Fondo perduto partite IVA, l’effetto collaterale che pochi conoscono

La crisi economica si fa sentire, e sono tante le attività che in questi mesi di pandemia, hanno chiuso i battenti. Le partite IVA sono in sofferenza, questo è innegabile. La clientela latita, tra positivi, gente in quarantena, soggetti impauriti e regole poco chiare e burocrazia ai massimi livelli. Non c’è lockdown, ma è come se ci fosse. Ma proprio perché non c’è lockdown, il governo non ha previsto ristori. Niente nuovi aiuti alle attività nonostante sia evidente la crisi.
Ma proprio sui ristori, o meglio, sui contributi a fondo perduto che sono stati erogati a molte partite IVA nei mesi precedenti, soprattutto prima della nascita del governo Draghi, ecco la notizia che pochi si aspettavano. Lo Stato prima ti aiuta e si dimostra magnanimo, più inizia il controllo, con una forza senza precedenti.

Fondo perduto e controlli del Fisco, ecco cosa accade

Non è certo un buon momento per tanti lavoratori autonomi, per tante partite IVA. Molte hanno chiuso da inizio pandemia, e molte altre pensano di farlo.
Alla crisi e alla carenza di clientela, nessuno ha posto rimedio. Nemmeno il governo, soprattutto negli ultimi mesi.
Anzi, con il rincaro della corrente elettrica, la situazione per molte partite IVA è peggiorata.
A tutto questo va aggiunto l’obbligo di fatturazione elettronica anche ai forfettari committenti.
C’è chi ha chiesto nuovi e serrati controlli, per stanare chi ha frodato. Parliamo di chi ha cercato di “fregare” lo Stato, riuscendoci, a recuperare i contributi a fondo perduto pur non avendone diritto.
E già questo è un elemento di disturbo, perché parlare di frodi in una epoca in cui tutto è digitale, dove con un click le Entrate possono appurare la veridicità dei dati prima di pagare un contribuente, appare quanto meno particolare.

Nel mirino anche le povere partite IVA “innocenti”

Parliamoci chiaro, di furbetti che cercano stratagemmi per fregare il Fisco o lo Stato, l’Italia è piena. Semmai è criticabile il metodo che lo Stato adotta per stanarli. Passare al setaccio tutti, questa la soluzione adottata sempre e lo sarà pure stavolta.
Lo conferma Telefisco, che parla di controlli serrati a 360° sulle partite IVA indennizzate dai contributi a fondo perduto e dal contributo perequativo.
Lo Stato in pratica, prima paga, e poi “viviseziona” le partite IVA a caccia di furbetti.
E nel mirino finiranno davvero tutti, cioè
tutte quelle partite IVA che a stento  riescono a restare con le saracinesche alzate.
Partite IVA che hanno ottenuto i contributi per via del calo di fatturato tra un periodo e l’altro, tra un anno e l’altro.
In base ai dati che le stesse Entrate avevano già disponibili prima di partire coi bonifici. Invece adesso nel si passa ai controlli a tabula rasa, per tutti, anche per chi oggettivamente ha chiesto i contributi perché davvero in difficoltà evidente.
Non certo una bella situazione per molte partite Iva che adesso rischiano di doversi barcamenare tra carte e scartoffie per rispondere a richieste di giustificazione di un contributo che fu erogato da un Fisco, che adesso ha paura di aver sbagliato.

Quando andrai in pensione? Il servizio INPS Pensione a Misura te lo svela

Quando andrai in pensione? E’ la domanda che tutti prima o poi si fanno nella vita. Ma il nuovo servizio INPS pensione misura, lo rileva.

Quando andrai in pensione? Vediamo come scoprirlo

La pensione è sempre un pò incerta. Tra continui cambi, decreti, riforme ci si chiede sempre quando si andrà in pensione. Ma in soccorso l’Inps, nel proprio sito, ha inserito un simulatore che potrebbe risolvere l’incertezza. Lo scopo del simulatore è solo di tipo informativo.

Tuttavia funziona sulla base delle informazioni inserite e così è solo una simulazione. E’ tanto più veritiera quanto è prossima la pensione. Mentre più lontana è la risposta, più è incerta la sua risposta. Ma in ogni caso non ha bisogno di registrazione o di accesso con particolari credenziali.

Ecco come funziona il simulatore

È online “PensAMi” il nuovo simulatore ideato per affiancare e accompagnare gli utenti a comprendere il proprio futuro pensionistico. Il simulatore è formato da tre livelli. Per ogni livello occorre rispondere ad alcune domande. In base alle risposte si può definire uno scenario più chiaro ai fini pensionistici. Alla fine di ogni livello si accede al riepilogo delle risposte fornite ed andare avanti fino al terzo livello. Tuttavia, si può così scoprire:

  • al primo livello a quali pensioni si ha diritto sulla base contributiva ed il sistema di calcolo applicato;
  • al secondo livello la data in cui si può andare in pensione tenendo conto della contribuzione presente in ciascuna gestione;
  • infine al terzo livello se si può anticipare l’entrata in pensione.

Quando andrai in pensione? Altre informazioni sul simulatore

Prima d’iniziare, però, è importante che sappiate che il suddetto servizio fornisce informazioni esclusivamente sui trattamenti pensionistici diretti relativi alle seguenti gestioni previdenziali gestite dall’INPS:

  • (Fondo pensioni lavoratori dipendenti (FPLD)
  • Gestione esercenti attività commerciali (COM)
  • Gestione artigiani (ART)
  • Gestione coltivatori diretti, mezzadri e coloni (CD/CM)
  • Gestione separata
  • Cassa pensioni dei dipendenti delle amministrazioni dello Stato (CTPS)
  • Cassa pensioni dei dipendenti degli Enti locali (CPDEL)
  • Cassa pensioni degli ufficiali giudiziari (CPUG)
  • Cassa pensioni insegnanti (CPI)
  • Cassa pensioni sanitari (CPS).

PensAMi” è stato progettato mettendo l’utente al centro, in modo da garantire la massima facilità d’uso. Durante tutto il percorso, sono presenti note informative per chiarire dubbi e link alle schede prestazioni per approfondire. Il servizio è aggiornato alle ultime novità legislative (legge 30 dicembre 2021, n. 234) in materia di accesso alla pensione anticipata (Opzione donna e pensione “Quota 102”). Ma attenzione, si ricorda che è solo una simulazione.

Pensioni subito, senza riforme o quote, ecco come per i nati fino al 1965

Il Mattarella bis, la rielezione del Presidente della Repubblica, per altri 7 anni (sempre che non si interrompa prima) avrà impatto pure sulle pensioni. Questo è inevitabile, almeno secondo gli esperti. Che sostengono anche che la conferma di Sergio Mattarella al Quirinale salvaguarda la riforma delle pensioni.

Quale non si sa, anche perché i tecnici che sostengono questo, non dicono che oggi una riforma delle pensioni non esiste, non è nemmeno allo stato embrionale. Certo, se si considera riforma il semplice fatto che alcune proposte sono finite sul tavolo di governo e sindacati, la situazione è davvero grave.

Per questo meglio guardare al presente, a ciò che offre il sistema previdenziale, con le misure di oggi che a dire il vero non sono poche. E tante di queste misure permettono uscite anticipate senza fronzoli, senza ipotetiche riforme, senza quelle quote a cui da tre anni siamo abituati (quota 100 prima e quota 102 adesso). Misure che potrebbero, se capite bene, portare alla pensione una vasta platea di lavoratori, fino ai nati nel 1965.

Pensione fino a i nati nel 1965

Il dossier pensioni, cioè il lavoro di riforma, è fermo agli ultimi incontri  governo-sindacati. Alcune ipotesi ci sono, e riguardano la flessibilità in uscita. Qualcuno ha avanzato il progetto di completare il quadro entro la primavera, con il Documento di economia e finanza. Probabilmente tutto si risolverà, o non si risolverà, nella prossima legge di Bilancio.

Nel frattempo, chi vorrebbe lasciare il lavoro, non può non guardare alle misure vigenti. E gioco forza bisogna partire dalla pensione anticipata ordinaria. Misura che per dote contributiva richiesta, riguarda lavoratori che hanno avuto carriere lunghe e durature, possibilmente iniziate da giovani.

La misura per gli uomini si centra, senza limiti di età con 42 anni e 10 mesi di contributi versati. Per le donne invece servono 41 anni e 10 mesi. La pensione anticipata ordinaria ha sostituito la pensione di anzianità dopo la riforma delle pensioni del governo Monti, quella targata Elsa Fornero. In definitiva, nel 2022 possono uscire con la pensione anticipata ordinaria i lavoratori che hanno:

  • 42 anni e 10 mesi di contributi versati per gli uomini;
  • 41 anni e 10 mesi di contributi versati per le donne;
  • 35 anni di contribuzione effettiva (senza i figurativi da disoccupazione o malattia).

Pensione ai precoci, l’età non conta, basta la carriera

Simile alla pensione anticipata ma limitata come platea c’è la quota 41. Misura destinata ai precoci, che hanno iniziato a lavorare piuttosto giovani. E poi destinata solo a determinate categorie, cioè disoccupati, invalidi, caregivers e lavori gravosi. In definitiva:

  • 41 anni di contribuzione;
  • 35 anni di contribuzione effettiva (senza i figurativi da disoccupazione o malattia);
  • Almeno 1 anno di contributi antecedente i 19 anni di età, anche discontinui.

In estrema sintesi, grazie alla quota 41 chi ha iniziato a lavorare intorno ai 16 anni può pensionarsi già intorno ai 57 anni, cioè pure i nati nel 1965.

La pensione anticipata per i contributivi

Non si può non considerare pure la misura di pensionamento anticipata per i contributivi. Persone che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995, vengono chiamati comunemente contributivi puri. In pratica, sono lavoratori che non hanno carriera in epoca retributiva.

Per loro non ci sono problemi di calcolo della pensione o di sistema da applicare. Infatti rientrano in pieno nel metodo contributivo. La pensione per questi lavoratori si centra con:

  • Almeno 64 anni di età;
  • Almeno 20 anni di contributi versati;
  • Assenza di contributi versati, a qualsiasi titolo, prima del 1° gennaio 1996;
  • Pensione pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale (1.310 euro circa al mese al lordo delle tasse).

Ape sociale e Opzione donna, pensioni anticipate confermate nel 2022

Altre misure che certamente possono servire senza dover per forza auspicare una riforma radicale del sistema, sono Opzione donna e l’Ape sociale. Anche in questo caso parliamo di misure a platea circoscritta. Opzione donna si centra con:

  • Almeno 58 anni di età per le lavoratrici dipendenti;
  • Almeno 59 anni di età per le lavoratrici autonome;
  • Non meno di 35 anni di contributi.

Per l’Ape sociale invece, la pensione riguarda le stesse categorie di quelle a cui è destinata la quota 41. Solo per i lavori gravosi, la platea degli interessati all’Ape sociale rispetto alla quota 41 è più vasta. Infatti per il 2022 i lavori gravosi per l’Ape sociale sono stati estesi a diverse altre categorie oltre le 15 inizialmente previste quando l’Anticipo pensionistico sociale e la quota 41 nacquero. Questo è il frutto del lavoro della commissione per i lavori gravosi incaricata dal Ministero del Lavoro di trovare quali e quante attività sono meritevoli di tutela in base agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali.

L’Ape sociale si centra con:

  • Almeno 63 anni di età;
  • Almeno 30 anni di contributi versati per caregivers, invalidi e disoccupati;
  • Solo per edili e ceramisti almeno 32 anni di contributi versati;
  • Almeno 36 anni di contributi per gli altri lavori gravosi.

Pensioni di vecchiaia anticipate per invalidi

Una misura davvero particolare e piuttosto vantaggiosa è la pensione di vecchiaia anticipata con invalidità pensionabile. Chi viene riconosciuto invalido almeno all’80% da parte della commissione medica dell’Inps può avere accesso alla quiescenza diversi anni prima dei 67 anni e lo può fare anche nel 2022.

La pensione di vecchiaia anticipata si centra con:

  • Almeno 61 abbi di età per gli uomini;
  • Almeno 56 anni di età per le donne;
  • Minimo 20 anni di contributi versati;
  • Invalidità pensionabile pari ad almeno l’80%.

Nuova IRPEF: da quale stipendio vedremo gli effetti?

Con il passaggio dal 2021 al 2022 in Italia è arrivata la nuova IRPEF. E questo attraverso una riduzione delle aliquote da 5 a 4. In pratica da un lato è stata eliminata l’aliquota IRPEF al 41%, e nello stesso tempo la vecchia aliquota al 38% è stata tagliata di tre punti percentuali scendendo al 35%. Nulla è invece cambiato per l’applicazione dell’imposta per i redditi fino a 15mila euro in quanto l’aliquota al 23% è stata confermata.

Da quale stipendio vedremo gli effetti della nuova IRPEF, i vantaggi maggiori sono per il ceto medio

Quindi, per chi si chiede da quale stipendio vedremo gli effetti della nuova IRPEF, è chiaro che la revisione delle aliquote da quest’anno, in termini di risparmio di imposta, andrà ad avvantaggiare i redditi medi e quelli medio-alti. In altre parole, la nuova IRPEF da quest’anno garantirà in termini di importo maggiori risparmi fiscali al cosiddetto ceto medio.

Per quanto detto, quindi, gli effetti della nuova IRPEF dal 2022 si avranno per i redditi a partire dai 15.001 euro e fino a 28mila euro. In quanto l’aliquota è scesa dal 27% al 25%. Ma anche per i redditi tra 28.001 euro e fino 50mila euro. In quanto l’aliquota è in questo caso scesa dal 38% al 35%. Invece, sopra i 50.000 euro la tassazione progressiva dal 2022 prevede l’applicazione dell’aliquota massima che è quella al 43%.

Riforma fiscale con la clausola di salvaguardia per i redditi bassi, ecco come

Per la riforma dell’IRPEF 2022 il Governo che è guidato dal presidente del Consiglio Mario Draghi ha complessivamente stanziato 8 miliardi di euro. Con i redditi medi che, come sopra detto, sono quelli più avvantaggiati dalla revisione delle aliquote IRPEF.

Pur tuttavia, come clausola di salvaguardia al fine di non penalizzare i redditi bassi, per il 2022 è confermato l’ex bonus Renzi da 100 euro al mese proprio sul primo scaglione di imposta. Ovverosia, per i redditi fino a 15.000 euro.

Leggi anche: Nuova Irpef, effetti sulle pensioni: aumentano gli importi, ma per chi?

 

Bonus mobili ed elettrodomestici anche nel 2022: a chi spetta?

Il bonus mobili ed elettrodomestici è stato prolungato per tutto il 2022 e non solo. Ecco a chi spetta, in cosa consiste e come richiederlo.

Bonus mobili ed elettrodomestici, la misura della detrazione

Il bonus mobili ed elettrodomestici è l’agevolazione proroga dalla legge di bilancio 2022 per le spese sostenute negli anni 2022, 2023, 2024 per acquistare mobili e grandi elettrodomestici. In particolare ci sono delle specificazioni in sede di classe energetiche. Infatti i forni non possono essere di classe inferiore alla A, la classe E per le lavatrici, lava-asciugatrici e le lavastoviglie. Mentre classe E per i frigoriferi e i congelatori.  

La detrazione si ottiene indicando nella dichiarazione dei redditi, il valore delle spese sostenute. Inoltre spetta per solo al contribuente che inserisce l’acquisto, all’interno di interventi edili per il recupero patrimoniale. Infine si ha diritto al bonus mobili ed elettrodomestici anche in caso di scelta di cedere il credito o di esercitare l’opzione dello sconto in fattura.

Gli interventi edili necessari per avere la detrazione

La detrazione spetta solo in caso in cui vi sono degli interventi necessari per avere la detrazione. Questi possono essere così riassunti:

  • ricostruzione o ripristino di un immobile danneggiato da eventi calamitosi, se è stato dichiarato lo stato di emergenza;
  • manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia di singoli appartamenti;
  • manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia su parti comuni di edifici residenziali;
  •  restauro, risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia, riguardanti interi fabbricati, eseguiti da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare e da cooperative edilizie che entro 18 mesi dal termine dei lavori vendono o assegnano l’immobile.

Non si può ottenere questo bonus se si usufruisce della detrazione del 65% (ecobonus) finalizzati al risparmio energetico. Mentre la sostituzione della caldaia rientra tra i lavori straordinari, quindi è possibile richiedere il bonus mobili ed elettrodomestici.

Importo detraibile ai fini del bonus mobili ed elettrodomestici

La detrazione del valore è pari al 50% delle spese sostenute, indipendentemente dall’importo del valore complessivo per i lavori di recupero del patrimonio edilizio. Tuttavia la detrazione si calcola su un importo massimo di 10 mila euro per l’anno 2022 e di 5 mila euro per gli anni 2023 e 2024. Inoltre la detrazione deve essere ripartita tra gli aventi diritti in 10 quote annuali di pari importo.

Se gli interventi di recupero del patrimonio edilizio sono stati effettuali nell’anno precedente a quello di acquisto, o sono iniziati nell’anno precedente a quello di acquisto, il limite di spesa deve essere considerato al netto delle spese sostenute l’anno precedente per le quali si è usufruito della detrazione.

Come effettuare i pagamenti

I pagamenti per l’acquisto mobili ed elettrodomestici devono essere effettuati solo ed obbligatoriamente con mezzi di pagamento tracciabili. Quindi occorre fare i pagamenti con pos, assegni circolari, carte di credito o di debito. Non sono ammessi i pagamenti in contanti o con gli assegni bancari.

Mentre la detrazione è possibile richiedersi anche in caso di acquisti con l’ausilio di finanziamento e pagamento a rate. Tuttavia occorre conservare i seguenti documenti:

  • ricevuta del bonifico;
  • documenti di addebito sul conto corrente;
  • lo scontrino che porta il codice fiscale dell’acquirente;
  • ricevuta di avvenuta transazione, nel caso di pagamenti con carta di credito o di debito;
  • fatture di acquisto dei beni, riportanti la natura, la qualità e la quantità dei beni e dei servizi acquisiti.

Pertanto c’è ancora tempo per poter accedere ed usufruire al bonus mobili ed elettrodomestici, sempre che non cambino le regole.

 

 

 

 

 

Bonus edilizi diversi dal superbonus 110%, quando le spese per visti e asseverazioni sono detraibili?

Novità in tema di visti e asseverazioni per i bonus edilizi diversi dal superbonus 110%, in particolare le detrazioni fiscali spettanti per i lavori minori e per gli interventi fino a 10 mila euro. L’Agenzia delle entrate ha spiegato come semplificare i piccoli interventi. Sul punto l’Agenzia pone la data di scelta dell’opzione come quella che fa fede negli interventi di edilizia libera. Inoltre, le spese sostenute per i visti e le asseverazioni nel corso del 2021 risultano detraibili anche per l’anno di imposta 2021. Per i bonus diversi dal superbonus 110%, pertanto, non farà fede il momento in cui tali spese siano state sostenute.

Interventi in edilizia libera non in superbonus 110%: fa fede la data di scelta opzione sconto in fattura o cessione del credito di imposta

La data che fa fede ai fini dei visti di conformità e delle asseverazioni di congruità delle spese sostenute, nel caso degli interventi in edilizia libera, è quella nella quale si comunica la scelta dell’opzione stessa. I beneficiari del bonus devono adempiere a questa comunicazione direttamente all’Agenzia delle entrate. La stessa è intervenuta sulla semplificazione delle procedure con le opportune delucidazioni. Il riferimento è all’utilizzo dello sconto in fattura o alla cessione del credito di imposta. L’ambito di applicazione della regola è limitata agli interventi in edilizia libera o a quelli con importo non superiore ai 10 mila euro.

Bonus in edilizia libera e importi non superiori a 10 mila euro: senza visto e vale la data dell’opzione

Pertanto, non ha rilevanza la data nella quale si effettua la spesa, ma solo quella nella quale si comunica all’Agenzia delle entrate la volontà di avvalersi di una delle due opzioni. Il chiarimento dell’Agenzia delle entrate va a limitare l’ambito di applicabilità del decreto legge “Antifrodi”. Il parere esclude peraltro vari interventi i edilizi minori dagli adempimenti dei visti di conformità e delle asseverazioni di congruità delle spese nel caso di cessione del credito di imposta o di applicazione dello sconto in fattura.

Bonus edilizia libera e interventi minori, cosa dice la legge di Bilancio 2022?

La questione dei visti di conformità e delle asseverazioni di congruità delle spese è nata con l’applicazione del decreto legge “Antifrodi”. La legge di Bilancio 2022 ne ha recepito gli obblighi, lasciando fuori proprio gli interventi più contenuti. Ne deriva che, per i lavori a decorrere dal 1° gennaio 2022, nel caso con cui ci si volesse avvalere dello sconto in fattura o della cessione del credito di imposta, non si applica l’adempimento del visto di conformità e dell’asseverazione di congruità delle spese. Gli interventi che ne rimangono fuori sono, dunque, quelli in edilizia libera e quelli fino a 10 mila euro di importo. La semplificazione non è valida, invece, per il bonus facciate.

Interventi con bonus edilizi fatti nel 2021 ma comunicati dopo: come fare?

L’intervento dell’Agenzia delle entrate va a integrare quanto stabilito dalla legge di Bilancio 2022 nella situazione in cui i lavori minori siano stati effettuati nel corso del 2021, ma la comunicazione della scelta dell’opzione (sconto in fattura o cessione del credito di imposta) avvenga successivamente. In tal caso fa fede la data della comunicazione. Infatti, si legge sulla Faq dell’Agenzia delle entrate, “si ritiene che la stessa (la data, n.d.r.) trovi applicazione con riferimento alle comunicazioni di opzione per lo sconto in fattura o per la cessione del credito trasmesse all’agenzia delle Entrate a decorrere da tale data”.

Interventi in edilizia libera diversi dal superbonus 110%, ecco come fare per lo sconto in fattura o cessione del credito di imposta

Ciò detto, se una spesa rientrante nel bonus in edilizia libera o con importo fino a 10 mila euro, diversa dal superbonus 110%, è stata sostenuta il 1° dicembre 2021, il beneficiario non è soggetto al visto di conformità e all’asseverazione di congruità delle spese se la comunicazione della scelta dell’opzione (sconto in fattura o cessione del credito di imposta) avviene a partire dal 1° gennaio 2022. In tal caso, le date apposte a fatture e ai bonifici non fa fede.

Detraibilità spese per visti e asseverazioni bonus edilizi minori: si può applicare?

L’Agenzia delle entrate ha inoltre chiarito che le spese per le asseverazioni di congruità e per i visti di conformità risultano sempre detraibili. Nella detraibilità rientrano dunque anche le spese effettuate nel corso del 2021. Il parere dell’Agenzia delle entrate si è reso indispensabile in conseguenza del fatto che la legge di Bilancio 2022 ha stabilito la detraibilità delle medesime spese sostenute solo a partire dal 1° gennaio 2022. Pertanto, le spese di visti e asseverazioni sono detraibili anche se sostenute dal 12 novembre 2021 (giorno di entrata in vigore del decreto legge “Antifrodi”) al 31 dicembre 2021.

 

 

Frodi carosello, cosa sono?

Nell’ambito delle evasioni fiscali vi è una tipologia di irregolarità chiamata frode carosello, in questa rapida guida andiamo a vedere come avvengono e di cosa si tratta.

Cosa sono le frodi carosello

La parola frode carosello è una traduzione del termine francese carousel che significa “giostra“, e che descrive in piena regola quei meccanismi di continuo movimento “circolare” delle merci – proprio come una giostra appunto – tra soggetti coordinati secondo strategie criminali: in un caso specifico, nell’ evadere l’Iva, facendola apparire fittiziamente versata.

Specificamente, una frode carosello, sia essa nelle versioni più semplici che in quelle più complesse, va a coinvolgere sempre un soggetto che viene detto cartiera, ossia una ditta che compra e vende merci, prodotti o servizi ma lo fa soltanto “sulla carta”: l’operazione viene quindi fatturata, ma non avviene realmente.

Solitamente, la suddetta società cartiera è intestata a prestanome, persone di comodo e che – a parte le conseguenze penali per i reati commessi – hanno poco o nulla da rischiare dalle gravi violazioni compiute.

Infatti, la cartiera (a parte le fatture fittizie emesse), non tiene la contabilità, non presenta le dichiarazioni fiscali e dunque non paga tasse e, naturalmente, non versa l’Iva dovuta. Per sfuggire agli occhi del Fisco, spesso chiude i battenti dopo poche ma rilevanti operazioni, attuate in tempi brevi, di pochi mesi o al massimo uno o due anni.

Come funzionano le frodi carosello

Una volta chiarito di cosa si tratta quando si parla di frode carosello, andiamo a vedere, nello specifico come avviene questo circuito, questa “giostra” appunto di frode fiscale.

Come ben si sa, l’Iva è un’imposta sui consumi; per cui, essa è dovuta nel Paese dove il bene viene venduto. Ad esempio, se un’impresa locata in Germania vende un’auto a una ditta italiana per 100 euro, la fattura tedesca non recherà l’Iva in quanto questa è dovuta in Italia e verrà calcolata, secondo l’aliquota italiana, dalla ditta acquirente situata sul suolo italiano, che dovrà aggiungere, al costo di 100 euro, l’Iva al 22% (e quindi un importo di 22 euro).

Stando alla regola contabile, tale importo di Iva dovrà essere registrato, sempre dalla ditta italiana, sia come Iva sugli acquisti sia come Iva sulle vendite, per poter “neutralizzare” l’imposta. 

Nel meccanismo di frode che presuppone una regia univoca delle operazioni complessive, la ditta tedesca venderebbe l’auto per 100 euro a una ditta “cartiera” italiana: questa, una volta neutralizzata l’Iva italiana al 22% con le registrazioni contemporanee in acquisto e in vendita, rivende poi l’auto sottocosto alla ditta italiana effettivamente interessata all’acquisto, attraverso un’operazione che a questo punto diventa nazionale a tutti gli effetti. 

La suddetta cartiera andrà però a vendere ad un sottoprezzo (ossia 80 euro), a cui aggiungere l’Iva. E qui scatta la frode: la ditta acquirente finale rivenderà poi l’auto al consumatore finale al prezzo di 100 euro (prezzo superiore a quello dell’acquisto effettuato “sottocosto” al prezzo di 80), più Iva al 22%: e dunque il prezzo finale praticato al consumatore sarà di 122 euro.

Attraverso l’ausilio della ditta cartiera, dunque, la ditta acquirente italiana avrà venduto il prodotto ad un prezzo concorrenziale e ricevuto vantaggi dalla vendita.

Come si contrastano le frodi carosello

Per tentare di contrastare queste frodi carosello, sono state introdotte differenti disposizioni specifiche di contrasto, anche a livello internazionale ed intracomunitario, le quali prevedono adempimenti particolari o responsabilità aggiuntive in presenza di determinate situazioni.

Il più efficiente strumento di contrasto utilizzato per prevenire le frodi carosello è il sistema Vies (Vat information exchange system), che prevede uno scambio automatizzato delle informazioni relative ai soggetti Iva ed alle operazioni transfrontaliere di beni e servizi tra le Agenzie fiscali dei Paesi in cui le stesse vengono realizzate.

Questo, dunque è quanto vi fosse di più utile e necessario da conoscere in merito a questo ambiguo e illecito fenomeno delle frodi carosello.

Mattarella bis, rieletto il Presidente della Repubblica italiana

Mattarella bis è diventato una realtà. L’addio del Presidente della Repubblica non ha convinto, ed infatti è stato rieletto.

Mattarella bis, com’è andata la votazione

Giorno dopo giorno sono andate avanti le votazione per trovare il nome del nuovo Presidente della Repubblica italiana. Ma non c’era un nome che accontentasse tutti. Tra centro destra che ha proposto una rosa di nomi e sinistra sempre più frammentata, ci sono state ben sette fumate nere.

Invece ieri sera la fumata bianca c’è stata, ed il Presidente della Repubblica italiana è stato rielatteo Sergio Mattarella. Con 759 voti si conferma l’unico nome di unione tra i vari partiti sempre più divisi in un clima politico incerto. Venerdì sera sembrava esserci stata nella coalizione un nome unico Elisabetta Belloni. Ma la notte ha cambiato nuovamente le carte in tavola e la storia della nostra Nazione. Mentre sabato Pier Ferdinando Casini sembrava essere il più in voga, ma anche stavolta nulla di fatto.

Mattarella bis, Draghi come mediatore per l’accettazione dell’incarico

Sembra che il vero mediatore e risolutore della situazione, sia stato il Capo del governo, Mario Draghi. E’ stato proprio lui a chiedere a Mattarella di tornare indietro sui suoi passi. E di sacrificarsi per il bene della nazione ed accettare il suo incarico di andare avanti. Un plebiscito, ottenendo davvero un punteggio quasi totalitario 759.

E’ diventato così il secondo Presidente più votato della repubblica. Secondo solo a Sandro Pertini, che aveva totalizzato 832 voti. Il “nuovo presidente” succede a se stesso, come era accaduto già al suo predecessore Giorgio Napolitano. Mattarella ha detto si, di nuovo, per senso di responsabilità e nel rispetto delle decisioni del Parlamento. Sembra più aver accettato per senso del dovere o più semplicemente per non far cadere l’attuale governo già precario.

La reazione dei partiti dopo l’elezione

Il centro destra dovrà provare a ricostruire la sua coalizione, con Giorgia Meloni contraria al Mattarella bis. Per lei un altro mandato a Mattarella è davvero un errore. La sua paura più grande è che tenderanno di cambiare la legge elettorale. Salvini pare aver cambiato idea all’ultimo momento, da Belloni a Mattarella, tradendo l’accordo della coalizione di centro destra.

La verità è che ci sono tensioni anche nel centro sinistra. Pd e Cinque stelle non hanno trovato l’intesa sperata. Sembra essere guerra tra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte. E così la fiducia è tutta da ricostruire. L’unico pericolo scampato è stato quello di ritornare alle urne. E così in Governo ancora regge ed ancora si conferma l’idea che alla politica italiana non piaccia proprio il vento di cambiamento.

 

Irap, la devono pagare anche le imprese familiari e coniugali?

Con la riforma fiscale e l’abolizione dell’Irap per le persone fisiche, l’Imposta regionale sulle attività produttive deve essere pagata dalle imprese familiari? Al quesito ha risposto l’Agenzia delle entrate fornendo indicazioni relative all’esenzione dell’imposta anche per le imprese familiari. Nel chiarimento, infatti, l’Agenzia delle entrate ha tenuto maggiormente conto della natura individuale e non associativa delle imprese familiari.

Versamento Irap 2022, chi non deve versare l’imposta?

Nella risposta fornita dall’Agenzia delle entrate si parte al presupposto dell’esenzione dal pagamento dell’Imposta regionale sulle attività produttive (Irap) prevista dalla legge di Bilancio 2022. Al comma 8 dell’articolo 1, della legge numero 234 del 2021, il governo ha infatti previsto che, a partire dal 2022, l’Irap non debba essere pagata più dalle persone fisiche che esercitino le attività commerciali oppure le arti e le professioni. Le attività esentate dal pagamento dell’Irap sono quelle elencate dalle lettere b) e c) del comma 1 dell’articolo 3 del decreto legislativo numero 446 del 1997.

Irap 2022, i chiarimenti su chi risulta esentato dal pagamento dell’imposta

In altre parole, sono esentati dal pagamento dell’Irap tutte le persone fisiche che siano titolari di partita Iva individuale. Nell’esercizio della professione, le partite Iva devono svolgere un’attività individuale, qualunque essa sia, anche in forma di impresa, purché individuata tra i commercianti, gli artigiani, i prestatori di servizi. Sono inclusi dunque i lavoratori autonomi.

Pagamento Irap 2022, quali imprese non devono versarla?

Nel quesito, l’Agenzia delle entrate ha risposto che l’Irap non deve essere pagato dalle imprese individuali a partire dall’anno di imposta 2022. L’esenzione vale anche se le imprese individuali abbiano dei dipendenti o rientrino tra le imprese familiari. Conseguentemente, anche le imprese individuali che abbiano collaboratori e dipendenti e a prescindere dal capitale investito, proprio perché individuali, sono esentate dal pagamento dell’Irap. L’esenzione vale anche per i professionisti che si avvalgano di prestazioni di servizi offerti da società esterne.

Irap, qual è l’impresa familiare?

Anche le imprese familiari sono riconducibili a quelle individuali. Secondo quanto disciplina l’articolo 230 bis del Codice civile, “salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare e ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato. Le decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all’impresa stessa. I familiari partecipanti all’impresa che non hanno la piena capacità di agire sono rappresentati nel voto da chi esercita la potestà su di essi”.

Allargamento dell’esenzione Irap alle imprese familiari

Nella risposta fornita dall’Agenzia delle entrate in merito all’esenzione dell’Irap, si evidenzia che le imprese familiari “hanno natura individuale e non collettiva e associativa”. Pertanto, risulta imprenditore solo “il titolare dell’impresa, il quale la esercita assumendo in proprio diritti ed obbligazioni, oltre la piena responsabilità verso i terzi”. Con queste spiegazioni, l’Agenzia delle entrate ha confermato, dunque, che anche le imprese familiari rientrano tra i soggetti ai quali va l’esonero dell’Irap con decorrenza dal 1° gennaio 2022.

Imprese familiari esenti dall’Irap, e le imprese coniugali?

Non vi sono, ad oggi, chiarimenti relativi alle imprese coniugali di cui all’articolo 177 del Codice civile. In base alla Giurisprudenza, infatti, le imprese familiari sono costituite dopo il matrimonio e gestite da entrambi i coniugi. Dal punto di vista fiscale, le imprese familiari sono equiparabili alle società di persone (o società di fatto), a maggior ragione che i redditi devono essere dichiarati nel modello Sp. Nella dichiarazione, inoltre, i redditi vanno attribuiti pro quota ai due coniugi nel quadro Rh del modello Pf. Si ritiene, pertanto, che le imprese coniugali debbano continuare a versare l’Irap alla pari di tutte le imprese commerciali. 

Come uscire dall’Isee familiare abbassando il proprio

L’Isee ormai è un documento o certificato, che riguarda tutte le famiglie o quasi. Se fino a ieri si trattava di un certificato utile a chi doveva chiedere prestazioni, servizi o agevolazioni, adesso riguarda anche famiglie che devono semplicemente richiedere l’assegno unico sui figli a carico.

Infatti la misura universale che sostituisce detrazioni, assegni familiari e altri benefit relativi al welfare per le famiglie, richiede l’Isee. Non per la sua erogazione, perché anche senza Isee si può lo stesso percepire l’assegno, ma per quanto riguarda gli importi, che sono collegati proprio all’Indicatore della Situazione Economica Equivalente del nucleo familiare.

Questa debita premessa serve per stabilire l’importanza dell’Isee. Per esempio, l’assegno universale varia in base all’Isee, così come varia il reddito di cittadinanza. E con Isee troppo alto, si può uscire fuori dal perimetro dei beneficiari delle riduzioni delle tasse universitarie, della riduzione della mensa scolastica e di tanti altri benefici previsti dalla normativa assistenziale italiana.

Ma si può abbassare l’Isee? La risposta è affermativa, ma probabilmente l’unica via lecita per farlo è il ridurre o aumentare la composizione del nucleo familiare. Tutte le altre fantomatiche vie possibili per abbassare la soglia dell’Isee sono illecite o quasi.

Abbassare un Isee, le vie possibili tra lecite ed illecite

Partiamo dalla considerazione che abbassare l’Isee eludendo un reddito, celando un patrimonio, o dichiarando il falso espone a sanzioni e rischi non certo bassi. Senza considerare che se per il tramite dell’Isee si recuperano prestazioni assistenziali o bonus, si entra nel campo di un vero e proprio reato che è la truffa ai danni dello Stato o la fruizione indebita di aiuti di Stato.

Non si scherza quindi. Anche se ormai queste pratiche sono abbastanza rare e difficili da mettere in pratica. Questo per via delle banche dati e degli incroci che ormai hanno fatto diventare un “Grande Fratello” tutta la posizione economica, reddituale e patrimoniale di un contribuente.

Difficile nascondere un reddito quindi. Forse più semplice farlo con un patrimonio, spostando dei soldi donandoli ad un figlio magari. Più facile e lecito invece, intervenire sui nuclei familiari, aumentandoli o diminuendoli per abbassare un Isee.

Infatti anche la composizione di un nucleo familiare incide sugli Isee di una famiglia. Ogni componente incide con i suoi patrimoni e i suoi redditi e fa ad influire sulla scala di equivalenza fissata per calcolare l’indicatore.

Evidente che eliminare da un nucleo familiare un soggetto che apporta consistenti redditi o patrimoni, serve per abbassare l’Isee. Ma inserire nel nucleo familiare un soggetto privo di redditi e patrimoni ha lo stesso effetto.

Come uscire da un nucleo familiare

Più persone compongono la famiglia, più si abbassa l’Indicatore della situazione economica equivalente, ma è altrettanto vero che se queste persone hanno redditi propri e patrimoni altrettanto propri elevati, l’Isee di contro si alza. Occorre fare bene i conti quindi.

Un modo per abbassare l’indicatore è rivedere la composizione del nucleo familiare.  Avete un figlio che lavora e ha redditi? Se avete la possibilità meglio “cacciarlo “ di casa, usando un eufemismo. Se c’è la possibilità di cambiare la sua residenza, magari in un’altra casa, meglio farlo perché così si porta via anche i suoi redditi ed i suoi patrimoni.

Certo, occorre fare bene tutte le considerazioni, dal momento che il tutto viene fatto presentando una DSU (Dichiarazione Sostitutiva Unica) che fa riferimento a redditi e patrimoni del 2020, cioè di due anni prima. Ed anche l’utilizzo dell’Isee corrente (per rapportare la situazione di una famiglia più vicina alla realtà del momento),deve seguire precise tempistiche. Non si può ottenere l’Isee corrente da un giorno all’altro, solo spostando un figlio nella seconda casa del nucleo.

CI sono regole che vanno meglio conosciute per procedere a questi cambiamenti. Un figlio con meno di 26 anni di età, se non ha redditi tali da essere indipendente, anche con residenza diversa finisce nello stesso nucleo familiare dei genitori. Ma in questo caso, non avendo redditi, è utile averlo nell’Isee, perché essendo non autosufficiente abbassa l’Isee.