaduto a Parigi venerdì scorso siamo giunti ad un bivio, non si può più sbagliare e chi oggi è chiamato a decidere sulla sicurezza del Paese e di tutti noi, non può più esimersi da questa responsabilità. Siamo vicini al dolore dei familiari delle vittime e a tutti i francesi colpiti nel loro paese, nelle loro città. Al tempo stesso, la situazione impone di non fermarci e di cambiare rotta rispetto a quanto fatto finora se vogliamo evitare altro sangue. Non si tratta, come dice il procuratore antiterrorismo Franco Roberti, di cedere parte della nostra libertà, per avere più sicurezza, ma esattamente dell’esatto contrario: restituire a tutti i cittadini la libertà di condurre un’esistenza serena e sicura”. 

Ad oggi, purtroppo, non è così – prosegue Palombo, parlando di grandi eventi e sicurezza -. Viviamo oggettivamente in pericolo e l’avvento del Giubileo che inizierà l’8 dicembre non fa che acuire maggiormente questo stato di fatto anche nel nostro Paese. Prendere la metropolitana, bere un caffè o andare a teatro non possono rappresentare seri momenti di pericolo di vita. Gli attentati di Parigi, hanno evidenziato infatti un’evoluzione del modus operandi delle forze del terrore, in quanto dalle azioni attuate da “lone actors”, si è passati ad azioni coordinate che dimostrano una diversa capacità logistica ed operativa. In pratica l’ISIS, oltre da avere un efficacie apparato di propaganda e comunicazione, dimostra di possedere una capacità militare anche in territorio a lui formalmente ostile”.

A questo punto, quindi, – conclude Palombo –  il nostro Paese non può più esimersi dall’aumentare la capacità delle forze d’Intelligence, incrementare l’utilizzo delle tecnologie di intercettazione ed attacco delle comunicazioni e, allo stesso tempo, organizzare strutture di contrasto capaci di  adeguarsi ai cambiamenti di operatività e di prevenire azioni terroristiche. L’unica possibilità che abbiamo è quella di aumentare gli investimenti negli apparati di intelligence, nell’utilizzo di tecnologie di prevenzione e di analisi, nella razionalizzazione degli investimenti, che non siano più sottoposti ad occasionali attività di riforma normalmente guidate, purtroppo, dalla spasmodica ricerca di effettuare risparmi, a discapito dell’efficacia e  dell’efficienza delle attività. La speranza è che le decisioni di oggi in materia di sicurezza possano salvare vite domani”.

Professional Day: ecco le richieste dei professionisti

Oggi è il Professional Day e, per celebrarlo a dovere, è stato organizzata, presso l’Auditorium della Conciliazione di Roma, un’assemblea virtuale dei professionisti italiani chiamati a testimoniare l’importanza delle libere professioni per lo sviluppo del Paese.

A collegarsi, oggi durante l’evento, saranno 100 città e potranno quindi confrontarsi con i rappresentanti di tutti i partiti politici circa le idee per il Paese degli Ordini professionali. Le esigenze, da parte dei professionisti, di aprire una nuova finestra di dialogo sulle prospettive di crescita del Paese sono nate in conseguenza della crisi profonda che stiamo attraversando.

In particolare, oggetto di discussione saranno alcuni temi molto “caldi”:

Lavoro e Welfare: Non c’è lavoro senza Previdenza, perciò i professionisti italiani devono essere sostenuti durante tutta la loro vita lavorativa. Un regime fiscale adeguato può liberare risorse da investire per lo sviluppo e la crescita del Paese e del lavoro.
Inoltre, non si nega che il mondo del lavoro ha urgente bisogno di semplificazione e sburocratizzazione, così come risulta indispensabile una diminuzione della pressione fiscale sulle aziende. Solo in questo modo potranno tornare ad assumere nuovi lavoratori.

Giustizia legalità e carceri: Tutti gli indicatori individuano in questi tre temi altrettanti freni allo sviluppo del sistema Paese, senza che finora si sia trovata una soluzione efficace. Le professioni impegnate in questi settori da tempo sostengono che in virtù delle specifiche competenze anche acquisite con il lavoro quotidiano, sia indispensabile un loro diretto coinvolgimento per quanto riguarda analisi, proposte e operatività.

Ambiente e sicurezza: Le professioni dell’area tecnica lanciano 11 proposte a costo zero su ambiente e sicurezza per ripensare e rigenerare lo sviluppo e l’occupazione del nostro paese. Sono riforme indirizzate alla crescita e all’innovazione, che le professioni pongono all’attenzione delle forze politiche in un’ottica di condivisione.

Salute: La progressiva dismissione del Servizio Sanitario Nazionale e la riduzione delle risorse dedicate alla tutela della salute dei cittadini pregiudicano un bene e un diritto. La salute può essere garantita solo quando i professionisti sono nelle condizioni di dare il proprio contributo, fatto di competenze e di formazione continua.

Vera MORETTI

I tre temi caldi del Cni per il nuovo Parlamento

Il Consiglio nazionale forense, nell’ambito di un talk evento avvenuto presso il Tempio di Adriano di Roma, ha redatto la propria agenda con le proposte da presentare a quello che sarà il futuro parlamento e a chi, in particolare, formerà il prossimo esecutivo.

Titolo dell’assise è “Al governo che verrà. Sicurezza, ambiente, open data: gli ingegneri per il futuro dell’Italia” e le tematiche trattate sono essenzialmente tre, considerate “sinonimi di altrettanti programmi generali che possono risollevare l’Italia dalle secche della recessione ed essere quel volano utile per far ripartire la crescita economica”.

Primo tema “caldo” è quello della sicurezza, ovvero il “riassetto del territorio flagellato dal dissesto idrogeologico, sicurezza per la non più rinviabile ristrutturazione antisismica del nostro patrimonio abitativo, privato e pubblico”.
Si fa anche riferimento all’adozione di una politica ambientale che si basi sull’efficienza energetica, che vede nelle energie rinnovabili “la risorsa di qualità per la modernizzazione del Paese”.

Altrettanto importante è considerata “una politica dei rifiuti virtuosa, incentrata su scelte moderne e all’avanguardia, anche come strumento fondamentale per sottrarre, soprattutto al Sud, ma non solo, il business alle mafie”.

Un passo fondamentale rimane, per gli ingegneri, l’accesso sempre più esteso alla tecnologia e agli open data da parte della pubblica amministrazione.
Senza questo, è considerato impossibile progredire, a livello nazionale ma anche mondiale.

Vera MORETTI