Dichiarazione di successione telematica, come funziona e come fare tutto da soli

Quando si perde un proprio caro occorre presentare la dichiarazione di successione. Questo se il defunto lascia agli eredi in vita terreni, fabbricati o anche solo dei soldi sul conto corrente o sul libretto di risparmio. Ormai la digitalizzazione dei servizi che le Pubbliche amministrazioni offrono, ha portato anche la dichiarazione di successione alla versione digitale. Ed è un adempimento che un contribuente può benissimo effettuare da solo, tramite i servizi digitali dell’Agenzia delle Entrate.

Dichiarazione di successione on line, la guida

La dichiarazione di successione è un adempimento a carico dei familiari di un defunto, che si rende necessario quando c’è un lascito di beni durevoli come possono essere fabbricati, terreni. Ma come vedremo lo è allo stesso modo quando il defunto lascia beni mobili quali possono essere dei soldi in banca o alle Poste. La dichiarazione di successione è un adempimento a cui sono chiamati gli eredi del defunto. L’adempimento ha una scadenza precisa che è quella dei 12 mesi dalla data di morte di quello che in gergo si chiama De Cuius. La data di morte per quanto riguarda l’adempimento diventa quella di apertura della successione. Ed è da quella data che inizia il calcolo dei 12 mesi. Se si lascia scadere questo termine, la successione può ancora essere presentata, ma ci sono da versare le sanzioni, che poi scompaiono se la si presenta dopo 5 anni dalla data di morte.

Gli eredi che devono presentare la successione sono i cosiddetti chiamati all’eredità o legatari. Nello specifico sono:

  • Tutti gli eredi che non hanno espresso la volontà di rinunciare all’eredità;
  • Tutti i chiamati all’eredità;
  • I legatari.

La dichiarazione può essere presentata anche solo da uno dei soggetti prima citati, ed anche tramite il proprio cassetto fiscale e l’area riservata dell’Agenzia delle Entrate. Come al solito, accessibile con SPID, CNS o CIE. Restano aperti tutti i canali precedentemente prestabiliti, quindi:

  • Tramite i servizi in rete dell’Agenzia delle Entrate;
  • Tramite un intermediario qualsiasi purché abilitato;
  • Presso un CAF (Centro di assistenza Fiscale);
  • Direttamente agli sportelli dell’Agenzia delle Entrate (ma ultimamente molte sedi territoriali pretendono l’uso della dichiarazione telematica su dispositivi tecnologici quali chiavette o CD).

La ricevuta di avvenuta presentazione

Anche utilizzando il canale telematico, la presentazione della dichiarazione di successione è avvalorata da una ricevuta di avvenuta presentazione. Dopo essere entrati sul sito dell’Agenzia delle Entrate, ed essersi autenticati, bisogna inserire nello specifico i dati anagrafici del defunto, la data di morte e il suo codice fiscale. L’anagrafica da inserire è quella del soggetto dichiarante, cioè dell’erede chiamato alla presentazione della dichiarazione. Anche in questo caso i dati anagrafici del richiedente. Poi si passa all’asse ereditario, con i dati anagrafici di ogni erede con i rispettivi indirizzi di residenza. Infine vanno inseriti i dati catastali dei beni durevoli e non e infine vanno inseriti i dati riepilogativi e specifici di conti correnti, libretti di risparmio e così via. In presenza di debiti, anche questi vanno messi nella successione, così come eventuali titoli azionari.

Le imposte e come pagarle

La dichiarazione di successione serve anche per pagare le tasse e le relative imposte. Infatti a carico degli eredi ricade l’onere di pagare le tasse sulla dichiarazione di successione. Nel caso in cui tra i beni lasciati dal defunto ci sia un  immobile, occorre versare le imposte. Si tratta di imposta ipotecaria, imposta catastale, imposta di bollo e dei vari tributi speciali.

Tramite la procedura on line del Fisco oltre a presentare la dichiarazione è possibile effettuare il versamento di queste imposte fornendo l’Iban.

Occorre versare  le imposte ipotecarie e catastali che sono pari rispettivamente al 2% e all’1%. Se gli eredi sono i parenti in linea retta o il coniuge, l’imposta è pari al 4%. Esiste però una franchigia di 1.000.000 di euro. Se la successione riguarda fratelli e sorelle, l’aliquota è del 6% e la franchigia scende a 100.000 euro.   Aliquota al 6% per altri parenti fino al 4°grado o per gli affini in linea retta e gli affini in linea collaterale fino al 3°grado, e senza franchigia. Aliquota dell’8% per qualsiasi altro erede.

Quali sono i vantaggi della dichiarazione di successione online

L’Agenzia delle Entrate, tra le dichiarazioni precompilate, non permette di trasmettere solo il 730 ed il modello Redditi con i dati precaricati, ma pure la dichiarazione di successione. Sul sito Internet delle Entrate, infatti, c’è il portale della dichiarazione di successione precompilata con accesso tramite identità digitale. Vediamo allora, rispetto alla modalità tradizionale, come funziona la dichiarazione di successione online. E, soprattutto, quali vantaggi questa offre.

Dichiarazione di successione precompilata via web, cos’è e come funziona

Nel dettaglio, la dichiarazione di successione online è una procedura web che risulta essere in parte già compilata. Dato che ci sono presenti tutti i dati e tutte le informazioni che sono in possesso da parte dell’Agenzia delle Entrate.

La piattaforma per la dichiarazione di successione online presenta delle interfacce che sono accessibili e intuitive. E quindi il cittadino può procedere con la dichiarazione di successione online in maniera non solo rapida e semplice, ma anche guidata. Dato che la procedura web permette passo dopo passo di completare il percorso dichiarativo in maniera organica e sequenziale.

In particolare, tra i dati precaricati nella domanda di successione online ci sono, prima di tutto, quelli anagrafici e quelli relativi ai contatti. Ovverosia, il telefono, l’indirizzo e-mail e la PEC. Ma ci sono pure i dati sui terreni e sui fabbricati. Nonché i dati sui pagamenti già effettuati quando, con la successione online, il cittadino è chiamato a presentare una dichiarazione di successione che è sostitutiva di una che è stata già presentata.

Ecco quali sono tutti i vantaggi della dichiarazione di successione online

Il vantaggio legato alla scelta della procedura web per la dichiarazione di successione non è legato solo alla presenza dei dati precaricati. Senza dover tra l’altro installare alcun software, infatti, con la dichiarazione di successione online la segnalazione degli errori è immediata.

Così come il calcolo delle somme da versare in autoliquidazione è automatico. In più, con la dichiarazione di successione online si acquisisce l’attestazione di avvenuta presentazione della dichiarazione, così come le ricevute telematiche acquisite si possono visualizzare e si possono stampare in qualsiasi momento.

Come si accede via web al servizio del Fisco relativo alla dichiarazione di successione online

Su come si accede via web al servizio del Fisco relativo alla dichiarazione di successione online, come sopra accennato, è necessario il possesso di un’identità digitale. Il portale dell’Agenzia delle Entrate, sulla dichiarazione di successione online, è accessibile tramite autenticazione con il Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID). Oppure con la Carta di Identità Elettronica (CIE). Oppure ancora muniti di Carta Nazionale dei Servizi (CNS). In più, per l’utilizzo della procedura web ‘Dichiarazione di successione’, l’Agenzia delle Entrate mette a disposizione pure il file in formato PDF con le istruzioni per la compilazione.

Cosa succede quando un minore eredita un’azienda?

I minori, come già visto in precedenza, possono ereditare dei beni, sia a titolo di successione testamentaria sia in caso di successione senza testamento. Quando si tratta di beni di facile gestione, tutto è più semplice, mentre possono esservi difficoltà nel caso in cui si tratti di un’attività commerciale, un’azienda. Ecco cosa succede quando un minore eredita un’azienda.

Ordinaria amministrazione e straordinaria amministrazione

La legge prevede che quando è necessario gestire beni dei minori, chi esercita la responsabilità genitoriale o i tutori devono occuparsi dell’ordinaria amministrazione, questa è inerente gli atti che non possono mettere a rischio il patrimonio del minore. Nel caso in cui invece gli atti possano mettere a rischio il suo patrimonio, i genitori per poter agire hanno bisogno dell’autorizzazione del giudice tutelare.

L’articolo 320 del codice civile in modo esplicito afferma che l’accettazione dell’eredità fa parte degli atti di straordinaria amministrazione. Da ciò discende la prima conseguenza, cioè il minore per poter ereditare un’azienda deve ottenere l’autorizzazione del tribunale previo parere del giudice tutelare. Il giudice concede l’autorizzazione quando ritiene che questa possa essere utile al minore. L’accettazione di eredità da parte del minore è sempre con il beneficio dell’inventario, questo implica che di eventuali debiti del de cuius, il defunto, il minore risponderà esclusivamente con i beni ereditati e non con beni propri.

Superato questo primo scoglio dobbiamo capire una volta che il minore è diventato proprietario dell’azienda chi ha il compito di gestirla e quali sono i limiti della gestione.

Minore eredita un’azienda: chi la gestisce?

Sempre l’articolo 320 stabilisce che il minore può essere autorizzato alla continuazione dell’esercizio di impresa, ma per poterlo fare deve ottenere prima l’autorizzazione del tribunale dietro parere favorevole del giudice tutelare. Al fine di tutelare l’attività stessa in attesa della decisione del tribunale è possibile l’esercizio provvisorio dell’attività stessa, ma previa autorizzazione provvisoria del giudice tutelare.

Già da questa prima fase emerge con tutta evidenza che il legislatore vuole tutelare l’interesse del minore e la produttività dell’impresa stessa, cioè la sua capacità di produrre reddito.

Come funziona la gestione dell’azienda del minore?

La gestione dell’azienda segue le regole ordinarie, quindi i genitori con responsabilità genitoriale si occupano dell’ordinaria amministrazione fino al compimento della maggiore età del figlio. In questo caso si parla anche di genitori in qualità di rappresentanti legali del minore. Per gli atti di straordinaria amministrazione, ad esempio chiusura dell’attività, alienazione della stessa o di un ramo, fusione, trasferimento dell’azienda, trasformazione, occorre l’autorizzazione del tribunale.

L’articolo 324 del codice civile invece stabilisce che i genitori esercenti la responsabilità genitoriale hanno anche l’usufrutto sui beni del figlio e i frutti sono destinati al mantenimento della famiglia e all’istruzione dei figli. Questo implica che i frutti possono essere utilizzati anceh per le esigenze dei fratelli di colui che ha ereditato.

Minore eredità un’azienda: quali sono i limiti all’usufrutto legale?

In base all’articolo 324 del codice civile, l’usufrutto sui beni del minore e quindi anche sull’azienda non nasce neanche nel caso in cui i genitori avevano manifestato il loro dissenso all’accettazione dell’eredità e di conseguenza la stessa sia stata accettata dal tutore su autorizzazione del tribunale. Nel caso in cui uno solo dei genitori era favorevole all’accettazione dell’eredità, solo a costui spettano i frutti. In base all’articolo 326 del codice civile l’usufrutto legale, cioè previsto per legge, come quello dei genitori sui beni del figlio, non può essere oggetto di alienazione, pegno o ipoteca, inoltre sullo stesso non possono trovare soddisfazione di creditori dei genitori.

Dei limiti sono previsti anche nel caso in cui il genitore esercente la potestà genitoriale passi a nuove nozze, in questo caso non può usare i frutti per le esigenze della famiglia, ma solo per le esigenze del minore mentre i restanti utili devono essere accantonati per i figli.

Naturalmente sugli atti compiuti dai genitori possono essere effettuati dei controlli, infatti l’articolo 330 del codice civile afferma che il giudice può pronunciare la decadenza della responsabilità genitoriale se questo viola o trascura i suoi doveri, inoltre può disporre l’allontanamento del figlio.

Limiti del tutore

Nel caso in cui i genitori non esercitino la responsabilità genitoriale, oppure siano venuti meno, l’amministrazione dei beni spetta al tutore, ma questo ha dei limiti diversi rispetto a quelli dei genitori. In questo caso si deve fare riferimento all’articolo 374 del codice civile il quale stabilisce che il tutore senza l’autorizzazione del tribunale non può provvedere a riscuotere capitali, consentire alla cancellazione di ipoteche o allo svincolo di pegni, assumere obbligazioni, salvo che queste riguardino le spese necessarie per il mantenimento del minore e per l’ordinaria amministrazione del suo patrimonio.

Naturalmente al tutore non si può riconoscere il diritto al godimento dei frutti prodotti dal bene del minore.

Per saperne di più sulla gestione dei beni del minore, leggi gli articoli:

Amministrazione e vendita beni di minori: come ci si deve comportare

Il minore emancipato: lavorare non basta per ottenere il riconoscimento

Buoni fruttiferi postali cointestati: cosa succede in caso di morte

I buoni fruttiferi postali sono considerati da sempre un investimento sicuro e negli anni passati hanno avuto molto successo in quanto avevano tassi di interesse davvero ragguardevoli con importi che in pochi anni si moltiplicavano. Nel tempo però non sono mancate dispute in quanto la disciplina non è sempre chiara. In questo caso parleremo di un’importante sentenza della Corte di Cassazione, la n° 24639 del 2021, recentissima che ha fatto chiarimenti sul rimborso dei buoni fruttiferi postali cointestati in caso di morte di uno dei cointestatari.

Buoni Fruttiferi Postali coitestati con clausola “pari facoltà di rimborso”

Quante persone nel tentativo di liquidare un buono fruttifero postale hanno ricevuto un diniego da parte del dipendente di Poste Italiane SPA perché il cointestatario era deceduto e quindi il buono doveva ricadere in successione? Sicuramente tanti e molti hanno proceduto seguendo le indicazioni del dipendente. In realtà tale comportamento potrebbe essere stato sbagliato. Ecco i chiarimenti della Corte di Cassazione. 

Vi è l’abitudine di intestare i buoni fruttiferi postali sempre ad almeno due soggetti, (spesso genitore/figlio o tra coniugi) si ritiene che questo sia un comportamento più prudente ed è da dire che in questo caso che vedremo, questa opinione davvero diffusa ha le sue buone ragioni. Nel caso concreto, due coniugi avevano “acquistato” in buono fruttifero postale cointestandolo con la clausola “pari facoltà di rimborso” in applicazione dell’articolo 2021 del codice civile (legittimazione del possessore). Questa implica che ciascuno dei cointestatari può liquidare il buono autonomamente, basta presentarlo presso l’ufficio postale.

Il caso: diniego di liquidazione dei Buoni Fruttiferi postali al cointestatario superstite

Nel nostro caso dopo la morte di uno dei cointestatari con pari facoltà di rimborso, l’altro proprietario/coniuge decide di riscuotere il Buono e Poste Italiane SPA, attraverso il dipendente, afferma che per liquidare il 100% del montante occorre una quietanza congiunta degli eredi del cointestatario deceduto, in quanto il 50% dovrebbe ricadere in successione.

Il coniuge superstite decide quindi di proporre ricorso presso il Giudice di Pace di Cosenza che sposa la tesi di Poste Italiane e conferma il rimborso al 50%. A questo punto il coniuge superstite propone appello verso tale decisione presso il Tribunale di Cosenza che invece stabilisce che occorre rimborsare il 100% in virtù della clausola “pari facoltà di rimborso”.

Secondo il Tribunale la clausola “pari facoltà di rimborso” vigente per contratto quando le parti sono entrambe in vita, devi ritenersi valida ed effettiva anche in seguito alla morte di uno dei cointestatari. Infatti, secondo il Giudice affermare la necessità di ottenere una quietanza congiunta degli eredi vorrebbe dire togliere valore alla clausola “pari facoltà di rimborso” andando oltre la volontà dello stesso congiunto. Sottolinea inoltre che non c’è nessuna previsione normativa che indichi il venir meno automatico del valore di tale clausola.

Aggiunge quindi che Poste Italiane non può rifiutarsi di rimborsare il 100% del Buono alla semplice presentazione dello stesso da parte del cointestatario e se anche dovesse esservi una lesione dei diritti degli eredi, ciò riguarda i rapporti tra coeredi che dovranno quindi risolvere loro in altra sede.

La pronuncia della Corte di Cassazione: Poste Italiane deve rimborsare i Buoni cointestati “A Vista”

Poste Italiane SPA propone un ricorso avverso tale decisione e da qui arriva l’importante pronuncia della Corte di Cassazione in materia, ricordiamo n° 24639 del 2021.

Poste Italiane nel suo ricorso chiede l’applicazione dell’articolo 187 del d.P.R. numero 256 del 1989, concernente i libretti di risparmio, ai buoni postali fruttiferi, come previsto dall’articolo 203 dello stesso decreto. L’articolo 187 stabilisce che le somme depositate in libretti postali cointestati possono essere liquidate con con quietanza di tutti gli aventi diritto . Il successivo articolo 203 delle stesso decreto stabilisce che l’articolo 187 si applica anche ai buoni fruttiferi postali, ma precisa che si applica solo se “non sia diversamente disposto dalle norme del presente titolo VI”.

La differenza che però c’è da notare è che in realtà in questo caso specifico non si è di fronte a un ordinario buono, ma a uno con “pari facoltà di rimborso” e quindi con una disciplina specifica. Di conseguenza, secondo la Corte di Cassazione non si tratta di prodotti che possono essere considerati omogenei alla stregua dei libretti di risparmio postali e quindi non si applica l’articolo 203, già citato.

I Buoni Fruttiferi Postali non entrano in successione

La Corte di Cassazione va oltre, infatti Poste Italiane nel suo ricorso avverso la sentenza del Tribunale evidenzia anche un’altra cosa e cioè che i buoni dovrebbero entrare in successione e che di conseguenza su di essi si applica l’articolo 48 del Testo Unico sull’imposta sulle successioni e donazioni. Dilungarsi in questa sede sul contenuto del citato articolo creerebbe confusione, deve solo essere rilevato che la Corte di Cassazione è di contrario avviso.

Sottolinea che “ai fini dell’imposta di successione, i buoni risultano equiparati ai Titoli di Debito di Stato, che come tali non rientrano nell’attivo ereditario “ e a suffragare questa tesi, che darà sollievo a tante persone, la Corte di Cassazione cita la Risoluzione del 13 luglio 1999 n.115 – Min. Finanze – Dip. Entrate Aff. Giuridici Serv. IV, in cui viene sottolineato che i buoni fruttiferi postali sono da equiparare aTitoli di Debito Pubblico e di conseguenza esclusi dall’attivo ereditario. L’erede deve comunque presentare la dichiarazione di esonero (comma 7 dell’articolo 28 del T.U. n. 346/90 ).

Sintesi

I principi che possono ricavarsi in sintesi da questa fondamentale sentenza sono:

  1. Se si è cointestatari di buoni fruttiferi postali con clausola “pari facoltà di rimborso” e uno dei cointestatari muore, Poste Italiane, e quindi i suoi dipendenti, non può negare il rimborso totale a vista del buono stesso comprensivo anche di interessi maturati;

     2. I buoni fruttiferi postali non rientrano nella successione e di conseguenza non ci sono gli oneri previsti per la successione stessa;

    3. se vi sono questioni ereditarie tra coeredi non devono interessare Poste Italiane, i coeredi possono risolverli con gli altri strumenti previsti da legge la questione.

Vuoi saperne di più sui Buoni Fruttiferi Postali? Leggi la guida: Rendimenti Buoni Fruttiferi Postali, simulazioni e prospettive future

Regime dei beni acquisiti dopo il matrimonio: non tutti sono in comunione

La normativa italiana prevede che dopo il matrimonio i coniugi abbiano come regime patrimoniale quello della comunione del beni, fatta salva la possibilità, al momento della celebrazione del matrimonio, di optare per la separazione dei beni, oppure di scegliere successivamente con convenzione di aderire al regime di separazione dei beni. Molti erroneamente ritengono che tutti i beni acquisiti dopo il matrimonio rientrino nel regime di comunione dei beni, in realtà non è così, sono infatti esclusi molti beni. Ecco una disamina sul regime dei beni acquisiti dopo il matrimonio.

Beni acquisiti dopo il matrimonio: quando cadono in comunione

La comunione dei beni, come regime ordinario susseguente al matrimonio, è previsto dalla legge 151 del 1975 che ha in un certo senso rivoluzionato il diritto di famiglia, andando ad adeguare la normativa a quella che era ormai nuova considerazione di questo istituto da sempre considerato alla base di ogni società civile. Implica che normalmente i beni acquisiti dai coniugi dopo il matrimonio ricadono in comunione dei beni, cioè appartengono a entrambi. Questo principio ha riflessi su tutti gli atti dispositivi su tali beni che devono essere concordati e sottoscritti dalle parti e ricade eventualmente anche su una successiva divisione, ad esempio nel caso in cui i coniugi dovessero decidere separarsi e in seguito di sciogliere il vincolo matrimoniale.

La comunione dei beni è quindi automatica, cioè al momento dell’acquisto non occorre specificare che quel determinato bene si vuole far ricadere in comunione. Vi sono però dei beni che per la loro natura non ricadono nella comunione dei beni, ma restano nella proprietà esclusiva di chi li ha acquisiti.  Rientrano quindi nel patrimonio comune la casa acquistata successivamente al matrimonio, questo anche se di fatto è solo un coniuge a pagarla, il denaro presente su conto corrente o altre forme di risparmio, i debiti, sia se contratti congiuntamente che separatamente.

Beni acquisiti dopo il matrimonio che non ricadono nella comunione

I beni che restano in separazione dei beni nonostante il regime della coppia sia quello della comunione, sono quelli indicati negli articoli 177, 178 e 179 del Codice Civile. Si tratta di:

  • beni che appartenevano a ciascun coniuge prima del matrimonio (evidentemente perché erano stati acquisiti prima del matrimonio stesso;
  • beni ricevuti da ciascun coniuge dopo il matrimonio a titolo di successione o donazione (tali beni si considerano personali);
  • somme che ricadono tra i risarcimenti danni, ad esempio nel caso di sinistro stradale da cui derivano lesioni personali, se si ottiene il risarcimento danni, questo appartiene al solo coniuge che effettivamente ha subito il sinistro;
  • pensione di invalidità;
  • beni ad uso strettamente personale o professionale (il computer ad esempio e in molti casi l’auto);
  • diritti di proprietà acquistati con denaro derivante dalla vendita di uno dei beni prima visti. Ad esempio se un coniuge riceve in eredità un appartamento e decide di venderlo per acquistare con quel denaro un’altra casa, evidentemente resterà di proprietà esclusiva del soggetto che aveva ereditato e questo anche nel caso in cui la nuova casa sia destinata alla residenza familiare.

Il coniuge eredita i beni in regime di separazione

Fatto questo elenco, è necessario fare qualche altra precisazione. In primo luogo il fatto che i beni non ricadano in comunione non vuol dire che in caso di morte del proprietario “esclusivo”, l’altro coniuge non erediti, anzi. In caso di decesso del proprietario esclusivo dei beni, sebbene questi, ad esempio la casa, siano di proprietà esclusiva di uno solo dei due coniugi, comunque l’altro coniuge eredita (insieme ai figli se vi sono).

Un altro caso emblematico si ha nel momento del divorzio. Ad esempio Tizio riceve una casa in eredità dal padre Caio, nella stessa va a vivere con la moglie con cui è in comunione dei beni. Questa casa resta di sua esclusiva proprietà, ma in caso di divorzio quella stessa casa potrà essere assegnata alla moglie se con lei sono collocati i figli, una volta che questi sono diventati economicamente indipendenti o comunque hanno lasciato la casa, perché si sono trasferiti per lavoro in un’altra città, la ex coniuge deve lasciare la casa e il diritto di proprietà precedente si espande nuovamente, può essere esercitato nuovamente dal legittimo proprietario che era stato allontanato.

La doppia natura del risarcimento danni

Un’altra nota deve essere fatta per il risarcimento danni: la prima differenza da fare è tra risarcimento del danno extracontrattuale e contrattuale. Il primo si ha quando tra i soggetti (danneggiante e danneggiato) non c’è alcun vincolo, ad esempio in caso di sinistro stradale: il risarcimento è personale e non ricade nella comunione dei beni. Il secondo caso è quello del danno contrattuale, quindi quando due parti hanno un accordo e da quello nasce il diritto al risarcimento, che potrebbe ricadere in comunione. Con degli esempi risulta più semplice.

Se il dentista sbaglia un intervento e danneggia il cliente, la responsabilità è contrattuale, ma il risarcimento è personale e questo perché la prestazione è strettamente personale e in favore esclusivo del singolo coniuge. Nel caso di un commercialista che nello svolgere il suo operato compie degli errori che ricadono economicamente sul cliente e sulla sua famiglia, siamo nel campo del risarcimento danno contrattuale, ma in questo caso il risarcimento cade in comunione dei beni.

La natura del risarcimento da sinistro al coniuge superstite

Un altro caso è quello del risarcimento da parte di un’assicurazione in favore del coniuge, si faccia il caso di un soggetto che purtroppo muore in un sinistro, il coniuge può chiedere il risarcimento del danno, ma non perché è in comunione dei beni, ma semplicemente perché eredita il risarcimento al defunto (jure hereditatis), inoltre può chiedere un risarcimento danni jure proprio per il patema d’animo che lui ha subito dalla perdita. La Corte di Cassazione ha stabilito nei confronti di alcune categorie di congiunti, tra cui il coniuge, il convivente more uxorio e i figli, questo patema d’animo si presume, quindi non c’è neanche bisogno di provarlo, Corte di Cassazione sentenza 23725 del 16 settembre 2008. Mentre se i coniugi sono separati il giudice deve valutare caso per caso non potendo presumersi tale patema d’animo ( Corte di Cassazione n°10393 del 2002).

 

Eredità azienda di famiglia, ecco come gestire il passaggio generazionale

Per un’azienda di famiglia, nell’ambito del diritto successorio, è possibile gestire in Italia il passaggio generazionale da vivi? La risposta è affermativa in quanto, a partire dal 2006, nel nostro Paese, ed in particolare nell’ordinamento giuridico, sono stati introdotti i cosiddetti patti di famiglia.

Il patto di famiglia, nello specifico, permette all’imprenditore, che in genere è il capofamiglia, di trasferire da vivo la proprietà dell’azienda ad uno o più discendenti. Senza che, in questo modo, possano poi esserci delle contestazioni in sede di eredità.

Come funzionano i patti di famiglia per gestire ai sensi di legge il passaggio generazionale

Il patto di famiglia, essendo in tutto e per tutto un atto pubblico, si stipula dinanzi al notaio, e sancisce il trasferimento dell’impresa di famiglia con effetto immediato. Pur tuttavia, il capofamiglia che detiene tutte le quote dell’impresa non può presentarsi dal notaio da solo. Ma devono essere presenti pure e comunque almeno tutti coloro che sono i potenziali e legittimi beneficiari. Per esempio, nella stipula di un patto di famiglia deve essere presente il coniuge ed i figli. Come se in quel momento non si dovesse far altro che aprire la successione.

I legittimari, nell’ambito della stipula di un patto di famiglia, possono rinunciare in tutto o in parte alle quote spettanti dell’impresa di famiglia. Oppure possono ottenere, sempre in ragione delle quote spettanti, la liquidazione da parte degli altri legittimari. Una liquidazione che può essere in denaro ma anche in natura. Ovverosia, ricevendo altri beni al posto del cash.

Eredità azienda con patto di famiglia, cosa può succedere all’apertura della successione?

All’apertura della successione, il patto di famiglia stipulato in vita dinanzi al notaio ha piena efficacia. Pur tuttavia, potranno presentarsi nuovi legittimari a chiedere la loro parte spettante. Per esempio, i nuovi figli ma anche un nuovo coniuge. In tal caso, cosa succede? Nella fattispecie, riporta il sito Internet del Consiglio Nazionale del Notariato, i nuovi legittimari avranno il diritto a chiedere la liquidazione in denaro o in natura della parte che spetta loro ai sensi di legge.

Come e quando un patto di famiglia si può sciogliere oppure si può modificare

Sempre in presenza di un notaio, l’atto pubblico che è rappresentato dal patto di famiglia può essere modificato oppure può essere sciolto. In particolare, con la modifica del patto di famiglia originario si va e stipulare, sempre tramite un atto pubblico, il nuovo patto di famiglia. Oppure, se nel patto di famiglia originario è previsto, i legittimari possono pure esercitare il diritto di recesso.

Ma per farlo, con una comunicazione e quindi con una dichiarazione agli altri contraenti il patto di famiglia, servirà sempre la presenza del notaio. Dal punto di vista prettamente normativo, l’istituto giuridico che è rappresentato dal patto di famiglia è disciplinato in Italia dalla Legge numero 55 del 14 febbraio del 2006. Ed anche dal codice civile in corrispondenza degli articoli che vanno dal 768-bis al 768-octies.

Rinuncia all’eredità: caratteristiche, limiti e procedura

Si è visto che il diritto successorio prevede diverse tipologie di eredi, cioè i legittimari, gli eredi legittimi e, infine, coloro che sono designati come eredi dal de cuius, ma cosa succede se non si vuole beneficiare dell’eredità? Semplicemente basta effettuare la rinuncia all’eredità.

Cos’è la rinuncia all’eredità

La rinuncia all’eredità è una manifestazione di volontà con cui un soggetto (erede legittimo o designato dal testatore) decide di rinunciare.  La rinuncia all’eredità è però un atto molto importante proprio per questo la legge stabilisce una procedura specifica per poterla effettuare, la stessa è indicata nell’articolo 519 del codice civile che stabilisce: la rinuncia all’eredità deve farsi con dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario dove si è aperta la successione e inserita nel registro delle successioni.  La rinunzia fatta gratuitamente a favore di tutti coloro ai quali si sarebbe devoluta la quota del rinunziante non ha effetto finché, a cura di alcuna delle parti, non siano osservate le forme indicate nel comma precedente.

In poche parole non si può semplicemente dire al proprio fratello che si vuole rinunciare all’eredità, il tutto deve essere formalizzato.

Perché rinunciare all’eredità

Un soggetto può avere diversi motivi per rinunciare all’accettazione dell’eredità, spesso questa manifestazione di volontà è dovuta alla consapevolezza che il passivo supera l’attivo e che quindi l’eredità stessa non basterebbe a pagare i debiti lasciati dal de cuius. In altri casi si può trattare di una rinuncia all’eredità dovuta a motivi morali, ad esempio nel caso in cui i rapporti in vita con quel determinato soggetto non erano amichevoli/cordiali. Un altro motivo che spinge spesso a rinunciare all’eredità è il tentativo di favorire un’altra persona facendo in modo che l’eredità passi direttamente a lui, evitando così di avere 2 successioni consecutive. Ad esempio se Tizio è figlio unico e, alla morte del padre Caio, vuole favorire il figlio Sempronio, può rinunciare alla propria eredità per favorire il figlio.

Questa strada è utilizzata molto anche per salvaguardare il patrimonio, ad esempio nel caso in cui un soggetto abbia un figlio e una moglie ma vuole favorire il figlio evitando che parte dell’eredità del proprio genitore vada al proprio coniuge,  rinunciando all’eredità può fare in modo che tutta la quota passi direttamente al figlio per intero.  Non mancano i casi in cui la rinuncia all’eredità sia un tentativo di evitare che i propri creditori possano aggredire l’eredità, ma come si è già visto, questi possono impugnare la rinuncia all’eredità.

La normativa stabilisce che la rinuncia all’eredità non si possono applicare termini e condizioni (elementi accidentali del contratto), cioè la rinuncia è un atto puro art.520 codice civile.

I termini per l’accettazione dell’eredità

I termini per la rinuncia all’eredità sono gli stessi previsti per l’accettazione e quindi la rinuncia può essere eseguita entro 10 anni dall’apertura della successione. Naturalmente termini così lunghi possono lasciare nell’incertezza molti soggetti, ad esempio se si eredita un fondo agricolo, la mancata accettazione immediata porta i terreni a essere abbandonati (comportarsi come erede e curarli vuol dire che l’accettazione è tacita) oltre al danno economico per sé, ci può essere un danno economico anche per il vicino ( ad esempio nel caso in cui le sterpaglie provocassero un incendio). Proprio per questi motivi la legge ha previsto dei correttivi:  la rinunzia all’eredità deve essere effettuata in termini più brevi in alcuni casi particolari.

Erede in possesso dei beni

Nel caso in cui l’erede sia già nel possesso dei beni deve entro 3 mesi dall’apertura della successione fare l’inventario degli stessi ed entro ulteriori 40 giorni deve dichiarare se intende accettare l’eredità. Nel caso in cui non ottemperi a tali oneri  il soggetto viene considerato erede e perde sia la possibilità di rinunciare all’eredità, sia quella di accettare con beneficio dell’inventario.

L’azione interrogatoria

Alcuni soggetti potrebbero essere interessati a sapere prima che siano trascorsi 10 anni se un determinato soggetto intende o meno accettare l’eredità e quindi possono proporre un’azione interrogatoria. La stessa è prevista dall’articolo 481 del codice civile che stabilisce: “Chiunque vi ha interesse può chiedere che l’autorità giudiziaria fissi un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinunzia all’eredità. Trascorso questo termine senza che abbia fatto la dichiarazione, il chiamato perde il diritto di accettare“.

L’obiettivo dell’azione interrogatoria è perseguire la certezza dei rapporti giuridici che per il legislatore, si è già visto più volte, è essenziale.

Cosa succede in seguito alla rinuncia all’eredità

Quando si rinuncia alla propria quota di eredità aumentano le quote degli altri eredi, ciò in base all’articolo 521 del codice civile “Chi rinunzia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato , è ovvio che eliminando un soggetto che avrebbe diritto, crescono le quote degli altri. Deve però essere sottolineato che la rinuncia all’eredità non va ad influire su eventuali legati o su donazioni (la donazione è atto tra vivi). Ciò in linea generica, deve però essere fatta una distinzione tra successione legittima, in assenza di testamento, e successione testamentaria. Nella successione legittima si applica l’articolo 522 del codice civile che stabilisce: Nelle successioni legittime la parte di colui che rinunzia si accresce a coloro che avrebbero concorso col rinunziante, salvo il diritto di rappresentazione e salvo il disposto dell’ultimo comma dell’art. 571.

Il diritto di rappresentazione si applica nel caso in cui il rinunciante sia solo uno degli eredi, ad esempio un figlio in concorso con altri figli, in questo caso la sua quota passa per rappresentazione, ad esempio a un figlio di colui che rinuncia, e in assenza di questi, agli ascendenti. Nel caso in cui non ci siano discendenti e ascendenti del rinunciante, la quota va ad accrescere l’eredità degli altri.

Rinunzia all’eredità in caso di successione testamentaria

Nel caso di successione testamentaria, possono verificarsi diverse ipotesi, la prima è che il testatore abbia già previsto una possibile rinuncia all’eredità e quindi abbia nominato un sostituto, nel caso in cui non siaprevisto il sostituto, si applica il criterio della rappresentazione (art.467 codice civile La rappresentazione fa subentrare i discendenti nel luogo e nel grado del loro ascendente, in tutti i casi in cui questi non può o non vuole accettare l’eredità o il legato), quindi eredita l’eventuale figlio di colui che rinuncia, infine la quota va ad accrescere quella degli altri coeredi.

 

Successione d’azienda, ecco tutto quello che c’è da sapere per gestire il passaggio

Quella della successione d’azienda è operazione che è sempre molto delicata, e che spesso può avere delle ricadute anche rilevanti sul piano fiscale. In linea generale, per la successione d’azienda le complessità da affrontare, tra l’altro, sono quelle legate pure al tipo di azienda per la quale c’è da gestire la successione.

Dalla successione d’azienda nel caso di ditta individuale alla successione d’azienda nel caso di società di persone, e passando per la successione d’azienda in caso di società di capitali. Inoltre, cosa accade se per la successione d’azienda gli eredi sono più di uno? Ecco allora tutto quello che c’è da sapere per gestire il passaggio.

Ecco tutto quello che c’è da sapere sulla successione d’azienda

Quando una o più persone ereditano un’aziende causa morte, a valere è il cosiddetto principio di neutralità fiscale. In pratica, i valori di carico dell’azienda nei riguardi degli eredi sono gli stessi di quelli fiscalmente riconosciuti al de cuius.

Inoltre, supponendo la continuazione aziendale, cosa succede se gli eredi di un’azienda sono più di uno? In tal caso questi ai sensi di legge costituiscono una società di fatto che, entro un anno, dovrà poi essere regolarizzata. Ovverosia, andando a costituire una società di capitali oppure una società di persone.

La successione d’azienda in caso di ditta individuale

In caso di ditta individuale, in assenza di testamento, tutti gli eredi sono soci con le quote paritarie. Il passaggio è automatico anche se magari uno degli eredi non è interessato all’attività. Entro un anno, come sopra accennato, la società deve essere regolarizzata con un atto costitutivo. Altrimenti si rischiano delle sanzioni pesanti specie se nella successione d’azienda in caso di ditta individuale ci sono inseriti in patrimonio degli immobili.

La successione d’azienda in caso di società di persone

Per la successione d’azienda in caso di società di persone, per esempio una S.N.C., la situazione potenzialmente si complica in base alle caratteristiche della compagine societaria. E precisamente se trattasi di una S.N.C. che è composta da due soci, oppure di una S.N.C. con figli e con o senza estranei, ovverosia soci senza vincoli di parentela.

Inoltre, per la successione d’azienda in caso di società di persone si guarda sempre ai patti sociali che sono stati stipulati. Per esempio, nei patti sociali di una S.N.C. possono essere state inserite delle clausole di continuazione anche obbligatorie in caso di decesso di uno dei soci. Così come possono essere presenti pure delle clausole di successione che sono automatiche.

La successione d’azienda in caso di società di capitali

Per la successione d’azienda in caso di società di capitali, il principio generale è quello della libera circolazione delle partecipazioni mortis causa. Pur tuttavia, ai sensi di legge, questo principio generale può essere bypassato tramite il testamento oppure in base ai contenuti dello statuto. Per esempio, nelle società per azioni in genere nello statuto c’è la cosiddetta clausola di gradimento. Un diritto di opzione, sostanzialmente, per l’acquisizione delle quote dell’azionista defunto a favore degli soci superstiti.

Come funziona la successione dei beni?

La successione è una procedura giuridica con la quale, alla morte di una persona, il suo patrimonio viene trasferito agli eredi. E’ bene sottolineare che, oltre ai beni e ai crediti, ne fanno parte anche i debiti.

Come funziona la successione dei beni?

Per prima cosa, precisiamo che esistono due tipi di successione: la testamentaria e la legittima. Come si evince dal termine, il primo caso prevede l’esistenza di un testamento valido. Il secondo sussiste proprio in mancanza di disposizioni testamentarie da parte del testatore, in tal caso, la successione segue l’iter di legge.

Il notaio rappresenta la figura professionale che provvede al disbrigo burocratico inerente la successione, sin dall’inizio. In primo luogo, il professionista rende noto agli eredi la tipologia di successione. In presenza di un testamento che contiene uno o più lasciti, sono chiamati all’eredità anche i legatari.

La procedura di successione inizia con l’apertura del testamento (se presente) oppure del documento di legittima. Il notaio procede con la comunicazione della ripartizione dell’eredità tra gli eredi, verificando la qualità degli stessi. Infine, questi possono decidere di accettare la successione in modalità semplice o con beneficio d’inventario.

Successione testamentaria

In molti casi, il de cuius decide di programmare la successione redigendo un testamento, nel quale sono contenute le ultime sue volontà inerenti la distribuzione dei beni mobili e immobili, ma anche disposizioni morali. La legge prevede che una parte dell’eredità (quota di legittima) è destinata obbligatoriamente al coniuge, ai figli, e ai discendenti dei figli a prescindere dalla loro presenza o meno nel testamento. In assenza di figli subentrano gli ascendenti della persona defunta, ovvero i genitori.

Successione legittima

In mancanza di un testamento all’apertura della successione, tutti i beni che compongono l’eredità vanno ripartiti tra i legittimi eredi, così come previsto dal codice civile. Quindi, essa avviene sulla base della linea ereditaria che prevede il coniuge del defunto e i figli, primi beneficiari. In loro assenza, si procede in base al grado di parentela, fino al sesto.

Eredità: accettazione e rinuncia

Indipendentemente dal tipo di successione (testamentaria o legittima), gli eredi sono chiamati a decidere se accettare l’eredità o rinunciare. Quest’ultima opzione non è poi così rara e solitamente si verifica quando i debiti del defunto superano il valore dei beni e dei crediti.

Come già accennato, in caso di accettazione dell’eredità si deve distinguere tra due modalità. La prima è denominata pura e semplice in quanto prevede il subentro a pieno titolo dell’erede nel patrimonio della persona deceduta. Quindi, accettando di pagare anche gli eventuali debiti. La seconda consiste nell’accettazione con beneficio d’inventario che possono esercitare solo gli eredi minorenni e i soggetti incapaci. Per questo motivo, non sono obbligati a pagare i debiti facenti parte dell’eredità.

Con riferimento alla scelta di rinunciare all’eredità, essa si può concretizzare alla presenza di un notaio.

Dichiarazione di successione e imposte

In caso di accettazione dell’eredità, è necessario presentare la dichiarazione di successione all’Agenzia delle Entrate, entro e non oltre 12 mesi, a partire dalla data di dipartita della persona defunta. La presentazione può avvenire tramite un intermediario abilitato, presso l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate competente territoriale, oppure per via telematica ottenendo la copia originale.

La dichiarazione di successione non è obbligatoria se l’eredità del defunto non comprende beni immobili o diritti reali immobiliari, il suo patrimonio netto non supera il valore di 100.000 euro e gli unici eredi sono il coniuge e i figli.

L’Agenzia delle Entrate, dopo aver ricevuto la dichiarazione di successione determinerà le imposte dovute sui beni e sui crediti. Il relativo importo varia a seconda del grado di parentela e del valore del patrimonio ereditato.

E’ da sottolineare che se gli eredi sono coniuge e figli, le imposte non vanno pagate in caso di complessivo valore dei beni fino a 1.000.000 euro per ciascun erede. Invece, fratelli e sorelle godono di una franchigia pari a 100.000 euro ognuno.

I beni inclusi nella successione

I beni presi in considerazione ai fini del calcolo delle imposte sono i seguenti:

  • Immobili;
  • aziende, aeromobili, navi;
  • partecipazioni sociali;
  • pensioni e rendite;
  • conti correnti e altri crediti di sorta;
  • titoli il cui reddito è stato indicato nell’ultima dichiarazione dei redditi presentata dal defunto;
  • beni mobili e titoli al portatore posseduti dalla persona defunta o depositati presso altri a suo nome (es. Cassette di sicurezza);
  • denaro, gioielli e mobili per un importo pari al 10% dell’asse ereditario netto (dichiarato per un importo minore o non dichiarato).

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Come si presenta la dichiarazione di successione integrativa?

Per le dichiarazioni di successione già presentate, ai sensi di legge è possibile effettuare l’integrazione. Ovverosia andando ad aggiungere, per esempio, beni mobili, liquidità e beni immobili. E questo vale non solo per una, ma anche per più dichiarazioni di successione presentate in precedenza. Ed allora, come si presenta la dichiarazione di successione integrativa?

Ecco come si presenta la dichiarazione di successione integrativa e cosa può succedere

Per la presentazione della dichiarazione dei redditi integrativa è necessario recarsi presso l’ufficio territoriale del Fisco dove è stata presentata la prima dichiarazione di successione. Dopodiché, integrando la dichiarazione di successione è molto probabile che ci siano delle tasse aggiuntive da pagare.

Questo succede, per esempio, quando, rispetto alla prima dichiarazione di successione, in quella integrativa sono stati inseriti altri immobili. In tal caso, infatti, in funzione dei nuovi valori, scatterà una maggiore imposizione fiscale che può spaziare dalle imposte ipotecarie e catastali alle imposte di bollo, e passando per eventuali tributi speciali se questi sono dovuti.

Ma c’è pure il caso in corrispondenza del quale nel passaggio dalla prima dichiarazione di successione alla dichiarazione di successione integrativa non ci sono tasse aggiuntive da pagare e quindi da versare al Fisco. Questo accade, per esempio, quando nella dichiarazione di successione integrativa si aggiunge solo liquidità. Nella fattispecie, non sono dovute imposte se, con un massimo fino a 100.000 euro, nella successione il denaro va al coniuge oppure ai parenti in linea retta.

Per evitare, dopo la prima, di presentare poi una o più dichiarazioni di successioni integrative, la soluzione migliore è sempre quella di analizzare bene l’intero asse ereditario sia per il patrimonio mobiliare, sia per quel che riguarda il patrimonio immobiliare. Nel farlo, per esempio, è possibile avvalersi della consulenza legale di un avvocato.

Come e quando si presenta la dichiarazione di successione

Dalla data di apertura della successione, data che in genere coincide con la data del decesso, la dichiarazione di successione, da parte degli eredi, deve essere presentata al Fisco entro un termine massimo di 12 mesi.

Per la presentazione della dichiarazione di successione è possibile recarsi presso l’ufficio competente dell’Agenzia delle Entrate, oppure gli eredi possono presentare la dichiarazione di successione direttamente online utilizzando i canali telematici che sono messi a disposizione dal Fisco. Oppure ancora, la dichiarazione di successione può essere presentata all’Agenzia delle Entrate avvalendosi del supporto, dell’assistenza e della consulenza da parte di un intermediario abilitato.

Per la trasmissione online della dichiarazione di successione, il Fisco mette a disposizione dei contribuenti un apposito software che, attualmente, è aggiornato alla versione 2.0.2 del 25 marzo del 2021. Si tratta, nello specifico, del ‘Software di compilazione – Dichiarazione di successione e domanda di volture catastali‘.

Il software, fa sapere l’Agenzia delle entrate attraverso il proprio sito Internet, è compatibile per i seguenti sistemi operativi: Windows 10, Windows 8 e Windows 7; Mac OS X 10.7.3 e versioni superiori; e pure per il sistema operativo Linux optando possibilmente per le distribuzioni Fedora, Ubuntu e Red-hat 9. Per l’uso del software, inoltre, è necessario avere installato sul PC un applicativo che legge e che stampa i file in formato PDF.