Pensioni, cosa avviene se si è lavoratori del ‘misto’ e si paga il riscatto agevolato e contributivo della laurea?

Particolare attenzione devono prestare i contribuenti nel riscatto della laurea con le condizioni agevolate del decreto numero 4 del 2019. La norma infatti permette di riscattare la laurea pagando poco più di 5.200 euro per ogni anno di corso universitario. Il pagamento agevolato, inizialmente concesso ai soli lavoratori rientranti nel sistema contributivo, successivamente è stato interpretato in senso estensivo per includere anche i lavoratori rientranti nei sistemi di pensione precedenti, ma che abbiano da riscattare anni di università successivi al 31 dicembre 1995.

Pensioni, il riscatto della laurea per i lavoratori del sistema misto

Può capitare, infatti, che un lavoratore del sistema previdenziale “misto accetti di riscattare la laurea con i vantaggi del decreto 4 del 2019. Si tratta di lavoratori che non hanno i 18 anni di contributi prima del 31 dicembre 1995 e dunque non ricadenti nel “retributivo”. Ma hanno un certo numero di anni di versamenti entro la fine del 1995. L’opzione di riscattare gli anni universitari, eventualmente fatta prima di accedere al trattamento di pensione, potrebbe portare benefici sia sul piano dell’importo della pensione che sul requisiti che ne generino il diritto stesso al pensionamento.

Riscatto della laurea con costo agevolato: non sempre si hanno benefici sulla pensione

Tuttavia, non sempre la scelta di ricorrere al pagamento agevolato del riscatto di laurea previsto dal decreto 4 del 2019 può comportare dei miglioramenti della propria pensione futura. Infatti, riscattare gli anni di università in maniera agevolata ha come conseguenza quella che il calcolo della pensione avvenga mediante il metodo contributivo per l’intera vita lavorativa. E questo potrebbe andare a danno dei lavoratori dei sistemi previdenziali precedenti, come il misto o il retributivo.

Riscatto laurea, prima di pagare è importante fare simulazioni sul sito Inps

Infatti, mettendo sulla bilancia vantaggi e svantaggi del riscatto della laurea con il pagamento agevolato dell’articolo 4 del 2019 ci si potrebbe rendere conto di non aver fatto una buona scelta. Pertanto, prima di prendere una decisione può essere necessario fare un po’ di simulazioni della propria pensione futura. Si può procedere con il servizio messo a disposizione dal portale Inps di calcolo della pensione futura. All’interno del sistema, si potranno inserire i dati relativi alla propria vita lavorativa dai quali risultano anche i contributi versati. Da qui la scelta del contribuente in merito alla situazione che si prospetta. In particolare, riscattando gli anni di laurea e acconsentendo al calcolo contributivo della propria pensione, si è generato un vantaggio futuro sulla pensione oppure una perdita?

Riscatto laurea ai fini della pensione, quale scelta?

Molto dipende dalla carriera lavorativa di ogni contribuente. Tuttavia il calcolo contributivo della pensione molto probabilmente porterà a una decurtazione più o meno consistente della futura pensione mensile. Risulta pertanto importante che prima di prendere la decisione di riscattare gli anni di laurea con le agevolazioni del decreto 4, si studino tutte le ipotesi possibili. In particolare, il contribuente dovrebbe confrontare tutti gli importi di pensione stimata, sia quelli calcolati con il metodo contributivo che quelli del misto.

Pensioni, la scelta di riscattare la laurea con il contributivo è irrevocabile

La questione non è di poco conto, anche perché una volta fatta la scelta non si può più tornare indietro. Ovvero, se il lavoratore decidesse di riscattare gli anni di laurea pagando e aderendo al sistema contributivo, la sua scelta sarebbe irrevocabile. L’istituto previdenziale ha chiarito a tal proposito che, con il pagamento di almeno una rata del riscatto della laurea diventa irrevocabile la scelta di aderire a uno strumento introdotto per il sistema contributivo con relativo calcolo della pensione. Il pagamento, è bene ricordarlo, si può effettuare anche fino a 120 rate mensili. E ciò avviene anche se ancora la domanda di pensione non sia stata ancora formalizzata.

Quanto conviene pagare il riscatto della laurea con il metodo agevolato rispetto a quello ordinario?

Per i lavoratori del sistema misto, dunque, il riscatto della laurea potrebbe rivelarsi dannoso ai fini dell’importo della pensione mensile. Tutto questo senza considerare il costo che comporta il riscatto stesso. Tuttavia, gli stessi lavoratori potrebbero optare per il metodo di pagamento ordinario del riscatto della laurea. Con questo meccanismo, il costo del riscatto verrebbe calcolato seguendo la regola generale. Ovvero si procederebbe moltiplicando il reddito lordo delle ultime 12 mensilità percepite prima di presentare la domanda per la percentuale (del 33%) di contribuzione per gli anni di studio da riscattare.

Pensioni, quali vantaggi con il riscatto della laurea?

Anche seguendo il metodo di riscatto ordinario della laurea, i lavoratori interessati dovrebbero prima verificare quali vantaggi potrebbe comportare l’operazione. In particolare, si può procedere con la stima della propria pensione senza e con il riscatto della laurea. Di certo, a fronte del costo da sostenere, potrebbero aversi benefici sia in termini di uscita anticipata dal lavoro che sul futuro importo della pensione.

Sovraindebitamento autonomi e imprese: ecco come superare la crisi

In tempi di crisi e di ripartenze, per lasciarsi le crisi alle spalle, andiamo a vedere come superare i pericoli dei debiti. In questa rapida ma esaustiva guida andremo a vedere come superare la crisi da sovraindebitamento per autonomi e imprese.

Sovraindebitamento, di cosa si tratta

Il sovraindebitamento è senza ombra di dubbio una forma di malus nell’attività di un lavoratore. Una particolare e irrisolvibile forma di debito. Viene, di fatto, definito sovradebito quando colui che per motivazioni di qualunque natura non riesce a far fronte ai debiti e non dispone di “patrimonio prontamente liquidabile” per onorare il debito scaduto.

Andiamo a vedere, in tal senso, come e quando è possibile risolvere questa situazione piuttosto annosa che, dal 2020 ad oggi sta prendendo di mira fin troppi lavoratori autonomi e imprese.

Superare la crisi, scopriamo come

La sopra citata crisi da sovraidebitamento è quella definita di perdurante o definitivo squilibrio fra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina:

  • la incombente difficoltà
  • e la definitiva incapacità a risolversi

e quindi di adempiere con regolarità alle proprie obbligazioni.

Si parla quindi di insolvenza, ossia dell’incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni da parte:

  • delle imprese che non sono soggette al fallimento ed alle altre procedure concorsuali,
  • da parte del consumatore, “la persona fisica che agisce (acquistando per sé o per altri beni o servizi) per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale (cioè lavorativa, sia autonoma che dipendente) eventualmente svolta”  (ai sensi della lettera a) dell’art. 3 del Decreto Legislativo n° 206 del 2005 (il “Codice del consumo”)
  • da parte degli enti privati senza scopo di lucro (art. 6° e 7°, 2° comma, lettera a della Legge n° 3 del 2012: queste norme parlano genericamente di “debitore” non soggetto al fallimento, compreso il consumatore, per cui deve intendersi incluso anche l’ente privato non profit).

Ma quali sono le procedure per ricomporre e sanare la crisi?

Potremmo, in breve dire che le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento (le cosiddette procedure paraconcorsuali) sono tre:

  • l’accordo di composizione delle crisi da sovra indebitamento
  • il piano del consumatore
  • la liquidazione del patrimonio del debitore.

Come funziona per le imprese e per i professionisti, la fuga dal sovraddebito?

Per rispondere a questa domanda, possiamo dire che quanto alle piccole imprese individuali o collettive (società di persone, di capitali o cooperative, comprese le cooperative sociali) a cui si applicano queste procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento sono quelle che NON possono essere assoggettate alle procedure concorsuali,

Ciò equivale a corrispondere quelle che presentano tutte e tre le seguenti caratteristiche:

  • hanno avuto, negli ultimi tre anni (esercizi) o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un totale annuo dell’attivo dello stato patrimoniale inferiore od uguale a 300.000 Euro (per ogni anno e non in media per tre anni);
  • hanno realizzato ricavi lordi, cioè un fatturato complessivo negli ultimi tre anni (esercizi) o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, per un ammontare annuo inferiore od uguale a 200.000 Euro riteniamo IVA esclusa) (idem sopra);
  • serbano un ammontare totale di debiti, anche non scaduti, inferiore o uguale a 500.000 Euro (dati dal totale dei debiti dello stato patrimoniale).

Per concludere possiamo aggiungere che non sono soggette a fallimento pure le imprese agricole, perciò a queste si possono applicare le procedure paraconcorsuali previste dalla Legge 3/2012, come confermato dal comma 2°-bis dell’art. 7 della Legge 3/2012.

Stessa cosa vale per i lavoratori autonomi, siccome anche questi ultimi possono ritrovarsi in una situazione di sovraindebitamento e nessuna norma della Legge 3/2012 li esclude dall’applicazione delle procedure previste in merito.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito alla complicata e spiacevole questione del sovraindebitamento, in merito a lavoratori autonomi e imprese, in stato di crisi.

Società agricola: cos’è, come funziona e i vantaggi che si possono avere

Svolgi attività agricola? Il modo più semplice per esercitare tale attività in forma societaria è scegliere le società agricola. Si tratta della forma più semplice di società e soprattutto gode di vantaggi fiscali. Ecco come si costituisce e quali attività può compiere.

Oggetto della società agricola

La società agricola è regolata dal decreto legislativo 99 del 2004 il cui articolo 2 definisce i requisiti che deve avere questa tipologia di società. La prima cosa da sottolineare è che la denominazione della società deve contenere espressamente la dicitura “società agricola”. La seconda cosa da sottolineare è che l’ambito delle attività che questa può porre in essere è ristretto e comprende l’elenco delle attività previste dall’articolo 2135 del codice civile. Si tratta quindi di attività agricola diretta alla coltivazione di terreni, silvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.

Le attività connesse devono essere individuate in trasformazione, manipolazione, commercializzazione, valorizzazione e conservazione dei prodotti ottenuti prevalentemente dall’attività condotta dall’azienda agricola stessa. A ben vedere la definizione comunque è abbastanza ampia e proprio per questo tra le attività che possono essere organizzate sotto forma di società agricola vi è anche l’agriturismo.

Affinché si possa parlare di società agricola è necessario che le attività siano comunque connesse, cioè la trasformazione dei prodotti, la commercializzazione degli stessi deve avere a oggetto prodotti che provengono dalla stessa azienda agricola. Ad esempio una coltivazione di pesche può avere tra le attività connesse la realizzazione di pesche sciroppate, le stesse devono provenire dalla stessa azienda agricola. In questo caso si può utilizzare la forma della società agricola.

Requisiti soggettivi per la società agricola

La società agricola diventa particolarmente utile quando ci sono diversi imprenditori agricoli che vogliono organizzare l’attività in forma societaria. Per la costituzione si possono scegliere diversi schemi, cioè è possibile avere una società agricola di persone o di capitali e si possono scegliere le varie formule, ad esempio SRL, SNC, società cooperativa.

Oltre questi requisiti vi sono quelli sostanziali e gli stessi dipendono dallo schema sociale che si vuole adottare. Ecco di cosa si tratta.

Per le società di persone (ricordiamo che le società di persone sono la SS, Società Semplice, SNC, Società in Nome Collettivo, e SAS, Società in Accomandita Semplice) è necessario che almeno uno dei soci abbia la qualifica di Imprenditore Agricolo Professionale,  IAP, o coltivatore diretto, nel caso in cui la società sia organizzata in forma di SAS, la qualifica di imprenditore agricolo deve essere detenuta dal socio accomandatario.

Per le società di capitali (SRL, SPA e SAPA, Società in Accomandita Per Azioni), la qualifica di imprenditore agricolo professionale o coltivatore diretto deve essere tenuta da almeno uno degli amministratori. Da qui emerge un dato particolare, infatti nelle società di capitali la carica di amministratore può essere conferita a una persona diversa rispetto ai soci. Ne deriva che può esservi una società agricola organizzata in forma di società di capitali (quindi con capitale della società completamente separato rispetto a quello dei soci) senza che nessuno dei soci stessi sia imprenditore agricolo. Tale orientamento è stato anche confermato dall’Agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello 909-216/2006 del 20 luglio 2006.

Nelle società cooperative la qualità di imprenditore agricolo professionale o coltivatore diretto deve essere in capo almeno un amministratore che però deve anche essere socio.

Per informazioni sull’imprenditore agricolo professionale puoi consultare l’articolo: Chi è l’imprenditore agricolo e attività connesse

Perché è importante scegliere la società agricola?

La scelta di organizzare l’attività in forma di società agricola porta numerosi vantaggi. In primo luogo vi è la possibilità di svolgere l’attività in forma di società di capitali con l’opportunità di rispondere dei debiti solo con il capitale della società stessa e non con il patrimonio personale. Ci sono inoltre vantaggi di tipo fiscale, infatti permette di riconoscere alle attività organizzate in forma societaria gli stessi vantaggi fiscali che sono riconosciuti agli imprenditori agricoli e coltivatori diretti. Le società agricole possono ottenere  agevolazioni per l’acquisto di macchinari e terreni. Per le aziende agricole inoltre non è prevista l’IRAP e questa agevolazione si trasferisce anche alle attività organizzate in forma di società agricola. Sottolineiamo ancora che per avere i vantaggi la società deve avere la denominazione specifica di Società Agricola.

Per conoscere i vantaggi fiscali riconosciuti alle società agricole, leggi la guida: Tassazione delle aziende agricole: il regime delle imposte sul reddito

Possono inoltre interessarti gli articoli:

Prelazione agraria: aspetti pratici per l’individuazione dei beneficiari;

Agricoltura: credito di imposta per chi acquista macchinari.

Banche delle terre agricole: uno strumento per trovare terreni incolti

Credito per il Mezzogiorno per l’agricoltura: come funziona

Cartelle esattoriali, quali vanno pagate entro il 30 novembre 2021?

Il decreto Fiscale numero 146 del 2021 ha messo ordine ai pagamenti delle cartelle esattoriali dei contribuenti con la scadenza entro il 30 novembre 2021 di quelle insolute. Ma è necessario verificare quali siano esattamente i termini e a quali cartelle si deve far riferimento con il versamento. La norma riguarda anche i mancati pagamenti nei termini della rottamazione ter (i cosiddetti “rottamati decaduti”).

Cartelle, scadenza del 30 novembre 2021 per le rate non pagate nel 2020 e 2021

Proprio l’articolo 1 del decreto Fiscale disciplina la rimessione in termini per la rottamazione ter e il saldo e stralcio. La norma, nel dettaglio, è a vantaggio dei contribuenti che non abbiano rispettato i termini per i pagamenti delle rate secondo il calendario di dilazione dettato dal decreto “Sostegni bis” (il decreto legge numero 73 del 2021).

Entro quando vanno pagate le rate della rottamazione ter e saldo e stralcio del 2020 e 2021?

A questi debitori, che non abbiano eseguito i versamenti delle rate del 2020 e del 2021 della “Pace fiscale”, si può evitare la decadenza pagando entro il 30 novembre 2021 tutte le rimanenti rate. Al termine di novembre, pertanto, si sommano sia le rate che erano in scadenza nel 2020 che le rate a saldo del 2021 sospese per l’emergenza sanitaria.

Fisco, alla scadenza del 30 novembre 2021 vanno pagate cartelle, Ipef, Irap, Ires e contributi previdenziali

La scadenza delle cartelle fiscali, alla quale il decreto offre un periodo di tolleranza che da calendario è fissato al 6 dicembre 2021, è la stessa di altri adempimenti. Infatti, al 30 novembre è fissato anche il pagamento dell’acconto delle imposte dirette, Irpef, Irap e Ires. Alla stessa data scadono altresì le imposte sostitutive e gli adempimenti legati ai contributi previdenziali. In caso di difficoltà di liquidità, i contribuenti non potranno procedere a dilazionare ulteriormente il debito residuo (le rate rimanenti) delle cartelle oltre la scadenza del 30 novembre.

Cartelle ricevute dal 1° settembre al 31 dicembre 2021: 150 giorni per pagare

Il decreto Fiscale disciplina anche l’estensione dei termini di pagamento per le nuove cartelle esattoriali. Si tratta degli avvisi di pagamento che i contribuenti hanno ricevuto a partire dal 1° settembre 2021 o che potrebbero ricevere entro la fine dell’anno. Rispetto all’ordinaria normativa, i termini per il pagamento sono stati allungati dal decreto. Dunque, anziché i consueti 60 giorni di tempo dalla notifica, i contribuenti possono pagare entro 150 giorni. Resta invariato il termine per presentare ricorso. Infatti, l’impugnativa può avvenire entro il consueto periodo di 60 giorni.

Pagamento rate esattoriali in essere all’8 marzo 2020: come procedere con il versamento?

Più complessa è la disciplina all’articolo 3 del decreto legge numero 146 del 2021. La norma riguarda l’estensione della rateazione per i piani di dilazione. Nell’articolo si fa riferimento alle cartelle in essere al giorno 8 marzo 2020 con la previsione di due situazioni. La prima situazione è quella di allungare il termine di decadenza a 18 rate non pagate, rispetto alle 10 precedentemente previste. La seconda riguarda i contribuenti che alla scadenza del 30 settembre 2021 non hanno provveduto ai pagamenti di quanto dovuto. A fine settembre era previsto il versamento minimo di nove rate, più quella di settembre, per non incorrere nella decadenza del piano di rateazione.

Fisco, pagamenti entro il 2 novembre 2021: vanno versate almeno tre rate

Pertanto, per le cartelle in essere al giorno 8 marzo 2020, la decadenza del piano di rateazione viene determinato dal mancato versamento di 18 rate, anziché di dieci, anche non consecutive. A questi contribuenti il decreto consente di regolarizzare i propri versamenti pagando il nuovo minimo di rate per non incorrere nella decadenza entro il 31 ottobre 2021. Non considerando il 31 ottobre (domenica) e lunedì 1° novembre per la festività , il termine ultimo per il pagamento slitta al 2 novembre 2021.

Quali rate e cartelle i contribuenti devono pagare entro il 2 novembre 2021?

Entro domani 2 novembre 2021, pertanto, i contribuenti dovranno pagare il numero minimo di rate sospese di tutte quelle in scadenza durante l’emergenza sanitaria. Pertanto, i contribuenti che non abbiano effettuato dei pagamenti, potranno farlo nel numero minimo di tre rate. Si tratta di una rata in scadenza pregressa più le rate corrispondenti ai mesi di settembre e di ottobre 2021.

Decadenza Naspi, quando si verifica?

Oggi andremo a scandagliare il mondo del lavoro e della disoccupazione, con il decorso della Naspi, scoprendo come si verifica, a cosa serve ottenerla e altre curiosità. Scopriamolo assieme, nella guida di seguito.

Naspi, cosa è e a cosa serve

Innanzitutto, prima di andare a scoprire come avviene la decadenza Naspi, partiamo col dire di cosa si tratta, quando si parla di Naspi, appunto.

Dunque, la Naspi non è altro che un’indennità mensile per la disoccupazione. Un’ indennità istituita dall’articolo 1, decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22, che sostituisce le precedenti prestazioni di disoccupazione ASpI e MiniASpI, in relazione agli eventi di disoccupazione involontaria.

Quindi, possiamo ben dire che la Naspi spetta ai lavoratori titolari di rapporto di lavoro subordinato che hanno perso il lavoro involontariamente.

Quando si verifica la decadenza Naspi?

Veniamo, dunque, al nocciolo della questione, il fulcro della nostra breve guida: quando avviene la decadenza della Naspi.

Partiamo subito con la risposta più immediata e sostanziale. evidenziando che in caso di rioccupazione con contratto di lavoro subordinato di durata superiore a sei mesi e/o con un reddito annuo presunto superiore a 8.145 euro, la prestazione decade.

Possiamo, dunque dire che per chi con un nuovo lavoro non guadagna più di 8145 euro l’anno a patto che il contratto a tempo determinato sia di durata pari o inferiore a 6 mesi, non vi è rischio di perdere la Naspi a patto che venga comunicato all’INPS l’inizio della nuova attività ed il reddito previsto.

Naspi in misura ridotta, come avviene

Quando, invece è possibile ottenere una Naspi in misura ridotta?

Dunque, qualora, il reddito del nuovo lavoro fosse inferiore al limite della no tax area, cioè che sia inferiore a 8.145 euro, la Naspi non viene sospesa, ma il suo importo viene ridotto.
La riduzione opera però solo a determinate condizioni, ovvero le seguenti:

  • Indicazione, entro 30 giorni dalla data di nuova occupazione, da parte del lavoratore all’Inps, del reddito annuo presunto;
  • La nuova occupazione deve avvenire presso un datore di lavoro differente da quello che ha precedentemente dato luogo alla Naspi.

Qualora, invece, la nuova occupazione sia in proprio, ovvero che il disoccupato decide di diventare lavoratore autonomo, la Naspi viene ridotta. Ma la riduzione avviene a condizione che l’interessato dichiari un reddito presunto dalla nuova attività, inferiore a 4.800 euro.

Come richiedere la Naspi

In ultimo, ma non ultimo, andiamo a vedere come avviene la richiesta della Naspi, una volta ritrovatisi disoccupati.

Partiamo col dire che per poter inviare telematicamente la domanda di disoccupazione Naspi 2021, bisogna accedere al sito dell’Inps.

Una volta fatto ciò, per inoltrare la domanda sarà necessario il PIN e il servizio online è lo si trova disponibile al seguente percorso: Home > Servizi Online > Elenco di tutti i Servizi > Servizi per il cittadino> Invio domande prestazioni a sostegno del reddito (Sportello virtuale per i servizi di informazione e richiesta di prestazione) > Naspi.

Quali documenti occorrono per la Naspi

In ultimo, ma non ultimo vediamo quali documenti sono necessari per completare correttamente la richiesta:

  • Copia carta d’identità e codice fiscale del richiedente
  • Ultima busta paga
  • Lettera di licenziamento o UNILAV*
  • Contratto di lavoro (se la richiesta di NASpI avviene a scadenza contratto tempo determinato)
  • Modulo mandato di assistenza e rappresentanza (disponibile dopo l’acquisto da compilare e allegare alla richiesta);
  • Modello SR163 da compilare e allegare alla richiesta (disponibile dopo l’acquisto da compilare e allegare alla richiesta);
  • Modello SR156 (disponibile dopo l’acquisto da compilare e allegare alla richiesta)

Dunque, questo è quanto vi fosse di più necessario ed utile da sapere in merito alla questione Naspi, riguardo alla sua decadenza, ma anche alla modalità di riduzione e come farne richiesta.

La sorveglianza sanitaria obbligatoria per la sicurezza sul luogo di lavoro

Le aziende, piccole o grandi che siano, hanno l’obbligo di tutelare la salute dei lavoratori e in base alla tipologia di attività che viene svolta, devono organizzare una corretta gestione di tutte le misure volte a evitare infortuni e lo sviluppo di patologie da parte dei dipendenti. Tra gli obblighi potrebbe esservi l’organizzazione della sorveglianza sanitaria obbligatoria.

Quando è necessario attivare il servizio di sorveglianza sanitaria obbligatoria

Le aziende non sono tutte uguali, infatti ci sono mansioni e luoghi di lavoro in cui non ci sono rischi e altre che invece potrebbero determinare problemi e rischi, in questo secondo caso la legge prevede che sia organizzato un servizio di sorveglianza sanitaria obbligatoria. La disciplina è contenuta nel decreto legislativo 81 del 2008 (articolo 41 come modificato dal decreto legislativo 106 del 2009), questo stabilisce gli obblighi del medico competente. Il servizio di sorveglianza sanitaria obbligatoria deve essere organizzato in caso di:

  • rischio chimico, ad esempio per chi lavora all’interno di laboratori in cui si maneggiano sostanze che possono essere nocive per il lavoratore;
  • rischio legato a rumori e vibrazioni (martelli pneumatici, mansioni in cui si sviluppano rumori particolarmente elevati e in grado di danneggiare l’apparato uditivo);
  • movimentazione manuale dei carichi, ad esempio magazzini, la sorveglianza deve essere attuata sia nel caso in cui la movimentazione avvenga senza uso di macchinari, sia nel caso in cui siano previste attrezzature specifiche (piccole gru oppure muletti);
  • lavori a contatto con agenti fisici potenzialmente dannosi (amianto, piombo, radiazioni di diversa natura, ad esempio raggi ultravioletti);
  • mansioni da svolgere in alta quota;
  • lavori notturni;
  • lavori che prevedono la presenza davanti a video-terminali per oltre 20 ore settimanali;
  • attività su impianti ad alta tensione;
  • quando sul luogo di lavoro vi è il rischio legato alla presenza di agenti cancerogeni, mutageni e rischio agenti biologici;
  • lavori in spazi confinati, sono considerati tali quelli che si svolgono in ambienti molto ristretti, ad esempio all’interno di scavi, nei sotterranei, in cisterne, vasche, serbatoi, rete fognarie. I questi casi i pericoli possono derivare da una ridotta ossigenazione e da esalazioni pericolose, purtroppo è frequentemente successo.

Cosa deve fare il medico competente

In tutti i casi visti vi è l’obbligo di organizzare il servizio di sorveglianza sanitaria obbligatoria, lo stesso viene affidato al medico competente, si tratta di un laureato in medicina che però abbia una formazione specifica sulla medicina del lavoro.

Per una guida approfondita sulla figura del medico competente, leggi la guida: Sicurezza sul luogo di lavoro: la figura del medico competente

Il servizio di sorveglianza naturalmente non si esaurisce nella nomina del medico competente, infatti è necessario elaborare un piano molto dettagliato di attività volte a tutelare i lavoratori.

Il medico per ogni lavoratore deve adottare un piano di visite e controlli. Il controllo deve essere effettuato in primo luogo al momento dell’assunzione, quindi il medico competente deve controllare che le condizioni psico-fisiche del lavoratore siano compatibili con le mansioni che dovrà svolgere e con l’ambiente lavorativo.

Nel caso in cui nel prosieguo del rapporto di lavoro vengano affidate al lavoratore delle mansioni diverse, si deve procedere nuovamente alla visita perché questa è finalizzata sempre a determinare se vi è compatibilità tra le condizioni di salute del lavoratore e le mansioni a cui è adibito.

Le visite devono essere svolte periodicamente, se la cadenza non è determinata da una norma specifica, si intende cadenza annuale, resta comunque la possibilità di richiedere il servizio di sorveglianza obbligatoria con una cadenza più breve. La visita deve inoltre essere effettuata a richiesta del lavoratore. Nei casi previsti dalla legge, la visita medica deve essere svolta anche alla cessazione del rapporto di lavoro. Infine, la visita è obbligatoria, al rientro a lavoro, in tutti i casi in cui il lavoratore è stato assente dal lavoro per oltre 60 giorni.

La cartella sanitaria nel servizio di sorveglianza sanitaria obbligatoria

Per ogni lavoratore il medico competente deve redigere una cartella sanitaria che deve essere annualmente aggiornata e trasmessa all’INAIL. Una copia deve essere consegnata su richiesta al lavoratore. Naturalmente le cartelle dei lavoratori devono essere conservate in modo da tutelare la privacy del lavoratore. La cartella deve essere conservata per almeno 10 anni.

Il medico competente non deve limitarsi a una visita di tipo fisico, infatti può richiedere anche degli esami strumentali e biologici, ad esempio radiografie e analisi del sangue. Questo vale soprattutto nei casi in cui le mansioni prevedano che il lavoratore sia esposto a rischi derivanti dall’esposizione ad agenti pericolosi.

Obblighi del medico competente

Il servizio di sorveglianza obbligatoria sul luogo di lavoro prevede per il medico competente anche l’obbligo di informare il lavoratore della natura dei rischi a cui è sottoposto, se emergono dalla visita delle criticità deve naturalmente comunicarle al lavoratore. Tra gli obblighi vi è anche quello di realizzare in forma anonima una relazione con i dati aggregati derivanti dal monitoraggio delle condizioni di salute dei lavoratori. Ad esempio potrebbe emergere che una percentuale significativa di lavoratori ha problemi polmonari, potrebbe essere necessario controllare l’efficienza dei DPI, acquistarne diversi con una maggiore capacità di protezione, oppure cambiare e migliorare i sistemi di aerazione nei locali.

Il medico competente deve inoltre visitare anche il luogo di lavoro in modo da determinare se nello stesso sono attuati tutti gli accorgimenti volti a eliminare, ridurre, contenere e controllare i rischi specifici.

Deve, infine, essere ricordato che azionare il servizio di sorveglianza obbligatoria in tutte le situazioni viste in precedenza è un obbligo del datore di lavoro, questo vuol dire che nel caso in cui tale obbligo sia disatteso sarà applicata una sanzione pecuniaria di valore minimo di 1.000 euro e massimo di 5.000 euro, inoltre è previsto l’arresto da 2 mesi a 4 mesi.

Per una panoramica sugli obblighi del datore di lavoro sulla sicurezza, leggi l’articolo: Lavoro e misure di prevenzione e protezione: doveri dell’azienda

 

Partita Iva, cosa fare in caso di lavoro extra del dipendente statale

Come deve comportarsi un dipendente del pubblico impiego, assunto con contratto a tempo indeterminato e a tempo pieno, nel caso in cui dovesse svolgere delle attività extra? Le norme impediscono al lavoratore statale di aprire partita Iva. Ma spesso capita di svolgere lavori extra per i quali il lavoratore non deve far richiesta di autorizzazione all’ente pubblico. Rientrano in queste attività, ad esempio, lo svolgimento di lezioni tecniche o quelle di tenere dei corsi via web.

Apertura partita Iva e prestazioni lavorative entro i 5 mila euro annui

Non potendo aprire la partita Iva, il dipendente del pubblico impiego potrebbe ricorrere alla prestazione occasionale. Emerge, in ogni modo, la necessità di conoscere qual è il volume di compensi che il lavoratore percepisce all’anno per l’attività occasionale. Infatti, determinati obblighi fiscali derivano dal superamento del tetto dei 5 mila euro all’anno.

Attività occasionali extra lavorative, quando bisogna iscriversi alla Gestione separata dell’Inps?

Ai fini dell’obbligo di apertura della partita Iva, in questo caso il superamento dei 5 mila euro risulta irrilevante. Infatti, la condizione per l’apertura della partita Iva è il carattere di abitualità di svolgimento di una certa attività. Se il dipendente del pubblico impiego, con le attività extra lavorative, non dovesse superare il tetto dei 5 mila euro annui, allora può essere esonerato rispetto all’obbligo di iscriversi alla Gestione separata dell’Inps.

Cosa avviene se con dei lavori si superano i 5 mila euro di compensi?

L’obbligo di iscrizione alla Gestione separata dell’Inps sussiste, invece, nel caso in cui dall’attività autonoma ne derivi un volume di compensi che superino i 5 mila euro annui. Con l’iscrizione alla gestione separata, infatti, chi svolge attività occasionali dovrà versare i contributi previdenziali.

Come si calcolano i contributi previdenziali nella Gestione separata Inps?

Per l’iscrizione alla Gestione separata Inps l’obbligo di versamento dei contributi previdenziali sussiste per un terzo in capo a chi svolge l’attività. I restanti due terzi competono a chi ha commissionato l’attività stessa. Tuttavia, il versamento sussiste solo sulle somme che eccedono i 5 mila euro. Nel caso in cui l’attività occasionale viene svolta con la cessione dei diritti di autore non vi sono limiti di compensi e sulle somme non sono soggette ai contributi.

Global Minimum Tax: tassazione unica per le multinazionali dal 2023

Per anni si è discusso di una tassa che potesse colpire in modo uniforme le multinazionali e i colossi del web come Facebook e Amazon, dal G20 che si sta svolgendo a Roma sembra sia arrivato finalmente l’accordo. Per ora l’unica certezza è la data, cioè la Global Minimum Tax dovrebbe essere applicata dal 2023, ma vediamo le altre indiscrezioni.

Cos’è la Global Minimum Tax

Dopo anni di trattative dal vertice G20 che si sta tenendo a Roma sembra sia finalmente arrivato l’accordo per la tassazione delle multinazionali, si intende attuare la Minimum Tax Globale. Si tratta di una questione molto rilevante, infatti ad ora queste società, tra cui quelle che operano nel mondo dei social, e che  producono redditi ed entrate in molti Paesi del mondo, pagano le tasse esclusivamente nel Paese dove si trova la sede sociale, scegliendo spesso quella dove le tasse sono inferiori e danneggiando di fatti i Paesi in cui il reddito si produce. Ad esempio, i Big dell’elettronica cinesi hanno come riferimento fiscale le Isole Cayman, mentre le società degli USA prediligono il Delaware.

Attualmente non si sa molto su questa tassa, il documento è stato presentato per la prima volta ai ministri delle finanze del G20 riuniti a Washington D.C. il 13 ottobre ed ora lo stanno discutendo a Roma. Le indiscrezioni trapelate dicono che l’aliquota minima sarà al 15% e che i proventi saranno riattribuiti ai vari Paesi.

Le entrate della Minimum Tax Globale

Si calcola che le imprese multinazionali che saranno sottoposte a questa tassazione sono circa 100 e che per i vari Paesi ci saranno introiti che oscillano intorno ai 125 miliardi di dollari. Secondo uno studio realizzato da una società indipendente la fetta di introiti degli Stati Uniti è di circa 65 miliardi di dollari l’anno. Per l’Italia invece questa imposta secondo le stime dovrebbe generare un’entrata di circa 30 miliardi di euro.

L’accordo si basa su due elementi fondamentali, cioè saranno sottoposte alla Global Minimum Tax le aziende con un fatturato annuo superiore a 750 milioni di euro (890 milioni di dollari) e ricavi globali di oltre 20 miliardi di euro con un margine di profitto di almeno il 10% e che producono redditi in vari Paesi del mondo.

La tassazione si applica nel Paese in cui la multinazionale ha il suo quartier generale, chedovrebbe quindi imporre una tassa con aliquota minima del 15% in ogni Paese in cui la società produce reddito.

I passi successivi per la Global Minimum Tax

Attualmente siamo in fase iniziale e vi è l’accordo dei vari Stati che stanno partecipando al G20 di Roma. All’accordo hanno aderito 136 membri dell’OCSE. Si tratta comunque di un primo passo importante perché finalmente c’è stato il superamento dell’opposizione di Ungheria, Irlanda ed Estonia. I Paesi che invece ancora non hanno aderito sono: Kenya, Nigeria, Pakistan e Sri Lanka. La fase successiva è quella di trasformare in legge i contenuti dell’accordo stipulato, in particolare ogni Paese dovrà adottare una legge che rispecchi i contenuti dell’accordo sottoscritto tra le parti. Tra i problemi ancora da risolvere vi sono quelli relativi ad eventuali dispute fiscali, si deve infatti individuare il giudice a cui di volta in volta è necessario devolvere le questioni che dovessero presentarsi.

L’applicazione dell’imposta nei vari Paesi prevede una condizione sospensiva, infatti, potranno beneficiarne solo nel momento in cui si procede alla rimozione delle varie digital/ web tax e misure simili.

Mese di novembre 2021, tutte le scadenze da rispettare

Anche il mese di novembre 2021 porta con se una serie di adempimenti fiscali e non da dover rispettare. Ecco lo scadenziario completo.

Mese di novembre 2021: si parte subito con le rate delle cartelle esattoriali

Il mese di novembre inizia subito con le scadenze di martedì 2 novembre. Dunque giorno 2 novembre occorre pagare l’ultima rata del piano di rateizzazione concesso nel 2020 per le cartelle esattoriali. Si ricorda delle rate che hanno beneficiato del “Decreto Fiscale” (DL n. 146/2021), recante “Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili”, ha introdotto nuovi termini per il pagamento di cartelle, rateizzazioni e per il versamento delle rate 2020 e 2021 della Definizione agevolata.

Sempre per lo stesso giorno sono previste il pagamento di alcuni versamenti, tra cui:

  • imposta di bollo,
  • Irpef (imposta sulle persone fisiche);
  • cedolare secca;
  • iva (imposta sul valore aggiunto);
  • imposte di registro;
  • imposta sostitutiva.

Inoltre è l’ultimo giorno per la dichiarazione INTRA mensile per gli acquisti di beni e servizi soggetti non stabiliti nel territorio italiano ed effetuati dagli enti non soggetti passivi Iva e degli agricoltori esonerati. Infine è anche l’ultimo giorno utile per inviare il modello 770 per l’anno 2021.

Dal 10 al 15 novembre: versamenti imposta di bollo e 730 integrativo

Il 10 novembre è previsto il versamento dell’imposta di bollo assolta in modo virtuale dovuta sugli assegni circolari rilasciati in forma libera in circolazione alla fine del 3¿ trimestre 2021. Sempre lo stesso giorno occorre presentare il modello 730 integrativo per correggere gli errori della dichiarazione dei redditi. Modello che va inviato all’agenzia delle entrate in via telematica.

Il 15 novembre l’attenzione viene spostata sul canone Rai. Infatti si deve comunicare all’Agenzia delle entrate i dati di dettaglio relativi al canone TV addebitabile e accreditabile nelle fatture emesse dalle imprese elettrice riferite al mese precedente. (Articolo 5, comma 1, del Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, 13 maggio 2016, n. 94).

Sempre lo stesso giorno è la scadenza per l’emissione e la registrazione delle fatture relative a beni consegnati o spediti e risultanti da documento di trasporto. Infine ASD, Pro-loco e altre associazioni devono annotare, anche con un’unica registrazione, l’ammontare dei corrispettivi e di qualsiasi provento conseguito nell’esercizio di attività commerciali, con riferimento al mese precedente.

Mese di novembre 2021, il 16 sono previsti ben 147 versamenti

Il 16 del mese sarà un giorno ricco di versamenti in quanto ne sono previsti ben 147, che riguardano:

  • Irpef;
  • cedolare secca;
  • addizionali;
  • ritenute;
  • Iva;
  • imposte sostitutive;
  • Irap (imposta regionale sulle attività produttive);
  • Ires (imposta sul reddito delle società).

Ma oltre alle imposte sui redditi, il 16 novembre è l’ultimo giorno per effettuare i pagamenti di:

  • acconto dell’imposta sulle assicurazioni (per le imprese di assicurazione);
  • saldo IVA in base alla dichiarazione annuale;
  • quota canone RAI trattenuta ai pensionati da parte degli enti pubblici;
  • Tobin Tax.

Le scadenze di fine mese

Per il 25 novembre vi è la presentazione degli elenchi riepilogativi (INTRASTAT) delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi rese nel mese precedente nei confronti di soggetti UE. Mentre il 30 novembre ci sono ben 48 versamenti e varie dichiarazioni. Tra le dichiarazioni ci sono Irpef, Irap, Ires ed Intra. Inoltre vi è la comunicazione periodica IVA effettuare nel terzo trimestre dell’anno, da effetuare mediante da effettuare utilizzando il modello “Comunicazione liquidazioni periodiche IVA”.

Infine il 30 novembre è prevista l’ultima rata per la rottamazione ter ed il saldo e stralcio scadute il 31 marzo, 31 luglio del 2020 e 31 marzo e luglio del 2021. Ma anche le rate della rottamazione ter e della definizione agevolata delle risorse UE scadute il 28 febbraio, 31 maggio, 31luglio del 2020 e 28 febbraio, 31 maggio, 31 luglio e 30 novembre del 2021.