Revisore legale/contabile: chi è e quando deve essere nominato?

L’articolo 2409 del codice civile stabilisce che “La revisione legale dei conti sulla società è esercitata da un revisore legale dei conti o da una società di revisione legale iscritti nell’apposito registro.” Ma chi è il revisore legale?

Chi è il revisore legale/contabile? Come si accede alla professione

Il revisore legale non deve essere confuso con il commercialista, si tratta infatti di due figure professionali diverse. Il revisore legale è un professionista esperto in bilancio, contabilità, scritture contabili, conosce le norme che si applicano alle scritture contabili ed è quindi in grado di determinare se le stesse sono correttamente tenute. Si tratta di un soggetto laureato in materie in area economica, giuridica o aziendale, ha svolto un tirocinio almeno triennale presso un revisore contabile e ha superato l’esame per l’abilitazione alla professione e quindi per l’iscrizione nel registro dei revisori legali/contabili tenuto presso il MEF (Ministero dell’Economia e delle Finanze) . Per essere iscritti è necessario avere requisiti di onorabilità.

Il revisore legale può essere una figura esterna alla società, la normativa infatti prevede che nelle società di capitali il controllo contabile sia esercitato da una società esterna iscritta nel Registro.

Nel caso in cui la società non abbia l’obbligo di redigere il bilancio consolidato e non abbia controllate, la revisione contabile può essere affidata al collegio sindacale, ma solo nel caso in cui tutti i membri del collegio siano a loro volta iscritti presso il Registro tenuto dal MEF.

In quali casi deve essere nominato il revisore legale?

La nomina del revisore legale è obbligatoria nelle società tenute alla redazione del bilancio consolidato (obbligatorio per i gruppi di società), per le società che controllano a loro volta una società tenuta alla redazione del bilancio consolidato, inoltre è obbligatoria nel caso in cui sia superati determinati parametri. Gli stessi sono stati aggiornati con il decreto legislativo 14 del 2019 entrato in vigore il 16 marzo 2019.

È prevista la nomina nel caso in cui la società abbia almeno 20 dipendenti, inoltre nel caso in cui l’attivo patrimoniale superi i 4 milioni di euro o i ricavi superino i 4 milioni di euro. Basta superare uno di questi due parametri per due anni di seguito per essere sottoposti ad obbligo di nomina del revisore legale.

L’obbligo cessa quando per 3 esercizi consecutivi nessuno dei parametri ora visto ( numero dei dipendenti, valore del patrimonio, valore dei ricavi ) supera la soglia prevista. In ogni caso le società non obbligate alla nomina del revisore contabile possono volontariamente nominarlo.

Riforma del Terzo Settore e nomina del revisore legale

In seguito alla riforma del Terzo Settore, è stata prevista la nomina del revisore contabile anche per questa tipologia di soggetti, come le Associazioni Sportive Dilettantistiche. In questo caso cambiano però i limiti perché l’obbligo scatta nel caso in cui:

  • il totale dell’attivo dello stato patrimoniale superi di 110.00 euro ;
  • ricavi, rendite, proventi, entrate comunque denominate: 220.000,00 euro;
  • i dipendenti superino il numero di 5 unità.

Nel caso precedente la nomina può essere in favore dell’organo di controllo dello stesso ente, ma è necessario che i membri dell’organo di controllo siano iscritti all’albo dei revisori. Scatta però l’obbligo di nominare un revisore legale esterno nel caso in cui siano superati per due esercizi consecutivi uno dei seguenti limiti:

  • totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 1.100.000,00 euro;
  • ricavi, rendite, proventi, entrate comunque denominate: 2.200.000,00 euro;
  • dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 12 unità.

Compiti del revisore legale/contabile

Quando è necessario nominare un revisore legale, nei casi in cui le sue funzioni non possono essere svolte dal collegio sindacale, è sempre la società a decidere chi nominare. I compiti del revisore legale/collegio sindacale in funzione di revisore legale sono:

  • verificare periodicamente la regolare tenuta delle scritture contabili e la corretta rilevazione nelle scritture contabili dei fatti di gestione;
  • verificare se il bilancio di esercizio corrisponde alle scritture contabili e se rispetta le norme di legge;
  • redigere una relazione sul bilancio di esercizio.

Il giudizio sul bilancio si esercizio può avere questi risultati:

  • senza rilievi se non vi sono errori;
  • con rilievi se il bilancio di esercizio è attendibile, ma difforme in alcuni aspetti alla normativa oppure vi sono delle anomalie ;
  • negativo quando il bilancio di esercizio non rispetta le norme previste;
  • infine, vi è la possibilità per il revisore legale di effettuare la dichiarazione di impossibilità nel caso in cui per la gravità degli errori nella tenuta sia impossibile effettuare i controlli, in questo caso deve essere immediatamente comunicata tale “anomalia” alla Consob.

8 per mille, 5 per mille e 2 per mille: caratteristiche, cumulo e beneficiari

E’ in procinto di apertura la stagione della dichiarazione dei redditi e come sempre in questo periodo molti sono i dubbi che attanagliano gli italiani, tra questi vi è la destinazione della quota disponibile dell’Irpef e cioè 8 x 1000, 5 x 1000 e 2 x 1000. Vedremo quindi le caratteristiche e la possibilità di cumulo tra tali destinazioni.

L’8 per mille alle istituzioni religiose

Il legislatore mostra particolare sensibilità alle finalità etico – sociali e di conseguenza offre ai cittadini la possibilità di scegliere a chi devolvere una quota della propria imposta sul reddito delle persone ad enti che hanno finalità di particolare valore etico e sociale. La devoluzione più conosciuta è l’8×1000 che permette di devolvere una quota pari, appunto all’8 per mille del proprio Irpef a confessioni religiose. Le stesse possono accedervi in seguito legge ad hoc dello Stato italiano.

Il contribuente italiano può scegliere tra diverse confessioni, in primo luogo la Chiesa Cattolica, seguono Assemblee di Dio in Italia, Unione Italiana delle Chiese Avventistiche del 7° giorno, Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi, Chiesa Evangelica Luterana in Italia, Unione delle Comunità Ebraiche in Italia, Unione Cristiana Evangelica Battista in Italia, Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia e Malta ed Esarcato per l’Europa Meridionale, Chiesa Apostolica in Italia, Unione Buddhista Italiana, Unione Induista Italiana, Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai.

Ogni confessione sceglie poi quali finalità perseguire con la propria quota di destinazione, ad esempio l’Unione Buddhista Italiana si occupa di interventi culturali, sociali e umanitari in favore di Paesi terzi, attività assistenziale e di sostegno al culto. Il contribuente che non sceglie a quale ente devolvere il proprio 8 x 1000 è come se lo devolvesse allo Stato che però utilizzerà tale quota per attività socio – culturali, come interventi umanitari, assistenza ai rifugiati, conservazioen dei beni culturali.

Il 5 per  mille ad associazioni, enti di ricerca e Comuni

Un’altra scelta possibile è quella del 5 per 1000. In questo caso deve registrarsi una novità, infatti con l’entrata in vigore del RUNTS, Registro Unico Nazionale Terzo Settore, solo le associazioni iscritte in tale registro potranno essere destinatarie del contributo in oggetto. Anche in questo caso il contribuente deve scegliere e indicare in dichiarazione a chi vuole devolvere la propria quota di 5 per mille. Il contribuente può scegliere l’ONLUS a cui devolvere il proprio 5 per 1000 facendo riferimento ad associazioni a cui è particolarmente legato, ad esempio per la ricerca, in istituto ospedaliero, se non ha già scelto può visionare l’elenco degli enti accreditati sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che è possibile trovare al link https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/Terzo-settore-e-responsabilita-sociale-imprese/focus-on/Cinque-per-mille/Documents/ETS-accreditati-5×1000-in-data11042022.pdf

Il 5 x 1000 può essere devoluto anche alle Associazioni Sportive Dilettantistiche, ASD, sempre che siano accreditate. Inoltre può essere devoluto a Università e istituti di ricerca scientifica, al Comune di residenza per lo svolgimento di attività sociali, enti di promozione e tutela del patrimonio artistico culturale.

Il 2 per 1000 ai partiti

Il 2 per mille è invece la quota di imposta sui redditi che può essere destinata ai partiti.

Si possono cumulare 8 x mille, 5 x mille e 2 x mille?

Ora che abbiamo visto a chi si possono devolvere piccole quote della propria imposta Irpef, risolviamo altre criticità. La prima cosa da dire è che tale devoluzione può essere cumulativa, cioè il contribuente può scegliere di devolvere sia l’8 x 1000 sia il 5 x  1000, sia il 2 x 1000. Tale scelta non comporta per il contribuente alcun aggravio dal punto di vista fiscale. Si tratta di scelte opzionali, quindi se non viene effettuata la scelta, non c’è alcuna conseguenza per il contribuente.

Cosa succede se il contribuente non presenta la dichiarazione dei redditi perché esonerato? Anche in questo caso il contribuente può devolvere la propria quota di Irpef, in questo caso deve essere compilata solo la scheda allegata alla Certificazione Unica CU. Tale scheda può essere trasmessa tramite intermediario, ad esempio un professionista o il CAF di fiducia, oppure tramite il portale dell’Agenzia delle Entrate o infine tramite Poste Italiane consegnando in busta chiusa la scheda adeguatamente compilata. Poste Italiane provvederà a trasmetterla all’Agenzia delle Entrate.

Terzo Settore: come presentare la domanda per il fondo assistenza bambini oncologici

Il Fondo per l’assistenza ai bambini oncologici  nasce con la Legge 27 dicembre 2017 n. 205 all’articolo 1, comma 338 (legge di bilancio per il 2018) e di anno in anno ha ottenuto il rifinanziamento. Anche per il 2022 il Fondo per l’assistenza ai bambini oncologici è stato finanziato con un importo di 5 milioni di euro a cui si potrà accedere previa domanda entro le ore 12:00 del 29 aprile 2022. Le domande dovranno pervenire all’indirizzo di posta elettronica certificata dgterzosettore.div3@pec.lavoro.gov.it . Vediamo chi può accedere.

Il Fondo assistenza bambini oncologici

Con il decreto Direttoriale del 16 marzo 2022 si è proceduto ha rendere nota la disponibilità del Fondo per l’assistenza dei bambini affetti da malattia oncologica. Il fondo è istituito presso il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali. Possono accedervi le associazioni che svolgono attività di assistenza psicologica, psicosociologica e sanitaria in tutte le forme a favore dei bambini affetti da malattia oncologica e delle loro famiglie.

Terzo settore: come presentare la domanda per accedere al Fondo assistenza bambini oncologici

La domanda deve essere prodotta utilizzando i modelli disponibili alla pagina https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/Terzo-settore-e-responsabilita-sociale-imprese/focus-on/Volontariato/Pagine/Fondo-assistenza-bambini-affetti-da-malattia-oncologica.aspx

I documenti necessari

Vediamo ora tutti i documenti necessari per poter presentare la domanda, il primo è il Modello A viene utilizzato per proporre la domanda, nel caso in cui l’associazione lavori in partnerariato deve essere presentato anche il Modello A1 compilato dal rappresentante legale di ciascun partner. Deve essere presentato solo  nel caso in cui siano attivate delle collaborazioni gratuite il Modello A2. Ricordiamo che vi è incompatibilità tra l’attività di volontariato e il lavoro dipendente presso lo stesso ente, tranne alcune eccezioni. Per conoscerle, leggi l’articolo: Contratto di lavoro e volontariato sono incompatibili: ecco le eccezioni.

Il Modello B contiene invece le dichiarazioni sostitutive ex articoli 46 e 47 del D.P.R. n. 445/2000, si tratta di autocertificare il possesso dei dei requisiti di partecipazione prescritti dall’articolo 7 del D.M. n.175/2019.

Il Modello B1 ha l’obiettivo di certificare l’esperienza pregressa dell’associazione che richiede di poter accedere al Fondo per l’assistenza ai bambini oncologici. In questo modello devono essere elencate le attività svolte negli anni precedenti nell’attività di assistenza psicologica, psicosociologica e sanitaria in favore di bambini che hanno tali patologie e in favore delle loro famiglie. Si precisa che la mancata compilazione del modello B1 non comporta l’esclusione dai fondi. Mentre la mancata allegazione del modello B porta all’esclusione, questo deve essere compilato anche dagli enti partner.

Gli enti partecipanti dovranno inoltre allegare lo Statuto aggiornato e l’ultimo bilancio consuntivo approvato dagli organi statutari. In alternativa è possibile indicare anche semplicemente l’URL del sito dove tali documenti sono stati pubblicati.

Deve essere allegato il Modello C con la scheda anagrafica dell’associazione del Terzo Settore che vuole accedere al fondo. Il Modello D  invece indica il progetto che si vuole realizzare con l’uso dei fondi. Il modello D è il cuore del bando infatti è necessario che il progetto sia ben strutturato e che da esso rilevi l’effettiva utilità delle somme a cui si vuole accedere al fine di prestare assistenza psicologica e sanitaria ai piccoli pazienti e alle loro famiglie.

Infine, il Modello E indica il piano finanziario. Anche in questo caso occorre porre particolare attenzione alla redazione per evitare che possano esservi errori che portano all’esclusione dalla divisione dei fondi. La documentazione deve essere trasmessa in un unico file in formato word, excel o pdf.

Come inviare la documentazione

Il corretto invio si prova con la ricevuta di accettazione e la ricevuta di avvenuta consegna fornite dal gestore di posta elettronica. Ricordiamo che l’indirizzo a cui è necessario inviare la documentazione scaricabile dal sito del Ministero del Lavoro è: dgterzosettore.div3@pec.lavoro.gov.it e che il termine di scadenza è il 29 aprile 2022 alle ore 12:00. Ricordiamo che la PEC ha lo stesso valore legale della Raccomandata con ricevuta di ritorno.

Approfondimenti

Il Terzo Settore e il volontariato in genere sono essenziali per rendere il mondo migliore, ecco perché ci sono diverse forme di sostegno. Ricordiamo: Terzo settore: vuoi accedere al 5 per 1000? Propone la domanda entro l’11 aprile

Terzo settore: rinvio dell’entrata in vigore dell’IVA fino al 2024

 

 

Terzo settore: Vuoi accedere al 5 per 1000? Proponi la domanda entro l’11 aprile

I contribuenti al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi possono scegliere a chi devolvere il 5 per 1000. La scelta viene operata tra una lista di enti no profit del terzo settore aventi finalità sociali. Ciò che vediamo ora è come iscriversi in questa lista dei possibili destinatari del 5 per 1000.

Terzo settore: qual è il termine per presentare la domanda per accedere al 5 per 1000?

Scegliere a chi destinare il proprio 5 per 1000 vuol dire scegliere a quali enti del terzo settore devolvere il 5 per 1000 del proprio Irpef. Per molte associazioni di volontariato che svolgono attività culturali, sportive, o comunque altre tipologie di finalità sociali, si tratta della principale fonte di sostentamento e affianca le altre donazioni ricevute. L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato il 9 marzo 2022 il comunicato con cui sono chiariti termini e modalità per poter presentare la domanda per l’iscrizione tra gli enti beneficiari del 5 per 1000. La prima cosa da sottolineare è che c’è tempo fino all’ 11 aprile 2022 per poter procedere.

Deve essere ricordato che le organizzazioni non lucrative che sono già iscritte nell’elenco permanente delle Onlus non devono ripresentare la domanda. A coloro che non hanno l’onere di proporre l’istanza devono essere aggiunte le Associazioni Sportive Dilettantistiche ammesse l’anno scorso nell’elenco permanente 2022 pubblicato dal CONI.

Come presentare l’istanza per accedere al 5 per 1000?

Gli enti del terzo settore che invece vogliono essere inserite per la prima volta possono utilizzare la piattaforma dal giorno 9 marzo 2022 al giorno 11 aprile 2022.

Possono iscriversi anche le associazioni che avevano presentato istanza nel 2021 e non avendo i requisiti non sono state ammesse, naturalmente è necessario aver maturato i requisiti.

La domanda deve essere presentata telematicamente attraverso il software disponibile:

  • sul sito dell’Agenzia delle Entrate per le Onlus;
  • sul sito del CONI per le ASD (Associazioni Sportive Dilettantistiche).

Tutti gli altri enti del Terzo Settore che vogliono essere beneficiari del 5 per 1000 dovranno invece rivolgersi al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per il tramite dell’Ufficio del Registro Unico Nazionale del Terzo Settore .

Le tappe successive alla presentazione della domanda

Entro il 20 aprile 2022 saranno pubblicate sul sito dell’Agenzia delle Entrate e del Coni gli elenchi provvisori dei soggetti ammessi al beneficio. Entro il 2 maggio 2022 il rappresentante legale della Onlus o ASD che ha chiesto l’iscrizione potrà chiedere di apportare delle modifiche rivolgendosi alla direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate oppure all’Ufficio del Coni territorialmente competente.

Infine, entro il 10 maggio 2022 si provvede alla pubblicazione dell’elenco definitivo dei soggetti ammessi. Costoro potranno quindi partecipare al riparto dei contributi devoluti dai contribuenti. Per coloro che entro l’11 aprile non presentano l’istanza vi è comunque la possibilità di regolarizzare la posizione entro il 30 settembre 2022. Ciò però solo a patto di possedere i requisiti già alla data dell’11 aprile 2022. In questo caso è necessario rivolgersi agli uffici competenti per territorio.

Gli Enti del Terzo Settore negli ultimi anni sono stati oggetto di numerose modifiche, per un quadro d’insieme è possibile leggere gli approfondimenti:

Registro Unico Terzo Settore diventa operativo dal 23 novembre 2021

Registro Volontari Enti Terzo Settore: come cambia con le nuove regole 

Codice del Terzo Settore: cosa cambia per le associazioni culturali

 

Terzo Settore: rinvio dell’entrata in vigore dell’IVA fino al 2024

Il terzo settore negli ultimi anni è stato oggetto di numerosi interventi volti a uniformare la disciplina, particolare rilevanza hanno il codice del Terzo Settore e il Registro Unico Nazionale Terzo Settore RUNTS. Una delle riforme che più ha destato clamore è stata introdotta con il decreto legge 146/2021, questo prevedeva che dal primo gennaio 2022 le Associazioni di Promozione Sociale e le Associazioni di Volontariato, pur non svolgendo alcuna attività commerciale fossero, assoggettate ad IVA. Con la legge di bilancio 2022 c’è invece stato il rinvio dell’entrata in vigore dell’IVA fino al 2024. Vediamo i vari passaggi che hanno portato al rinvio.

Normativa su obbligo di applicazione IVA per gli Enti del Terzo Settore

La disciplina dell’applicazione dell’IVA anche alle operazioni compiute da OdV e APS deriva dalla normativa comunitaria, quindi l’Italia in un certo senso ha dovuto adottare queste misure. Infatti è in corso una procedura d’infrazione a carico dell’Italia, n° 2008 del 2010, proprio per non aver provveduto ad adeguare la disciplina del Terzo Settore e per violazione degli obblighi imposti dagli artt. 2, 9 della direttiva IVA (2006/112/CE).

In base alla disciplina dettata dal decreto fiscale le operazioni esentate ( ma da dichiarare ai fini IVA) sono per i servizi prestati e i beni ceduti dagli enti nei confronti dei propri soci, ad esempio corsi di formazione in favore degli associati. Questo naturalmente comporta sia un maggiore esborso a fronte di attività considerate socialmente utili, sia un aggravio dei costi di gestione con obbligo di tenuta dei registri IVA

La normativa prevede delle semplificazioni per le Organizzazioni di Volontariato (OdV) e per le Associazioni di Promozione Sociale (APS) che al permanere dei requisiti previsti dalla legge decidono di aderire al regime forfettario.

Naturalmente vista la situazione pandemica e le difficoltà a cui devono fare fronte gli Enti del Terzo Settore, i partiti hanno presentato diversi emendamenti volti a far slittare l’entrata in vigore dell’obbligo di pagare l’IVA per gli Enti del Terzo Settore.

Perplessità sul regime IVA per Enti del Terzo Settore

La portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore Vanessa Pallucchi ha espresso molte perplessità. Ha sottolineato come in realtà questa norma introdotta con il decreto fiscale 146/2021 non solo arreca un ingiusto danno alle associazioni, in particolare a quelle più piccole, ma non porta alcun vantaggio reale alle Casse dello Stato. Il regime IVA prevede, ad esempio, che debba essere applicata l’IVA sulla somministrazione di bevande e alimenti, ma se questa è in favore di indigenti, le operazioni sono esenti da IVA. Nonostante questo possa sembrare un vantaggio in realtà non lo è, infatti se le Associazioni sono escluse dal regime IVA non devono compiere adempimenti, ma nel momento in cui si parla di esenzione e non di esclusione, le operazioni devono essere dichiarate e quindi occorre comunque dotarsi di partita IVA e la tenuta dei Registri che comunque rappresentano costi.

Inoltre la portavoce critica il momento di introduzione dell’IVA che arriva nel corso dell’esecuzione degli adempimenti per l’iscrizione nel RUNTS con tutti gli oneri relativi ad eventuali cambi di Statuti da raccordare alla nuova disciplina. Ciò che molti contestano alla disciplina prevista dal decreto fiscale è il fatto che la norma non differenzia il regime IVA in base alla tipologia di prestazioni e alla tipologia di associazioni, o meglio in base allo scopo. Trattando in modo indifferenziato diverse realtà, da un lato si va oltre le richieste dell’Unione Europea creando un danno agli Enti del Terzo Settore e dall’altro si realizza un’ingiustizia sostanziale. Della disciplina del decreto fiscale sono inoltre contestati i tempi brevi tra l’approvazione di questa novità e i tempi di entrata in vigore, cioè già dal 1° gennaio 2022.

Rinvio dell’entrata in vigore dell’ IVA per il Terzo Settore fino al 2024

Con la legge di bilancio 2022 si è quindi provveduto a posticipare l’entrata in vigore dell’obbligo di dichiarazione IVA, tenuta dei registri e pagamento delle relative imposte fino al 2024. In realtà si spera nella scrittura di una nuova normativa che possa coinvolgere anche i diretti interessati.

Per saperne di più sulle nuove norme relative al Terzo Settore, puoi leggere:

Codice del Terzo Settore: cosa cambia per le associazioni culturali 

Registro Unico del Terzo Settore diventa operativo dal 23 novembre 2021

 

Come iscrivere all’anagrafe un’organizzazione non lucrativa di utilità sociale

In Italia il settore del no profit può avvalersi non solo di un regime tributario agevolato, ma anche di agevolazioni fiscali. Ma il tutto a parte di rispettare determinati requisiti. Per esempio, quando la società no profit rientra tra le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, allora per avvalersi delle agevolazioni e dei requisiti fiscali è necessaria l’iscrizione ad un’apposita anagrafe.

Vediamo allora come chiedere all’Agenzia delle Entrate l’iscrizione all’anagrafe delle Organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus). Con l’iscrizione che è importante per soggetti come le fondazioni, le associazioni e le società cooperative. Ma anche per i comitati e per altri enti che, di carattere privato, con o senza personalità giuridica, rispettano allo stesso modo i requisiti previsti e richiesti.

Come si iscrive all’anagrafe un’organizzazione non lucrativa di utilità sociale

Per iscrivere all’anagrafe un’organizzazione non lucrativa di utilità sociale occorre presentare un’apposita comunicazione all’Agenzia delle Entrate. Fermo restando che da tale adempimento sono escluse le organizzazioni non lucrative di utilità sociale che sono appartenenti alla categoria delle cosiddette ‘Onlus di diritto‘.

Come e quando le Onlus devono inviare la domanda di iscrizione all’anagrafe

Su apposito modello, che si può visionare e che si può scaricare in formato PDF dal sito Internet dell’Agenzia delle Entrate, l”organizzazione non lucrativa di utilità sociale deve presentare domanda di iscrizione all’anagrafe entro un termine massimo di 30 giorni dall’autenticazione o dalla registrazione dell’atto costitutivo o dello statuto.

Il modello di comunicazione, debitamente compilato e sottoscritto, deve essere inviato alla Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate che è competente a livello territoriale. Ovverosia, in base al domicilio fiscale del soggetto richiedente. Optando per la consegna all’ufficio del Fisco in duplice copia, oppure per l’invio tramite la raccomandata, in plico senza busta, con la ricevuta di ritorno.

Al modulo di comunicazione, inoltre, occorre allegare una copia dello statuto o dell’atto costitutivo. Oppure, in opzione, una dichiarazione sostitutiva attestante sia il possesso dei requisiti, sia le attività svolte dalla Onlus. Con la dichiarazione che deve essere sottoscritta dal legale rappresentante della Onlus.

L’invio del modulo di comunicazione di iscrizione all’anagrafe, in ogni caso, può essere inviato anche dopo il termine dei 30 giorni dall’autenticazione o dalla registrazione dell’atto costitutivo o dello statuto. Ma nella fattispecie le agevolazioni avranno efficacia solo a partire dalla data di presentazione della comunicazione stessa.

Quale sono le agevolazioni previste per le Onlus iscritte all’anagrafe

Le agevolazioni previste per le Onlus iscritte all’anagrafe spaziano dalle imposte dirette e indirette e fino ad arrivare all’Iva. Nel dettaglio, ai fini delle imposte indirette le Onlus iscritte all’anagrafe sono esentate da imposta di bollo e dalle tasse di concessione governativa.

Così come, per quel che riguarda l’Iva, le Onlus iscritte all’anagrafe sono esonerate dall’obbligo di emissione di scontrini fiscali e di ricevute per tutte le operazioni che sono riconducibili alle attività istituzionali.

Infine, per quel che riguarda le imposte dirette, tra l’altro, una Onlus iscritta all’anagrafe può ricevere contributi, da amministrazioni pubbliche, in regime convenzionale, senza che questi poi concorrano alla formazione del reddito.

Impresa sociale: cos’è e quali sono i vantaggi della sua costituzione

L’impresa sociale nasce con il decreto legislativo 112 del 2017. Si tratta di un Ente del Terzo Settore, ma sicuramente particolare, infatti può essere considerata una figura ibrida tra un’associazione e un’attività imprenditoriale a tutti gli effetti. Ecco le caratteristiche e quando conviene scegliere tale struttura per la propria attività.

Cos’è l’impresa sociale

Possiamo trovare la definizione di impresa sociale nell’articolo 1 del decreto legislativo 112 del 1917. Questo definisce l’impresa sociale come un ente privato, che può avere anche la forma di società. Deve esercitare in via stabile un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro con una gestione trasparente. Infine, è previsto il coinvolgimento dei lavoratori, gli utenti e gli altri soggetti interessati all’attività.

Emerge fin da subito che si tratta di un’attività d’impresa perché tale dicitura utilizza proprio l’articolo, ma che allo stesso tempo non deve esservi scopo di lucro. Solitamente queste due caratteristiche non si trovano insieme nello stesso ente ed è proprio qui la sfida. Emerge che è prevista la presenza di lavoratori, che però non restano semplicemente dei dipendenti, ma dei soggetti coinvolti anche nella gestione dell’attività, inoltre deve essere favorita la partecipazione di chi vi abbia interesse e quindi l’attività deve essere gestita nel modo più possibile inclusivo, vedremo a breve cosa comporta ciò.

L’articolo 1 del decreto ha però anche una connotazione negativa, cioè sono indicate anche le caratteristiche che un ente che voglia qualificarsi come impresa sociale non deve assolutamente avere. L’articolo stabilisce che non può trattarsi di società costituite da un unico socio persona fisica, inoltre non si può trattare di amministrazioni pubbliche e non vi possono essere limitazioni nell’erogazione di beni e servizi in favore di soli soci o associati. Tale limitazione deve essere letta in correlazione al fatto che come specifica il primo comma dell’articolo, l’impresa sociale deve conseguire un interesse generale

Si deve ritenere che l’esclusione di società unipersonali sia dovuta al fatto che verrebbe a mancare il principio solidaristico e la democraticità dell’impresa sociale stessa.

Nel continuare a definire l’impresa sociale occorre ricordare anche il comma 4 dell’articolo 1, questo stabilisce che le cooperative sociali e i loro consorzi acquisiscono di diritto la qualifica di imprese sociali.

Attività che possono essere svolte dall’impresa sociale

L’articolo 2 del decreto invece elenca le attività di impresa che possono essere esercitate dall’impresa sociale che ricordiamo opera nell’ambito del Terzo Settore:

  • interventi e servizi sociali; interventi e prestazioni sanitarie; prestazioni socio-sanitarie; educazione, istruzione e formazione professionale;
  • interventi volti alla salvaguardia dell’ambiente;
  • tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio;
  • formazione universitaria e post-universitaria;
  • ricerca scientifica di particolare interesse sociale;
  • organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale radiodiffusione;
  • organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse sociale, culturale o religioso;
  • formazione extra scolastica, volta anche ad evitare la dispersione scolastica, il bullismo e a contrastare la povertà educativa;
  • fornitura di servizi a imprese sociali e altri enti del terzo settore;
  • cooperazione allo sviluppo;
  • attività commerciali volte allo sviluppo del commercio equo e solidale;
  • servizi volti all’inserimento o al reinserimento nel mercato del lavoro;
  • alloggio sociale;
  • accoglienza umanitaria ed integrazione sociale dei migranti;
  • microcredito;
  • agricoltura sociale;
  • riqualificazione di beni pubblici inutilizzati o di beni confiscati alla criminalità organizzata

L’articolo 1 decreto sottolinea che nel caso in cui le attività dell’articolo 2 siano svolte da enti religiosi, anche questi possono ottenere la qualifica di impresa sociale.

Ulteriori requisiti per l’impresa sociale

Oltre al requisito oggettivo, cioè inerente all’attività svolta dall’impresa sociale, affinché possa essere riconosciuta tale qualifica è necessario avere in considerazione anche gli utili prodotti, infatti la qualifica sussiste se almeno il 70% dei ricavi deriva da tali attività. Sono considerate imprese sociali, indipendentemente dall’oggetto dell’attività quelle che: occupano lavoratori svantaggiati e persone con disabilità, questi devono rappresentare almeno il 30% dei lavoratori occupati.

L’impresa sociale per conservare tale qualifica deve comunque rispettare anche altri “limiti” in particolare l’articolo 3 del decreto stabilisce il divieto di ripartire gli utili, fondi e avanzi di gestione tra i soci, associati, collaboratori, amministratori, soci lavoratori e fondatori. Gli utili invece devono essere “investiti” in attività sociali e di interesse generale. Naturalmente amministratori, sindaci e chiunque rivesta cariche sociali possono avere dei compensi, ma devono essere proporzionati rispetto all’attività effettivamente svolta all’interno dell’impresa sociale.

Come si costituisce e vantaggi fiscali

L’impresa sociale deve essere costituita con atto pubblico e nella denominazione deve essere indicato in modo esplicito che trattasi di un’ “impresa sociale”.  E’ obbligata alla tenuta delle scritture contabili e deve pubblicare sul sito internet il bilancio sociale. Naturalmente a fronte di tali obblighi e restrizioni vi sono dei vantaggi, questi sono di tipo fiscale e sono correlati alle finalità sociali che sono perseguite dalle imprese sociali.

In primo luogo vi è una detassazione di utili e avanzi di gestione dell’impresa sociale. In favore delle imprese sociali è anche prevista la possibilità per le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano di disporre una riduzione o un’esenzione dal pagamento dell’IRAP. Trova invece applicazione i regime ordinario dell’IVA.

Le imposte di registro, ipotecaria e catastale si applicano in misura fissa sugli atti traslativi inerenti beni immobili che sono utilizzati direttamente dall’impresa sociale. Tale utilizzo deve avvenire nell’arco di 5 anni, in caso contrario si procede al recupero delle somme che avrebbero dovuto essere versate. In caso di donazioni o lasciti testamentari, le imprese sociali sono esonerate dal versamento dalle imposte sulle successioni e donazioni e da imposte ipotecarie e catastali. Vi è inoltre l’esenzione da imposte di bollo, concessioni governative e imposta sugli intrattenimenti e d esenzione da IMU e TASI relative agli immobili utilizzati a fini statutari.

Tra i vantaggi è bene ricordare che è ancora possibile richiedere il ristoro per gli enti del terzo settore

 

Ristori enti Terzo settore, si può presentare domanda da lunedì 29 novembre

In arrivo i ristori per gli enti non profit. Si potrà presentare da lunedì 29 novembre 2021 la domanda per gli aiuti agli enti del Terzo settore (Ets). La piattaforma telematica per l’invio delle istanze sarà a disposizione fino all’11 dicembre.

Ristori agli enti non profit, il decreto interministeriale del 26 novembre 2021

Si tratta di risorse da destinare agli enti che ne faranno richiesta dal Fondo straordinario degli enti del Terzo settore. Il decreto interministeriale che ha fissato gli aiuti da ripartire è stato firmato nella giornata di ieri, venerdì 26 novembre. I ristori andranno a sostenere gli enti non profit che, per l’emergenza sanitaria ed economica conseguente alla Covid-19, abbiano dovuto interrompere le proprie attività istituzionali.

Ristori agli enti non profit, quante risorse?

In tutto saranno 230 milioni di euro da destinare agli enti del Terzo settore. Venti milioni andranno agli enti non commerciali che rientrano nelle attività socio-sanitarie e socio-assistenziali. I ristori verranno assegnati agli enti sulla base delle domande che verranno presentate, nei limiti delle risorse assegnate. Per gli enti che abbiano dichiarato entrate per oltre 100 mila euro, l’entità del ristoro verrà aumentata del 30%.

Quali enti non profit possono presentare domanda dei ristori?

Gli enti che possono presentare domanda sono:

  • le Onlus;
  • le organizzazioni di volontariato;
  • le associazioni di promozione sociale (Aps).

Ciascun ente deve risultare iscritta nei registri in data anteriore rispetto al 25 dicembre 2020.

Come presentare la domanda di ristori per gli enti non profit?

La domanda dei ristori potrà essere presentata dagli enti del Terzo settore dal 29 novembre a sabato 11 dicembre 2021. Per inoltrare l’istanza è necessario utilizzare la piattaforma dedicata sul portale Servizi lavoro “Ristori enti terzo settore“. Il ministero del Lavoro, a completamento delle domande, individuerà  sia gli enti che potranno beneficiare dei ristori che l’ammontare spettante a ciascuna associazione.

Donazioni in natura: qual è la disciplina per i costi deducibili, l’Iva e i vantaggi fiscali?

Le donazioni in natura rappresentano sempre più un fenomeno sentito dalle imprese. Si tratta di erogazioni in natura che vanno a favore degli enti non profit. Tuttavia, è interessante seguire la normativa per quanto riguarda i costi deducibili, l’applicazione dell’Iva e la tassazione sui redditi. Inoltre, le donazioni in natura si possono elargire solo su un paniere di beni ben definito dalla normativa e verso enti identificati.

Beni dati in donazione: a chi bisogna fare la comunicazione della cessione?

La disciplina di riferimento è la legge numero 166 del 2016 (legge “Antisprechi”). All’articolo 16, contente disposizioni in materia di cessione gratuita di derrate alimentari, di prodotti farmaceutici e di altri prodotti a fini di solidarietà sociale, si legge che “le cessioni previste dall’articolo 10, 1° comma, numero 1 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, numero 633, sono provate con modalità telematiche da parte del cedente agli uffici dell’amministrazione finanziaria o ai comandi del Corpo della guardia di finanza competenti, con l’indicazione della data, dell’ora e del luogo di inizio del trasporto, della destinazione finale dei beni nonché dell’ammontare complessivo, calcolato sulla base dell’ultimo prezzo di vendita, dei beni gratuitamente ceduti, ivi incluse le derrate alimentari“.

Donazioni in natura, quando non deve essere fatta la comunicazione?

Lo stesso articolo disciplina anche i casi in cui la comunicazione all’amministrazione finanziaria o alla Guardia di finanza non deve essere fatta nel caso di cessioni in natura di beni. Infatti, precisa il comma 1, “la comunicazione deve pervenire ai suddetti uffici o comandi entro la fine del mese cui si riferiscono le cessioni gratuite in essa indicate e può non essere inviata qualora il valore dei beni stessi non sia superiore a 15.000 euro per ogni singola cessione effettuata nel corso del mese cui si riferisce la comunicazione. Per le cessioni di beni alimentari facilmente deperibili si è esonerati dall’obbligo di comunicazione”.

Cessioni in natura, come deve essere applicata l’Iva?

La stessa legge 166 permette alle imprese che offrano cessioni in natura di beni di non scontare l’Iva. In tal caso, la donazione è esente per i beni merce che sono donati a enti pubblici, alle associazioni riconosciute, alle fondazioni con finalità assistenziali.  Rimane valida, tuttavia, la detrazione dell’imposta per le operazioni di acquisto dei beni successivamente dati in donazione. Dal punto di vista della tassazione diretta, la cessione gratuita di beni non genera alcun ricavo tassabile. In tal caso, infatti, i beni non si considerano destinati a obiettivi estranei all’esercizio dell’impresa. È tuttavia consentito di beneficiare della deducibilità per intero del costo di acquisto dei beni.

Deducibilità per i beni ceduti gratuitamente

L’articolo 83 del Codice del Terzo settore disciplina la possibilità della deducibilità, fino al 10%, del reddito complessivo in presenza di beni ceduti gratuitamente. Ma occorre distinguere se i beni ceduti sono strumentali oppure merci. Nel caso dei beni strumentali, la deducibilità è applicabile sul costo residuo del bene che non sia stato già ammortizzato. Per le merci, invece, la deducibilità opera prendendo a riferimento il minor valore tra il valore normale e quello che si attribuisce alle rimanenze.

Donazioni in natura, verso quali enti si possono cedere gratuitamente i beni?

Un occhio di riguardo deve essere posto per gli enti verso i quali si possono fare donazioni in natura. Infatti, la legge prescrive che i beneficiari delle donazioni possono essere sia gli enti pubblici che non profit. Sono inclusi tra i destinatari delle donazioni anche tutti gli enti del Terzo settore (Ets) purché siano iscritti al Registro unico. Sono altresì inclusi tra i beneficiari le cooperative sociali e le imprese sociali che sono costituite nella forma societaria.

Cessione gratuita dei beni, quali sono quelli che si possono donare?

Riguardo ai beni che possono essere donati in natura è importante porre particolare attenzione al paniere individuato dalla legge. Rientrano tra i beni:

  • generi alimentari;
  • medicinali;
  • prodotti per la cura e l’igiene della casa e della persona;
  • prodotti di cartoleria e di cancelleria;
  • integratori alimentari;
  • prodotti tessili;
  • prodotti di abbigliamento;
  • i mobili e i complementi di arredo;
  • i giocattoli;
  • i materiali per l’edilizia;
  • gli elettrodomestici a uso civile e industriale;
  • i computer, i televisori, i tablet, gli e-reader e gli altri apparecchi elettronici.

Donazione dei beni alimentari, a cosa prestare attenzione

Particolare specificità riguarda la donazione di beni alimentari per la disciplina alla quale sono sottoposti. Infatti, la cessione gratuita di alimenti può riguardare i beni invenduti per i seguenti motivi:

  • i beni ritirati dalla vendita per una decisione dell’azienda;
  • le rimanenze delle attività promozionali;
  • per l’alterazione dell’imballaggio esterno anche se l’alimento si presenta integro;
  • la vicinanza alla data di scadenza;
  • il superamento del termine minimo di conservazione, riguardante in particolare pasta e biscotti.

In tutti gli altri casi, sono le aziende a decidere se cedere gratuitamente i beni che reputano non più idonei alla commercializzazione. O, comunque, procedere alla donazione dei beni che non si ha più intenzione di immettere nel mercato.

Le sfide di Confassociazioni Terzo Settore

Confassociazioni Terzo Settore è pronta per lanciarsi in campo guardando con attenzione tutte quelle associazioni, fondazioni e cooperative che credono nel valore professionale ed economico delle loro persone, dei servizi che offrono e dell’innovazione ed energia che investono quotidianamente di fronte alle sfide sociali”. Lo ha dichiarato in una nota la sua presidente, Paola Palmerini.

I dati del terzo settore sono importanti – prosegue Palmerini -. Se guardiamo le sole imprese sociali, intese come organizzazioni no profit costituite dalla legge 155/2006, siamo a quota 768, ma se andiamo ad approfondire l’analisi, i numeri sono ben altri: 4 milioni di volontari che operano in modo strutturato in Italia, 25 ore settimanali che ogni volontario dedica a questa attività, 302mila le associazioni censite. E un totale economico che genera il 5% del prodotto interno lordo Italiano”.

Di fronte ad un mondo così vasto, variegato, ma fortemente valoriale – prosegue ancora la presidente di Confassociazioni Terzo Settoreabbiamo preso in considerazione alcuni principi cardine su cui lavorare e che andremo a condividere non solo con le realtà associative del Terzo Settore italiano, bensì di quello internazionale: professionalità, competenza, trasparenza, cooperazione e fiducia. Con un obiettivo semplice e funzionale: lavorare ad un tavolo aperto tra aziende, stato, terzo settore e famiglie per dar vita ad un secondo welfare, un welfare non più solo aziendale, ma privato, dedicato al singolo cittadino”.

Su queste basi, Confassociazioni Terzo Settore – conclude Paola Palmeriniapre i suoi lavori con tre tavole rotonde/incontri aperti nel 2016 (marzo-giugno-ottobre) su Identità Sociale nel Rilancio e Sviluppo delle Imprese: Ruolo e Strumenti e Professionalità dalla Voce del Terzo Settore, in cui, oltre al coinvolgimento di diverse competenze specifiche, si farà leva sulla dimensione degli iscritti e sulle relazioni e sostegno delle politiche di sviluppo”.