Green Economy contro la crisi

La green economy può essere l’arma giusta per combattere la crisi e far sì che il settore dell’edilizia possa essere il volano della ripresa, coniugando allo stesso tempo sostenibilità e qualità del lavoro.
Questo l’appello lanciato dall’assemblea dei delegati della Fillea, ovvero il sindacato degli edili della Cgil, nel dibattito a Genova in cui la categoria si è confrontata con associazionismo, sindacati e amministratori locali.

“Tentare di coniugare sviluppo sostenibile, tutela e cura dell’ambiente, lavoro e reddito che ne può derivare – avverte però Moulay El Akkioui, segretario nazionale della Fillea – è un esercizio che non può essere lasciato al caso, oppure, peggio ancora, trattato da apprendisti o improvvisatori. La complessità della green economy permette di produrre e sviluppare delle opportunità economiche e occupazionali inattese”.

Una scelta, quella della sostenibilità, sostenuta anche dal sindacato europeo, come ha spiegato Sam Hagglund, segretario generale Fetbb: “Abbiamo lanciato un new deal sociale ma anche green, con l’obiettivo di creare nuovi e migliori posti di lavoro e al tempo stesso consentire all’Europa di assolvere ai propri impegni rispetto ai cambiamenti climatici. E proprio in quest’ottica il settore delle costruzioni può svolgere un ruolo chiave, ma serve un nuovo piano europeo di investimenti”.

Francesca SCARABELLI

Presentata la riforma del lavoro

di Vera MORETTI

E’ stata presentata ieri dal Governo la riforma sul lavoro, tanto discussa e tanto attesa dagli italiani.

Tra le tante proposte, spicca la stretta sulla flessibilità in entrata, mentre quella in uscita è stata definita “buona” dal ministro Elsa Fornero. Alle parti sociali è stata presentata nella sua quasi interezza, con la possibilità di aggiustamenti fino a giovedì, anche se, ormai, il solo interlocutore per l’attuazione della riforma è il Parlamento, segno che i giochi sono ormai quasi chiusi.

Vediamo nel dettaglio i punti oggetto di riforma:

  • Il contratto a tempo indeterminato dovrà essere predominante e rafforzato dall’apprendistato per garantire l’ingresso nel mondo del lavoro.
  • Di conseguenza, saranno fortemente penalizzati i contratti a termine, con l’eccezione di quelli stagionali o sostitutivi, poiché chi li proporrà avrà un contributo aggiuntivo dell’1,4% da versare per il finanziamento del nuovo sussidio di disoccupazione (oltre all’1,3% attuale). Per i contratti a termine non saranno possibili proroghe oltre i 36 mesi.
  • Non sarà possibile l’associazione in partecipazione se non si è familiari, per limitare il fenomeno del lavoro sostanzialmente subordinato mascherato da lavoro autonomo.
  • Gli stage gratuiti non saranno più ammessi, perciò chi, dopo laurea o master, approderà in un’azienda, se lo farà attraverso uno stage, dovrà essere retribuito.

 

  • Introduzione della norma contro le dimissioni in bianco, strumento spesso usato in passato a discapito delle lavoratrici.
  • Il sussidio di disoccupazione andrà subito a regime, mentre la mobilità, che oggi vale per i licenziamenti collettivi e può durare fino a 48 mesi per gli over 50 del Sud, sarà eliminata definitivamente solo nel 2017. Per il nuovo sistema sono previste risorse aggiuntive per 1,7-1,8 miliardi.
  • L’ASPI, ovvero l’assicurazione sociale per l’impiego, sarà universale e sostituirà l’attuale indennità di disoccupazione. Durera’ 12 mesi (18 per gli over 55) e dovrebbe valere il 75% della retribuzione lorda fino a 1.150 euro, e il 25% per la quota superiore a questa cifra, con un tetto di 1.119 euro lordi per il sussidio, per ridursi dopo i primi sei mesi. Sarà quindi più alta dell’indennità attuale che al suo massimo raggiunge il 60% della retribuzione lorda (e dura 8 mesi, 12 per gli over 50).
  • La cassa integrazione si mantiene per la cassa ordinaria e la straordinaria con i contributi attuali, ma viene esclusa la causale di chiusura dell’attività, che rimane valida se è previsto il rientro in azienda.
  • Il fondo di solidarietà per lavoratori anziani sarà pagato dalle aziende e dovrebbe fornire un sussidio ai lavoratori anziani che dovessero perdere il lavoro a pochi anni dalla pensione. Si tratta di una soluzione richiesta dai sindacati per sostituire la mobilità, che sarà eliminata.
  • Per quanto riguarda l’articolo 18, il Governo ha annunciato la diversificazione delle tutele sui licenziamenti con il reintegro nel posto di lavoro nel caso di licenziamenti discriminatori e il solo indennizzo (fino a 27 mensilità di retribuzione) nei licenziamenti per motivi economici (giustificato motivo oggettivo) considerati dal giudice illegittimi. Per quanto riguarda, invece, i licenziamenti disciplinari che saranno considerati ingiusti dal giudice, prevederanno la possibilità di scegliere, da parte del magistrato, tra il reintegro e l’indennizzo economico con il pagamento al lavoratore ingiustamente licenziato tra le 15 e le 27 mensilità.

Ora Monti si becca un 18 (articolo)

di Davide PASSONI

E adesso vedremo se Mario è davvero super. Il sobrio presidente del Consiglio finora è stato un autentico schiacciasassi. Sulle liberalizzazioni, per quanto molto al di sotto delle aspettative, è andato dritto per la sua strada, alla faccia delle lobbettine con le quali ha dovuto scontrarsi. Sull’IMU alla Chiesa è entrato facile facile come un coltello nel burro. Sulla riforma delle pensioni gli è andata più liscia del previsto, lacrime di Elsa Fornero a parte. Ma adesso, per Monti, arriva il vero monte da scalare: la riforma del mercato del lavoro. O meglio, uno solo è il vero picco da scalare e si chiama articolo 18. Un totem, un articolo che chi lo tocca muore.
Prima di lui, solo chiacchiere. Ora ci sta provando. Almeno questo glielo dobbiamo riconoscere, nel bene o nel male. Peccato che gli ovattati saloni di Bruxelles o le aule grigie della Bocconi non hanno niente a che vedere con le sale del Palazzo, con i riti delle politiche del lavoro fatti di tavoli e controtavoli, parti sociali e parti asociali, riunioni a 3, a 4 a 5, interminabili meeting notturni tra ministri e segretari di partito, tra sottosegretari e segretari sindacali. Per arrivare quasi sempre al nulla.

Ma Monti lo sa: il mercato del lavoro, in Italia va riformato. Certe sue rigidità non sono le uniche responsabili della mancata crescita del nostro Paese, ma il solo eliminarle o ammorbidirle può fare tanto. Se una di queste rigidità sia davvero l’articolo 18, è tutto da vedere. Di certo, contro questo picco ci si va sempre a sbattere e chi tenta di scalarlo puntualmente finisce per cadere. E stupisce sempre constatare come lo stesso aspetto sia interpretato da una parte e dall’altra come il diavolo o l’acquasanta: licenziamenti di massa vs. flessibilità nell’uscita. E allo stesso tempo lascia qualche perplessità vedere come, per sbrogliare certe matasse, noi italiani non siamo in grado di elaborare soluzioni “interne” ma andiamo sempre a cercare ispirazione dai sistemi di altri Paesi europei, virtuosi (Germania) e un po’ meno virtuosi (Spagna). Un po’ come quando si discute della riforma del sistema elettorale.

Resta il fatto che questa volta Monti fa più fatica a vestire i panni del caterpillar. Anche quando gli arriva in aiuto il presidente Napolitano con un’affermazione che è un po’ la scoperta dell’acqua calda ma che, come tutte le banalità, è spesso difficile da scorgere: “La riforma del mercato del lavoro non può essere identificata con la sola modifica dell’articolo 18: per poter dare un giudizio bisogna vedere il quadro di insieme“. Vedremo chi la spunterà.

P.S.
A proposito, rinfreschiamoci la memoria: ecco il testo dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori

Gaetano Stella: nessuna novità sulla riforma del lavoro

“Non vedo grandi novità sul tavolo. Anzi, stiamo tornando indietro. Finché si continua ad affrontare il mercato del lavoro come una partita solo tra Confindustria e sindacati, difficilmente si potranno creare nuovi posti di lavoro”. Lapidario il commento del presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella, sull’incontro di oggi tra il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, con alcune parti sociali.

“Assistiamo con preoccupazione all’evolversi della riforma del lavoro“, ha sottolineato il numero uno del sindacato dei liberi professionisti, aggiungendo che “sembra più orientata a tamponare, giustamente, l’emorragia dei posti di lavoro, ma non vedo da nessuna parte la volontà di creare le condizioni necessarie per assicurare un impiego stabile e duraturo, soprattutto per i più giovani”.

“Si continua a battere il chiodo – ha avvertito – su problematiche che sono state ampiamente superate dalla realtà. Si usano strumenti, quali ammortizzatori sociali e apprendistato, come merce di scambio per gestire il consenso con i soliti organismi di rappresentanza, senza tener conto dei profondi cambiamenti in atto nel mercato del lavoro. Il travaso dall’impiego dipendente al lavoro autonomo e alla libera professione è un fenomeno ormai acquisito nella nostra società, ma nessuno sembra prenderne atto. Il governo dovrebbe avere la forza e la determinazione di aprire la riforma del lavoro alle nuove forme di occupazione, alle attività intellettuali e ai professionisti”.

Fonte: adnkronos.com

Contronto tra governo e sindacati sulla riforma del lavoro

di Vera MORETTI

La riforma sul mercato del lavoro è la più attesa, in un’Italia messa in ginocchio dalla crisi econimco-finanziaria e bisognosa di risollevare le sue sorti al più presto.
In questa ottica, perciò, le dichiarazioni di Mario Monti e dei suoi Ministri assumono grande importanza.

A questo proposito, infatti, il Presidente del Consiglio ha dichiarato alle parti sociali: “Spero che si riesca a non ridurre il messaggio che mandiamo sulla riforma del mercato del lavoro solo all’art.18” e ha ovviamente ammesso che “servono buone soluzioni strutturali per il mercato, spero che quello che verrà fuori servirà a migliorare la situazione delle imprese e dei lavoratori“.

A confermare queste intenzioni era presente anche il ministro del Lavoro Elsa Fornero, la quale ha detto: “C’è da fare una riforma ma bisogna considerare che, nel breve periodo, non abbiamo risorse da spendere su questo importantissimo capitolo“. La riforma sarà ambiziosa, senza tempi lunghissimi e la consapevolezza che non verrà accolta all’unanimità non spaventa il Ministro.

La riforma, quindi, sarà studiata con una legge ad hoc e prenderà in esame 5 argomenti principali: tipologie contrattuali, formazione apprendistato, flessibilità, ammortizzatori sociali, servizi per il lavoro. Per quanto riguarda i contratti di lavoro, per Elsa Fornero sarà necessario “un contratto che evolva con l’età dei lavoratori piuttosto che contratti nazionali specifici che evolvono per tutte le età“. Un contratto, dunque, che possa seguire la vita lavorativa del singolo individuo, al fine di favorire formazione e partecipazione al mercato del lavoro ad ogni età.

Per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali, “saranno finanziati da contributi come avviene nel sistema assicurativo mentre la fiscalità generale servirà per l’assistenza“. Due saranno i capisaldi su cui ci si baserà: riduzione temporanea dell’attività di lavoro e sostegno dei redditi di chi abbia perso il posto di lavoro.

Raffaele Bonanni, leader della Cisl, ha detto di essere disponibile “a discutere della revisione degli strumenti ma senza rompere la necessaria coesione sociale“. La cautela è d’obligo, se si vuole preservare il mercato del lavoro con soluzioni in grado di unire e non di dividere. Una tra queste dovrebbe essere l’apprendistato tra i giovani.

Luigi Angeletti, leader della Uil, ha detto: “Temo che il metodo suggerito possa favorire il disastro: la definizione delle soluzioni deve essere il prodotto di un confronto negoziale vero“. Segnale che la collaborazione tra le parti è considerata l’unica opportunità per risolvere i problemi del Paese, senza tralasciare tematiche importanti come la “guerra” ai falsi lavoratori autonomi, ad esempio.

Giovanni Centrella, segretario generale dell’Ugl, infine, ha dichiarato: “Se davvero il governo cerca la coesione, la discussione dovrà partire dal documento di Cgil, Cisl e Uil condiviso dall’Ugl

Inizia il confronto tra governo e parti sociali

E’ iniziato il confronto tra governo e parti sociali sulla riforma del mercato del lavoro. Il primo round che segue una lunga serie di consultazioni ‘informali’ di sindacati e imprese da parte del ministro del Lavoro. A presiedere il premier Mario Monti.

Al tavolo tutte le associazioni di imprese. Per Confindustria è presente lo stato maggiore di viale dell’Astronomia, il presidente Emma Marcegaglia, il vicepresidente Alberto Bombassei, il direttore generale Giampaolo Galli mentre per i sindacati siedono i leader di Cgil, Cisl, Uil e Ugl, Susanna Camusso, Raffaele Bonanni, Luigi Angeletti e Giovanni Centrella.

Per il governo siedono, al momento, il ministro del lavoro Elsa Fornero, il viceministro Michel Martone, il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo, il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, ed il sottosegretario alla presidenza, Antonio Catricalà.

Fonte: adnkronos.com 

Ichino: sperimentare a livello regionale la riforma del lavoro

La strada della sperimentazione, secondo il giuslavorista Pietro Ichino, che ha partecipato ad un incontro a Milano coi quadri della Cisl, è quella più opportuna, sia per il Governo Monti, che per la Regione Lombardia di Roberto Formigoni.

“La scelta giusta, prima di avviare la riforma generale del lavoro, è sperimentare a livello regionale. La Lombardia ha esattamente la stessa popolazione della Svezia ed esattamente lo stesso reddito pro capite. Ora, dal 2001 ciascuna delle nostre Regioni ha una competenza legislativa e amministrativa piena in materia di servizi al mercato del lavoro. Che cosa impedisce, dunque, che le confederazioni imprenditoriali e sindacali maggiori stipulino con una Regione un accordo-quadro regionale, che detti le guidelines per la contrattazione aziendale su questa materia impegnando la Regione stessa a coprire i costi dei servizi di outplacement e di riqualificazione professionale mirata, scelti dalle aziende che si avvarranno di questa possibilità? In Lombardia, in particolare, la sperimentazione di questo modello consentirebbe di attirare investimenti – soprattutto stranieri – di alta qualità, offrendo agli imprenditori un “codice del lavoro” semplice, allineato ai migliori standard nord-europei, anche per quel che riguarda la flessibilità in uscita – precisa Ichino – nel caso in cui in futuro sia necessario un ridimensionamento o la chiusura. E a proposito di sperimentazione “Il Governo Monti – dice Ichino – avrebbe in animo di sperimentare anche, in due province italiane, l’incentivo fiscale per favorire il lavoro femminile. Sono disponibili 20 milioni di euro per avviare il progetto”.

Fonte: Agenparl.it

Trasferimento d’azienda, il parere dei consulenti del lavoro

La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro interviene con il parere n. 22 del 2011 sulla spinosa ipotesi di trasferimento d’azienda, o di ramo d’azienda, che occupi più di 15 dipendenti.

Questa tipologia di intervento contempla infatti una procedura di consultazione sindacale. La stessa legge che prevede questo obbligo (428/1990) prevede anche che il mancato rispetto da parte del cedente o del cessionario degli obblighi in essa specificati, costituisce condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori. Con il suo parere, la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro chiarisce che la violazione degli obblighi di consultazione non annulla il trasferimento del ramo d’azienda.

Scrive la Fondazione: “In particolare, ci si chiede se il provvedimento possa spingersi, attraverso l’ordine di ‘cessazione del comportamento illegittimo’ e di ‘rimozione degli effetti’ (art. 28, comma 1), ad incidere sulla validità del trasferimento d’azienda ed in tal modo sulle singole vicende individuali dei lavoratori. La soluzione prevalente in giurisprudenza è nel senso che la violazione degli obblighi di consultazione non influisce sulla validità della vicenda traslativa“.

In base alla legge, infatti, il cedente e il cessionario di azienda “devono darne comunicazione per iscritto almeno venticinque giorni prima che sia perfezionato l’atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta un’intesa vincolante tra le parti, se precedente, alle rispettive rappresentanze sindacali unitarie, ovvero alle rappresentanze sindacali aziendali costituite, nonché ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento“.

Articolo 8: è scontro in Parlamento

C’è aria di tempesta in Parlamento dopo l’approvazione dell’articolo 8 della manovra finanziaria che prevede la possibilità di derogare con i contratti aziendali e territoriali ai contratti nazionali e alla legge.

In materia di licenziamento, eccezion fatta per quello discriminatorio, per gravidanza o matrimonio, le modifiche apportate dalla maggioranza in commissione Bilancio al Senato all’articolo 8 del decreto, prevedono la possibilità di licenziare anche tramite un accordo a livello aziendale o territoriale, raggiunto a maggioranza dai sindacati più rappresentativi.
In contrapposizione con quanto previsto dall‘articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e in particolare la legge 300 del 1970 che impone, per le aziende sopra i 15 dipendenti, il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo.

Dura la replica di parlamentari e sindacati: per la Cgil si tratta di una manovra che viola la Costituzione, e la sua leader, Susanna Camusso passa all’attacco: ”il governo autoritario annulla il contratto collettivo nazionale di lavoro e cancella lo Statuto dei lavoratori, e non solo l’articolo 18, in violazione dell’articolo 39 della Costituzione e di tutti i principi di uguaglianza sul lavoro che la Costituzione stessa richiama”.

Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, tiene a sottolineare, in risposta alle parole della Camusso, che ‘‘è inequivoco che tali interventi non possono modificare le norme di rango superiore come i fondamentali principi costituzionale o di carattere comunitario e internazionale’ e che quindi ”non ha senso parlare di libertà di licenziare o usare altre semplificazioni che non corrispondono, neppure lontanamente, alla oggettività della norma”.

Il confronto sull’articolo 8 del decreto in discussione in Parlamento non può trasformarsi in uno scontro continuo tra diverse concezioni sul sistema di relazioni sindacali necessario al nostro Paese“, è la nota di intervento del direttore generale di Confcommercio, Francesco Rivolta.

Cisl e Uil evidenziano infine l’importanza di una precisazione, ossia che solo i sindacati comparativamente più rappresentativi possono siglare intese a livello aziendale, come stabilito nell’accordo interconfederale, unitario, del 28 giugno scorso, evitando la costituzione di sindacati di ”comodo”.

Alessia Casiraghi

Per uscire dalla crisi serve un Patto per la crescita

Guardiamo con preoccupazione al recente andamento dei mercati finanziari. Il mercato non sembra riconoscere la solidità dei fondamentali dell’Italia“. Questa la preoccupazione sollevata in un comunicato congiunto firmato dalle sigle ABI, ALLEANZA COOPERATIVE ITALIANE (CONFCOOPERATIVE, LEGA COOPERATIVE, AGCI, CGIL, CIA, CISL, COLDIRETTI, CONFAGRICOLTURA, CONFAPI, CONFINDUSTRIA, RETE IMPRESE ITALIA, UGL, UIL, CONFARTIGIANATO, CNA.

Per evitare che la situazione italiana divenga insostenibile occorre ricreare immediatamente nel nostro Paese condizioni per ripristinare la normalità sui mercati finanziari con un immediato recupero di credibilità nei confronti degli investitori“. La situazione internazionale è aggravata anche dalla crisi statunitense, debiti pubblici allarmanti e poter d’acquisto in continuo calo.

Per risollevarsi da questa situazione si rende necessario un Patto per la crescita che coinvolga tutte le parti sociali; serve una grande assunzione di responsabilità da parte di tutti ed una discontinuità capace di realizzare un progetto di crescita del Paese in grado di assicurare la sostenibilità del debito e la creazione di nuova occupazione“.