Chiamate commerciali sui cellulari: evitarle con il registro delle opposizioni

Approvato dal Governo Draghi, su proposta del Ministro dello Sviluppo Economico Giorgetti, il nuovo regolamento sull’attività di telemarketing che mette fine, per chi lo desidera, ai messaggi e alle chiamate commerciali verso telefoni fissi e mobili.

Iscriversi al Registro Pubblico delle Opposizioni per evitare le chiamate commerciali

Capita di essere al lavoro o in famiglia, impegnati in cose importanti e ricevere telefonate. Non riconoscendo il numero si ha la tendenza a rispondere in quanto potrebbe essere una cosa importante. Si scopre dopo un po’ che in realtà si trattava semplicemente di un call center o di una pubblicità che magari ha fatto perdere la concentrazione o comunque la telefonata è stata piuttosto insistente e fastidiosa.

Per evitare questi disturbi la soluzione è iscriversi al Registro Pubblico delle Opposizioni. Si tratta di uno strumento attualmente già attivo (dal 2011) che però fino ad ora non è stato in grado di evitare effettivamente ai cittadini di essere disturbati da chiamate che spesso assumono anche toni molesti. Ciò che il Governo si è impegnato a fare con il nuovo regolamento sull’attività di telemarketing è semplificare la procedura per inserire i vari numeri del telefono nel Registro Pubblico delle Opposizioni e rendere le procedure per revocare eventuali consensi già espressi più semplici. Naturalmente una maggiore attenzione da parte dei cittadini ai consensi espressi, spesso tramite connessione internet, aiuterà ad avere un maggiore controllo sulle chiamate commerciali sui cellulari.

Il nuovo Regolamento approvato dal Governo

Il nuovo regolamento sulle attività di telemarketing è un aggiornamento del Registro Pubblico delle Opposizioni che in effetti è già in vigore. Il Ministro Giorgetti ha sottolineato che la nuova disciplina mira a tutelare maggiormente la privacy. Al fine di raggiungere questo obiettivo, prima di procedere all’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, è stato chiesto il parere del Presidente del Garante della Privacy, Pasquale Stanzione, che ha espresso parere favorevole sottolineando che sono stati accolti i rilievi formulati dal Garante volti soprattutto ad evitare le chiamate automatizzate, quelle che praticamente mettono in contatto con un centralino automatizzato.

La nuova disciplina prevede un’importante novità, infatti ora potranno essere inseriti anche i numeri dei cellulari. Sarà possibile per i consumatori limitare esclusivamente alcune tipologie di chiamate, ad esempio quelle automatizzate, oppure si potrà scegliere di limitare tutte le chiamate commerciali verso i cellulari e i telefoni fissi.

Il Nuovo Registro delle Opposizioni prevede inoltre che siano automaticamente inseriti tutti i numeri che non compaiono negli elenchi telefonici. L’iscrizione nel Registro Pubblico delle Opposizioni comporta l’automatica cancellazione di tutti gli eventuali consensi espressi antecedentemente all’inserimento del proprio numero nel registro stesso. L’iscrizione è sempre gratuita.

Quando entrerà in vigore il nuovo Regolamento sull’attività di telemarketing?

Occorre sottolineare che attualmente il nuovo regolamento sull’attività di telemarketing ancora non è attivo, infatti sarà necessario attendere il decreto del Presidente della Repubblica, che a sua volta dovrà essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. Dopo questi primi passaggi, come già sottolineato dal Ministro Giorgetti, inizierà una campagna di informazione molto dettagliata e completa volta a rendere edotti tutti i cittadini sulla possibilità di iscrivere i propri recapiti telefonici sul Registro Pubblico delle Opposizioni. Lo stesso dovrebbe essere attivo entro 120 giorni dalla Pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e comunque non oltre il termine del 31 luglio 2022.

Naturalmente importanti novità ci sono anche per le aziende, infatti prima di effettuare chiamate commerciali sui cellulari, dovranno verificare se il numero è inserito nel Registro Pubblico delle Opposizioni, le aziende che dovessero comunque inoltrare chiamate a numeri inseriti nel RPO rischiano pesanti sanzioni economiche in applicazione dell’articolo 83 del GDPR, cioè General Data Protection Regulation.

Come iscriversi al Registro Pubblico delle Opposizioni ed evitare le chiamate commerciali sui cellulari?

Ci saranno diverse modalità per iscriversi al RPO, infatti sarà possibile procedere via web, attraverso il sito Registro Pubblico delle Opposizioni, oppure sarà possibile iscriversi telefonicamente al numero verde 800 265 265. La chiamata deve essere effettuata dal numero che si vuole inserire nel registro e devono quindi essere forniti i dati relativi all’utenza.

Un altro modo per iscrivere un numero nel RPO è la Raccomandata con ricevuta di ritorno. Deve essere inviata all’indirizzo Gestore del Registro pubblico delle opposizioni – Abbonati, ufficio Roma Nomentano, casella postale 7211, 00162 Roma. In questo caso è necessario allegare una copia di un documento di riconoscimento e indicare il numero, o i numeri, di telefono che si vogliono inserire nel Registro. Infine è possibile procedere tramite e-mail all’indirizzo iscrizione@registrodelleopposizioni.it allegando il modulo scaricato dal sito www.registrodelleopposizioni.it

Deve, infine, essere sottolineato che la procedura può essere eseguita già ora, ma in questo momento è in vigore ancora il vecchio registro con le vecchie regole. In secondo luogo, se anche ci si iscrive al Registro Pubblico delle Opposizioni, se in seguito si dà il consenso alle chiamate commerciali sui cellulari a una singola azienda, quella potrà effettuare le chiamate senza incorrere in sanzioni. Di conseguenza nel momento in cui si esprime il consenso, soprattutto sui vari siti internet, a ricevere pubblicità occorre prestare attenzione. Ad esempio, si acquista sul sito X e si fornisce il proprio numero di cellulare al fine di essere reperibili per il corriere, allo stesso tempo l’e-commerce chiede il consenso a ricevere comunicazioni commerciali. Dando questo consenso, quella singola società a cui è stato dato il consenso potrebbe legittimamente effettuare chiamate commerciali, inviare sms o email.

Fondi pensione: quale scelta in base al tasso di rendimento?

Quale scelta dei fondi pensione si può fare in base ai tassi di rendimento? I contribuenti che siano interessati ad aderire e a sottoscrivere prodotti di pensione integrativa, spesso si imbattono in termini e in condizioni differenti a seconda delle compagnie assicurative. Anche la valutazione dei costi e delle performance, prima tra tutte i tassi di rendimento, variano a seconda dell’offerta delle varie soluzioni. A tal proposito è utile prestare attenzione alle tabelle di conversione.

Fondi pensione, la scelta in base ai tassi di rendimento: le tabelle di conversione

Quando si guardano le tabelle di conversione delle varie offerte relative ai fondi pensione ci si può imbattere in differenze anche notevoli. Si può andare dallo 0,22% fino allo 0,65%, ad esempio. La differenza induce a pensare che vi siano fondi pensione con rendimenti del triplo rispetto ad altri. In questi casi, la corretta lettura delle tabelle di conversione risulta estremamente decisiva. Ma, soprattutto, quando è utile prendere visione delle tabelle? Al momento della sottoscrizione della previdenza complementare oppure è necessario tenere sott’occhio quelle pubblicate nel tempo dalle compagnie assicurative?

Tassi di rendimenti del fondo pensione, la corretta informazione al momento della sottoscrizione

Il tasso di rendimento nel caso dei fondi pensione diviene dunque decisivo nella scelta dei contribuenti. Si potrebbe pensare, anche durante il pagamento dei contributi, di spostare i capitali da un fondo verso un altro che detiene dei valori di conversione più convenienti. Ma, per molti sottoscrittori, la durata di permanenza nel fondo pensione è piuttosto lunga. Cosa avverrà ai rendimenti da qui a 30 anni? Per tutti questi dubbi, ciò che veramente risulta decisivo è la corretta informazione al contribuente al momento della sottoscrizione del fondo pensione. L’informazione è utile anche per i casi di portabilità della previdenza integrativa dei fondi pensione.

Fondi pensione e rendite al momento del pensionamento

La rendita dei fondi pensione è un punto cruciale di tutta la previdenza complementare. Il contribuente versa ai fondi pensione i propri risparmi, anche per anni, ma alla fine potrebbe ottenere un risultato di gran lunga inferiore rispetto alle aspettative. Al momento del pensionamento, infatti, la pensione di scorta potrebbe avere un’entità di poche decine di euro. E questo non sempre dipende dall’esiguo montante versato negli anni al fondo pensione. Spesso può dipendere alle rendite maturate su quanto versato e sulla tipologia delle rendite.

Fondi pensione: le diverse formule di rendita della previdenza complementare

Cruciale è dunque l’informazione sulle diverse forme di rendita dei fondi pensione. La prima rendita è quella vitalizia, non reversibile, che va a estinguersi con la premorienza del sottoscrittore andato in pensione. Ma esiste anche la rendita reversibile, la seconda formula di rendimento, che consente il pagamento immediato della rendita al sottoscrittore fino al momento in cui resta in vita. Tale rendita si può trasmettere, per intero o per la rimanente parte, al beneficiario designato, detto reversionario, purché superstite.

Pensione integrativa: l’integrazione della rendita certa per 5 o 10 anni, poi vitalizia

Dai fondi pensione deriva anche la terza rendita certa, quella per cinque o per dieci anni, che poi diviene vitalizia. Tale rendita permette al sottoscrittore di ottenere il pagamento di una rendita, nel periodo dei cinque o dei dieci anni di certezza, al sottoscrittore che va in pensione da lavoro. E tale rendita si può trasmettere ai beneficiari designati nel caso di premorienza del sottoscrittore ma nell’arco del periodo indicato. Nel momento in cui scadono i 5 o i 10 anni, infatti, la rendita diventa dunque vitalizia se il sottoscrittore risulta ancora in vita. Diversamente, si estingue se il sottoscrittore muore.

Previdenza integrativa, quando si ha la restituzione del montante residuale del fondo pensione?

Un’altra formula di rendita dei fondi pensione è quella relativa alla restituzione del montante residuale. Si tratta del caso della controassicurata. Questa formula permette al sottoscrittore di vedersi pagata una rendita fino al momento in cui rimanga in vita. Nel momento in cui dovesse venire a mancare, la rendita verrebbe versata ai beneficiari sotto forma di capitale residuo. Tale capitale risulta dalla differenza tra il montante rivalutato e le rate già corrisposte e si può ottenere anche come pagamento frazionato e periodico.

Fondi pensione, quando scegliere la rendita vitalizia Long term care (Ltc)?

Si può arrivare a scegliere, nel caso di sottoscrizione ai fondi pensione, la rendita vitalizia Long term care (Ltc). Si tratta di una rendita che assicura il pagamento immediato al sottoscrittore, fino al momento in cui rimane in vita. La rendita raddoppia di valore nel caso in cui al sottoscrittore sopraggiungano eventi di non autosufficienza. Il raddoppio vale per tutto il permanere dell’evento stesso. La rendita va a estinguersi con la morte del sottoscrittore.

Fondi pensione, quale scelta per la futura previdenza integrativa?

Dall’analisi delle differenti formule di rendite assicurate dei fondi pensione, è chiaro che il solo riferimento al valore del rendimento non è sufficiente nella scelta. Non lo è nel momento in cui si prendano in esame i soli indici di rendimenti trascurando tutti i diversi fattori legati al tipo di rendita. Infatti, la tipologia di opzione della rendita, il tasso tecnico e i costi fanno in modo che non sia paragonabile un prodotto previdenziale rispetto a un altro senza tener conto dei diversi fattori.

Fondi pensione, si possono effettuare modifiche dei coefficienti di conversione della rendita integrativa?

Una garanzia per il sottoscrittore, dato il lungo termine di permanenza che si può avere in un fondo pensione, è rappresentata dal fatto che le compagnie assicuratrici non possono, nei 3 anni antecedenti il pensionamento del sottoscrittore stesso, procedere con la modifica dei coefficienti di conversione della rendita per chi ha aderito al fondo pensione. Possibile modifiche dei fondi pensione e dei rendimenti, sulla base di indici demografici e finanziari, possono aversi solo se si verificano specifiche condizioni. Tali condizioni sono previste dalla normativa in materia di stabilità delle compagnie assicuratrici, ragione per la quale la corretta informazione al sottoscrittore risulta decisiva prima della firma del prodotto.

Cosa è utile sapere nel caso di modifiche della rendita dettata da basi demografiche e finanziarie dei fondi pensione

Suddette modifiche, infine, non possono produrre effetti ai sottoscrittori che inizino a percepire la rendita nei 3 anni susseguenti alle modifiche stesse. In più, durante la fase di erogazione della rendita, le compagnie assicuratrici non possono procedere con la modifica delle basi demografiche usate per calcolare i coefficienti di conversione in rendita.

Assegno unico figli: aumentare l’importo è possibile, ecco come

L’assegno unico figli è, secondo il Governo, l’aiuto definitivo per le famiglie. Ma l’importo dell’assegno può essere aumentato, ecco come.

Assegno unico figli, come vedere se l’importo è corretto

L’assegno unico è la novità del 2022 per aiutare le famiglie italiane a mantenere i propri figli. L’importo è legato al valore del proprio ISEE. Quindi come prima cosa è necessario fare il valore ISEE, richiedendolo presso i Patronati, cad o centri abilitati al rilascio. Una volta ricevuto l’ISEE 2022 è possibile utilizzare il simulatore dell’Inps per conoscere quale sarà il l’importo mensile erogato.

A questo punto occorre collegarsi al sito dell’INPS e fare la simulazione online, senza bisogno di alcuna credenziale. E’ necessario compilare la scheda inserendo come prima cosa la composizione del nucleo familiare. In questa sede va segnata anche la presenza di eventuali soggetti che sono portatori di handicap. Il modulo si compila in tutti i suoi campi, compresa età dei figli e il reddito se sono maggiorenni. Dunque a questo punto il simulatore indicherà il valore dell’assegno.

Cosa fare se l’importo non è corretto

Se il valore del simulatore non sembra essere quello corretto, si può cercare di cambiare le cose. Per aumentare l’importo occorre diminuire il valore dell’ISEE. Ad esempio è possibile presentare l’ISEE Corrente, lo strumento che tiene conto dei redditi patrimoniali riferiti all’anno precedente la presentazione della DSU, qualora appunti i redditi siano minori rispetto all’Isee ordinario che prende in considerazione il secondo anno precedente.

Anche se a dire il vero l’ISEE Corrente si può presentare solo in determinati casi:

  • variazione della situazione reddituale del nucleo familiare, almeno superiore al 25% rispetto al calcolo dell’Isee fatto in modo ordinario;
  • variazione della situazione lavorativa del contribuente anche ai fini previdenziali, indennità che non rientrano nel reddito complessivo.

Quindi se il valore dell’Isee corrente è minore di quello ordinario, va presentato entro il 30 giugno. Così facendo l’importo dell’assegno sarà ricalcolato già dal mese di marzo e versato secondo il nuovo valore.

Assegno unico figli, cosa succede se nasce un nuovo bimbo?

Se tra l’isee ordinario e la presentazione odierna nasce un figlio, questo comporta una maggiorazione dell’Isee. In particolare per i figli successivi al secondo si applica una maggiorazione che va da 85 euro per isee minori a 15 mila euro, oppure di 15 euro per valori reddituali superiori a 40 mila euro.

Mentre dal quarto figlio in poi, scatta un’altra maggiorazione pari a 100 euro forfettari. Ecco che quindi è opportuno simulare l’importo dell’assegno sullo strumento messo a disposizione dell’INPS per verificare eventuali anomalie. Attenzione che però il valore della situazione economica potrebbe diminuire, qualora gli entrambi i genitori lavorano, mentre prima no.

 

Bonus casa e cessione del credito: ora più complicata, ecco perché

Arriva la stretta del governo sulla cessione del credito di imposta legata ai bonus e ai superbonus edilizi. L’opzione di vantaggio fiscale, alternativa allo sconto in fattura, potrà essere cedibile una sola volta. Si pone fine a quella che è stata considerata come una sorta di “moneta elettronica” per l’esecuzione degli interventi edilizi. La misura anti frode riguarda tutti i crediti di imposta, a partire dal superbonus 110% fino ad arrivare alle misure di detrazione previste dall’edilizia. Ma lo stop arriverà anche al tax crediti affitti e alla sanificazione dei luoghi di lavoro.

Stretta alla cessione del credito di imposta: quali sono i bonus interessati?

La stretta alla cessione del credito di imposta maturato per gli interventi edilizi è stata introdotta nel decreto “Sostegni ter” approvato dal Consiglio dei ministri. Riguarda:

  • il superbonus del 110%;
  • bonus ristrutturazioni;
  • ecobonus ordinario;
  • bonus facciate;
  • il nuovo bonus barriere architettoniche;
  • il sismabonus ordinario;
  • l’ecobonus potenziato e gli interventi combinati;
  • la tax credit affitti;
  • bonus per la sanificazione dei luoghi di lavoro;
  • agevolazioni per l’acquisto dei dispositivi di protezione individuale.

Cessione del credito di imposta per superbonus 110% e altri bonus edilizi: perché è stata limitata a una?

Nel decreto “Sostegni ter” è stata inserita, all’articolo 26, la stretta sulla cessione del credito di imposta su tutti gli interventi edilizi che prevedevano l’opzione insieme allo sconto in fattura. Al contribuente rimane la possibilità di detrazione nella dichiarazione dei redditi. Con il decreto, il governo ha scelto di bloccare la cessione tra più soggetti del credito di imposta limitando l’operazione a una sola cessione. La norma, in particolare, mira a bloccare le frodi e le modalità di riciclaggio attuate con lo strumento della cessione del credito di imposta.

Cessione del credito di imposta alternativo a sconto in fattura, cosa si può fare adesso?

Il decreto “Sostegni ter” va dunque a modificare direttamente l’articolo 121 del decreto “Rilancio” relativo alle cessioni plurime dei crediti di imposta. Dall’entrata in vigore del decreto si potrà cedere il credito di imposta una sola volta. Di fatto, la cessione avverrà da parte dell’impresa alle banche e agli intermediari finanziari, chiudendo il circolo di utilizzo multiplo dell’opzione. La stretta va a integrarsi anche con lo sconto in fattura, alternativo alla cessione del credito di imposta. I contribuenti potranno ricorrere allo sconto per ottenere il costo ridotto dell’intervento, anziché cedere complessivamente il credito fiscale.

Cessione del credito di imposta: da quanto entrerà in vigore il limite di una operazione?

La stretta sulla cessione del credito di imposta entrerà in vigore dopo un periodo di transizione. Più nello specifico la data del 7 febbraio 2022 rappresenta quella che farà da spartiacque. Nel decreto del governo si legge che i crediti di imposta che al giorno 7 febbraio 2022 sono stati già ceduti o sui quali è stato applicato lo sconto in fattura, possono “costituire oggetto esclusivamente di una ulteriore cessione ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari”. La cessione deve avvenire nei termini previsti. Nel caso in cui dovessero essere riscontrate delle irregolarità, i contratti verranno dichiarati nulli.

Limiti alla cessione dei crediti di imposta, perché si è arrivati alla stretta?

La stretta sulla cessione del credito di imposta è arrivata a seguito di frodi, anche davvero consistenti, dell’opzione applicata agli interventi edilizi. La Guardia di Finanza e la Procura di Roma nei giorni scorsi hanno scoperto una vasta frode per 1,25 miliardi di euro. Nella giornata del 21 gennaio scorso, anche a Napoli è emersa una frode da 110 milioni di euro. Per questi reati, la cessione del credito di imposta ha dato il via a vari fenomeni di riciclaggio. Il rischio è quello che le organizzazioni mafiose si inseriscano nel circuito delle cessioni del credito di imposta legati ai bonus ordinari e al superbonus 110%.

 

Pensioni anticipate 2022: quando bastano 56 o 61 anni, ecco chi può

Si fa un gran ragionare sulla riforma delle pensioni e sulle richieste dei sindacati. Parti sociali che chiedono a gran voce una uscita flessibile dai 62 anni di età con 20 anni di contributi. Misura che difficilmente potrà essere varata, soprattutto per via di un costo troppo elevato se fatta con apertura a tutta la popolazione lavorativa.

E se dicessimo che esiste una misura che consente di anticipare la pensione ancora di più rispetto alla proposta dei sindacati? Nessuna fake news, perché il nostro ordinamento è dotato di una misura strutturale, che permette proprio questo. E proprio perché strutturale, anche nel 2022 ci sarà chi potrà sfruttarla.

Pensione di vecchiaia anticipata per invalidi, donne a 56 anni, uomini a 61

La pensione ordinaria di vecchiaia si centra una volta raggiunti i 67 anni di età ed una volta raggiunti i 20 anni di contributi. Esiste però la versione di pensione di vecchiaia indirizzata verso gli invalidi.

Ed è una misura che consente un netto anticipo rispetto alla pensione ordinaria. Come dicevamo, pensioni talmente anticipate sono una rarità. Ecco perché la misura va approfondita. Una misura che consente di accedere alle pensioni anche 11 anni prima (o 10 se consideriamo le finestre di attesa).

Basti pensare che per le donne questa misura consente un anticipo maggiore perfino rispetto alla pensione con Opzione Donna (58 anni di età per le dipendenti e 59 per le autonome).

Infatti possono accedere alla quiescenza le donne già a partire dai 56 anni e gli uomini a 61 anni. Ed in entrambi i casi l’età contributiva minima prevista resta la medesima della pensione di vecchiaia ordinaria. Infatti bastano i canonici è 20 anni di contribuzione.

Va ricordato però che occorre fare i conti con una finestra mobile di 12 mesi che di fatto sposta la decorrenza del primo rateo di pensione e riduce un anticipo che però resta sostanziale.

Pensioni di vecchiaia con invalidità pensionabile, i requisiti

La sostenibilità di una misura pensionistica talmente vantaggiosa sui termini di uscita è data dal fatto che non è una misura aperta alla generalità dei lavoratori. Serve un requisito aggiuntivo al doppio vincolo anagrafico-contributivo. Occorre essere invalidi di un certo tipo per rientrare in pensioni particolari come lo è questa pensione di vecchiaia anticipata.

Per soggetti a cui è stata riconosciuta una percentuale d’invalidità pensionabile pari o superiore all’80%, questi i beneficiari della misura. In pratica,per questi le porte della pensione di vecchiaia anticipata si aprono proprio al raggiungimento dei 20 anni di contributi previdenziali versati, con un vantaggio enorme come età. Nello specifico, a 62 anni di età per gli uomini e 57 per le donne, al netto della finestra di 12 mesi come prima detto.

Va sottolineato che non tutti gli invalidi possono accedervi, perché non basta la certificazione dello stato di invalidità rilasciata dalla Commissione Medica per le Invalidità Civili che fa capo alle Aziende Sanitarie Locali.

Occorre che siano le commissioni mediche dell’Inps a certificare questa invalidità pari o superiore all’80%, con tanto di riduzione della capacità lavorativa degli interessati, in base al lavoro svolto, alle mansioni assegnate e alle attitudini del lavoratore.

Bonus Irpef 2022: cosa cambia e a chi spetta?

La riforma fiscale ha visto i natali tra legge di Bilancio e suo collegato Fiscale. Cambiano le aliquote Irpef, scompare quella al 41% che riguardava i redditi tra i 55.000 ed i 75.000 euro e cambia anche il bonus Irpef. Questo è solo il primo passo di una riforma in cantiere assai più profonda. L’obbiettivo finale del governo è quello di portare le aliquote dell’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche a tre (oggi da cinque aliquote si è passati a quattro).

Ridurre il prelievo fiscale, questo l’obbiettivo della riforma. I ritocchi introdotti quest’anno riguardano però solamente i redditi assoggettati all’applicazione delle aliquote più alte (ma l’obbiettivo delle riforma è proprio questo). Ma cosa cambia per il bonus Irpef che ha sostituito il vecchio bonus da 80 euro conosciuto come bonus Renzi?

Vediamo di approfondire l’argomento, andando a spiegare cosa è cambiato ed a chi spetta nel 2022 questo benefit.

Bonus Irpef 2022, la guida

Il bonus Irpef è stato introdotto nel 2021 e in base ai dettami normativi,  viene riconosciuto:

  • Ai lavoratori dipendenti con un reddito fino 28.000 euro;
  • Ai lavoratori dipendenti e assimilati incapienti con reddito sotto la soglia di  8.145 euro.

Nessuna distinzione tra lavoratori statali e lavoratori del settore privato. L’importo del bonus è pari a 100 euro al mese erogato in generale, nelle buste paga mensili o nei cedolini. Ma parliamo della cifra massima, perché il bonus Irpef nasce modulabile. Infatti abbiamo:

  • 100 euro al mese per redditi compresi tra 26.600 e 28.000 euro;
  • 80 euro al mese per redditi compresi tra 28.000 e 35.000 euro;
  • da 79 euro a zero per redditi compresi tra 35.000 e 40.000 euro.

Per comprendere quali sono i redditi da considerare per capire quali incidono sulle fasce prima citate va detto che vanno esclusi e non considerati i redditi derivanti dall’abitazione principale e quelli delle relative pertinenze. Inoltre esclusi pure i  oltre ai premi di risultato. Tutti gli altri vanno tenuti in considerazione.

Il bonus 100 euro appannaggio dei redditi più bassi

In base a quanto detto, ed alla luce delle modifiche, il bonus Irpef continua ad essere appannaggio  dei lavoratori dipendenti con redditi fino a 15.000 euro (primo scaglione). Inoltre, a determinate condizioni,  anche per dipendenti con redditi fino a 28.000 euro il benefit verrà comunque erogato. Per questa fascia tutto dipende dall’ammontare complessivo delle detrazioni spettanti (familiari a carico, lavoro dipendente, mutuo prima casa e così via). Nel caso in cui l’ammontare complessivo delle detrazioni a cui si ha diritto superano l’imposta lorda dovuta, niente benefit o erogazione in misura ridotta.

Le modifiche normative operano in salvaguardia per il contribuente. Infatti per la generalità dei lavoratori dipendenti vengono previste detrazioni fiscali più cospicue, che arriveranno a 3.100 euro come importo massimo spettante. Le fasce più avvantaggiate quelle con redditi compresi tra 25.000 e 35.000 euro.

Pertanto il bonus Irpef continuerà ad essere riconosciuto ai lavoratori che alla luce delle nuove norme su aliquote e detrazioni, avrà un trattamento penalizzante. Infatti se l’importo delle detrazioni spettanti sarà più elevato dell’Irpef lorda dovuta, il bonus sarà sempre riconosciuto.

Per i lavoratori con redditi tra 15.000 e 28.000 euro il bonus Irpef deriverà dalla differenza tra l’imposta lorda e le detrazioni spettanti, e naturalmente fino alla soglia di 1.200 euro.

Fringe benefit 2022 dimezzati: le ultime notizie per imprese e lavoratori

Novità dal primo gennaio 2022 per le aziende che offrono ai loro dipendenti fringe benefit, infatti torna al valore iniziale l’importo massimo delle esenzioni, dimezzato rispetto agli ultimi anni. Ecco tutte le novità sui fringe benefit 2022.

Cosa sono i fringe benefit? Le aziende sono obbligate a concederli?

I fringe benefit sono, appunto, vantaggi e piccoli premi, che le aziende riconoscono ai lavoratori. Si può trattare dell’uso dell’auto aziendale, cellulari, alloggi, piani assicurativi, buoni pasto, buoni carburante, spese di trasferta e simili. Per questi benefit è prevista a favore del lavoratore un’esenzione dal calcolo del reddito imponibile. Di conseguenza il contro valore di questi benefit non concorre a determinare il reddito su cui vengono calcolate le imposte. E’ come se fosse una “entrata” non tassata. Per le aziende i fringe benefit rappresentano degli oneri deducibili dal reddito dell’esercizio per il periodo di imposta in cui gli stessi sono sostenuti. Naturalmente le aziende non sono tenute a riconoscerli, ma il fatto che questi possano essere imputati nel bilancio di esercizio come costi, di sicuro rappresenta per le aziende uno stimolo a concederli.

Limite ai fringe benefit e agevolazioni per l’anno 2020 e 2021

La legge prevede però dei limiti, in particolare il comma 3 dell’art. 51 del TUIR stabilisce che il limite massimo del valore dei fringe benefit per il quale si possono ottenere vantaggi fiscali è di 258,23 euro annui. Nel 2020 e nel 2021 vi sono state delle novità, infatti, vista l’emergenza Covid, il Governo ha pensato di raddoppiare il valore dei fringe benefit. Per il 2020 si è provveduto con il D.L. n. 104/2020 (convertito in l. 126/2020) , mentre nel 2021 il raddoppio delle esenzioni per fringe benefit è stato applicato con D.L. n. 41/2021 (decreto Sostegni) convertito in legge 69 del 2021. Grazie a tali provvedimenti di raddoppio, il valore dell’esenzione per i lavoratori era di 516,46 euro l’anno.

Ultime notizie fringe benefit 2022

Nei mesi passati erano in molti a sperare, e ritenere, che attraverso la legge di bilancio 2022 oppure con il decreto Sostegni Ter, licenziato il 21 gennaio 2022, si provvedesse a raddoppiare nuovamente il valore dei fringe benefit 2022. Tale convinzione era dettata anche dal fatto che lo stato di emergenza Covid ha ottenuto nei mesi passati la proroga. Così non è stato e di conseguenza il valore dei fringe benefit 2022 per il quale si può ottenere l’esenzione, e che di conseguenza viene escluso dal calcolo del reddito imponibile, è di 258,23 euro. Si ritorna quindi al valore originale previsto dal TUIR (Testo Unico Imposte sui Redditi).

Ricordiamo che i fringe benefit possono essere riconosciuti anche ad personam, cioè il datore di lavoro non è tenuto a riconoscerli a tutti i lavoratori, ma possono essere elargiti a favore anche di uno solo, insomma l’azienda non è tenuta a dare a tutti l’auto di servizio.

Inoltre il limite dei fringe benefit 2022 di 258,23 euro deve tenere in considerazione anche eventuali benefit previsti dal Contratto Collettivo di Lavoro Nazionale ( che di conseguenza si applica a tutti i lavoratori del settore) come ad esempio quello di 200 euro annuali riconosciuto ai metalmenccanici.

Per ulteriori informazioni sui fringe benefit è consigliata la lettura dell’articolo: I vantaggi fiscali dei fringe benefit aziendali: panoramica

Per conoscere i vantaggi per le aziende previsti dal decreto Sostegni Ter e in particolare le opportunità dei contributi a fondo perduto, c’è l’articolo: Contributi a fondo perduto in arrivo: per quali imprese? Ultime notizie

Pignoramento prima casa, è possibile per debiti?

In questa rapida guida andremo a scandagliare i possibili rischi sulla possibilità di pignoramento della prima casa. Quando può accadere questa nefasta possibilità.

Pignoramento prima casa, per debiti

Per dirla in maniera particolarmente rapida ed esaustiva, la prima casa può essere pignorata tutte le volte in cui il debito è di natura privata. Non è previsto un limite minimo di debito a partire dal quale il pignoramento immobiliare è possibile. Pure in presenza di importi bassi, pertanto, il creditore può avviare tale procedura di esecuzione forzata.

Quando ad esempio il creditore è un istituto bancario o una finanziaria che ha emesso un prestito, la legge non prevede limiti e per il debitore non sussiste nessuna forma di tutela. Questa situazione vale anche nel caso in cui i creditori sono familiari, controparti di processi che hanno vinto le cause o altri soggetti privati.

Andiamo, appurato ciò a scoprire ulteriori dettagli sulla questione.

Quali sono i limiti alla pignorabilità della prima casa

Partiamo col precisare, innanzitutto, che la norma limitativa dell’esecuzione immobiliare ha effetto solo nei confronti dell’erario, nell’attualità, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate Riscossione.

Tale norma, inerente all art. 76, D.P.R. n. 602/1973 recita

. Ferma la facoltà di intervento ai sensi dell’articolo 499 del codice di procedura civile, l’agente della riscossione:


a) non dà corso all’espropriazione se l’unico immobile di proprietà del debitore, con esclusione delle abitazioni di lusso aventi le caratteristiche individuate dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, e comunque dei fabbricati classificati nelle categorie catastali A/8 e A/9, è adibito ad uso abitativo e lo stesso vi risiede anagraficamente;
a-
bisomissis

  1. b) nei casi diversi da quello di cui alla lettera a), può procedere all’espropriazione immobiliare se l’importo complessivo del credito per cui procede supera centoventimila euro. L’espropriazione può essere avviata se è stata iscritta l’ipoteca di cui all’articolo 77 e sono decorsi almeno sei mesi dall’iscrizione senza che il debito sia stato estinto
  2. Il concessionario non procede all’espropriazione immobiliare se il valore dei beni, determinato a norma dell’articolo 79 e diminuito delle passività ipotecarie aventi priorità sul credito per il quale si procede, è inferiore all’importo indicato nel comma 1.”

Stando quindi al comma 1, lettera a, si evince che ad essere impignorabile non è la “prima casa” bensì l’unico immobile, con l’ulteriore specificazione riguardante la circostanza che debba, questo immobile, essere adibito ad uso abitativo e lo stesso (contribuente esecutato) vi risieda anagraficamente. In buona sostanza si prevede l’impignorabilità della prima casa a condizione che sia l’unica casa posseduta, che non si possa annoverare tra i beni di lusso (ai sensi del D.M. Lavori Pubblici n. 1072/1969) o accatastata nella categoria A/8 (Abitazioni in ville) o A/9 (Castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici).

Qualora, invece, vi sia l’ipotesi che il debitore sia possessore di più unità immobiliari (non soltanto di case, ma genericamente di immobili), questi a determinate condizioni, possono essere aggrediti dall’erario, compresa la “prima casa”. Infatti, dal disposto del comma 1, lettera b) si può evincere che si “procede all’espropriazione immobiliare se l’importo complessivo del credito per cui si procede supera centoventimila Euro”. Per importi inferiori, ma superiori ad Euro ventimila, l’Agenzia delle Entrate Riscossione potrà solo provvedere all’iscrizione ipotecaria ma non ottenere il pignoramento.

Questo è, dunque quanto vi fosse di più utile, sostanziale e necessario da sapere in merito ai rischi di pignoramento per la prima casa.

Leggi anche: Pignoramento TFS pubblico impiego, ecco quando e come

IVIE: la tassa che si paga sugli immobili all’estero

In questa rapida guida andremo a fronteggiare e approfondire l’argomento IVIE, ovvero quella tassa che si paga sugli immobili all’estero. Cosa è nello specifico, come si calcola e quando si paga, questo ed altro scopriremo nei prossimi paragrafi.

IVIE: che cos’è e come funziona

Innanzitutto, partiamo con il definire cosa è l’IVIE.

L’IVIE non è altro che l’imposta di tipo patrimoniale sul valore degli immobili situati all’estero, ed è stata introdotta in Italia dal 2012. Trattasi di un’imposizione periodica e costante, stabilita in percentuale in base al valore dell’immobile, la quale dovrà essere pagata ogni anno da tutti i proprietari residenti in Italia di immobili situati al di fuori del territorio nazionale, anche i titolari di altri diritti reali.

Andiamo a vedere di seguito, cos’altro c’è da sapere su questa tassazione.

IVIE, a chi tocca versarla

Chi sono, dunque i soggetti che devono versare questa tassazione sugli immobili all’estero?

L’IVIE è dovuta dalle seguenti categorie:

  • proprietari di fabbricati, aree fabbricabili e terreni a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali per natura o quelli destinati ad attività d’impresa o di lavoro autonomo;
  • titolari dei diritti reali di usufrutto, uso o abitazione, enfiteusi e superficie sugli stessi;
  • concessionari, nei casi di concessione di aree demaniali;
  • locatari, per gli immobili, anche da costruire o in costruzione, concessi in locazione finanziaria.

Chi sono invece quegli immobili esenti dalla tassazione IVIE?

Dal lontano, ma non troppo lontano, 1 gennaio 2016 l’imposta dell’ IVIE non si applica al possesso degli immobili adibiti a:

  • abitazione principale (e per le relative pertinenze);
  • casa coniugale assegnata al coniuge, a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, purché in Italia non risultino classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9.

Come calcolare l’IVIE

Ma come si calcola, dunque, il pagamento di questa imposta?

La base imponibile che si utilizza per il calcolo dell’imposta viene rappresentata dal valore del bene, il quale muta a seconda dello Stato in cui è situato l’immobile:

  • nel caso dei Paesi appartenenti alla Unione europea o dei Paesi aderenti allo Spazio economico europeo (quali Norvegia e Islanda) che garantiscono un adeguato scambio di informazioni, il valore da utilizzare è prioritariamente quello catastale, così come è determinato e rivalutato nel Paese in cui l’immobile è situato, per l’assolvimento di imposte di natura reddituale o patrimoniale, oppure di altre imposte determinate sulla base del valore degli immobili, anche se gli immobili sono pervenuti per successione o donazione. Qualora mancasse il valore catastale, si fa riferimento al costo che risulta dall’atto di acquisto e, in assenza, al valore di mercato rilevabile nel luogo in cui è situato l’immobile;
  • per gli altri Stati, il valore dell’immobile è costituito dal costo risultante dall’atto di acquisto o dai contratti e, in mancanza, dal valore di mercato rilevabile nel luogo in cui è situato l’immobile.

Inoltre, c’è da calcolare l’aliquota IVIE.

In tal senso, l’ aliquota è da moltiplicare per la base imponibile, per ottenere l’importo da versare, ed è pari allo 0,76% del valore degli immobili. Essa viene calcolata in proporzione alla quota di possesso e ai mesi dell’anno nei quali è avvenuto il possesso.

IVIE non dovuta e agevolazioni

Andiamo, in ultimo ma non ultimo a vedere in quali casi ci possono essere agevolazioni sull’imposta o quali sono i casi in cui IVIE non è dovuta.

Possiamo, rapidamente, asserire che Il versamento non è dovuto qualora l’importo complessivo, calcolato a prescindere da quote e periodo di possesso e senza tenere conto delle detrazioni previste per lo scomputo dei crediti di imposta non superasse i 200 euro.

Nel caso di agevolazioni, invece va detto, che è possibile dedurre dall’ IVIE l’eventuale imposta patrimoniale che è stata versata nello Stato in cui è situato l’immobile od anche, per gli immobili situati in Paesi appartenenti alla UE o aderenti allo Spazio economico europeo che garantiscono un adeguato scambio di informazioni.

Inoltre, è possibile sottrarre anche l’eventuale eccedenza di imposta reddituale estera sugli immobili in questione, quando non utilizzata come credito IRPEF.

Per concludere il nostro viaggio, vediamo come avviene il versamento IVIE.

Versamento IVIE, come avviene

Dunque, in conclusione della nostra guida, va detto che l’ IVIE va versata seguendo le stesse regole IRPEF, attenendosi alle medesime scadenze sia per l’acconto che per il saldo. Il valore degli immobili situati all’estero deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi andando a compilare l’apposito quadro RW.

Questo è, dunque, quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito all’IVIE, la tassa che si paga sugli immobili all’estero.

Diventare investigatore privato: requisiti e prospettive future

Tra i professionisti sempre più ricercati vi sono gli investigatori privati, ma iniziare questa attività non è semplice infatti è previsto un percorso specifico per diventare investigatore privato o aprire un’agenzia investigativa. Inoltre vi sono limiti da rispettare nell’effettuare le indagini. Ecco sa c’è da sapere.

Cosa fa un investigatore privato?

L’investigatore privato negli ultimi anni è sempre più richiesto ed è un errore pensare che il suo ruolo sia limitato a scoprire le infedeltà coniugali. Sebbene questa tipologia di indagine sia ancora richiesta, ci sono molte altre attività ad affiancarla, ad esempio sempre più frequentemente sono le aziende a richiedere i servizi di questo professionista per scoprire la slealtà dei dipendenti, per verificare il comportamento degli assenteisti che si avvalgono frequentemente dei permessi per malattia, per “monitorare” l’attività delle aziende concorrenti, scoprire se le aziende concorrenti stanno attuando delle mosse di spionaggio aziendale, insomma deve occuparsi anche di cyber security.

Proprio in virtù di tale moltiplicità di attività, oggi un investigatore deve essere in grado di eseguire delle indagini ambientali, queste sono volte soprattutto a trovare microspie, sistemi di intercettazione e deve avere conoscenze approfondite sulla sicurezza informatica.

Queste sono solo alcune attività, ma già da questa prima descrizione si può notare che in molti casi si tratta di sofisticate indagini che richiedono anche l’uso di strumentazioni ad elevata tecnologia e di conseguenza per poter essere oggi un investigatore privato è necessario avere conoscenze di informatica di un certo tenore.

Requisiti per diventare investigatore privato o agente investigativo

Ritornando alla formazione necessaria, questa guida mira a indicare i requisiti necessari per poter essere un investigatore privato autorizzato e quindi che opera nella piena legalità.

Si possono distinguere due opportunità, cioè lavorare come agente investigativo oppure aprire una propria agenzia investigativa, per completezza vedremo entrambe queste opportunità.

Per diventare agente investigativo che opera presso un’agenzia investigativa è necessario non avere riportato condanne per delitti non colposi. Naturalmente presentandosi a un’agenzia con questo unico requisito è molto probabile che non si venga assunti, ecco perché è molto probabile che l’agenzia investigativa chieda un curriculum leggermente più elaborato e particolari qualità, tra cui una certa scaltrezza, l’abilità con strumenti informatici. Deve essere ricordato che per poter operare è necessario essere inquadrati nell’agenzia investigativa con l’applicazione del contratto nazionale, in caso contrario si può incorrere in reati come lo stalking, si può essere perseguiti per violazione della privacy, esercizio abusivo della professione e tanti altri reati che si configurano in base alle azioni effettivamente compiute.

Un investigatore privato dipendente di un’agenzia investigatoiva in media guadagna 1500 euro al mese. Naturalmente in base alle competenze, all’esperienza, alle conoscenze e all’agenzia stessa vi possono essere anche retribuzioni molto più elevate.

Come aprire un’agenzia investigativa

Per poter avere una propria agenzia investigativa il percorso è invece più complesso, infatti è necessario avere maturato un’esperienza presso un’agenzia investigativa per almeno 3 anni. L’agenzia investigativa deve però aver ottenuto l’autorizzazione da almeno 5 anni. Inoltre per maturare il requisito il lavoro deve essere stato svolto per almeno 80 ore mensili.  Inoltre è necessario avere una laurea in giurisprudenza, scienze politiche, criminologia, scienze delle investigazioni o laurea equipollente. L’aspirante titolare di agenzia investigativa deve seguire un corso di perfezionamento teorico-pratico. Naturalmente anche in questo caso è necessario non avere riportato condanne per delitti non colposi.

Coloro che sono in possesso di questi requisiti possono inoltrare domanda alla Prefettura competente per territorio, questa dopo aver verificato il possesso dei requisiti, rilascia una licenza. L’istruttoria solitamente ha una durata di oltre 100 giorni, non si tratta quindi di una cosa particolarmente breve e al termine si ottiene una licenza ex art. 134 T.U.L.P.S. e 222 D. Leg.vo 271/89 per la difesa penale.

Inoltre è possibile ottenere una licenza per l’apertura di un’agenzia investigativa dopo avere svolto per 5 anni il servizio nelle Forze dell’Ordine e avere lasciato il servizio da almeno 4 anni (decreto del Ministero dell’Interno 269 entrato in vigore nel 2011).

Si tratta di una licenza di Pubblica Sicurezza, di conseguenza è personale e non cedibile, in poche parole non può essere venduta. Naturalmente per poter avere una propria agenzia investigativa è necessario avere una partita IVA e dei locali per la sede della stessa. Nella richiesta di licenza deve essere specificato anche se eventualmente si vuole assumere personale e vi deve essere un deposito cauzionale di 20.000 euro.

L’investigatore privato ha il porto d’armi?

L’investigatore privato, sia che agisca come dipendente di un’agenzia, sia che lui stesso sia titolare di un’agenzia investigativa, può richiedere il porto d’armi, ma non è detto che questo gli sia concesso, praticamente a lui sono richiesti gli stessi requisiti chiesti per un qualunque altro cittadino. Quindi se ti immagini come un moderno investigatore da controspionaggio stile telefilm, meglio lasciar perdere.

L’investigatore privato nell’esercizio della professione ha diversi limiti, ad esempio dietro incarico può seguire una persona e scattare foto, ma esclusivamente in luoghi pubblici e aperti al pubblico, mentre non può invadere la sua sfera personale, ad esempio attraverso microspie piazzate nell’abitazione del soggetto seguito. Non può intercettare telefonate e comunicazioni varie e deve rispettare le norme sulla tutela della privacy.