Fattura elettronica per tutti e due anni di scivolo flat tax: le misure in arrivo con la delega fiscale

Obbligo di fattura elettronica per tutti, anche per le partite Iva a regime forfettario, e scivolo di due anni per chi supera i 65 mila euro di tetto di reddito della flat tax: sono due tra le principali novità contenute negli emendamenti alla legge fiscale. Il provvedimento contiene anche lo stop all’Irap per gli studi associati e la diminuzione dell’Irpef tagliando gli sconti fiscali e detrazioni trasformate in accrediti diretti sui conti correnti dei contribuenti (cashback fiscale). Inoltre, troverà attuazione la “mensilizzazione” progressiva dei saldi e degli acconti dei lavoratori autonomi e, principalmente, per i soggetti Isa con l’addio alla ritenuta d’acconto.

Flat tax per le partite Iva a regime forfettario, arriva lo scivolo di due anni: cosa significa?

Nel testo della legge fiscale rielaborato al ministero dell’Economia e delle Finanze entra la novità dello scivolo di due anni della flat tax. Alle partite Iva a regime forfettario che superino il tetto annuale dei compensi e dei ricavi di 65 mila euro si applicherebbe un’altra aliquota piatta, in ogni caso superiore a quella del 15%. L’aliquota non potrà essere superiore a un limite che dovrà essere specificato nel decreto legislativo.

Fattura elettronica per tutti, anche per le partite Iva a regime forfettarie

Con la legge fiscale dovrebbe arrivare anche l’obbligo di fattura elettronica esteso a tutti i soggetti, anche a quelli finora esenti. In particolare, alle partite Iva a regime forfettario che finora erano rimaste fuori dall’emissione delle fattura in modalità digitale. La novità vede le forze politiche d’accordo, compreso il ministero dell’Economia e delle Finanze, per una misura che si preannuncia come necessaria per la lotta all’evasione fiscale. Tra le misure accompagnatorie dell’obbligo della fattura elettronica, anche l’emissione degli scontrini telematici e l’utilizzo delle banche dati per la lotta all’evasione.

Legge fiscale, ecco le altre misure in arrivo

Tra le altre misure in arrivo con la legge delega, anche l’abolizione dell’Irap per gli studi associati. Il superamento dell’Imposta regionale sulle attività produttive avverrà in maniera progressiva e riguarderà anche le società di persone e le società di professionisti. L’abolizione dell’Irap non dovrà generare, in ogni modo, aumenti delle addizionali per i dipendenti e per i pensionati.

Cashback fiscale, il rimborso subito sui conti correnti dei contribuenti

Trova spazio nella legge fiscale anche il cashback fiscale. Si tratta del rimborso sui conti correnti dei contribuenti delle detrazioni di imposta. Condizione essenziale per il rimborso è che le relative spese dovranno essere state effettuate con modalità di pagamento tracciabili. Il rimborso avverrà in tempi celeri anche mediante l’utilizzo di applicazioni che già hanno funzionato per altre finalità, come l’App Io.

Lavoratori autonomi soggetti Isa, versamenti mensili e stop alla ritenuta

La legge fiscale apre ai versamenti mensili dei saldi e degli acconti per i lavoratori autonomi e in particolare dai soggetti Isa. Si tratterà di un sistema di “progressiva mensilizzazione”dei pagamenti con lo stop alla ritenuta d’acconto. Nulla cambia nel sistema attuale dei calcoli dei saldi e degli acconti. Il meccanismo non dovrà produrre dei costi per la finanza pubblica.

Irap, con l’abolizione cosa bisogna versare nel 2022?

Il taglio dell’Imposta regionale sulle attività produttive (Irap) non elimina il saldo di giugno prossimo e la dichiarazione dei redditi del 2022. Delle nuove regole della riforma fiscale, inoltre, non ne beneficeranno le società di capitali e quelle di persone. L’abolizione dell’Irap, infatti, riguarda le persone fisiche che svolgono le attività commerciali, le arti e le professioni. La legge di Bilancio 2022 (la numero 234 del 2021) taglia l’imposta per determinati contribuenti, lasciando inalterate dunque le società collettive.

Irap, chi sono i soggetti passivi di imposta e a vantaggio di chi andrà il taglio

L’effetto che si ha con l’abolizione dell’Irap va a vantaggio dei lavoratori autonomi che svolgano la propria attività singolarmente. Se invece il lavoratore autonomo si unisce ad altri lavoratori (come, ad esempio, nelle società e negli studi associati), rimane soggetto passivo di imposta. In ogni caso, la legge di Bilancio 2022 rappresenta una parziale revisione della disciplina fiscale in materia. Si prevedono ulteriori provvedimenti che segneranno il graduale superamento dell’imposta regionale sulle attività produttive con l’introduzione di un’unica addizionale applicata al reddito di impresa.

Irap, quali sono i soggetti obbligati al pagamento?

L’Imposta regionale sulle attività produttive trova disciplina nel decreto legislativo numero 446 del 1997. L’introduzione dell’imposta risale al 1° gennaio 1998 in sostituzione di altri tributi come l’Ilor, la tassa sulle partite Iva e l’Iciap. L’Irap è dovuta per l’esercizio in forma abituale delle attività autonome organizzate, dirette a produrre o a scambiare beni o a prestare servizi. Chi esercita, pertanto, attività di lavoro autonomo e di impresa, sia nella modalità individuale che in forma associata, rientra tra i soggetti passivi dell’imposta. Sono soggetti anche le amministrazioni e gli enti pubblici, nonché gli enti non commerciali.

Deducibilità Irap e modifiche introdotte nel corso degli anni

Nel corso degli anni l’Irap è stata soggetta a varie modifiche. Una, in particolare, ha interessato l’ambito di applicazione della deducibilità dell’imposta sulle componenti di costo relative al lavoro. Tali costi sono divenuti totalmente deducibili se sostenuti per il lavoro dipendente a tempo indeterminato. Inoltre l’Irap, dal 2016, non deve essere più versata dai lavoratori autonomi delle attività agricole che rientrino nel reddito agrario.

Riforma Irap ed esenzione di soggetti passivi ai sensi della legge di Bilancio 2022

La riforma dell’Imposta regionale sulle attività produttive operata dalla legge di Bilancio 2022 permette alle persone fisiche che svolgano un’attività commerciale o l’esercizio di arte e professioni di non versare più l’Irap. Le attività esenti sono quelle riportate dalle lettere b) e c) del comma 1, dell’articolo 3, del decreto legislativo numero 446 del 1997. Il decreto, dunque, riporta tutti i soggetti passivi dell’imposta, includendo anche le società in nome collettivo (snc), quelle in accomandita semplice (sas) e le società a esse equiparate. L’equiparazione è riportata dal comma 3, dell’articolo 5, del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir). Il comma c) del decreto leggislativo 446, invece, aggiunte ai soggetti passivi delle imposta le persone fisiche, le società semplice e le società equiparate, oltre alle persone fisiche che svolgano attività di arti e di professioni.

Riforma Irap, chi non deve pagarla nel 2022 e chi deve versarla?

La cancellazione dell’Irap a partire dal 2022 riguarda, in altre parole, essenzialmente le persone fisiche. Risultano escluse dalla cancellazione delle imposte le società e gli enti assimilati. In base a quanto dispone la legge di Bilancio 2022, dunque, il taglio dell’imposta riguarda solo le persone fisiche, mentre continueranno a versarla gli studi associati e le società di professionisti, oltre a tutte le società di capitali e di persone. Non dovranno pagare l’Irap, in attesa di ulteriori delucidazioni dall’Agenzia delle entrate, le imprese familiari che si avvalgano di collaboratori domestici. Si tratterebbe, in questo caso, pur sempre di imprese qualificabili come individuali.

Decorrenza taglio Irap, cosa bisogna fare nella prossima dichiarazione dei redditi e saldo 2021?

La cancellazione dell’Irap entra in vigore, con la legge di Bilancio 2022, a decorrere dal periodo di imposta coincidente con l’anno solare 2022. Ciò significa che l’esercizio coincide con l’anno di entrata in vigore delle novità della legge di Bilancio 2022. Di conseguenza, anche le persone fisiche che beneficiano della cancellazione dell’Irap, nel corso del 2022 dovranno prestare attenzione a due adempimenti:

  • entro il 30 giugno del 2022 dovranno procedere con il pagamento del saldo 2021;
  • presentare il modello Irap 2022 entro il 30 novembre 2022;
  • non si dovranno pagare, invece, gli acconti.

Società di persone, l’amministratore può essere esterno?

In questo rapido excursus sul mondo societario andremo a ispezionare il ruolo di amministratore nelle società di persone. Il suddetto ruolo di amministratore può essere esterno alla società? Scopriamolo assieme, nei paragrafi seguenti.

Società di persone: cosa si intende

Andiamo, innanzitutto a specificare cosa si intende quando si parla di società di persone.

Le società di persone non sono altro che società nelle quali, più del capitale, è prevalente l’aspetto soggettivo dei loro componenti, ovvero i soci. Particolarmente importante in questo frangente è il discorso riguardante la responsabilità dei soci che, a differenza delle società di capitali, in questo caso è illimitata.

Quindi, andiamo successivamente a capire il ruolo dell’amministratore in tale situazione societaria.

Amministratore in società di persone

Generalmente, possiamo dire che la gestione della società (siano esse di persone o di capitali) è riservata esclusivamente agli amministratori, i quali hanno poteri che vengono estesi al compimento di tutti gli atti utili alla realizzazione dell’oggetto sociale e sono tenuti ad osservare diversi obblighi, come vedremo di seguito. I requisiti richiesti per essere amministratore coincidono con gli stessi che sono richiesti per essere socio.

Nelle società di persone (Snc, Sas, società semplici), fare l’amministrazione spetta a ciascun socio che la esercita in maniera disgiunta dagli altri. L’atto costitutivo può però disporre una regola differente, ovvero che i soci possono infatti rinunciare al loro diritto di amministrare, introducendo delle regole che disciplinano la nomina e il funzionamento delle cariche amministrative. In tal caso, la disciplina di legge ha carattere suppletivo e integrativo rispetto alla volontà dei soci.

Amministratore esterno, possibile per società di persone?

Quindi, veniamo al nocciolo della questione, ovvero se è possibile che ci sia un amministratore esterno in una società di persone.

Partiamo subito col dire che la risposta a questa domanda è sì. Difatti, l’amministratore di una società di persone può essere anche un soggetto esterno, ossia che non ricopra la qualità di socio. Risulta eccezione solo la Sas, ovvero la società in accomandita semplice, per la quale il legislatore ha espressamente previsto che solo i soci accomandatari possano assumere la carica di amministratore. 

Si può comunque dire che troviamo esistente un orientamento secondo il quale nelle società di persone l’amministratore può essere solo un socio. Questa conclusione scaturisce da una lacuna del Codice civile, ovvero se infatti esiste una specifica norma, per le società di capitali, che ammette la possibilità di un amministratore esterno, ciò non è previsto in modo esplicito nella disciplina che riguarda le società di persone.

Società di persone amministrata da società di capitali?

Si può cedere l’amministrazione di una società di persone ad una società di capitali, oppure no? Questo è l’ultimo nodo della questione che andiamo ad esplorare in merito alla questione.

La risposta è sì. Infatti, una società di capitali o di persone che sia socia di una società di persone (anche la Snc) può esserne amministratore. In tale caso, deve designare nella propria assemblea ordinaria, per l’esercizio della funzione di amministratore, un rappresentante persona fisica appartenente alla propria organizzazione, il quale va ad assumere gli stessi obblighi e le stesse responsabilità civili e penali previste a carico delle persone fisiche che amministrano, fermo restando la responsabilità solidale della persona giuridica amministratore.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito alla possibilità di amministrazione esterna in una società di persone.

Divisione utili società: quante tasse si pagano e come

Essere parte di un’attività esercitata in forma societaria porta spesso delle entrate, anzi questo può essere definito l’obiettivo principale della stessa attività: si parla anche di dividendi o divisione di utili della società.  Nella guida di seguito proposta ci addentreremo su un tema spinoso e in particolare sulla divisione degli utili e sulla loro tassazione, cioè su quante tasse si pagano e come.

Divisione utili società

La prima cosa da dire è che la distribuzione degli utili nelle società non sempre è possibile, vi sono infatti dei vincoli, ad esempio l’articolo 2430 del Codice Civile stabilisce l’obbligo di accantonare il 5% degli utili netti annuali al fine di costituire una riserva legale fino al raggiungimento del 20% del capitale sociale. Lo statuto della società può costituire ulteriori vincoli alla divisione degli utili e se previsti devono essere rispettati, tranne nel caso in cui si provveda a una modifica dello statuto, si tratta infatti di un atto vincolante. 

Quello ora visto può essere considerato un limite, ma esistono anche dei divieti, ad esempio nel caso in cui ci siano perdite relative agli esercizi precedenti e ci siano in circolo obbligazioni il cui ammontare è superiore al doppio del capitale sociale. Si tratta evidentemente di una norma che vuole tutelare i creditori della società stessa, cioè gli obbligazionisti. In ogni caso prima di procedere alla divisione degli utili è necessario che sia approvato il bilancio di esercizio che siano accantonate le somme previste per legge e rispettati i vincoli, solo in seguito si può approvare la delibera di distribuzione di utili ai soci che deve essere a sua volta registrata con assolvimento dell’imposta fissa di 200 euro.

Rircordiamo che un’eventuale distribuzione di utili ai soci senza seguire vincoli, limiti e procedure è reato, si parla anche di Distribuzione in nero di utili ai soci, scopri cosa si rischia.

A questo punto si può avere la distribuzione degli utili, ma quante tasse si pagano e come?

Società di capitali: quante tasse si pagano?

La tassazione degli utili societari solitamente viene applicata con il criterio di cassa, ciò con riferimento all’anno in cui l’utile viene incassato e non facendo riferimento all’anno in cui lo stesso viene prodotto (criterio di competenza). Applicando il criterio di competenza gli utili dovrebbero essere tassati al momento in cui sono iscritti nel bilancio di esercizio, ma in realtà la distribuzione può avvenire anche successivamente. Le società di capitali sono SRL, SPA, SE (Società Europea), SAPA (Società in Accomandita per Azioni) ed SRLS (Società a Responsabilità Limitata Semplificata). Per queste forme societarie è prevista la qualificazione degli utili societari come reddito di capitale e di conseguenza si applicano gli articoli 44 e 45 del TUIR (Testo Unico Imposte sul Reddito).

I dividendi corrisposti ai soci devono essere certificati con il modello CUPE Certificazione Utili e altri Poventi Equiparati.

Come si applica la tassazione

A questo proposito occorre però ricordare che la legge Bilancio 2018 (legge 205 del 2017) ha previsto delle novità sulla tassazione delle entrate derivanti dalla distribuzione degli utili societari.

  1. La prima cosa da sottolineare è che la normativa, per i soci che non agiscono in qualità di imprenditori, quindi non sono titolari di partita IVA, ha parificato il trattamento fiscale per le partecipazioni qualificate e non qualificate. Per partecipazioni qualificate in società di capitali si intendono quelle che inglobano più del 20% dei diritti di voto in assemblea o più del 25% del patrimonio/capitale. Nelle società quotate le partecipazioni qualificate sono al 5% del patrimonio o 2% dei diritti di voto in assemblea ordinaria. Le aliquote applicate sono al 26%. La ritenuta viene applicata alla fonte e quindi in dichiarazione dei redditi non si deve dichiarare altro. Essa deve essere versata dalla società entro il 16 del mese successivo rispetto al trimestre in cui si attua la divisione degli utili.
  2. Diverso però è il caso in cui il socio sia un titolare di partita IVA, in questo caso infatti è diversa la base imponibile pari al pari al 58,14% e su tale base saranno applicate le aliquote ordinarie IRPEF, quindi il soggetto della dichiarazione dei redditi, insieme ad eventuali altre entrate, dovrà dichiarare anche i proventi della divisione degli utili e il tutto sarà tassato secondo le ordinarie regole.
  3. Se il percettore di utili è a sua volta un’altra società, quindi una società che partecipa ad un altra società, la tassazione è diversa e in particolare la base imponibile è al 5%, l’esenzione è invece totale nel caso in cui la società partecipante abbia optato per il regime in Trasparenza.

La legge di bilancio 2018 ha previsto però un regime transitorio, questo si applica agli utili prodotti fino al 31 dicembre 2017 e distribuiti entro il 31 dicembre 2022, limitatamente a questi continua ad applicarsi la vecchia disciplina sulla tassazione degli utili distribuiti dalle società.

Società di Persone: quante tasse si pagano?

Diverso è il caso delle società di persone come la Società Semplice, la SNC (Società in nome collettivo) e la SAS (Società in Accomandita Semplice). In questo caso gli utili divisi sono tassati per trasparenza in campo al socio percipiente art. 32-quater del D.L. n. 124/19, quindi applicando gli stessi scaglioni previsti per l’IRPEF, questo perché i soci in tali strutture societarie sono illimitatamente responsabili per i debiti assunti dalla società e non vi è distinzione tra il patrimonio della società e quello del socio.

Vedremo in seguito cosa succede nel caso in cui i redditi societari arrivano da società che sono ubicate in paradisi fiscali.

Contributi a fondo perduto perequativo: i requisiti

Con la circolare 227357 del 4 settembre 2021 l’Agenzia delle entrate ha individuato gli specifici campi delle dichiarazione dei redditi per poter determinare gli ammontari dei risultati di esercizio. I periodi delle dichiarazione dei redditi sono inerenti ai periodi di imposta al 31 dicembre 2019 e al 31 dicembre 2020. I dati sono necessari per il riconoscimento dei contributi a fondo perduto perequativo.

Contributi a fondo perequativo: i riferimenti del decreto Sostegni bis

Nella circolare dell’Agenzia delle entrate si fa riferimento ai contributi a fondo perduto a favore degli operatori economici colpiti dall’emergenza epidemiologica da Covid-19. In particolare, i contributi a fondo perduto sono quelli inerenti ai commi dal 16 al 27 dell’articolo 1 del decreto legge numero 73 del 25 maggio 2021 (decreto “Sostegni bis“). Il decreto è stato poi convertito dalla legge numero 106 del 23 luglio 2021.

I requisiti richiesti dal Sostegni bis per richiedere i contributi a fondo perduto

Nel dettaglio, l’erogazione dei contributi a fondo perduto sono a favore degli esercenti attività di impresa, arte o professione o produttori di reddito agrario. Tra i requisiti è richiesto il possesso della partita Iva e la residenza o stabilità nel territorio dello Stato. In merito a quanto richiede il decreto sui periodi di imposta, è necessario che nel periodo precedente al periodo in vigore del decreto “Sostegni bis” (il 2020) l’impresa richiedente non abbia conseguito un ammontare di compensi o di ricavi superiore ai 10 milioni di euro.

Il requisito del peggioramento del risultato economico d’esercizio

L’individuazione degli specifici campi delle dichiarazioni dei redditi serve a determinare il peggioramento del risultato economico d’esercizio per l’emergenza sanitaria. In particolare, il peggioramento deve essere relativo “al periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2020 rispetto a quello inerente al periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2019, in misura pari o superiore alla percentuale definita con decreto dal ministero dell’Economia e delle Finanze”. Tale percentuale è ancora in corso di definizione e verrà adottata con decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze.

Allegato ‘A’ dei campi delle dichiarazione dei redditi della circolare Agenzia entrate 227357 del 4 settembre 2021

I campi delle dichiarazioni dei redditi indispensabili per determinare gli ammontari dei risultati economici d’esercizio ai fini del riconoscimento del contributo a fondo perduto perequativi si trovano nell’allegato “A” della circolare numero 227357 del 4 settembre 2021. In particolare, per il reddito agricolo si fa riferimento, sia per il 2019 che per il 2020, al reddito agrario imponibile del modello 730. Il dettaglio dei puntamenti si ritrova nell’allegato A.

Contributi a fondo perduto perequativo per le persone fisiche

Per quanto concerne le dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche è necessario distinguere la tipologia di reddito. Nel dettaglio:

  • per il reddito agrario è necessario far riferimento al reddito agrario imponibile sia nell’anno di imposta del 2019 che del 2020;
  • analogamente per le persone fisiche in contabilità ordinaria e contabilità semplificata, per i due anni, si fa riferimento al reddito d’impresa analitico al lordo delle perdite;
  • sui redditi dei lavoratori autonomi vige la differenza, ovvero il reddito di lavoro autonomo analitico al lordo delle perdite;
  • per le attività di lavoro autonomo e di impresa in regime di vantaggio o forfettari ad aliquota sostitutiva si considera il reddito al lordo delle perdite;
  • sul reddito di allevamento di animali, di produzione di vegetali e di attività agricole connesse si prende in esame il reddito d’impresa forfettario al lordo delle perdite.

Società di persone, i redditi da considerare per ottenere il fondo perduto perequativo

Per le società di persone che vogliano beneficiare dei contributi a fondo perduto per le perdite subite a causa del coronavirus, si distinguono:

  • le società a contabilità ordinaria, semplificata e in regime di Tonnage tax per le quali si considera il reddito d’impresa al lordo delle perdite per il 2019 e 2020;
  • per le attività di lavoro autonomo il reddito analitico;
  • sugli allevamenti di animali, produzione di vegetali e attività agricole connesse il reddito d’impresa forfettario al lordo delle perdite;
  • sulle società agrarie il reddito agrario imponibile.

Dichiarazione dei redditi Enti non commerciali ai fini del fondo perduto perequativo

I redditi degli enti non commerciali ai fini della richiesta degli aiuti a fondo perduto riguardano per il 2019 e 2020:

  • il reddito degli enti a contabilità ordinaria, semplificata e contabilità pubblica va preso al lordo delle perdite;
  • nel caso di lavoro autonomo si considera il reddito analitico al lordo delle perdite;
  • per gli enti che hanno reddito da allevamenti di animali o da produzione di vegetali e attività agricole connesse si fa riferimento al reddito di impresa forfettario al lordo delle perdite;
  • dei redditi agrari degli enti non commerciali si prende il reddito imponibile.

Richiesta contributi a fondo perduto per le società di capitali

Per la richiesta dei contributi a fondo perduto delle società di capitali, i redditi da considerare per il 2019 e 2002 sono:

  • nel caso di reddito di impresa, si considera l’analitico al lordo delle perdite;
  • le società sportive dilettantistiche devono considerare il reddito forfettario al lordo delle perdite;
  • per il regime di Tonnage tax si considera il reddito d’impresa forfettario al lordo delle perdite.

Società: tutte le forme per una scelta consapevole

Aprire una società è possibile, ed è spesso il sogno di molti giovani. Ma prima di farlo è meglio capire realmente le caratteristiche delle varie tipologie offerte dall’ordinamento italiano. Una breve guida per capirne gli aspetti e fare una scelta consapevole.

Società: esistono quelle di capitali e di persone

Attraverso il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune, di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili (Art.2247 c.c.). Pertanto, gli elementi essenziali sono:

  • il conferimento da parte dei soci;
  • l’esercizio in comune di un’attività economica;
  • lo scopo di dividerne gli utili e quindi ottenere un vantaggio patrimoniale per i soci.

Proprio perché sia la società di capitali che di persone sono di tipo lucrativo. Tra queste rientrano le società semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice, per azioni, a responsabilità limitata, in accomandata per azioni ed a responsabilità limitata uni personale. In tutti i casi si parla di società dotate di partita iva e proprio marchio.

Società e la figura dell’imprenditore

Prima di ogni cosa è perno di un’impresa la figura dell’imprenditore. Attraverso le aziende individuali vengono gestite le attività di modeste dimensioni. Al suo interno la struttura organizzativa è semplice e concentrata principalmente nella figura dell’imprenditore. Colui che ha spesso avuto l’idea imprenditoriale, che vuole svilupparla ed dedicare ad essa il suo lavoro.

Le scelte gestionali sono molto legate all’esperienza, al coraggio e all’intuizione personale del titolare. Spesso anche il raggio di azione è limitato nello spazio, ma è anche vero che è idee imprenditoriali semplici, sono spesso diventate leader di mercato. Tra le altre forme di piccola impresa vi è:

  • l’impresa familiare, nella quale uno o più membri della famiglia lavorano insieme e collaborano in modo continuativo prestando la loro attività come occupazione principale;
  • l’impresa coniugale, costituita dopo il matrimonio ed esercitata dai coniugi in regime di comunione dei beni;
  • l’associazione in partecipazione, nella quale l’imprenditore associante attribuisce all’associato solo un determinato apporto. In cambio ne ha una partecipazione agli utili.

A volte però le imprese crescono così tanto che si ha bisogno in un assetto manageriale più qualificato e l’ampliamento delle dimensioni rappresenta una necessità. In alcuni casi, se non cresce non sopravvive. In questo caso allora è meglio esaminare altri tipi di società.

Società di persone e capitali: alcune differenze

Le società di persone sono dotate di autonomia patrimoniale. Ciò vuol dire che il patrimonio della società è distinto da quello dei soci e su di esso dovranno innanzi tutto rifarsi i creditori sociali. Ma se il patrimonio risultasse insufficiente, per le obbligazioni sociali, rispondono anche i soci con il loro patrimonio personale, in modo illimitato e solidale. Rientrano in questa categoria: la società semplice, in nome collettivo, ed in accomandita semplice. Mentre le sono nelle società di capitali sono dotate di personalità giuridica e quindi per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società stessa con il suo patrimonio. Fanno parte di questa categoria le società per azioni, a responsabilità limitata ed in accomandita per azioni.

Le società & il principio di responsabilità

Se si considera la posizione di ogni singolo socio nei confronti delle obbligazioni sociali, cioè il loro grado di responsabilità, si può fare un’altra distinzione:

  • Società a responsabilità illimitata: nella quale i soci rispondono illimitatamente per le obbligazioni sociali (società in nome collettivo, identificate con l’acronimo snc);
  • Società a responsabilità limitata: nelle quali per le obbligazioni sociali risponde unicamente la società con il suo patrimonio (società per azioni, cioè S.p.A., e società a responsabilità limitata, cioè Srl);
  • Società a responsabilità mista: in cui alla responsabilità della società si aggiunge quella del singolo soci (società in accomandita semplice, cioè sas, oppure in accomandita per azioni, sapa).

Società cooperative: cosa sono e perchè sono differenti?

Accanto alle società fin ora elencate vi sono anche le società cooperative. Queste a differenza delle precedenti hanno un fine mutualistico. Ciò vuol dire che nell’offrire ai propri soci beni o servizi, ma anche occasioni di lavoro a condizioni più vantaggiose di quelle di mercato. Nelle società cooperative, inoltre, il capitale è detto variabile, in quanto le variazioni del loro capitale sono un fatto di normale amministrazione, mentre nelle società lucrative la situazione è differente. Infatti, nelle società di persone e di capitali, il capitale è detto fisso, perché l’entità del loro capitale è stabilita nel contratto sociale e può variare solo a causa di una sua modifica.

La scelta del tipo di società da cosa dipende?

A questo punto quando si vuole aprire una società occorre chiedersi, quale sia la tipologia che meglio si adatta alle esigenze dell’imprenditore. E’ evidente che la scelta della forma societaria con cui l’azienda si costituisce, va ben ponderata. Alcuni fattori da valutare possono essere:

  • la dimensione dell’impresa, in termini di bisogno finanziario di cui la nuova attività necessita. Se si ha bisogno di grossi capitali, allora la scelta di una società di capitali potrebbe essere scontata. Mentre se si tratta di un’impresa di tipo artigianale, magari basta una snc.
  • la responsabilità dei soci, cioè il grado di rischio che ogni socio vuole assumersi. Questo è sicuramente più alto nelle società di persone, piuttosto che in quelle di capitali;
  • la possibilità di ottenere finanziamenti, ad esempio posizionando le proprie azioni sul mercato. Ad esempio, le sapa possono finanziarsi collocando sul mercato obbligazioni di loro emissione.

Ma attenzione anche a valutare l’organizzazione amministrativa che si vuole adottare, il trattamento fiscale previsto per ogni tipologia, perché ogni società è dotata di caratteristiche specifiche. E se non si conosco bene, c’è il rischio di chiudere bottega subito dopo averla aperta. Pertanto, avere le idee chiare fin da subito e capire, attraverso un buon business plan, dove si vuole arrivare, può essere una scelta ottimale.

Dichiarazione redditi, ecco i modelli

Ora è fatta, l’Agenzia delle Entrate ha approvato i rimanenti modelli per dichiarazione redditi che ancora restavano sospesi: Irap 2015, Unico 2015 Persone Fisiche (PF), Società di capitali (Sc), Società di persone (Sp), Consolidato nazionale e mondiale (Cnm), Enti non commerciali (Enc).

Un tour de force concluso grazie all’approvazione di diversi provvedimenti per la dichiarazione redditi da parte del direttore delle Entrate il 30 gennaio. Alcune delle principali novità riguardano il modello Unico Pf 2015, nel quale trovano spazio il bonus Irpef riconosciuto in busta paga ai lavoratori dipendenti con reddito complessivo non superiore a 26mila euro, la detrazione del 19% per giovani agricoltori under 35 e l’Art-Bonus.

Inoltre, all’interno dei modelli per la dichiarazione redditi Unico Enc e Sp, gli enti non commerciali e le società semplici che decidono di effettuare erogazioni liberali a favore della cultura utilizzano anch’esse l’Art-Bonus per ridurre l’Ires dovuta (Unico Enc) o da trasferire ai soci (Unico Sp).

Finanziamenti alle imprese dal Banco di Brescia

In tema di accesso al credito da parte delle imprese, il Banco di Brescia propone una vasta gamma di finanziamenti a tassi agevolati, a seconda delle esigenze di chi li richiede.

Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta:

400% SOSTEGNO E SVILUPPO è un finanziamento che sostiene le imprese a realizzare i propri progetti grazie ad investimenti fissi e altre risorse sia da parte del titolare o dei soci dell’impresa.
E’ un finanziamento adatto a coloro che fanno parte delle imprese artigiane e tutti coloro che appartengono al settore merceologico.

Le caratteristiche di questo finanziamento sono:

  • 4 volte il capitale conferito dal titolare e dai soci fino ad un importo pari a 500.000 € massimo;
  • durata 60/84 mesi con un preammortamento di tipo facoltativo, le rate saranno mensili o trimestrali però costanti;
  • tasso variabile o fisso.

200% RAFFORZAMENTO DELLA STRUTTURA PATRIMONIALE è adatto alle imprese che vogliono essere competitive tramite il rafforzamento della struttura patrimoniale.
Questo finanziamento vale per le società di capitali o di persone e imprese individuali che appartengono a tutti i settori.

Le caratteristiche sono:

  • importo da finanziare e circa di 300.000 € per le società di persone e imprese individuali, mentre è di 1.000.000 di € per le società di capitali;
  • durata da 36 a 84 mesi, rimborso mensile o trimestrale rate posticipate e costanti;
  • tasso variabile.

200% RICAPITALIZZAZZIONE IMMEDIATA serve a sostenere il rafforzamento patrimoniale dell’azienda mediante la distribuzione degli importi pari a due volte l’aumento del capitale versato dai soci.

Le caratteristiche sono:

  • importo pari ad un massimo di 4.000.000 €;
  • durata  36/60 mesi compreso il preammortamento che vale 12 mesi;
  • tasso variabile o fisso;
  • garanzie a discrezione della banca stessa.

Vera MORETTI

La crisi colpisce le società di persone

di Vera MORETTI

Le società di capitali, soprattutto quelle a responsabilità limitata, sono aumentate in Lombardia del 7,6% negli ultimi 4 anni e dell’1,5% nel 2011.

A registrare una maggiore crescita sono state le provincie di Mantova, +14,7%, Monza e Brianza, +14,2%, Bergamo, +13,8, e Pavia, +12,9%.
Periodo felice anche per le cooperative, aumentate, sempre secondo le stime degli ultimi 4 anni, del 18% a Bergamo, del 14,1% a Como e dell‘11% a Milano.

Tutto ciò a discapito delle società di persone, che sono calate, dal 2007, del 6,7%, con una ripresa che le ha portate a -0,1% nel 2011. Ad arginare i dati negativi sono i risultati provenienti da Sondrio, +0,5%, Bergamo, +0,4%, Lecco e Milano, entrambe a +0,2%.

Questi numeri sono stati discussi presso la Camera di Commercio di Milano in occasione del convegno: “Le diverse forme dei soggetti economici in Italia: modelli di crescita e nuove forme di cooperazione”.
Ciò che è emerso è che la crisi ha penalizzato pesantemente le società di persone, e modelli alternativi di governance rispetto a quelli tradizionali. A fare questa scelta, infatti, sono state solo le società per azioni non quotate, che dunque preferiscono un sistema di amministrazione e controllo di tipo monistico. Questo sistema sembrerebbe contraddistinguere società caratterizzate da una maggiore presenza di soci azionisti persone fisiche mentre nelle società con sistema di governance dualistico sembra siano i soci persone giuridiche a prevalere.
Oltre a ciò, c’è chi punta sull’appoggio a revisori esterni per la contabilità aziendale e dimostra di avere un certo interesse verso le emissioni di titoli di debito per le srl.

La musica cambia, invece, quando si tratta di società di capitali, che hanno registrato un aumento record del 23% in quasi cinque anni, e delle cooperative, forti di un +10,3% nello stesso lasso di tempo, a discapito di una flessione del 5,8% delle società di persone dal 2007 ad oggi.

Bruno Ermolli, Presidente dell’Osservatorio sul Diritto Societario della Camera di Commercio di Milano, ha dichiarato:

L’impegno del nostro Osservatorio che riunisce gli esponenti del mondo economico, sociale, istituzionale ed accademico riguarda il monitoraggio che realizziamo periodicamente sulla base di dati raccolti sia a livello locale che nazionale. Questi dati sono stati presentati nel corso di un’apposita “conferenza”, quest’anno dedicata all’impatto della crisi sulle imprese.
Un compito che riguarda il ruolo della Camera di commercio, che in seguito alla legge 580/93, ha anche il potere di proposta normativa per quanto riguarda il sistema delle imprese.
Gli Osservatori della Camera di commercio di Milano sono nati dieci anni fa proprio allo scopo di “ascoltare” le attese delle imprese in materia di normativa societaria, promuovere in fase ante-promulgazione il soddisfacimento di eventuali attese normative che vengono dalle imprese ed offrire al sistema delle imprese assistenza nell’interpretazione della normativa
”.

PEC: è obbligatorio esibirla?

di Vera MORETTI

La Posta Elettronica Certificata, la ormai conosciutissima PEC, è diventata obbligatoria per le società di persone e capitali iscritte al Registro delle Imprese. Questo, è diventato un dato di fatto.

Ma, la domanda che ora ci si chiede è: è obbligatorio pubblicare l’indirizzo della propria PEC sul sito web e sulla carta intestata aziendale? Insomma, la PEC diventa uno dei dati che, al pari del numero di partita Iva, deve essere esposto su tutte le pagine, cartacee e non, che riguardano la propria attività?

Per le persone fisiche, tale obbligo non sussisterebbe, a detta degli avvocati, mentre, per quanto riguarda il sito web aziendale, dovrebbe sempre apparire, per mantenersi in linea con gli obblighi di trasparenza da parte dell’impresa.

Lo conferma anche l’articolo 2050 del Codice Civile, che stabilisce che “le società che dispongono di uno spazio elettronico destinato alla comunicazione, collegato a una rete telematica ad accesso pubblico, sono chiamate a fornire, attraverso tale mezzo, tutte le informazioni relative alla sede sociale, al numero di iscrizione al Registro delle Imprese, al capitale sociale, all’eventuale stato di liquidazione, e all’eventuale dichiarazione di società a socio unico“.

E l’indirizzo di Posta Elettronica Certificata, che ormai è sempre più associato all’indirizzo fisico dell’azienda, fa parte di questi. E’ come se tale indirizzo avesse valore uguale e alternativo all’indirizzo della sede legale della società.

Questa tesi è sostenuta anche in base all’articolo 7 del decreto legislativo 70/2003, che prevede l’obbligo di rendere facilmente accessibile anche l’indirizzo di posta elettronica, quando ancora non si trattava di PEC.

Quindi, la risposta è sì, ogni homepage di siti web aziendali dovrebbe recare, tra gli altri dati, anche questo ma, per fare ordine, occorrerebbe l’intervento del legislatore che sancisca in modo esplicito l’obbligo di pubblicazione della PEC negli atti, nella corrispondenza e sulla pagina web del proprio sito.