Mediazione civile e commerciale: risolvere una lite senza il giudice

La Mediazione civile e commerciale permette di evitare alti costi e spreco di tempo per risolvere una controversia. Una strada alternativa al tribunale, ma molto più veloce e conveniente. Ecco come funziona.

Mediazione civile e commerciale: cosa dice la normativa?

La mediazione civile e commerciale è l’attività svolta da un terzo imparziale finalizzata ad assistere delle parti nella ricerca di un accordo amichevole, per la risoluzione di una controversia. Il d.lgs 4 marzo 2010 n.28, in attuazione della legge delega 69/2009 ha introdotto la mediazione civile e commerciale. 

Una serie di incontri dinanzi gli organismi di mediazione accreditati dal Ministero della Giustizia, con lo scopo di chiudere in maniera tombale una discordia tra parti. Il decreto ha previsto la mediazione obbligatoriavolontaria, delegata dal giudice e concordata. Inoltre, la controversia deve ricadere all’interno dei diritti disponibili, in altre parole le parti devono disporre dei diritti in  merito. Mentre se i diritti in oggetto, fossero indisponibili, in quel caso vi è l’obbligo di ottenere una sentenza del giudice. Tra gli indisponibili rientrano i diritti: della personalità, al nome, alla riservatezza o all’immagine. Infine, si può dire che si tratta di diritti inalienabili.

Mediazione civile e commerciale: tutte le tipologie

La mediazione volontaria si ha quando le parti, anche società, decidono liberamente di rivolgersi ad un terzo (mediatore) per risolvere la lite. Tuttavia, solo nel caso di questo tipo di mediazione, la presenza degli avvocati è facoltativa. Nella mediazione obbligatoria, le parti sono obbligate, prima di rivolgersi al giudice, a tentare un accordo dinnanzi al mediatore. I campi di interesse dall’obbligatoria sono:

  • locazione;
  • condominio;
  • divisioni;
  • successioni ereditarie;
  • contratti assicurativi, finanziari e bancari;
  • comodato;
  • patti di famiglia;
  • affitto di aziende;
  • responsabilità medica e sanitaria;

La mediazione è delegata, quando  le parti sono invitate ad entrare in mediazione, prima della sentenza da parte del giudice. Questo rappresenta un forte aiuto alla giustizia, sempre molto intasata da pratiche su cui sentenziare. La mediazione è concordata nell’ipotesi in cui un contratto preveda una clausola di mediazione o conciliazione con cui le parti si impegnano, nel caso dovesse al riguardo sorgere una controversia, ad esperire procedimento di mediazione prima di rivolgersi al giudice.

L’iter di mediazione dall’istanza

La domanda di mediazione viene presentata presso un Organismo, e viene chiamata istanza. L’istanza prevede al suo interno le parti (istante e chiamata), l’oggetto, e la regione della pretesa. Infatti, spesso viene proprio chiarito nell’oggetto un breve riassunto della controversia. Comunque sia, è importante il concetto della competenza territoriale dell’organismo. La parte istante deve depositare la domanda presso la sede principale, o secondaria, di un organismo iscritto nel registro ministeriale degli organismi di mediazione.

E’ cura dell’organismo provvedere alla convocazione di tutte le parti. Inoltre, è anche compito suo nomina il mediatore. Non è nè un giudice, né un arbitro, ma un facilitatore del dialogo tra le parti coinvolte. Fissata la data stabilita per la mediazione, si dà avvio al primo incontro: l’incontro programmatico. 

Il primo incontro tra le parti

Il mediatore deve controllare la regolarità della comunicazione, le parti presenti e gli avvocati che devono essere presenti in quella obbligatoria. A questo punto il mediatore spiega “le regole del gioco“, cioè che il dialogo deve essere la linea di condotta della trattativa. Le parti possono presentarsi, ma non voler proseguire, oppure anche rinviare quell’incontro. Ma quello che invece è auspicabile è trovare l’accordo.

Ciò vuol dire che si è conclusa e si verbalizzerà quanto accaduto. L’accordo non è altro che un atto esecutivo tra le parti. In altre parole, si è evitato di procedere in giudizio, risparmiando tempo e denaro. Invece, se alla chiusura del primo incontro, manca l’accordo il mediatore dà atto che la mediazione ha avuto un esito negativo. Però le parti possono anche decidere di inviare l’incontro e dare la possibilità al mediatore di fare una proposta. A volte questo tempo serve anche a metabolizzare cosa realmente si vuol fare.

Mediazione civile e commerciale: la proposta

Attraverso la proposta di dà la possibilità al mediatore di trovare un accordo. Un accordo che tenga in considerazione di tutti gli effetti e i voleri espressi dagli aventi diritto. La proposta di conciliazione è comunicata alle parti per iscritto. A loro volta, le parti fanno pervenire al mediatore per iscritto ed entro sette giorni, l’accettazione o il rifiuto della proposta. Se tutte le parti aderiscono alla proposta del mediatore, viene redatto il relativo verbale. Se invece le parti rifiutano la proposta o non la accettano la proposta nel termine, il mediatore è tenuto a redigere il verbale di mancata conciliazione.

Ma tutto deve essere fatto sotto la sguardo attento degli avvocati. Sono loro che verificano che l’accordo rispetti tutte norme e sia appunto possibile. Spesso nel caso di immobili, come l’usucapione, c’è bisogno che all’accordo consegua l’intervento del Notaio. Ma anche in fase di mediazione, se ci sono dubbi, è possibile richiedere sempre e comunque l’intervento di un professionista. Lo scopo è quello di risolvere in maniera collaborativa il problema, senza commettere errori.

I vantaggi della mediazione

La mediazione rispetto ad un normale causa presenta molti vantaggi. Il primo riguarda proprio il fattore tempo. In una società in cui non c’è tempo per fare nulla, il tempo è davvero una risorsa. La mediazione su questo è formidabile. Infatti, secondo l’art 6 del decreto 28/2010 la durata del procedimento è di soli tre mesi. Le parti inoltre hanno la possibilità di esprimersi e di dialogare liberamente. Un altro vantaggio è rappresentato dai costi bassi da affrontare.

Questo perché tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione son esenti dall’imposta di bollo e da ogni altra spesa o tassa o diritto di qualsiasi specie o natura. Inoltre, il verbale di accordo è esente dall’imposta di registro entro il limite del valore di 50 mila euro. Non solo, ma avviare una pratica di mediazione, presso un organismo di mediazione, costa solo 40 euro+ Iva, fino al limite di 250 mila euro. E cosa incredibile, queste spese sostenute sono credito di imposta fino a 500 euro. E’ proprio così mediare dà la possibilità di risparmiare tempo, soldi e magari recuperare, anche attraverso il dialogo, dei rapporti seppellendo definitivamente l’ascia di guerra.

Ditta individuale: caratteristiche dell’attività, vantaggi e svantaggi

Nella ditta individuale il soggetto giuridico è una persona fisica. Essa non è da confondere con l’impresa individuale. La prima consente di non svolgere attività d’impresa e, quindi, di non essere qualificata come impresa individuale. Quest’ultima, invece, è sempre una ditta individuale.

Cos’è una ditta individuale

La ditta individuale è la forma giuridica più semplice per avviare un’attività e ha nell’imprenditore l’unico titolare e responsabile della gestione. Il collegamento tra l’azienda e l’imprenditore è molto stretta, tanto che quest’ultimo risponde di eventuali debiti della società con il patrimonio personale (responsabilità illimitata). Tale forma giuridica non prevede un capitale minimo da versare e nemmeno requisiti particolari per la sua costituzione, se non l’apertura di una partita Iva.

Poiché gli eventuali creditori possono rifarsi anche sui beni personali dell’unico titolare dell’azienda, solitamente, egli ricorre alla costituzione di una ditta individuale quando i rischi sono bassi e gli investimenti da effettuare non sono elevati. Diversamente, all’imprenditore converrebbe scegliere un’altra forma giuridica di società, nella quale non risponde con il suo patrimonio nel caso l’azienda contragga dei debiti.

I soggetti che decidono di avviare l’attività sotto forma di ditta individuale, di solito sono coloro che svolgono arti e professioni. Per esempio, liberi professionisti come commercialisti, avvocati e architetti, fino a parrucchieri o artigiani.

Una ditta individuale può essere rappresentata anche da un’impresa familiare o società tra coniugi. Nel primo caso, la Legge prevede che alla sua gestione possano partecipare parenti fino al terzo grado e affini fino al secondo grado. Nel secondo caso, i coniugi devono avviare l’attività dopo il matrimonio, in comunione dei beni e con gli stessi poteri interaziendali.

Ragione sociale e scelta del nome di una ditta individuale

La ragione sociale è il nome con cui un’azienda viene iscritta nel Registro delle Imprese. Per la ditta individuale non è obbligatoria, la denominazione può anche non essere indicata. In questo caso, sarà rappresentata dal nome proprio del titolare. Nel caso l’imprenditore decida di scegliere un nome, la denominazione sarà composta da essa più il nome del titolare e costituirà l’intestazione delle fatture.

La scelta del nome da dare all’attività deve rispettare tre requisiti: non deve essere contrario all’ordine pubblico, alla legge e al buon costume; non deve essere ingannevole rispetto al tipo di attività svolta; deve essere unico, a meno che il caso di omonimia si verifichi nei confronti di un’altra attività che non opera nello stesso settore e territorio.

Dipendenti

E’ consentita l’assunzione di dipendenti. Nel caso si tratti di familiari, non è necessaria l’assunzione in qualità di dipendente subordinato, in quanto la legge prevede che il lavoro familiare si presuppone svolto senza compenso, in forma gratuita, purché si verifichino tali requisiti:

  • Nella ditta lavorano principalmente familiari;
  • L’attività è svolta per il coniuge imprenditore;
  • Il lavoro è prestato occasionalmente (non supera quindi i 90 giorni nell’arco di un anno).

Ditta individuale: vantaggi e svantaggi

Procedere alla costituzione di una ditta individuale, come già anticipato consente di avere dei benefici: minore burocrazia, costi limitati, autonomia e rapidità delle decisioni, poiché non sussiste un confronto con altre persone. Ma anche la semplicità con cui avviare l’azienda e gestirla. Infatti, per l’avvio è sufficiente iscrivesi alla Camera di Commercio, Industria e Artigianato, con obbligazioni fiscali e contabili semplificate.

I contro li abbiamo già individuati nella responsabilità che l’imprenditore si assume personalmente nel caso di debiti contratti dalla sua azienda. Investimenti limitati e basse probabilità di accedere al credito.

Obblighi del titolare di una ditta individuale

Chi vuole avviare una ditta individuale deve aprire una partita IVA e registrarsi, come detto poc’anzi, alla C.C.I.A.A. presentando una copia della carta d’identità e una marca da bollo da apporre al documento. Inoltre, è necessario iscriversi al Registro delle Imprese, entro trenta giorni dall’inizio dell’attività.

Il titolare deve anche pagare il diritto camerale (ogni anno) e registrarsi alla Gestione Commercianti o Gestione Separata per il versamento dei contributi relativi alla tipologia di attività svolta, oltre a quelli INAIL che vanno versati come premio per la sicurezza. Tuttavia, non è obbligatorio iscriversi all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, se non ci sono dipendenti e se il lavoro svolto non è pericoloso e non si è un artigiano.

Costi e tasse

Con il modello ComUnica aprire la partita Iva è gratis, altrimenti, lo farà il commercialista incaricato dal titolare della ditta individuale in cambio di un corrispettivo economico. Per la tenuta della contabilità, il costo del commercialista sarà decisamente più alto, nel caso di partita Iva aperta in regime ordinario piuttosto che in regime forfettario. Stesso discorso per le tasse, in regime dei minimi la tassazione sarà molto inferiore a quella relativa al regime ordinario. I contributi INPS ammontano a circa 3.600 euro all’anno e si pagano trimestralmente, fino a un reddito di 15.000 euro. Diversamente, gli importi aumentano con l’aumento del reddito.

Chiusura e fallimento

Ovviamente, come qualsiasi attività economica, il titolare di una ditta individuale può decidere di chiuderla. Utilizzando il modello ComUnica puoi chiudere con una sola richiesta: partita Iva, posizione INPS, Registro delle Imprese e INAIL (se esistente).

La ditta individuale può anche fallire come tutte le imprese. Per dichiarare fallimento, deve versare in uno stato d’insolvenza, ovvero non in grado di effettuare i pagamento dovuti. Tuttavia, non soggette alla procedura fallimentare: le ditte non commerciali, come le aziende agricole; gli artigiani; le ditte senza dipendenti o gestite prevalentemente dal lavoro dei familiari.

Addizionali comunali IRPEF, cosa sono e come trovare i codici tributo

Ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, ci sono delle tasse locali che si applicano sul reddito complessivo del contribuente. Tra queste ci sono le addizionali comunali IRPEF le cui aliquote variano in genere da un comune all’altro, così come, sempre nei limiti che sono fissati dalla legge statale, il comune per l’addizionale IRPEF può fissare pure delle eventuali soglie di esenzione.

Come funzionano le addizionali comunali IRPEF e qual è l’aliquota massima

Ai sensi di legge, i comuni possono fissare l’aliquota IRPEF addizionale fino allo 0,8% al netto di eventuali deroghe come quella per Roma Capitale che può spingersi fino e non oltre lo 0,9%. I Comuni, inoltre, per le addizionali ai fini IRPEF hanno la facoltà di fissare un’aliquota unica oppure una pluralità di aliquote in funzione degli scaglioni di reddito che sono stabiliti per l’imposta sul reddito delle persone fisiche a livello nazionale. Così come le amministrazioni comunali hanno pure la facoltà di introdurre, sempre in base ai limiti di reddito che viene dichiarato dal contribuente, delle soglie di esenzione dal pagamento del tributo locale.

Come si calcola l’addizionale comunale ai fini IRPEF in acconto ed a saldo

Il versamento delle addizionali comunali IRPEF, se sono dovute, deve essere effettuato non solo a saldo, ma anche in acconto unitamente ed insieme all’imposta sul reddito delle persone fisiche statale. In particolare, l’acconto sulle addizionali IRPEF viene calcolato, in base al reddito dell’anno precedente ed all’aliquota che il comune ha fissato per l’anno precedente, nella misura del 30%.

Come trovare online i codici tributo addizionale IRPEF comune per comune

Per trovare online i codici tributo addizionale IRPEF comune per comune basta collegarsi al sito Internet del MEF – Dipartimento delle Finanze dove è presente il motore di ricerca che funziona inserendo il comune corrispondente al proprio domicilio fiscale. Se non si conosce il Comune, inoltre, il motore di ricerca per trovare i codici tributo funziona pure selezionando la regione di appartenenza.

Addizionali comunali all’IRPEF, l’esempio dei comuni di Milano e di Roma

Per conoscere l’aliquota dell’addizionale IRPEF da pagare, inoltre, basta collegarsi al sito Internet del comune dove il contribuente ha il domicilio fiscale. Per esempio, nell’area tributi del sito Internet del comune di Milano l’amministrazione rende noto che attualmente l’addizionale IRPEF viene applicata con un’aliquota unica che è pari allo 0,8%. Inoltre, a Milano sono esonerati dal pagamento dell’imposta addizionale IRPEF comunale tutti i cittadini che, ai fini proprio dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, hanno un reddito imponibile che non supera la soglia dei 23.000 euro.

Per Roma Capitale, invece, l’aliquota addizionale comunale ai fini IRPEF è pari allo 0,9% così come è previsto dalla delibera del 25 marzo del 2015 che è tuttora in vigore e che, tra l’altro, ha ampliato pure la fascia di esenzione dal pagamento del tributo locale. Per la Capitale il codice tributo Ente locale (Comune di Roma) è H501, mentre è 3816 nel caso in cui il versamento dell’addizionale comunale ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche venga effettuato dal sostituto di imposta.

Cos’è il VAT NUMBER e come ottenerlo?

Molti ancora brancolano nel buio in merito al VAT Number, sul cosa sia e come ottenerlo. Oggi andremo in breve a scoprire di cosa si tratta e come renderlo proprio.

VAT Number: di cosa si tratta

Quando parliamo di VAT Number facciamo riferimento ad un codice numerico inerente alla partita IVA. Nello specifico, col VAT Number parliamo di strumento elettronico utile a verificare il numero della partita IVA, di tutte le imprese registrate all’interno della comunità europea. Lo scopo del codice e’ di controllare che il numero di Partita IVA di imprese e professionisti di tutta la UE sia effettivamente valido.

Di conseguenza, attraverso lo strumento elettronico in esame ciascuno di voi, possessore di partita IVA, può verificare online la validità o meno del numero della stessa che sarà aggiornata in tempo reale.

Come avviene la verifica del VAT Number?

La verifica VAT con il sistema elettronico VIES sarà utile o perfino necessaria prima di effettuare una fornitura intracomunitaria senza l’addebito IVA, quando pertanto si vorrà verificare se il numero fornito dal cliente o dal fornitore, possa essere soggetto passivo nel suo Stato membro oppure no.

Bisogna considerare che la concessione o la mancata concessione di questo numero di identificazione dipenderà dalla Comunità Autonoma in cui risiede il richiedente. Va specificato che alcune regioni hanno agenzie tributarie che sono meno rigide di altre quando si tratta di esigere i requisiti. Come nel caso delle Comunità che non richiedono alcun tipo di informazione all’impresa richiedente, ma si limitano a concedere il VAT NUMBER a tutte le imprese che lo richiedono.

Tuttavia, ci sono altre comunità che si prendono la briga di effettuare visite alla sede dove viene svolta l’attività, e verificano attraverso la richiesta di vari documenti per certificare che, in effetti, l’azienda richiedente il VAT Number, opererà a livello continentale e, quindi, avrà bisogno di questo numero identificativo. Pertanto, a seconda del tuo luogo di residenza o della sede della società, dovrai passare controlli più o meno rigidi.  In ogni caso, viene concesso solo a colo che effettivamente inizieranno a lavorare e/o vendere prodotti ad imprese appartenenti all’interno dell’Unione Europea.

Conclusioni sul Vat Number

Una volta che avrete richiesto il VAT NUMBER all’Agenzia delle Entrate, verrà aperto un espediente per analizzare la reale necessità di concedere questo identificatore. Va detto che nel recente passato il VAT Number veniva rilasciato quasi in maniera automatica, ora a causa delle frodi sull’IVA che si sono verificate, sarà necessario dimostrare che il richiedente sia una vera impresa operante nella comunità UE.

Verrà, quindi, richiesto di certificare che il richiedente abbia la possibilità di fatturare un’altra società europea, come un ordine che è stato effettuato, una richiesta di preventivo da un’entità continentale o un’email che richiede la fornitura di un certo servizio e/o bene.

Dopo la richiesta, quindi potrebbe essere necessario altro tempo per far si che l’Agenzia delle Entrate conceda il VAT. A partire da qual momento sarà possibile effettuare fattura, altrimenti ogni tentativo di emissione di fattura verrà considerato errato e, perfino passibile di sanzione.

Pace fiscale per le tasse non pagate dalla rottamazione al saldo e stralcio

Per le tasse non pagate dai cittadini e dalle imprese il Fisco, scaduti i termini, avvia le procedure di riscossione che consistono, prima di tutto, nell’invio ai contribuenti delle cosiddette cartelle esattoriali. Più passa il tempo, a partire dalla notifica della cartella esattoriale, più l’importo da pagare tende a crescere tra le sanzioni e gli interessi. La pace fiscale mira in tal senso a mettersi in regola con il Fisco sia con il pagamento pluriennale a rate, sia attraverso uno sconto o l’azzeramento delle sanzioni e degli interessi applicati.

Negli ultimi anni, tra i provvedimenti che rientrano nella pace fiscale, il legislatore ha approvato varie finestre di rottamazione delle cartelle esattoriali, dalla prima rottamazione alla rottamazione-bis, e passando per la rottamazione ter alla quale si aggiunge il cosiddetto saldo e stralcio. Tra i provvedimenti di pace fiscale, inoltre, rientrano pure altre misure di definizione agevolata come quella riguardante i processi verbali di contestazione.

Rottamazione delle cartelle esattoriali per pagare senza sanzioni e senza interessi

Con la rottamazione delle cartelle esattoriali il Fisco permette di saldare i debiti fiscali, al netto delle sanzioni e degli interessi, pagando in un’unica soluzione oppure a rate. E questo vale pure per le multe stradali per le quali il contribuente può mettersi in regola senza pagare gli interessi e le maggiorazioni che sono previste dalla legge. Per esempio, con la cosiddetta rottamazione-ter il legislatore ha aperto a tutti il pagamento agevolato delle cartelle esattoriali riguardanti i debiti fiscali con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione nel periodo dell’1 gennaio del 2000 e fino al 31 dicembre del 2017.

Saldo e stralcio, riduzione delle somme da pagare per le persone fisiche

Il cosiddetto saldo e stralcio è una delle misure di pace fiscale che, introdotta con la Legge numero 145/2018, prevede a favore del contribuente una riduzione delle somme dovute al Fisco ma a patto che sia dimostrata la grave e comprovata difficoltà economica. Al saldo e stralcio, inoltre, possono accedere solo le persone fisiche e solo per alcune tipologie di debiti fiscali. Inoltre, tra i requisiti di accesso al saldo e stralcio c’è pure quello del rispetto dell’Isee, riferito al proprio nucleo familiare, che non deve superare la soglia dei 20.000 euro.

Definizione agevolata per i processi verbali di contestazione

Tra le misure di pace fiscale rientra pure la definizione agevolata dei processi verbali di contestazione pagando il dovuto in un’unica soluzione oppure fino a ben 20 rate trimestrali aventi pari importo. L’agevolazione, in particolare, è stata introdotta per i processi verbali di contestazione per i quali non è stato ancora ricevuto un invito al contraddittorio oppure non è stato ancora notificato un avviso di accertamento.

Altre misure agevolative di pace fiscale, dalle controversie tributarie alle irregolarità formali

Tra le altre misure che rientrano nella pace fiscale, inoltre, ci sono pure la definizione agevolata degli atti del procedimento di accertamento, la definizione agevolata delle controversie tributarie, la definizione agevolata degli atti del procedimento di accertamento per le società e per le associazioni sportive dilettantistiche, e la definizione delle irregolarità formali.

Cos’è la forma giuridica di una società? E quali tipi ci sono?

Innanzitutto, partiamo col dire che quando si parla di forma giuridica si intende un’organizzazione creata da una singola persona o più di esse, allo scopo di condurre affari, intraprendere un’attività commerciale o partecipare ad attività affini. Ma, oggi scopriremo quali e quanti tipi di forma giuridica possiamo trovare. E quali pro e contro possiamo trovarvi.

Forma giuridica, quanti e quali tipi troviamo?

Come detto poco sopra, con una forma giuridica si intende semplicemente un’organizzazione che è costituita per condurre affari. Tuttavia, il tipo di forma giudica che scegli per la tua attività determina come la tua azienda verrà tassata e strutturata. Per definizione, un’impresa individuale dovrà essere di proprietà e gestita da un unico proprietario. Ma, se il tipo di forma giuridica è una società di capitali o di azioni, significa che avremo, invece, due o più proprietari. Andiamo a vedere, nello specifico, quali tipi di forma giuridica possiamo trovare.

Pro e contro di alcune di queste forme giuridiche

Andiamo a scoprire, in breve, alcuni pro e alcuni contro di alcune di queste forme giuridiche. Una breve, ma efficace ed esaustiva, snocciolata tra alcune di esse.

Pro e contro di una ditta individuale:

  • Facile da avviare, sarà necessario solo iscriversi alla camera di commercio.
  • Nessuna formalità aziendale o requisiti burocratici, come verbali di riunione, statuto, ecc.
  • È possibile detrarre la maggior parte delle perdite aziendali sulla dichiarazione dei redditi personale.

Di contro tuttavia, avremo

  • In quanto unico proprietario, si è personalmente responsabile di tutti i debiti e le responsabilità dell’attività.
  • Non esiste una vera separazione tra te e l’attività, quindi è più difficile ottenere un prestito aziendale e raccogliere fondi.

Pro e contro di una S.p.a:

  • I proprietari di una S.p.a, ovvero gli azionisti non hanno alcuna responsabilità personale per i debiti e le responsabilità dell’azienda.
  • Le società S.p.a. hanno diritto a detrazioni fiscali superiori a qualsiasi altro tipo di attività.

Di contro, tuttavia, avremo

  • E’ più costosa da creare rispetto, ad esempio alle imprese individuali e alle società di persone
  • Il capitale sociale deve essere versato per intero e sarà superiore a qualsiasi altra forma giuridica
  • Le società S.p.a. subiscono una doppia tassazione, pagando le tasse sulla dichiarazione dei redditi delle società.

Pro e contro di una S.r.l

  • I proprietari di una S.r.l. non hanno responsabilità personali per i debiti o per le responsabilità dell’azienda.
  • Non vi sono un numero alto di formalità aziendali rispetto, ad esempio ad una Società per azioni.

Tuttavia, di contro, avremo

  • È più costoso creare una S.r.l. rispetto ad una ditta individuale o ad una società S.n.c. partendo da un deposito minimo di 10.000 euro.
  • La contabilità ordinaria va tenuta regolarmente e dovranno essere presenti libri sociali e contabili.
  • Rispetto ad un’impresa individuale è più costosa sia in fase di costituzione che in quella di gestione.

Dunque, abbiamo visto diversi esempi di forma giuridica e anche alcuni pro e contro di alcune di esse. Ora, non vi resta che scegliere, dopo aver valutato, quale strada intraprendere in caso di apertura di un’attività.

 

 

Pensione con opzione contributiva: requisiti di accesso, pro e contro

In tema di pensioni, la normativa vigente permette tante modalità di pensionamento anticipato, in attesa delle decisioni contenute nel Recovery Plan. Quota 100, Ape sociale, Rendita integrativa temporanea anticipata (RITA), pensione anticipata ordinaria, pensione anticipata contributiva, pensione anticipata disabili, pensione anticipata non vedenti, lavori usuranti, lavori gravosi, lavori precoci, lavoratori esposti all’amianto, isopensione, contratto di espansione, lavoratori su turni, fondo di solidarietà, cumulo gratuito, opzione donna, opzione contributiva. In questo articolo ci soffermiamo su quest’ultima, illustrando i requisiti di accesso e i benefici.

Opzione contributiva: cos’è

L’Opzione contributiva è prevista dalla riforma delle pensioni Dini del 1995 e dà la possibilità ai lavoratori di accedere al trattamento pensionistico anche con meno di 20 anni di contributi (l’opzione permette, infatti, di accedere alla pensione a 67 anni con soli 15 anni di contributi). Generalmente, ciò comporta una riduzione importante dell’assegno mensile previdenziale da ricevere. Il perché è presto detto: il lavoratore che intraprende questa strada deve accettare la variazione del calcolo della pensione spettante che avverrà esclusivamente con il sistema contributivo. Tuttavia, in alcuni casi il suddetto calcolo può rivelarsi più conveniente di quello effettuato con il sistema retributivo: accade quando il lavoratore giunto a fine carriera, recepisce retribuzioni più basse.

I lavoratori che scelgono di fruire dell’opzione contributiva non sono pochi, in quanto accedere con meno contributi in alcuni casi può essere importante o addirittura una necessità. Molto spesso, sono le donne a scegliere l’opzione contributiva, perché molte lavoratrici preferiscono occuparsi quanto prima della cura della famiglia, dei figli o nipoti e della casa.

A chi spetta

L’opzione contributiva è una facoltà concessa agli iscritti all’AGO (Assicurazione generale obbligatoria) e ai fondi ad essa sostitutivi (trasporti, dazieri, elettrici, volo, dirigenti di aziende industriali, previdenza dello spettacolo, previdenza degli sportivi professionisti, giornalisti) ed esclusivi (ex Inpdap, ex Ipost e Ferrovie).

Requisiti di accesso all’opzione contributiva

Per poter fruire dell’opzione contributiva, I lavoratori che al 31 dicembre 1995 possono far valere un’anzianità contributiva inferiore a 18 anni possono optare per la liquidazione del trattamento pensionistico con il calcolo dell’assegno mensile che avviene tramite il sistema contributivo a condizione che siano in possesso di un’anzianità contributiva non inferiore a 15 anni, di cui almeno cinque nel medesimo sistema.

Per effetto dell’opzione contributiva, la lavoratrice fruisce di un anticipo d’età rispetto al requisito di accesso alla pensione di vecchiaia pari a quattro mesi per ogni figlio, con tetto massimo fissato a 12 mesi. In alternativa, ella può scegliere la determinazione della pensione con applicazione del coefficiente di trasformazione legato all’età posseduta al momento del pensionamento, maggiorato di un anno in caso di uno o due figli, e di due anni in caso di tre o più figli.

Con l’entrata in vigore della legge Fornero, dal 2011 l’INPS effettua una distinzione a seconda che i requisiti necessari per accedere all’opzione contributiva, siano maturati entro il 31 dicembre 2011 o dopo. Nel primo caso, la possibilità di opzione è concessa al lavoratore se i requisiti d’età e/o di contribuzione siano stati perfezionati per il diritto alla pensione entro il 31/12/2011, quindi, con le regole in vigore prima della legge Fornero. Nel secondo caso si applicano i requisiti necessari per l’accesso alla pensione di vecchiaia e alla pensione anticipata previsti per i lavoratori in possesso di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995.

Se i requisiti per l’opzione contributiva non sono stati maturati entro il 31 dicembre 2011, dal 2012 l’opzione Dini comporta l’applicazione esclusiva del sistema di calcolo contributivo al trattamento, e non più, anche, quella dei requisiti per il diritto alla pensione previsti nel regime contributivo.

Quanti tipi di Partita Iva esistono? I regimi fiscali: requisiti, vantaggi e svantaggi

La partita Iva è composta da undici cifre alfanumeriche che identificano il contribuente, che sia esso una persona fisica o una società. Si tratta di un’imposta indiretta applicata sulla produzione o sullo scambio di beni e servizi.

Chi è obbligato ad aprire la partita Iva

All’apertura di una partita Iva devono ricorrere tutti i soggetti che svolgono un’attività lavorativa autonoma e continuativa con un reddito conseguito superiore a un certo limite. Stiamo parlando di liberi professionisti a prescindere dall’iscrizione o meno effettuata all’albo di appartenenza, di ditte individuali, di imprese industriali, commerciali o artigiane.

Sono esclusi dall’obbligo coloro che effettuano prestazioni occasionali. Sono considerate attività occasionali, quelle che hanno una durata uguale o inferiore ai 30 giorni l’anno, con un costo della prestazione non superiore ai 5.000 euro.

LEGGI ANCHE: Quanto costa aprire e mantenere una partita IVA

Le tipologie di partita Iva

A livello fiscale, è possibile aprire una partita Iva solo in due modi: in regime ordinario o in regime forfettario (agevolato). Quest’ultimo può essere scelto solo nel caso di redditi o guadagni che non superino i 65.000 euro a prescindere dal codice ATECO di appartenenza e considerando tutte le attività svolte. Esiste anche un altro limite da rispettare: le spese sostenute per dipendenti o collaboratori non devono essere superiori a 20.000 euro lordi.

Tuttavia, esistono altri motivi di esclusione dal regime forfettario di partita Iva. Parliamo di chi utilizza regimi speciali Iva e di determinazione forfettaria del reddito; di chi ha residenza fiscale fuori dall’Italia, eccezion fatta per i residenti Stati Ue/See che producono in Italia almeno il 75% del reddito complessivo; cessioni di fabbricati, terreni edificabili o di mezzi di trasporto nuovi; possesso, nell’anno precedente, di redditi di lavoro dipendente o a questi assimilati, eccedenti l’importo di 30.000 euro (la soglia non deve essere verificata se il lavoro è cessato entro il 31 dicembre dell’anno precedente).

Inoltre, l’esercizio dell’attività prevalentemente nei confronti di datori di lavoro con i quali sono in essere o erano intercorsi rapporti di lavoro nei due precedenti periodi d’imposta o nei confronti di soggetti agli stessi direttamente o indirettamente riconducibili (ad esclusione dei soggetti che iniziano una nuova attività dopo aver svolto il periodo di pratica obbligatoria ai fini dell’esercizio di arti o professioni).

Esclusi anche gli esercenti attività d’impresa, arti o professioni che partecipano contemporaneamente a società di persone, associazioni professionali o imprese familiari ovvero che controllano direttamente o indirettamente società a responsabilità limitata o associazioni in partecipazione, le quali esercitano attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte individualmente.

La partita Iva a regime ordinario

Il possesso di una partita Iva in regime fiscale ordinario non presenta limiti di reddito e di emissione fatture. E’ obbligatorio per le società di capitali che nell’anno precedente hanno avuto ricavi superiori a 400.000 euro per prestazioni di servizi ed a 700.000 euro per le altre attività. Esso vincola all’utilizzo della fattura elettronica e all’applicazione dell’aliquota Iva ordinaria del 22% sul relativo importo. Tuttavia, in alcuni casi si applica l’aliquota ridotta pari al 10% su alcuni prodotti alimentari (esempi: carni, pesci, uova, zucchero, cacao, acqua, birra, farmaci) e sui servizi del settore turismo. Si parla di aliquota minima al 4% per beni di prima necessità (esempi: olio d’oliva, pane, pasta, prodotti ottici, giornali, pomodori, prodotti ortofrutticoli).

Inoltre, si è tenuti a rispettare determinati adempimenti: la dichiarazione Iva da inoltrare all’Agenzia delle Entrate, il versamento dell’Iva, l’invio dell’esterometro, la compilazione del modello ISA, l’applicazione eventuale della ritenuta d’acconto come anticipo tasse nelle fatture. Poi, gli adempimenti contabili (contabilità ordinaria o semplificata).

Capitolo tasse: il calcolo delle imposte sul reddito, al quale si sottraggono i costi dell’attività (affitto locali, spese per macchinari, contribuzione), varia a seconda dei soggetti. Le società applicano l’IRES con aliquota fissa del 24%. Le persone fisiche applicano l’IRPEF con aliquota variabile a seconda del fatturato.

Il 23% con reddito uguale o inferiore a 15.000 euro; il 27% per la parte di fatturato che supera i 15.000 euro; il 38% per la parte d’incasso superiore a 28.000 euro; il 41% per la parte di fatturato eccedente i 55.000 euro; il 43% per la parte dei ricavi che supera i 75.000 euro.

Il possesso di una partita Iva a regime ordinario comporta anche dei vantaggi. Chi riceve fatture dai collaboratori può scalarle dai guadagni. Chi ha un ufficio può scaricare molte spese (carburanti, materiale elettronico, cancelleria, software, riparazioni ecc.). La tassazione avviene sul reddito imponibile che è dato dal fatturato a cui vengono sottratti i costi deducibili.

Regime fiscale ordinario semplificato

Un lavoratore autonomo, un professionista, una società di persone e chi esercita un’attività commerciale non prevalente, può aderire al regime fiscale ordinario semplificato se il reddito non è superiore a 400.000 euro se si possiede un’impresa di servizi ed a 700.000 euro per attività di cessione beni. In tal caso, gli adempimenti da rispettare diminuiscono. Infatti, si è obbligati a tenere il registro cronologico dei pagamenti e degli incassi (eccezion fatta per chi ha le operazioni annotate nei registri Iva e separatamente quelle non soggette all’Iva; tenere i registri Iva per le operazioni attive e passive.

La partita Iva a regime forfettario

La partita Iva a regime forfettario è concessa fino a un tetto massimo di fatturato (65.000 euro) a prescindere dall’attività svolta. La tassazione viene applicata al reddito imponibile che in questo regime è determinato applicando alla somma dei ricavi il coefficiente di redditività inerente l’attività svolta che varia dal 40% all’86% L’aliquota IRPEF è bassa, pari al 15%, ma se si tratta di una nuova attività, per i primi cinque anni viene applicata un’aliquota unica al 5%, ma per questa ulteriore riduzione è necessario non aver esercitato alcune attività nei precedenti tre anni e la nuova attività non deve essere la prosecuzione di un’altra svolta come lavoratore dipendente o anche come lavoratore autonomo.

Altri vantaggi nel regime forfettario: non sussiste l’obbligo di indicare l’Iva ma è sufficiente scrivere il netto da pagare; non c’è l’obbligo di registrazione delle fatture e della fatturazione elettronica; come titolare di Partita Iva, in assenza di personale dipendente, non si è obbligati agli adempimenti del sostituto di imposta.

Lo svantaggio consiste nell’impossibilità di effettuare deduzioni e detrazioni né di fruire di bonus fiscali.

 

Contratto locazione commerciale: gli elementi che non possono mancare

Il contratto di locazione commerciale è quello che viene stipulato per immobili non a uso abitativo. Tutti gli elementi che non possono mancare.

Contratto locazione commerciale: i dati delle parti

I contratti di locazione sono disciplinati in Italia dalla legge del 27 luglio 1978 n. 392I contratti di locazione commerciale prevedono la possibilità che a contrarre siano delle società, ditte individuali, ma anche privati. Il tipo esempio è quello delle locazioni delle botteghe in cui il locatore è un privato, mentre il conduttore è un soggetto commerciale. Tuttavia, in entrambi i casi è obbligatorio specificare tutti i dati che riguardano i contraenti. Se ad esempio nelle persone fisiche si utilizza il codice fiscale, nei soggetti commerciali è importante la partita Iva. Un consiglio importante, che è nel caso di società è meglio inserire l’amministratore delegato, in quanto persona fisica. Anche perché in caso di beghe legali potrebbe risultare una mossa vincente, rispetto ad una semplice società che dichiara fallimento all’improvviso.

Contratto locazione commerciale: i dati dell’immobile

Subito dopo i dati delle parti, ci sono da indicare i dati catastali dell’immobile. Per intenderci i valori riportati dalla visura catastale: foglio, particella, categoria, subalterno, classe, mq e rendita catastale. In tutti i casi è importante che questi dati siano espressi per capire se l’attività da svolgersi è idonea con le caratteristiche dell’immobile. Inoltre, non dimenticare di indicare l’indirizzo completo in cui si trova l’oggetto del contratto. E più precisamente, si parla semplicemente di: via, civico, comune e provincia. All’interno del contratto commerciale deve essere riportato le caratteristiche dell’immobile al momento in cui si prendono in consegna le chiavi. Ma attenzione, se necessita fare delle modifiche, queste devono essere espressamente approvate dal proprietario.

Contratto locazione commerciale: la durata

In merito alla durata la legge dispone delle direttive molto chiare. Infatti, un contratto commerciale ha una durata di almeno sei anni. Si tratta dell’esempio più comune, in cui il conduttore dovrà svolgere all’interno un’attività economica o eserciti un lavoro autonomo. Mentre la durata è di nove anni per le locazioni di alberghi e similari. Ma anche quando si tratta di attività di tipo teatrale. E’ nullo ogni altro patto che prevede una durata contrattuale differente. Anche perché verrebbe automaticamente allungata o diminuita secondo quanto disposto dalla normativa. In tutti i casi i contratti possono essere rinnovati per la stessa durata, quando scadono. Il contratto è rinnovato tacitamente, quindi se le parti vogliono interromperlo devono, per forza, mandare una comunicazione alla controparte. Infine, solo nel contratto transitorio è possibile decidere una durata più breve. Ma questo è valido solo per le attività che sono transitorie per loro natura.

Il canone di locazione

Altro elemento essenziale del contratto di locazione commerciale è il canone di locazione. Cioè la somma che l’inquilino deve versare mensilmente per godere dell’immobile. Tuttavia, si consiglia sempre di scrivere l’importo sia in cifre che in lettere, per confutare qualsiasi errore. E’ meglio indicare sia il complessivo annuale che quello mensile. Ma è importantissimo indicare anche il modo in cui questo va corrisposto, meglio se con mezzi tracciabili. La modalità più comune è proprio quella del bonifico bancario. Infine, in merito al canone di locazione la legge prevede la facoltà di un adeguamento periodico annuale che non può superare il 75% della variazione Istat, registrata per l’anno di riferimento.

Come funziona il recesso del locatore?

In linea di massima le parti possono recedere dal contratto, dandone un preavviso di 6 mesi. Nella prassi il locatore deve avere delle valide motivazioni per voler recedere dal contratto. E’ il caso di un inquilino inadempiente. Oppure che si voglia svolgere all’interno di quel locale una propria attività o per uso familiare. Resta comunque la libertà del locatore di non rinnovare il contratto alla scadenza. La decisione deve essere comunicata con lettera raccomandata almeno 12 mesi prima e 18 mesi se l’immobile è addebito ad attività alberghiera.

Il recesso del conduttore

Mentre è molto più semplice la retrocessione da parte del conduttore. Infatti, il conduttore può sempre recedere, purché ci siano gravi motivi per farlo. Qualche anno fa, ad esempio, la Suprema Corte (sent. n. 10624 del 26 Giugno 2012) ha ribadito che tali motivi consistono in “avvenimenti estranei alla volontà del locatario, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto, tali da rendere oltremodo gravosa per il conduttore la sua prosecuzione. Inoltre, con riferimento all’andamento dell’attività aziendale, può integrare grave motivo, legittimante il recesso del conduttore, non solo un andamento della congiuntura economica sfavorevole all’attività di impresa. Ma anche uno favorevole, purché sopravvenuto e oggettivamente imprevedibile (quando fu stipulato il contratto) che lo obblighi ad ampliare la struttura aziendale in misura tale da rendergli particolarmente gravosa la persistenza del rapporto locativo.

Altri aspetti generici

Le parti possono anche disporre liberamente tutti gli altri aspetti del contratto. Ad esempio, il concedere o il vietare la sublocazione. Ma anche gli aspetti legati agli impianti o ad eventuali interventi di ristrutturazione. Inoltre, anche la caparra può essere decisa nella sua entità e nella tempistica di consegna tra le parti. Parte integrante del contratto è anche la dichiarazione ai fini APE. L’ape è l’attestato di prestazione energetica redatta dal tecnico abilitato ed i cui estremi vanno inseriti espressamente in accordo. Si consiglia di allegare sempre una copia, prima di presentarlo per la registrazione all’Agenzia delle Entrate. Massima libertà lasciata alle parti, sempre nel rispetto delle norme di legge.

Cosa sono gli incubatori di Startup e quali servizi offrono

Gli incubatori di startup rappresentano un grande sostegno per le giovani imprese innovative e ricoprono un ruolo fondamentale per uno sviluppo veloce di quest’ultime. Tutto questo avviene attraverso l’offerta di vari strumenti di supporto.

Incubatore di startup: cos’è

L’incubatore di startup è una società di capitali che sostiene la nuova impresa nel muovere i primi passi, mettendo a sua disposizione risorse e servizi necessari a uno sviluppo accelerato del suo progetto. Gli incubatori sono per lo più pubblici, ma esistono anche quelli privati. I primi hanno l’obiettivo di favorire la competività di determinati settori e aree geografiche, i secondi, spesso hanno una finalità economica, in quanto possiedono una quota societaria. A prescindere dallo scopo, entrambi si avvalgono degli stessi strumenti, ma quali sono?

Un incubatore offre alle startup una sede fisica in cui operare, consulenze strategiche in diversi campi, accesso ad un network di imprenditori che fornisce il terreno fertile per lo sviluppo delle nuove imprese e un supporto per l’ottenimento di incentivi che sono fondamentali per questo tipo d’impresa che parte solitamente con pochi capitali (QUI cosa s’intende per startup). Tali incentivi possono andare da finanziamenti a fondo perduto, fino all’accesso a bandi che consentono di ricevere premi e riconoscimenti, ma entriamo nel dettaglio.

I servizi principali offerti da un incubatore di startup

  • condivisione di spazi fisici e di coworking;
  • attività di networking;
  • servizi di marketing;
  • ricerche di marketing;
  • accesso ad alta velocità alla rete Internet;
  • servizi di gestione contabile e finanziaria;
  • accesso a prestiti bancari, fondi di garanzia per le PMI, bandi e incentivi;
  • assistenza alla preparazione delle presentazioni (pitch);
  • collegamento a partner strategici;
  • accesso a angel investor o venture capital;
  • consulenza (dai mentor startup);
  • consulenza strategica (dalla redazione del business plan all’individuazione del team);
  • aiuto per servizi legali;
  • gestione di proprietà intellettuale.

Tipologie di incubatori in base al modo in cui vengono erogati i servizi

Partendo dagli incubatori pubblici (no profit) ci sono i Business Innovation Center (BIC) che selezionano le startup e chi si aggiudica un posto ha diritto ad un vero e proprio progetto d’impresa cucito su misura in base alle sue esigenze e gli University Business Incubator (UBI) che aggiungono a questi servizi anche consulenze e tirocini per studenti universitari.

Per quanto concerne gli incubatori privati (profit) troviamo le IPI (Independent Private Incubator) che in realtà intervengono solo dopo che la fase di incubazione si è conclusa, infatti andrebbero più propriamente chiamati acceleratori d’impresa e i CPI (Corporate Private Incubator) che si distinguono dagli altri perché fanno capo ad una grande impresa, per lo più operante nel settore tecnologico, che trae vantaggio dallo sviluppo delle startup.

LEGGI ANCHE: Startup innovative: cosa sono, requisiti e classificazioni

Classificazione incubatori in macro-categorie

Nella guida intelligente agli incubatori basati sull’innovazione (Smart Guide to Innovation‑Based Incubators) della Commissione europea, essi vengono identificati in quattro macro-categorie:

  • Pre-incubatori: offrono istruzioni, strutture e servizi per lo sviluppo dell’idea di business dell’imprenditore e per l’elaborazione del suo piano d’affari;
  • incubatori accademici: riguardano Università e centri di ricerca e mirano a trasformare le idee di business sviluppate dagli studenti in impresa;
  • incubatori con finalità generiche: forniscono servizi nelle fasi di pre e post incubazione a supporto a tutti quelli che hanno delle idee fattibili a prescindere dal settore economico coinvolto;
  • incubatori per specifici settori: offrono servizi nelle fasi di pre e post incubazione a supporto di specifici settori.

Classificazione in base modello di business della Startup

  • Virtual Business Incubator: consente agli imprenditori di un’azienda di fruire della consulenza di un incubatore, mantenendo i propri uffici e magazzini;
  • incubatori sociali: aiutano le startup che operano in settori a forte impatto sociale (assistenza sociale, sanitaria e istruzione, formazione, tutela dell’ambiente dell’ecosistema, valorizzazione del patrimonio culturale) fornendo servizi di supporto e riducendo il rischio di mortalità;
  • medical incubator: focalizzati su strumentazione medica e biomateriali, supportano queste imprese per favorire innovazione e imprenditorialità nel settore medico;
  • kitchen incubator: focalizzati nel settore del food. Membri o affittuari possono utilizzare una cucina a ore e giorni per produrre cibo. Gli incubatori di cucina forniscono anche servizi come la formazione allo sviluppo aziendale e l’accesso a servizi ecosistemici come assistenza legale, imballaggi, stampa di etichette e distribuzione;
  • incubatori Fintech: programmi che propongono l’uso della tecnologia per digitalizzare servizi connessi al mondo bancario rendendo il tutto più efficiente ed efficace;
  • seed accelerator: programmi collaborativi che offrono servizi di mentorship, formazione, organizzazione di networking, con l’obiettivo di accelerare lo sviluppo di startup e imprese.