Bollette: due case unico contatore? ecco quando si può

Mai come adesso, il risparmiare sulle bollette delle utenze domestiche è diventata una priorità per migliaia di migliaia di famiglie. Colpa degli esponenziali aumenti del costo dell’energia elettrica e del gas. Spese che le famiglie sostengono mensilmente in base ai loro consumi.

La corsa alle soluzioni di risparmio, senza considerare naturalmente il tenere spenta la luce o il tenere spenti i riscaldamenti in questo inverno, interessano tutti. Soprattutto chi i rincari li subisce su più utenze, come magari capita a chi ha due contatori intestati, magari uno in casa ed uno nel box auto o in garage.

Va detto che i benefici dell’uso residenziale sono evidenti per chi come dicevamo ha due contatori. Le tariffe sono più alte per il secondo contatore e sulle bollette si sente la differenza. Ma in alcuni casi avere il secondo contatore può essere superfluo. Si può pagare di meno e risparmiare, tutto senza particolari trucchi, stratagemmi e sotterfugi.

Anche la pertinenza della prima casa con lo stesso contatore e stessa bolletta

Avere due case piccole, confinanti e con due utenze di energia elettrica porta ad un esborso maggiore come bollette. A prescindere dai consumi o dai metodi di risparmio che ogni singolo utente può adottare, la tariffa per il contatore sito nella casa che non è quella di residenza, sono più alte. E poi ci sono gli oneri fissi, le tasse e le spese accessorie che si pagano per ogni contatore.

Ma due unità immobiliari non devono avere per forza di cose due contatori. L’attacco della luce  può essere tutto in un contatore. Ove possibile naturalmente. Magari per la propria casa e il proprio sottotetto. Oppure per la propria casa ed il box auto o garage.

In altri termini, tutti gli immobili che possono essere catalogati come pertinenza della prima casa, possono godere di un unico contatore. Purché fisicamente vicini tra loro, dal momento che se trattasi di immobili separati, è praticamente impossibile avere un unico contatore. Questo sia per questioni fisiche dell’immobile che per legge. Non esistono allacci unici per immobili indipendenti.

Cosa fare per avere un contatore unico ed eliminare le due bollette tra casa e pertinenza

Il contatore unico è una soluzione di risparmio evidente. Lo è a tal punto che non mancano casi in cui una famiglia unifica due immobili facendoli diventare uno unico. Senza dover cimentarsi in particolari, complesse e pure costose operazioni catastali e di muratura, per far diventare una unità immobiliare unica  ciò che oggi è divisa in due, come abbiamo detto prima, per le pertinenze tutto può essere fatto in maniera automatica. Infatti il contatore unico è ammesso per:

  • Immobili collegati tra loro da vincolo di pertinenza;
  • Garage, autorimesse, tavernette, box auto e cantine.

Nel dettaglio, pure se le unità immobiliari prima citate sono di due o più persone. Il fattore determinante è che essi siano parte di un medesimo condominio.

IMU, se la casa è occupata non va pagata, si cambiano le regole

L’imu è l’imposta sul possesso di immobili. Secondo una  sentenza si paga anche nel caso di occupazione abusiva, ma le cose possono cambiare.

L’imu, la sentenza che fa arrabbiare i proprietari di casa

La Corte di cassazione ha emesso una sentenza lo scorso anno che ha fatto indignare i proprietari di casa. Con la sentenza n.29658/2021 la Corte di Cassazione dichiara che “l’occupazione abusiva di un immobile da parte di terzi incide sull’obbligo del proprietario di corrispondere l’imposta IMU”. Quindi anche se la casa è occupata in modo abusivo, il proprietario ne deve versare l’Imu all’Erario.

Ma le cose sono diverse oggi. La commissione tributaria della Toscana ha respinto un ricordo del Comune di Livorno contro la P.i. Sgr, nel quale l’ente locale contestava la sentenza del pagamento dell’imu. Imposta versata su un edificio composto da otto immobili ed occupato abusivamente da soggetti in stato di emergenza abitativa e che non era mai stato sgomberato dalla forza pubblica.

Vediamo in breve la sentenza di ribalta

L’imposta municipale unica o imposta municipale propria è un tributo del sistema tributario italiano. È un tributo diretto di tipo patrimoniale, essendo applicato sul componente immobiliare del patrimonio. Quindi l’imu si paga per il semplice fatto di possedere un immobile, a prescindere dal fatto che sia regolarmente abitato, locato o dato in comodato d’uso anche gratuito.

Ora secondo la sentenza della Corte di Cassazione, l’Imposta si paga a prescindere da tutto. Ma la commissione tributaria della Toscana ribalta la situazione. Cioè il Comune di non può richiedere il pagamento dell’Imu, se non si occupa dello sgombero dello stabile stesso da parte delle autorità competenti. Pertanto, «se gli organi di polizia si astengono dal difendere il diritto di proprietà di colui cui il Comune richiede il pagamento dell’Imu, questi è privo di tutela senza possesso poiché in mancanza di possibilità di attivare i diritti possessori».

L’imu ed il diritto sancito

Viene, pertanto, sancito un importante principio. In base a questo «il titolare di un immobile occupato non trae nessun utile dal suo diritto di proprietà. Né quello di un godimento diretto del bene né di un godimento mediato attraverso il conseguimento di un corrispettivo per il suo utilizzo. Ed è anzi costretto a subire un deterioramento del bene con conseguente diminuzione patrimoniale». Di qui il rimborso sull’imposta già pagata dalla Sgr per evitare di incorrere nel pagamento di sanzioni e interessi.

Infine si ricorda che l’art.4 ter del decreto Sosteni-bis (D.L n.73/2021 convertito dalla Legge n.106 del 23 luglio 2021) ha introdotto l’esenzione IMU per le sole persone fisiche che abbiano ottenuto l’emissione di una convalida di sfratto. Cioè quel procedimento che il locatore può utilizzare per ottenere in tempi brevi un titolo esecutivo per conseguire il rilascio dell’immobile locato, sia in caso di scadenza del contratto di locazione sia in caso di morosità.

 

 

Assegno unico per i figli: si possono detrarre le spese mediche e scolastiche?

Le spese per i figli possono essere ancora detratte ai fini dell’assegno unico. A partire dal 1° marzo 2022 l’assegno universale costituirà l’unico strumento economico a favore delle famiglie con figli minorenni. Risultano inclusi nella disciplina anche i figli maggiorenni e fino al compimento dei 21 anni di età. L’assegno andrà a vantaggio anche delle famiglie con figli lavoratori (a basso reddito) o in cerca di occupazione, oltre che studenti. Il decreto “Sostegni ter” è intervenuto nell’ambito della detraibilità delle spese mediche e scolastiche rispetto all’assegno unico.

Spese mediche e scolastiche per i figli a carico, si possono detrarre ai fini dell’assegno unico?

In particolare, la detraibilità delle spese mediche e scolastiche a favore dei figli nell’ambito dell’assegno unico devono essere sostenute a favore dei minori e dei maggiorenni fino a 21 anni di età. Le detrazioni operano benché su queste spese non siano più spettanti le detrazioni dell’Irpef. Tuttavia, per i figli maggiorenni e fino ai 21 anni di età che non studino, né lavorino e nemmeno cerchino un’occupazione, si potrebbe verificare una situazione analoga rispetto agli “altri famigliari a carico”. Il decreto “Sostegni ter” esclude espressamente la detraibilità delle spese in questione.

Assegno unico per i figli minori o dai 18 ai 21 anni di età: le condizioni per le detrazioni delle spese

La detrazione nell’ambito dell’assegno unico per i figli relativamente alle spese mediche e scolastiche opera, pertanto, in presenza di figli minorenni o di maggiorenni (dai 18 fino al compimento dei 21 anni di età). Per quest’ultima categoria, per operare la detrazione delle spese, devono verificarsi quattro condizioni:

  • devono frequentare un corso di laurea, un corso di formazione professionale o scolastica;
  • svolgere un tirocinio oppure un lavoro con un limite di reddito non superiore agli 8.000 euro;
  • devono essere in possesso della dichiarazione di immediata disponibilità a svolgere un’attività lavorativa da ottenere dai centri pubblici per l’impiego;
  • svolgere il servizio civile universale.

Assegno unico per i figli o detrazione delle spese per i figli a carico?

Le incertezze normative relative alla detrazione per i figli a carico e fino al compimento dei 21 anni di età e l’assegno unico sono state superate dal decreto “Sostegni bis” (decreto numero 4 del 2022). In particolare, a partire dal 1° marzo prossimo, le famiglie con i figli che percepiscano l’assegno universale non avranno più la possibilità di ottenere le detrazioni per i figli a carico secondo quanto prevede l’articolo 12 del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir). Con l’arrivo dell’assegno universale, le famiglie beneficeranno di questo unico strumento economico sempreché si tratti di figli minorenni o di figli dai 18 anni al compimento dei 21 anni di età purché studenti, lavoratori con reddito entro gli 8.000 euro o in cerca di un’occupazione.

Assegno unico per i figli, come detrarre le spese mediche e scolastiche?

A disciplinare la detrazione delle spese mediche e scolastiche nell’ambito dell’assegno unico per i figli è intervenuta la modifica dell’articolo 12 del Tuir con il nuovo comma 4 ter operata dal comma 6 dell’articolo il quale disciplina che “ai fini delle disposizioni fiscali che fanno riferimento alle persone indicate nel presente articolo, anche richiamando le condizioni ivi previste, i figli per i quali non spetta la detrazione ai sensi della lettera c) del comma 1 sono considerati al pari dei figli per i quali spetta tale detrazione”.

Detrazione fiscale figli a carico dai 18 ai 21 anni di età: quando si può applicare?

Dal decreto “Sostegni ter” arriva dunque la possibilità di detrazione fiscale per le spese mediche e scolastiche per i figli a carico entro i 21 anni di età. I genitori, anche se beneficiari dell’assegno unico, potranno continuare a detrarre le spese sostenute per i figli, ancorché da marzo prossimo non spettino più le detrazioni fiscali per ogni figlio a carico. Non potranno detrarre le spese per i figli dai 18 ai 21 anni che non lavorino, non cerchino un’occupazione e non studino.

Detrazione fiscale figli a carico di oltre 21 anni di età: come funziona?

Per i figli disabili, anche con più di 21 anni di età, oltre all’assegno unico, i genitori potranno continuare a effettuare la detrazione fiscale. In tal caso, il limite del reddito per essere considerati a carico è rimasto invariato. Il massimo lordo annuo, al lordo degli oneri deducibile, non deve superare i 2.840,51 euro oppure i 4.000 euro. I due importi vanno applicati in rapporto all’età dei figli non superiore ai 24 anni.

Agricoltura: scopri il Piano Nazionale di sostegno al settore vitivinicolo

Nel tempo i vini italiani sono diventati un prodotti di eccellenza ricercati in tutto il mondo, questo anche grazie a diversi riconoscimenti che premiano l’intera filiera, dalla produzione delle uve alla trasformazione attraverso tecniche di vinificazione/fermentazione frutto di attenti studi e tanta passione dei Maestri italiani. L’importanza del settore è dimostrata anche dall’adozione del Piano Nazionale di sostegno al settore vitivinicolo del MIPAAF (Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali). Ecco nel dettaglio cosa prevede.

Sostegno al settore vitivinicolo dall’Unione Europea: Regolamento UE 1308/2013

La riforma del settore vitivinicolo risale al 2008 ed è stata man mano implementata con varie misure di intervento. L’obiettivo è dare supporto a tutta la filiera, dalla coltivazione delle vigne alla trasformazione del prodotto e quindi alla conservazione del vino, il tutto anche nell’ottica di realizzare un prodotto finale di eccellenza. Un punto di riferimento importante per quanto riguarda la normativa di settore è il Regolamento UE 1308/2013, che si occupa dell’Organizzazione Comune del mercato vitivinicolo e del piano di aiuti dell’Unione Europea. L’articolo 50 di tale Regolamento disciplina gli aiuti comunitari e gli investimenti diretti alla trasformazione e alla commercializzazione del vino. Prevede che il sostegno da parte degli Stati Membri sia fissato al settore vitivinicolo nel 40% per gli investimenti, ridotto al 10% per le grandi imprese. Gli investimenti che possono ricevere sostegno sono limitati a strutture e attrezzature/macchinari.

Piano Nazionale di sostegno al settore vitivinicolo

Le misure ad oggi applicabili sono contenute nel Piano Nazionale di sostegno al settore vitivinicolo 2019/2023, questo prevede due tipologie di fondi su cui le imprese e i consorzi impegnati nel settore possono valersi, il primo fondo è quello nazionale, il secondo fondo è regionale. Le imprese agricole, i consorzi, le cooperative possono accedere a diverse tipologie di aiuti e proporre quindi istanze per partecipare ai bandi. Le domande per i bandi che ora vedremo possono essere proposte annualmente.

Il progetto prevede diversi aiuti e misure.

A) Promozione dei mercati

Si tratta di una misura volta ad aiutare le imprese e i consorzi che sono impegnati nella promozione dei vini italiani in modo che gli stessi siano conosciuti a livello globale e quindi il settore possa implementarsi. Possono essere finanziate campagne pubblicitarie di promozione, campagne di informazione, manifestazioni, fiere, studi per valutare i risultati delle varie campagne di promozione e pubblicità. Proprio per la natura di questa tipologia di intervento per il settore vitivinicolo, i beneficiari possono essere molteplici e  non limitati ai produttori di uve e vini, ma anche consorzi, associazioni, federazioni e società cooperative.

B) Ristrutturazione e riconversione dei vigneti

L’obiettivo è aumentare la competitività dei produttori di vino favorendo l’impianto di specie maggiormente richieste dai consumatori e migliorare la qualità dei vini prodotti. Possono beneficiare di questo aiuto i produttori singoli e aggregati, cooperative agricole, consorzi di tutela, società di persone e di capitali che si occupano di attività agricole e organizzazioni di produttori. Si possono ottenere aiuti per:

  • impianto di un nuovo vigneto oppure per sovrainnesto su vigneti che si trovano in buono stato vegetativo e ritenuti già razionali;
  • ristrutturazione del vigneto con diversa collocazione, ma solo se la seconda è dal punto di vista agronomico più vantaggiosa per la produzione, ad esempio perché vi è una migliore esposizione;
  • per il miglioramento di tecniche di gestione del vigneto;
  • reimpianto in seguito ad estirpazione obbligatoria per motivi fitosanitari.

Gli aiuti rivolti a questa tipologia di intervento sono di:

  1. sostegno al reddito per il mancato raccolto dovuto ai lavori eseguiti, per un importo massimo di 3.000 euro per ettaro e a copertura anche del 100% delle perdite stimate;
  2. contributi ai costi di ristrutturazione al 50%, elevabili al 75% per le regioni particolarmente depresse, fino a un massimo di 16.000 euro per ettaro di terreno e nelle regioni classificate meno sviluppate con un importo massimo di 15.000 euro per ettaro.

Le Regioni e le Province autonome possono aumentare tali importi. In questo caso i beneficiari possono anche chiedere degli anticipi sui pagamenti ammessi, gli anticipi possono arrivare all’80% del totale.

C) Reimpianto dei vigneti per ragioni sanitarie o fitosanitarie

Si applicano gli stessi criteri previsti al punto B).

D) Vendemmia verde

Si tratta di una misura volta ad eliminare le eccedenze di uva e mantenere quindi l’equilibrio tra offerta e domanda evitando così depressioni dei prezzi.

La domanda per ottenere gli aiuti non può essere presentata nel caso in cui il raccolto sia già stato danneggiato prima delle vendemmia stessa da calamità naturali, ad esempio grandine. Il pagamento avviene in base alla quantità di uve verdi realmente non avviate alla produzione finale.

La misura del sostegno al settore vitivinicolo in questo caso varia in base alla tipologia di raccolta di uva verde eseguita, ad esempio per la raccolta manuale il contributo varia da 7 a 9 euro a quintale in base alla resa regionale. Per la raccolta meccanica il prezzo è di 1308/2013, in base alle caratteristiche del terreno. In caso di distruzione chimica del raccolto, il calcolo viene fatto in base ai costi effettivamente sostenuti e dimostrati dagli agricoltori. Il Piano Nazionale di sostegno al settore vitivinicolo prevede un rimborso al 50% dei valori sopra espressi. Le domande devono essere proposte telematicamente attraverso AGEA, quindi rivolgendosi alla sede locale delle organizzazioni del produttori.

E) Investimenti per le imprese

Si tratta di investimenti volti ad ammodernare le imprese migliorandone la competitività.

Questa tipologia di aiuto è rivolta a coloro che si occupano di produzione di mosto, coltivazione di uve con vinificazione in proprio, coltivazione di uve poi destinate a soggetti terzi che si occupano della trasformazione delle uve e a soggetti che si occupano solo di trasformazione e vinificazione.

Per ognuno di questi interventi il Piano Nazionale di sostegno al settore vitivinicolo stabilisce dei termini per la presentazione delle domande. Le domande possono essere proposte annualmente. In questo caso non forniamo le date perché ci sono state delle modifiche e delle proroghe a causa dell’emergenza Covid. Di conseguenza consigliamo ai produttori di rivolgersi alle organizzazioni di settore per ottenere maggiori informazioni sulle scadenze effettivamente valide e sui bandi regionali di integrazione al Piano Nazionale.

Naturalmente il settore dell’agricoltura riceve aiuti a 360°, cioè non rivolti esclusivamente ai produttori di vino, per una quadro maggiormente esaustivo inerente gli aiuti dell’Unione Europea, si consiglia la lettura dell’articolo: Agricoltura: aiuti dall’Unione Europea per imprenditori agricoli e PMI

Pensioni: quando 18 anni di contributi aumentano l’assegno

La carriera di un lavoratore è molto importante per maturare una pensione dignitosa, lo era nel sistema retributivo e lo è anche nel sistema contributivo. L’incrocio di questi due sistemi è quello che oggi viene adottato in sede di calcolo della pensione per la stragrande maggioranza dei cittadini.

Infatti solo chi ha iniziato a lavorare nel sistema contributivo (dopo il 1995), ha diritto ad un calcolo basato sul montante dei contributi versati e non sulle retribuzioni.  Certo, ci sono anche i lavoratori cosiddetti optanti, che scelgono misure e opportunità per uscire anticipatamente con misure che obbligano ad accettare un calcolo meno favorevole della pensione. Ma la maggior parte hanno diritto al calcolo misto.

Ma per tutti questi, 18 anni di contributi versati prima o dopo una determinata data possono fare la differenza in termini di pensione.

Le pensioni con il sistema misto, come funziona il calcolo

Andare in pensione nel 2022 per nove lavoratori su dieci significa andarci con una pensione calcolata con il sistema misto. Di fatto l’importo della pensione viene calcolato con il sistema misto, in parte retributivo ed in parte contributivo.

Come è noto il metodo retributivo si basa essenzialmente sulle retribuzioni degli ultimi anni di carriera. Invece il sistema contributivo si basa sui contributi versati durante la carriera, cioè sul montante contributivo.

Questo montante contributivo è il salvadanaio dove un lavoratore accumula tutti i versamenti durante la carriera. Dal montante, opportunamente rivalutato, passato per dei coefficienti di trasformazione che sono tanto più favorevoli al pensionato quanto più in avanti con gli anni ci si pensiona, esce fuori la pensione spettante.

Nel sistema misto, in base alla carriera prima del 1996, si determina la parte di carriera che andrà poi trattata in termini di pensionamento, con uno dei due sistemi e la rimanente parte che andrà trattata con l’altro.

Perché 18 anni di versamenti prima della riforma Dini possono valere di più

Con l’avvento della riforma Fornero, dal 2012, è stato stabilito che i soggetti che hanno una carriera lunga almeno 18 anni al 31 dicembre 1995, possono godere del favorevole calcolo retributivo della pensione fino al 2012. Per contro, chi invece ha una carriera inferiore a questi 18 anni, alla stessa data, gode del calcolo retributivo solo fino al 31 dicembre 1995.

Una differenza notevole, di 17 anni che può andare ad incidere in maniera notevole sul rateo di pensione. A tal punto che per chi si trova con pochi anni di differenza rispetto alla soglia dei 18 anni, non è azzardato suggerire di verificare la presenza di eventuali periodi da riscattare per poter arrivare alla fatidica soglia.

Va ricordato infatti che i 18 anni sono quelli a qualsiasi titolo versati. E per questo che anche quelli da riscatto potrebbero essere utili, anche se prevedono l’esborso di una determinata cifra. Va sottolineato che non si possono  utilizzare i contributi volontari che guardano solo al futuro e non al passato. Non si possono usare versamenti volontari per i periodi passati.

Esempi pratici di calcolo della pensione nel misto

Come già detto, possono essere notevoli le differenze in termini di assegno previdenziale tra sistema retributivo e sistema misto. Ne è la prova ciò che accade alle lavoratrici optanti. Sono quelle che scelgono opzione donna con uscite a 58 o 59 anni rispettivamente per lavoratrici dipendenti e lavoratrici autonome.

Un esempio pratico riguarda queste lavoratrici che per uscire dal lavoro a quelle età (con finestra di 12 mesi), devono maturare 35 anni di contributi e scegliere il ricalcolo contributivo della prestazione. Un sistema che produce per chi ha più di 18 anni di carriera antecedenti il 1° gennaio 1996, un taglio medio di assegno tra il 20% ed il 30%.

Perché il sistema contributivo della pensione penalizza i pensionati

Evidente che il sistema contributivo sia meno vantaggioso, e non di poco. La pensione nel misto si divide come detto,  in due quote, una retributiva ed una contributiva. La quota retributiva è costituita da una media delle retribuzioni percepite, soprattutto negli ultimi anni di carriera.

Detta media vale  circa il 2% per ogni anno di carriera svolto. Diverso il meccanismo del sistema contributivo,  perché si accantona una quota dello stipendio mensile. Nello specifico, il 33% della Retribuzione Annua Lorda (RAL). Questi accantonamento vengono poi rivalutati ogni anno che passa fino alla data in cui questi versamenti si utilizzano per la propria pensione.

Superbonus 110% e altri bonus minori: quando scattano i controlli del Fisco?

La legge di Bilancio 2022 presenta novità sui controlli al superbonus 110% e agli altri bonus minori. Un primo passaggio della Manovra 2022 è stato il recepimento delle norme del decreto legge “Antifrodi” (numero 157 del 2021). La novità più incisiva riguarda la cessione dei crediti di imposta e l’applicazione dello sconto in fattura: i controlli preventivi dell’Agenzia delle entrate possono individuare soggetti a rischio decretando la sospensione della comunicazione ai fini della cessione dei crediti di imposta per 30 giorni.

Superbonus 110% e bonus minori: ecco come avvengono i controlli dell’Agenzia delle entrate

Con i controlli preventivi dell’Agenzia delle entrate sul superbonus 110% e sugli altri bonus minori, la cessione del credito può subire uno stop. Infatti, nel caso in cui, nei 30 giorni dalla sospensione, l’Agenzia delle entrate dovesse confermare i profili di rischio dei soggetti che hanno emesso la comunicazione del credito di imposta o dello sconto in fattura, la comunicazione stessa si considera come mai effettuata. Viceversa, se il controllo dell’Agenzia delle entrate non conferma il profilo di rischio, la comunicazione produce i suoi effetti.

Superbonus 110% e bonus edilizi, cosa avviene se decorre il termine dei 30 giorni dei controlli?

La sospensione dei 30 giorni della comunicazione all’Agenzia delle entrate per avvalersi dello sconto in fattura o della cessione dei crediti di imposta, non preclude gli ordinari controlli dell’Agenzia delle entrate in merito al superbonus 110% e degli altri bonus minori in materia edilizia. Allo stesso tempo, i controlli del Fisco non costituiscono il riconoscimento dell’agevolazione fiscale spettante.

Superbonus 110%, controlli e sospensione della cessione dei crediti di imposta dell’Agenzia delle entrate

Qualora nell’ottenimento delle agevolazioni fiscali legate al superbonus 110% o ad altri bonus minori, l’Agenzia delle entrate dovesse rilevare la presenza di profili di rischio, l’eventuale comunicazione per la scelta della cessione dei credito di imposta o dello sconto in fattura può essere sottoposta a sospensione per 30 giorni. Si tratta del meccanismo della scelta delle opzioni di utilizzo del superbonus 110% che prevede, entro i 5 giorni successivi alla presentazione della comunicazione, la possibilità che l’Agenzia delle entrate individui o meno i profili di rischio.

Superbonus 110%, cosa avviene se l’Agenzia delle entrate blocca il profilo di rischio?

Solo se l’Agenzia delle entrate dovesse rilevare l’insussistenza dei profili di rischi la comunicazione produce i suoi effetti. Nel caso di sussistenza dei profili di rischio e di sospensione fino a 30 giorni, la conferma dei rischi produce il risultato che la comunicazione non sia stata mai effettuata all’Agenzia delle entrate. Viceversa, se i rischi non dovessero essere confermati, la comunicazione dello sconto in fattura o della cessione dei crediti di imposta produce i suoi effetti.

Come fa i controlli sul superbonus 110% l’Agenzia delle entrate?

Nell’individuazione dei profili di rischio inerenti la cessione del credito di imposta o lo sconto in fattura del superbonus 110% e degli altri bonus edilizi, l’Agenzia delle entrate valuta:

  • la coerenza e la regolarità delle informazioni indicate nella comunicazione con i dati già presenti nell’Anagrafe tributaria;
  • le informazioni inerenti i crediti di imposta e la cessione a soggetti coinvolti nell’operazione;
  • analoghe situazioni di cessione del credito di imposta già effettuate precedentemente dai soggetti riportati nella comunicazione.

Superbonus 110% e altri bonus edilizi, i soggetti intermediari possono non accettare la cessione del credito di imposta?

Inoltre, i soggetti intermediari verso i quali può essere ceduto il credito di imposta del superbonus 110%, possono non accettare la cessione stessa. Pertanto, banche, istituti di intermediazione finanziaria e poste, sono obbligati a segnalare le operazioni sospette seguendo le norme antiriciclaggio.

Accertamento nel superbonus 110% e negli altri bonus edilizi minori

La legge di Bilancio 2022 ha recepito il decreto “Antifrodi” anche in materia di accertamento fiscale per il recupero di quanto indebitamente utilizzato. L’Agenzia delle entrate può procedere con gli appositi atti di recupero. In tal caso l’attività viene esercitata  entro il 31 dicembre del 5° anno susseguente a quello nella quale si sia verificata la violazione. Fanno parte degli accertamenti per le attività di recupero:

  • gli importi dovuti e non versati;
  • i contributi Covid percepiti in maniera indebita;
  • la cessione dei crediti di imposta senza averne i requisiti.

Cosa avviene nell’accertamento della compensazione in F24 dei crediti di imposta?

Ad esempio, nel caso sia avvenuta una compensazione con F24 il giorno 30 novembre 2021 relativa a un credito di imposta per una una cessione dei crediti fatta senza requisiti, l’atto di recupero dell’Agenzia delle entrate deve essere effettuato entro il 31 dicembre del 2026.

Fondo Impresa Femminile: contributi a fondo perduto per imprese rosa

Importanti novità per le donne che vogliono fare impresa: è possibile presentare la domanda per accedere al Fondo Impresa Femminile con contributi a fondo perduto e finanziamenti a tasso agevolato.

Cos’è il Fondo Impresa Femminile

Il Fondo Impresa Femminile è stato istituito con il decreto interministeriale del 30 settembre 2021, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 14 dicembre 2021. Come sottolineato nell’avviso presente sul sito del MISE, l’obiettivo di “promuovere e sostenere l’avvio e il rafforzamento dell’imprenditoria femminile, la diffusione dei valori dell’imprenditorialità e del lavoro tra la popolazione femminile e di massimizzare il contributo quantitativo e qualitativo delle donne allo sviluppo economico e sociale del Paese”. Il Fondo ha una dotazione di 40 milioni di euro ed è istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), ma è gestito attraverso Invitalia. Si rivolge alle imprese a prevalente partecipazione femminile e lavoratrici autonome.

A chi sono rivolti i fondi?

Si può accedere al Fondo Impresa femminile sia per la nascita di nuove imprese, sia per lo sviluppo e il consolidamento di quelle già esistenti.

La domanda può essere presentata da:

  • lavoratrici autonome in possesso di una partita IVA da meno di 12 mesi;
  • imprese femminili costituite da meno di 12 mesi:
  • persone fisiche che abbiano intenzione di aprire una partita IVA.

Inoltre, possono presentare la domanda per accedere al Fondo Imprese Femminili, imprese e lavoratrici autonome che al momento della domanda hanno iniziato l’attività da più di 12 mesi.

Cosa Finanzia il Fondo Impresa Femminile?

I fondi sono concessi a fronte di investimenti per l’avvio o il consolidamento di imprese femminili impegnate in:

  • produzione di beni nei settori dell’industria, dell’artigianato e della trasformazione dei prodotti agricoli;
  • fornitura di servizi, in qualsiasi settore;
  • commercio e turismo.

Deve inoltre essere ricordato che le spese ammissibili non possono essere superiori a 250 mila euro al netto d’IVA per i programmi di investimento in nuove imprese e 400 mila euro al netto d’IVA per i programmi di investimento per lo sviluppo e il consolidamento di imprese femminili. Le iniziative devono essere realizzate entro 24 mesi dal provvedimento di concessione dell’aiuto.

A quanto ammontano i finanziamenti?

Si è già detto in apertura che si tratta di un aiuto a fondo perduto, questo vuol dire che le somme concesse non devono essere restituite. Il finanziamento ha una durata massima di 8 anni. Le percentuali sono:

per le imprese di nuova costituzione

1) 80% delle spese ammissibili se gli investimenti sono inferiori a 100.000 euro;

2) 50% delle spese ammissibili per investimenti compresi tra 100.000 euro e 250.000 euro.

Per lo sviluppo e il consolidamento di imprese già esistenti

1) se sono state costituite da non più di 36 mesi al momento della data di presentazione della domanda, si può ottenere l’80% delle spese ammissibili. Una quota pari alla metà come contributo a fondo perduto e l’altra metà in forma di finanziamento agevolato;

2) per le imprese costituite da più di 36 mesi per le spese di investimento di applica il criterio dell’80%, diviso in parte in forma di contributo a fondo perduto e in parte come finanziamento agevolato, mentre per le esigenze di denaro circolante, le spese ammissibili sono agevolate nella forma del contributo a fondo perduto.

La domanda per accedere ai fondi visti deve essere presentata telematicamente attraverso la piattaforma Invitalia. Occorre prestare molta attenzione, infatti i contributi non sono concessi in base all’ordine di arrivo delle istanze, ma in base a una procedura valutativa delle domande. Questo implica che quanto più è dettagliato e convincente il progetto di investimento presentato, tanto più sono elevate le possibilità di riuscire ad accedere ai fondi.

Cosa valuta Invitalia?

Nella valutazione dei vari progetti presentati, Invitalia considera diversi aspetti, tra questi vi sono la validità del progetto da esaminare tenendo in considerazione la potenzialità del mercato di riferimento e il vantaggio competitivo, tiene inoltre in considerazione le strategie di marketing. Tra i fattori valutabili vi sono anche l’impatto sociale, occupazionale e ambientale che può avere l’attività imprenditoriale da avviare o avviata e da consolidare. Infine, si valuta la sostenibilità tecnica ambientale del progetto, la pertinenza del programma e la sua coerenza. Particolare attenzione viene inoltre data ai progetti ad alto valore tecnologico.

La possibilità di inoltrare le istanze sarà attiva a breve.

L’attenzione verso il lavoro femminile non è rivolta solo all’imprenditoria, infatti sono previste agevolazioni anche per coloro che assumo donne. Per saperne di più è possibile leggere l’articolo: Assunzione donne, under 36 e Sud: proroga delle agevolazioni contributive

Cartelle esattoriali, nuove proroghe e tutte le novità

Lo stato di emergenza continua ancora oggi e sarà così fino al 31 marzo prossimo, sempre che non venga ulteriormente prolungato. E se questo perdura, inevitabilmente alcune misure emergenziali devono essere protratte. Una di queste è la scadenza delle cartelle esattoriali, che il governo (anche i precedenti rispetto a quest’ultimo di Mario Draghi), da inizio pandemia ha ritoccato.

Impensabile non intervenire in questo ambito dal momento che oltre all’emergenza sanitaria c’è quella economica. E quest’ultima forse è più grave o almeno uguale alla prima. I governi hanno pensato di addolcire il momento negativo dei cittadini, rendendo meno rigido il meccanismo della riscossione.

E così anche nell’ultima legge di Bilancio, per il tramite del suo classico collegato, il decreto Fiscale, escono nuove proroghe e nuove scadenze. E per i cosiddetti balzelli con cui milioni di cittadini, contribuenti e famiglie hanno a che fare, si alleggeriscono i carichi.

Decreto Fiscale: nuove scadenze per le cartelle esattoriali

“Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili”, questo è il decreto Fiscale che come sempre accompagna (ma sarebbe meglio dire, anticipa), la manovra finanziaria.

E nell’atto ecco che sono state introdotte le proroghe dei termini di pagamento delle cartelle e degli avvisi di accertamento inviati dall’Agenzia delle Entrate in questi mesi di emergenza sanitaria.

Slittato quindi al 9 dicembre 2021, il termine di scadenza delle rate di rottamazione-ter e  saldo e stralcio. Parliamo di quelle rate relative agli anni 2020 e 2021.E scadenza che arriva al 14 dicembre per via dell’ormai noto periodo di salvaguardia o di tolleranza di 5 giorni.

Slittano le scadenze anche per le cartelle esattoriali che hanno la data di notifica compresa tra il primo settembre 2021 e il 31 dicembre 2021. Come è noto, le cartelle vanno pagate entro i canonici 60 giorni. In virtù di questa proroga però, si passa a 180 giorni. Proroga che naturalmente, essendo emergenziale, non prevede l’applicazione degli interessi di mora che in genere si applicano alle dilazioni o ai ritardati pagamenti.

Cambiano anche i piani di rateizzazione

Per i piani di dilazione che i contribuenti indebitati con il Fisco hanno  già ottenuto entro il giorno 8 del mese di marzo 2020, si estende una tutela.Parliamo del rischio di decadere da questo beneficio. Infatti passano da 10 a 18 le rate non pagate che portano il contribuente a perdere il beneficio della dilazione e rateizzazione del pagamento. Cambia anche la data del termine ultimo entro cui saldare le rate in scadenza nel periodo di sospensione della riscossione. Periodo che ricordiamo, è stato introdotto a partire dall’8 marzo 2020 e fino al 31 agosto 2021. Si passa dal 30 settembre 2021 al 31 ottobre 2021.

SI riduce il tetto massimo degli importi dei debiti che per essere considerati utili alla dilazione, prevedono una giustificazione di momentanea difficoltà economica del contribuente. Prima solo per importi superiori a 100.000 euro occorreva documentare la situazione di difficoltà, adesso si parte da 60.000 euro.

I nuovi piani di rateizzazione nel 2022 però perdono il beneficio delle 10 rate non pagate che fanno  decadere dal beneficio. Si torna infatti a 5 rate non pagate anche se discontinue.

Reddito di cittadinanza: quando Isee e comunicazioni lo fanno decadere

Tutti i beneficiari del reddito di cittadinanza, o chi si accinge a richiederlo una prima volta, devono effettuare un primo passaggio che è identico per tutti.

Si tratta dell’Isee. Tutti indistintamente devono richiedere la certificazione, rilasciando la Dichiarazione Sostitutiva Unica.

Nuova DSU significa nuovo Isee, e soprattutto per chi è già beneficiario del reddito di cittadinanza, questo significa che la misura viene di fatto messa in discussione, sia come diritto che come importi.

Nuovo Isee per reddito di cittadinanza

Il possesso di un Isee in corso di validità è obbligatorio per permettere all’Inps di attuare due diverse azioni. La prima è la verifica del diritto a percepire la misura. La seconda è la rivisitazione degli importi.

Il nuovo Isee è parametrato a redditi e patrimoni del nucleo familiare al 31 dicembre 2020. Se qualcosa è cambiato tea 2019 e 2020, evidente che per qualcuno ci sarà il rischio di prendere di meno. Per altri invece c’è il rischio di non prenderlo proprio.

Per questo, per il reddito di cittadinanza rinnovare l’Isee non basta per continuare a percepirlo.  Occorre fare attenzione a eventuali, sopraggiunte, differenze rispetto alla DSU 2021. Se le differenze reddituali e patrimoniali possono, come è naturale che sia, produrre delle differenze di Isee a tal punto da far perdere il diritto perché vengono superate le soglie di accesso alla misura stessa, ci sono altri parametri da considerare.

Reddito di cittadinanza e Isee, cosa accade se cambia il nucleo familiare?

Quando si parla di nucleo familiare che varia, si fa riferimento a due situazioni distinte. Può capitare che il nucleo familiare si riduca, per un figlio che esce fuori perché si sposa, per il nonno che muore e così via. Ma può captare il contrario, con una nascita, un rientro in famiglia e per qualsiasi altro motivo.

Per chi percepisce il reddito di cittadinanza non c’è solo l’obbligo di rinnovare l’Isee. Ogni variazione che rischia di incidere su importo e diritto al sussidio, va comunicata all’Inps. Una delle variazioni più frequenti è quella di cui trattiamo oggi, cioè il caso di una variazione nel nucleo familiare.

Al verificarsi di una variazione del nucleo familiare rispetto a quanto indicato nell’ultima DSU sul beneficiario del reddito di cittadinanza ricade l’obbligo di informare l’Inps. Ed occorre provvedere a questo obbligo entro due mesi dalla variazione. Senza adempiere a questo obbligo c’è il rischio di decadere dal beneficio del sussidio stesso.

Ma occorre prestare attenzione a che genere di dichiarazione inviare. Infatti se non si tratta di variazioni relative a decessi o nascite che incidono sul numero dei componenti il nucleo familiare, occorre andare a presentare una nuova domanda di reddito di cittadinanza.

La motivazione principale di questi adempimenti è che il nucleo familiare variato, non può continuare a percepire il sussidio senza rendere l’Inps edotto di queste variazioni. Soprattutto perché il nucleo familiare incide sull’Isee e di conseguenza anche sul diritto e sulla misura del reddito di cittadinanza.

Cosa accade oggi con queste variazioni significative che i beneficiari del Rdc non comunicano

A dire il vero la macchina dei controlli Inps non è virtuosa in questo senso. Ne è la dimostrazione il fatto che non abbiamo grandi segnalazioni di soggetti che non comunicando le variazioni del nucleo familiare hanno perduto il beneficio. Capita spesso che una famiglia continua a percepire il sussidio nella stessa misura di sempre nonostante la  variazione che poi viene prodotta e incide sul beneficio, solo l’anno successivo, al rinnovo della DSU e con il nuovo Isee.

La perdita del beneficio si materializza solo l’anno successivo, quando l’Inps scoprirà la variazione del nucleo familiare sopraggiunta per motivi diversi da decessi o nascite. In questo caso come detto, occorre una nuova domanda di reddito di cittadinanza (ma vale pure per la pensione di cittadinanza). L’Inps quindi blocca il sussidio e il beneficiario deve produrre nuova istanza.

Occhi puntati alle classiche differenze economiche del nucleo familiare

Che vari la composizione del nucleo familiare o meno, un fattore da tenere in considerazione è quello reddituale. Infatti redditi, ma anche patrimoni, vanno indicati per tutti i componenti della famiglia che ne hanno. Se cambia il nucleo familiare è evidente che cambiano anche questi dati.

I nuovi redditi possono andare ad incidere sulla soglia Isee utile a rientrare nella misura, che resta sempre pari a 9.360 euro. Ma anche restando al di sotto di questa soglia, occorre tenere a mente che ci sono altri parametri utili a fruire del reddito di cittadinanza. L’Indicatore della situazione reddituale di una famiglia è altrettanto importante. Se si migliora di gran lunga rispetto all’Isee precedente, il valore dell’ISR, anche questo può portare alla decadenza dal beneficio.

E il reddito familiare di 6.000 euro, aumentato per la scala di equivalenza ed aumentato in base al numero dei componenti la famiglia stessa ma anche dal numero di soggetti invalidi presenti, va sempre tenuto inconsiderazione per poter continuare a percepire il sussidio.

WeWard: l’app che ti paga per camminare fa guadagnare davvero?

E’ arrivata WeWard, l’app che ti paga per camminare e sono già tantissimi gli utenti che hanno deciso di scaricarla, ma ciò che molti si chiedono è: ma è tutto vero e fa guadagnare davvero o si tratta di una truffa? Cerchiamo di capire come funziona.

Cos’è WeWard?

WeWard è l’app che paga per camminare, in Italia è arrivata da pochi giorni e ha fatto registrare subito un successo inaspettato, infatti, in poco tempo è stata scaricata da oltre 700.000 persone. In realtà in altri Paesi, come la Francia, Spagna e Belgio è arrivata molto tempo fa, infatti in questi Paesi è disponibile dal 2019. Il traguardo da raggiungere per mantenere la forma fisica, avere una muscolatura tonica, una silhouette invidiabile, godere di tutti i benefici per la salute, tra cui una circolazione migliore e cuore in salute, è di 10.000 passi al giorno, ma spesso la maggior parte delle persone non riesce a raggiungerlo, si arrende prima.

WeWard potrebbe essere un incentivo in più per mantenere questo ambizioso obiettivo, infatti dai dati emerge che le persone che hanno scaricato l’app hanno in media un aumento di attività motoria del 24%. Chissà per quanto tempo funzionarà come stimolo? E’ difficile da prevedere, ma molto dipende da quanto riesce ad essere economicamente attraente, infatti per ora è stato stimato che il guadagno massimo è di 40 euro l’anno, circa 4 euro al mese.

Come funziona l’app che ti paga per camminare?

In primo luogo si tratta di un’app che può essere scaricata su telefoni Android e I-Phone. Una volta scaricata l’app e creato il proprio profilo, lo smartphone diventerà un contapassi, in realtà ogni smartphone ha un contapassi che monitora le attività, ma in questo caso i passi non sono solo contati, ma anche remunerati.

In base alle distanze coperte si ricevono dei premi:

  • 1.500 passi 1 ward;
  • 3.000 passi 3 ward;
  • 20.000 passi 25 ward.

Per rendersi conto di qual è il valore del ward basti considerare che 100 ward sono l’equivalente di 0,50 cent, quindi i guadagni sono davvero irrisori, a meno che non si cammini ogni giorno per diverse ore. Ulteriori introiti si possono ottenere nel caso in cui si presentino degli amici facendo così crescere la comunità. I ward possono essere riscattati in diversi modi, ad esempio è possibile richiedere dei buoni sconto, carte regalo oppure caricare il proprio conto, ma le somme sono davvero molto piccole.

Qual è l’obiettivo di WeWard?

L’obiettivo di WeWard è stimolare le persone a camminare di più e di conseguenza utilizzare meno l’auto o altri mezzi inquinanti. Questo si traduce in minore inquinamento, vantaggi per la salute della persona e alla fine in guadagno, diretto attraverso la remunerazione dei ward e indiretto perché si risparmia carburante.

Occorre però prestare attenzione perché, per ottenere le ricompense, ogni sera si devono convalidare i passi percorsi durante la giornata e ciò deve essere fatto prima della mezzanotte, in caso contrario i passi si perdono. Farlo è molto semplice, infatti basta accedere alla app e cliccare sul pulsante arancione denominato “convalida i miei passi”. Non si tratta di una procedura complicata, ma sicuramente è facile dimenticare di farlo.

Ti stai ancora chiedendo se fa guadagnare davvero? La risposta è sì, ma se ti stai chiedendo cosa devi dare un cambio, la risposta è che l’app che ti paga per camminare in compenso riceve tantissimi dati personali (ad esempio in quali negozi si fanno delle soste, dove si va, quali luoghi si visitano) che possono essere ceduti, ecco perché prima di procedere è bene capire se il gioco vale la candela. Certamente se non siamo tracciati da WeWard siamo tracciati da tantissime altre app a cui abbiamo dato il consenso, a volte anche per pigrizia, ma il consiglio è di provare a capire quali dati sono realmente carpiti e riutilizzati. Naturalmente si riceve anche tanta pubblicità, la stessa è comunque determinata in base a ciò che emerge dall’uso del cellulare quindi è una sorta di pubblicità personalizzata.