La guida al rinnovo della malattia dopo il primo certificato medico, tutte le cose che deve conoscere il lavoratore

La malattia indennizzata è un diritto di qualsiasi lavoratore dipendente. Se un lavoratore sta male deve essere retribuito e può restare a casa fino a guarigione avvenuta. Ma sul capo dello stesso lavoratore pendono alcuni adempimenti che possono mettere in pericolo anche il posto di lavoro se disattesi. Parliamo del restare a casa per le eventuali visite fiscali dei medici accertatori. Ma si parla anche dei certificati medici e delle informative da mandare al datore di lavoro.

Come fare per la prosecuzione della malattia per il lavoratore dipendente

In generale il lavoratore dipendente in malattia deve farsi certificare il suo stato dal proprio medico curante che rilascia opportuno certificato medico. Nel certificato, oltre alla patologia c’è la prognosi. In pratica, c’è il tempo di guarigione che secondo il dottore, il lavoratore dovrebbe avere per poter tornare al lavoro. Ma è un termine presunto, perché a volte (ma sono casi rari), una guarigione anticipata può portare ad un rientro al lavoro altrettanto anticipato.

Capita senza dubbio, più di frequente, che sia il lavoratore a non poter rientrare al lavoro decorso il termine previsto nella prima prognosi del medico di base. In ogni caso, per ciascun passaggio relativo allo stato di malattia, il lavoratore deve tenere sempre informato il datore di lavoro. Resta il fatto che il lavoratore assente per malattia, ha la facoltà di prolungare lo stato. In pratica, si può prolungare il periodo di convalescenza, a condizione di darne opportuna comunicazione al proprio datore di lavoro.

La procedura di proroga della malattia

Il meccanismo per prolungare la malattia è abbastanza semplicistico. Infatti non c’è nulla di diverso o differente da quanto occorre fare ad inizio malattia, con il primo certificato medico. Occorre in altri termini, andare dal proprio medico curante che emetterà un nuovo certificato medico con una nuova prognosi. Bisogna però prestare attenzione ad un particolare. Se sul finire della malattia iniziale, a casa arrivano i medici accertatori dell’Inps per l’eventuale visita fiscale di controllo, bisogna sapere cosa fare. In genere questi medici fanno firmare al lavoratore la relata di controllo. Una dichiarazione con cui si attesta che il lavoratore era a casa nel momento della visita e che i medici accertatori hanno prodotto le verifiche del caso. E non è raro che sulla relata i medici di controllo, basandosi sul primo certificato medico, scrivono che il lavoratore è dichiarato di nuovo abile al lavoro dalla data di fine malattia del primo certificato.

In questo caso, la malattia viene interrotta. In pratica, anche recandosi dal medico di base il giorno stesso della chiusura della malattia risultante dal primo certificato, occorrerà provvedere ad una malattia ex novo, con tanto di nuova patologia.

Perché occorre fare le cose per bene per non rischiare di perdere il lavoro

Le operazioni di proroga della malattia devono essere rispettate in toto dai lavoratori. Non si può sbagliare nulla per non rischiare di perdere il posto di lavoro. Infatti se le cose non vengono fatte per bene si rischia una denuncia per assenza ingiustificata. E il mancato pagamento della malattia è l’effetto meno grave che può capitare. Infatti si può incorrere in sanzioni disciplinari, che poi possono sfociare anche nel licenziamento per giusta causa. Per questo occorre fare chiarezza sugli adempimenti da rispettare. Se il lavoratore si ammala e deve assentarsi dal lavoro proprio per via della  malattia, è assolutamente obbligato  a sottoporsi il giorno stesso al massimo il giorno dopo, a visita medica. La comunicazione dell’assenza deve arrivare al datore di lavoro nel più breve tempo possibile. Per questo adempimento occorre fare riferimento esclusivo al Contratto collettivo di settore, che stabilisce le regole da seguire anche nei casi di assenze per malattia. Dal momento che ormai anche nella sanità la digitalizzazione la fa da padrona, bisogna tenere conto che il medico deve essere uno riconosciuto dal Sistema Sanitario Nazionale (SSN), che può redigere certificati telematici ed inserirli nelle opportune piattaforme.

Visite specialistiche, rientro anticipato e termini della prosecuzione della malattia

Naturalmente si parla di assenze per malattia, perché molti confondono queste assenze con quelle relative a visite specialistiche e analisi. n questi casi l’assenza può essere giustificata da un medico diverso dal proprio medico di base, ovvero dal medico del laboratorio dove ci si presenta per le analisi. In questo caso il certificato medico può essere rilasciato anche in forma cartacea. Serve un certificato medico di guarigione anche nel caso assai raro e prima citato, del lavoratore che si sente guarito prima della scadenza della prognosi e che ritenga di poter tornare al lavoro prima. Ed anche in questo caso la procedura è la medesima, come è medesimo l’obbligo di darne preventiva comunicazione al datore di lavoro.

Alcuni chiarimenti importanti per la malattia del lavoratore

Tornando all’ammalato che resta tale dopo la prima prognosi, va sottolineato che  il certificato di prosecuzione della malattia deve essere richiesto al proprio medico curante entro il primo giorno successivo alla scadenza della prognosi precedente. Il meccanismo di trasmissione del certificato è sempre lo steso, con il proprio medico che lo immette in piattaforma e lo rende disponibile all’INPS. Sarà poi l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale italiano (INPS) a trasmettere tale certificazione attestante la malattia al datore di lavoro.

Occhio ai termini e alle date dei certificati

Capita spesso che il lavoratore ammalato si faccia certificare la prosecuzione della malattia quando ancora la prognosi del primo certificato non è finita. Questo perché il medico curante è chiuso nel fine settimana ed una malattia può scadere la domenica sera. In questo caso i giorni della seconda prognosi devono contarsi non dalla scadenza della prognosi precedente, ma dalla data del nuovo certificato medico. Questo aspetto è da tenere in considerazione perché molti non considerano questa situazione e rischiano, come dicevamo, di non presentarsi al lavoro, con tutte le conseguenze del caso. Infine c’è da dire che per la prosecuzione della malattia prodotta in ritardo, i giorni scoperti, cioè tra l’ultimo giorno di prognosi del primo certificato, e la data del nuovo certificato, non sono coperti dalla indennità. In questi casi anche se zelante, il datore di lavoro non dovrebbe avviare le procedure disciplinari contro il lavoratore essendo soltanto una questione di ritardata certificazione inviata.

Utilizzare la fattura elettronica, tutto ciò che c’è da sapere

Dal 1° luglio 2022 scatterà l’obbligo di utilizzare la fattura elettronica anche per le partite Iva a regime forfettario, finora esonerate. Persiste un tetto di ricavi e di compensi al di sotto del quale l’utilizzo del formato elettronico sarà ancora una scelta. Si tratta delle piccole partite Iva che non superano i 25 mila euro di ricavi e di compensi. Per tutte le partite Iva sopra questa soglia cambia tutto. Ecco quali sono i consigli e le indicazioni da seguire per non commettere errori a chi si affaccia per la prima volta alla fattura elettronica.

Obbligo di fattura elettronica per le partite Iva forfettarie: da quando?

A distanza di un paio di mesi dell’entrata in vigore dell’obbligo di adozione della fattura elettronica alle partite Iva forfettarie risulta necessario adeguarsi ai nuovi strumenti. Il relativo provvedimento, il decreto legge “Pnrr 2”, che verrà pubblicato nei prossimi giorni nella Gazzetta Ufficiale, stabilisce che l’obbligo di fattura elettronica per i soggetti finora esonerati scatterà il 1° luglio 2022 e rimarrà in vigore fino al 31 dicembre 2024. L’esonero per le partite Iva a regime forfettario che hanno compensi e ricavi non eccedenti i 25 mila euro rimarrà in vigore fino al 31 dicembre 2023. Anche le nuove partite Iva che verranno aperte nel 2022 potranno scegliere se aderire alla fattura elettronica oppure no. In ogni modo, il passo è stato già segnato e, obblighi normativi a parte, l’adozione della fattura elettronica potrebbe rappresentare una svolta nell’organizzazione del proprio lavoro e della propria attività.

Quali differenze ci sono tra la fattura elettronica e quella cartacea?

Le differenze sostanziali tra la fattura elettronica e quella cartacea risiedono nella modalità di compilazione, di invio e di conservazione dei documenti. La fattura elettronica, rispetto a quella cartacea, deve essere compilata telematicamente mediante l’utilizzo di un personal computer, di uno smartphone o di un tablet. Dunque dal 1° luglio prossimo, i soggetti rientranti nell’obbligo di adozione del formato elettronico dovranno abbandonare il vecchio “blocco fatture” di carta. L’invio della fattura, poi, dovrà essere effettuato mediante il servizio messo a disposizione dall’Agenzia delle entrate del Sistema di interscambio (Sdi). La piattaforma verifica che i dati della fattura siano completi e corretti e consegna il documento elettronico al destinatario. Il sistema, dunque, permette di abbandonare le vecchie modalità di recapito.

Partite Iva a regime forfettario, come compilare la fattura elettronica?

Le modalità di compilazione della fattura elettronica consistono nell’utilizzare software specifici che elaborano il documento nel formato Xml. Il software si può utilizzare gratuitamente dal portale dell’Agenzia delle entrate “Fatture e corrispettivi”, oppure avvalersi dei tanti servizi offerti da aziende specializzate. Tuttavia, l’utilizzo del formato elettronico consente, tra i vari vantaggi, di non dover compilare tutti i campi per le fatture da inviare allo stesso destinatario. I dati, infatti, possono essere memorizzati per poi procedere alla compilazione veloce del documento. I campi da “popolare” nella fattura elettronica sono gli stessi presenti nella fattura cartacea: non vi sono, dunque, più dati da inserire.

Quali sono i campi più importanti per l’invio della fattura elettronica?

Rispetto alla fattura cartacea, per l’invio di quella elettronica è necessario disporre di un indirizzo telematico al quale il cliente desidera ricevere il documento. Si possono utilizzare, per l’invio, sia il codice destinatario che l’indirizzo di posta elettronica certificata (Pec). Se il cliente non comunica al mittente della fattura nessuno dei due dati, si può inviare la fattura elettronica al Sistema di interscambio che, in ogni modo, non potrà consegnarla al cliente ma la renderà reperibile nell’area personale del cliente stesso sul portale dell’Agenzia delle entrate. In questi casi, sarebbe meglio fornire anche una copia cartacea della fattura al cliente, ricordandogli che si tratta di una copia del documento di cortesia.

Partite Iva a regime forfettario: quali codici utilizzare nella fattura elettronica?

Le partite Iva a regime forfettarie, nell’utilizzo dei software per l’emissione della fattura elettronica, devono utilizzare il codice RF 19 – Regime forfettario. Oltre al codice, la fattura necessita della marca da bollo di due euro per gli importi eccedenti i 77,47 euro. In tal caso, la piattaforma dell’Agenzia delle entrate permette l’inserimento del bollo in modalità elettronica pagando le marche da bollo dovute anche a cadenza trimestrale. Inoltre, per le partite Iva a regime forfettario è fondamentale utilizzare la dicitura: “Operazione senza applicazione dell’Iva, effettuata ai sensi dell’articolo 1, commi da 54 a 89, legge numero 190 del 2014 così come modificato dalla legge numero 208 del 2015 e dalla legge numero 145 del 2018”.

Invio della fattura elettronica: come essere sicuri che è andato a buon fine?

Infine, tra le diciture da utilizzare nella fatture elettroniche emesse da una partita Iva a regime forfettario è occorrente indicare sempre il codice “Ivan 2.2 – Non soggette altri casi”. Si tratta, infatti, di prodotti e di servizi in regime forfettario e, pertanto, non soggetti ad applicazione dell’Iva. Una volta terminata la compilazione, la partita Iva invia la fattura elettronica tramite il Sistema di interscambio al destinatario. Al mittente arriva una ricevuta telematica di corretto invio del documento. Può arrivare anche una ricevuta di “corretta consegna” se il documento, oltre a essere stato compilato correttamente, è stato anche ricevuto dal destinatario.

Cosa succede se il destinatario non riceve la fattura elettronica emessa?

Nel caso in cui la fattura elettronica non arrivi a destinazione, il mittente riceve una ricevuta di “mancato recapito“. In tal caso, è necessario verificare il perché e se i dati sono stati correttamente inseriti, compresi il codice destinatario o l’indirizzo Pec. Le fatture elettronica vanno numerate progressivamente per anno. Il numero deve essere unico e riferito alla progressività della data di emissione. Dunque, anche la fattura elettronica deve avere una data di emissione e un numero progressivo unici.

Conservazione delle fatture elettroniche: come si fa?

L’emissione della fattura elettronica comporta anche l’obbligo di conservarle. La conservazione non si fa scaricando la fattura sul computer o su memorie esterne, ma tramite i sistemi di conservazione messi a disposizione (anche dall’Agenzia delle entrate) dai fornitori dei software. La corretta conservazione dei documenti elettronici evita l’applicazione di sanzioni. Ulteriori sanzioni possono essere applicate nel caso di invio errato della fattura elettronica. Infatti, alla ricezione del messaggio di errore nell’invio, è necessario procedere con un altro invio nel termine di cinque giorni. In questo caso, la data e il numero della fattura devono essere uguali al documento risultato errato.

Cosa fare se si sbaglia a inserire informazioni su una fattura elettronica?

In tutti gli altri casi, se l’errore è presente nei dati interni alla fatturazione (e il Sistema di interscambio non ha rilevato errori) è necessario:

  • emettere una nota di variazione;
  • inserire una nota di credito;
  • emettere una nuova fattura.

A tale verifica deve provvedere chi emette la fattura elettronica. Infatti, il Sistema di interscambio non segnala l’errore ed esita la fattura come “emessa”.

Assegno unico per maggiorenni: partono i controlli dell’INPS sui requisiti

Su 4 milioni di domande presentate per l’accesso all’assegno unico, 22.000 sono al vaglio dei controlli dell’INPS concentrati soprattutto sulle richieste fatte in favore di maggiorenni, cioè i ragazzi tra 18 e 21 anni che possono accedere all’assegno unico per maggiorenni.

Assegno unico per maggiorenni: partono i controlli del nucleo antifrode

Le prime truffe erano già state poste sotto controllo nel mese di marzo e avevano riguardato domande “anomale” ad esempio per genitori che dichiaravano di avere 17 figli, altre sono state poste sotto controllo del nucleo antifrode nel mese di aprile e l’INPS ha reso noto che ora le attenzioni sono concentrate sui requisiti per accedere all’assegno unico per maggiorenni. L’obiettivo è verificare che i ragazzi abbiano i requisiti per poter accedere al welfare in oggetto. La normativa stabilisce che i ragazzi tra i 18 e i 21 anni possono proporre anche autonomamente e indicando quindi un codice Iban di conto a loro intestato, la domanda per l’Assegno Unico.

Quali sono i requisiti per l’assegno unico per maggiorenni?

Per potere ottenere l’assegno unico anche dopo il compimento dei 18 anni è necessario che:

  • frequenti un corso di studio ( scuola superiore, università, corso di formazione professionale);
  • svolga un tirocinio o un’attività lavorativa e percepisca a fronte di tale impegno un reddito annuo inferiore a 8.000 euro;
  • sia disoccupato ma regolarmente iscritto al centro per l’impiego competente per territorio e attivo quindi nella ricerca di un lavoro;
  • svolga il servizio civile universale.

Ricordiamo che può ricevere l’assegno unico anche il figlio che, avendo i requisiti sopra prescritti, non sia convivente con alcuno dei genitori, ma non deve essere sposato e non deve avere a sua volta figli.

Cosa fare quando il figlio diventa maggiorenne?

Quando il figlio diventa maggiorenne, cessa la continuità dell’erogazione dell’Assegno Unico, spetta quindi alle parti attivarsi per far in modo che si possa continuare a percepirlo. Due sono i percorsi che consentono l’erogazione.

Nel caso in cui il genitore abbia presentato la domanda per l’assegno unico prima che il figlio diventasse maggiorenne, in seguito al raggiungimento della maggiore età, il figlio può presentare autonomamente la domanda. In questo caso la domanda precedente sarà cancellata dalla scheda e l’assegno sarà erogato direttamente al figlio maggiorenne. Ricordiamo che l’Iban fornito dal figlio deve essere a lui intestato, non può presentare la domanda con Iban dei genitori, mentre se continuano a percepirlo i genitori, quindi il figlio non propone autonoma domanda, non serve che il figlio abbia un Iban.

Nel momento in cui il figlio compie 18 anni e non presenta autonoma domanda, la precedente domanda proposta dai genitori risulta “in evidenza”. Il genitore deve quindi integrare la domanda, dichiarando che il figlio ha i requisiti per poterlo percepire. Sarà necessario che il genitore si colleghi al sito dell’Inps, si identifichi con CIE, SPID o CNS. Acceda alla voce “Consulta e gestisci le domande che hai presentato”, all’interno della domanda deve andare nella scheda del figlio e quindi confermare la presenza di uno dei requisiti previsti per poter ottenere l’assegno unico anche se maggiorenni. A questo punto basta salvare i dati.

Quali sono i tre formati previsti per poter generare una fattura elettronica

Per poter generare una fattura elettronica quali sono i formati previsti in Italia dal Fisco? Al riguardo la risposta è presto detta. In quanto, all’occorrenza, i formati che si possono utilizzare, ai fini della generazione e della predisposizione di una e-fattura, sono tre.

Ovverosia, la fattura elettronica ordinaria, la fattura elettronica semplificata e la fattura PA, ovverosia quella verso le amministrazioni pubbliche. Vediamo allora nel dettaglio quali sono le caratteristiche per questi tre formati di fattura elettronica.

Quali sono le caratteristiche della fattura elettronica ordinaria e le differenze con la fattura elettronica semplificata

Dei tre formati di e-fattura, quella elettronica ordinaria è la più utilizzata ed è anche la più complessa per quel che riguarda la compilazione. In quanto occorre inserire più dati rispetto alla fattura elettronica semplificata per la quale, invece, molte informazioni possono essere omesse in quanto sono opzionali e quindi facoltative.

Per esempio, rispetto alla fattura elettronica ordinaria, in quella semplificata non è necessario indicare i dati anagrafici del cliente. In quanto basta il codice fiscale o la partita IVA. Così come con la fattura elettronica semplificata è opzionale pure l’indicazione della quantità, della natura e della qualità dei beni o dei servizi che sono stati ceduti.

Quando si può optare per la fattura elettronica semplificata rispetto a quella ordinaria

La fattura elettronica semplificata rispetto a quella ordinaria è in genere ideale per i piccoli imprenditori e per le piccole partite IVA. Per esempio, per i piccoli negozi di vendita al dettaglio, ma anche per le micro e per le piccole imprese operanti nel settore dei servizi.

La fattura elettronica ordinaria, invece, è obbligatoria sempre e comunque quando la transazione è legata ad una cessione intracomunitaria. In tal caso, infatti, la fattura elettronica semplificata non può essere utilizzata.

Quando usare la Fattura PA e quali sono gli obblighi per i contribuenti in regime forfettario

Fattura PA, tra i tre formati di e-fattura utilizzabili, è invece la fattura elettronica da predisporre verso le pubbliche amministrazioni. L’obbligo di fattura elettronica verso la PA riguarda tra l’altro tutti i titolari di partita IVA. E quindi pure per tutti i contribuenti che operano in regime fiscale agevolato come quello del forfettario.

I tre formati di fattura elettronica, dalla e-fattura ordinaria a quella semplificata, e passando per l’e-fattura verso la PA, si possono generare, trasmettere al Sistema di Interscambio (SdI) e conservare utilizzando, con accesso tramite credenziali, il portale ‘Fatture e Corrispettivi’ dell’Agenzia delle Entrate.

Agricoltura, contributi in conto capitale e finanziamenti agevolati: domande dal 23 maggio

Si potranno presentare a partire dal 23 maggio 2022 le domande per i contributi in conto capitale e i finanziamenti agevolati dei contratti di filiera. Le agevolazioni riguardano, in particolare, le imprese agricole e quelle agroalimentari. È quanto specifica l’avviso numero 182458 emanato dal Mipaaf il 22 aprile scorso che specifica la percentuale degli incentivi variabile dal 10% al 100% in base alla dimensione dell’azienda che fa richiesta dei contributi e degli interventi programmati.

Bando contributi e finanziamenti Mipaf per l’agricoltura: di cosa si tratta?

Si tratta del quinto bando del Mipaaf pubblicato il 22 aprile 2022 relativo ai contratti di filiera del settore agroalimentare. L’avviso reca le caratteristiche, le modalità e le forme per la presentazione delle domande di accesso ai contratti di filiera e le modalità di erogazione delle agevolazioni di cui al decreto ministeriale numero 0673777 del 22 dicembre 2021, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 14 marzo 2022. Il Mipaaf avvisa, inoltre, che nelle prossime settimane verrano pubblicati gli avvisi inerenti i distretti del cibo e gli altri settori, in particolare di pesca e acquacoltura.

Contributi in conto capitale e finanziamenti agevolati del contratto di filiera: quali imprese agricole e agroalimentari possono richiederli?

Sono ammessi ai contributi in conto capitale e ai finanziamenti agevolati dei contratti di filiera:

  • imprese, anche in forma consortile;
  • società cooperative, i loro consorzi e le imprese organizzate in regi di impresa del settore agricolo e agroalimentare;
  • gli organismi di ricerca e di diffusione della conoscenza;
  • le organizzazioni di produttori agricoli e le associazioni di organizzazioni di produttori agricoli;
  • le società costituite tra soggetti che esercitano l’attività agricola e le imprese commerciali, industriali e addette alla distribuzione. In questo caso, almeno il 51% del capitale sociale debba essere posseduta da imprenditori agricoli, dalle cooperative agricole e dai loro consorzi.

Contratti di filiera, quali sono gli importi degli incentivi richiedibili?

Sono ammessi ai contributi in conto capitale e ai finanziamenti agevolati i soggetti per un importo complessivo degli investimenti tra i 4 e i 50 milioni di euro. L’importo del progetto per ogni singolo beneficiario è determinato in un minimo di spesa pari a 400 mila euro. Fanno eccezione gli investimenti nella produzione agricola primaria fatti dalle piccole e medie imprese. In questo caso, il minimo di spesa è pari a 100 mila euro. Non sono ammissibili spese relative a beni acquistati con la locazione finanziaria. Gli interventi devono essere completati nel termine di 4 anni dal giorno in cui si è sottoscritto il contratto di filiera.

Quali sono le spese ammissibili per il contratto di filiera?

I soggetti ammessi ai contributi e ai finanziamenti possono utilizzare gli incentivi per le seguenti spese:

  • investimenti in beni materiali e immateriali, purché connessi alle produzioni agricole primarie;
  • acquisti per la trasformazione di prodotti agricoli e per la commercializzazione degli stessi;
  • costi per partecipare ai regimi di qualità e alle misure promozionali dei produttori di prodotti agricoli;
  • spese per partecipare a fiere, mostre e concorsi;
  • costi sostenuti per i progetti di ricerca e di sviluppo del settore;
  • partecipazioni a fieri per investimenti volti a incentivare la produzione di fonti di energia rinnovabili.

Mix contributi in conto capitale e finanziamenti agevolati per il settore agricolo: cosa si può richiedere?

Le agevolazioni alle imprese agricole consistono in un mix di contributi in conto capitale e di finanziamenti agevolati. In particolare:

  • le due formule si possono richiedere con l’integrazione del finanziamento bancario. In tal caso, per la concessine degli aiuti, i soggetti beneficiari devono richiedere e ottenere un finanziamento bancario a copertura del 50% dell’ammontare del progetto;
  • solo in alternativa si può richiedere l’integrazione contributi in conto capitale e finanziamenti agevolati.

Come presentare domanda per i contributi in conto capitale e finanziamenti agevolati in agricoltura?

I soggetti ammissibili ai contributi e finanziamenti potranno presentare domanda all’apertura della piattaforma dedicata. L’apertura è prevista per il 23 maggio 2022. Il termine dell’invio delle istanza è fissato in 90 giorni a partire dall’apertura della piattaforma. La scadenza è fissata sempre in 90 giorni dall’apertura della piattaforma. Dunque se il 23 maggio prossimo non dovesse essere ancora attiva, il termine decorrerà dall’effettiva data di messa a disposizione della piattaforma. Le imprese interessate possono avere maggiori informazioni sull’invio della domanda dal decreto ministeriale numero 0673777 del 22 dicembre 2021.

Family office: una professione sempre più richiesta e ben remunerata

L’Osservatorio Family Office curato dal Politecnico di Milano e dalla Libera Università di Bolzano ha censito il numero di Family Office che operano a Milano, si tratta di ben 206 operatori di cui 195 residenti in Italia, i rimanenti 11 in Svizzera, Lussemburgo e Principato di Monaco. Ma cosa fa?

Ingenti patrimoni affidati a Family Office

Sappiamo bene che la ricchezza in Italia è distribuita in modo non particolarmente uguale e proprio per questo vi sono famiglie in difficoltà e altre che hanno accumulato ingenti patrimoni che nella maggior parte dei casi affiancano le altre attività di impresa o professionali. Capita quindi che molte persone decidano di seguire di persona, con l’aiuto di collaboratori, le attività aziendali, ma poi deleghino la gestione del patrimonio mobiliare e immobiliare a terze persone per far sì che gli investimenti possano rendere di più in quanto affidati a professionisti del settore.

Naturalmente quando si tratta di grandi patrimoni, formati da ricchezze complesse, non basta andare in banca e affidarsi al dipendente, occorre avere al proprio fianco dei professionisti che possano gestire tale patrimonio in tutti i suoi aspetti e renderlo fruttuoso in modo da poterlo comunque trasmettere anche alle generazioni future. Tale professionista è il Family Office che ha una formazione prettamente economica e finanziaria. In alcuni casi sono istituti privati a mettere a disposizione corsi di formazione professionale di approfondimento per iniziare questo percorso, tra cui banche svizzere.

Questa figura si diffonde prima negli Stati Uniti e solo successivamente in Europa. In Italia si registrano le prime società che si occupano della gestione dei grandi patrimoni familiari alla fine degli anni Novanta, ma è nel terzo millenio che si diffonde.

Multi Family Office e single Family Office

Il Family Office può essere una società o un professionista ( nell’ultimo periodo si afferma soprattutto tale seconda forma). Può agire sia al fianco di una sola famiglia, sia al fianco di più famiglie in questo secondo caso abbiamo un Multi Office Family. Deve essere sottolineato che la ricerca condotta fa emergere una distribuzione di queste due figure ben stagliata nel tempo, cioè dal 2011 al 2020 si è notato un incremento soprattutto dei single family office, mentre nel decennio precedente era più frequente il multi family office. Nel solo 2021 c’è stato un incremento di ben 34 single family office, solo 3 Multi Family, mentre i professionisti che hanno lasciato sono 4.

Questo perché coloro che hanno grossi patrimoni preferiscono avere al proprio fianco una persona concentrata esclusivamente sui loro interessi e poi perché spesso si tratta di patrimoni talmente complessi che una corretta gestione richiede molte ore, inoltre come vedremo in seguito le attività svolte sono numerose.

Tra le curiosità rilevate dalla ricerca condotta dal Politecnico di Milano e dalla Libera Università di Bolzano emerge anche una particolare concentrazione di tale professionista al Nord Italia e addirittura il 59% nella sola Lombardia che, d’altronde, è considerata il centro economico d’Italia.

A questo punto diventa importante parlare anche dei compensi. Nella maggior parte dei casi riceve un compenso pari a una percentuale dei ricavi che riesce a generare dalla gestione del patrimonio familiare.

Di cosa si occupa il Family Office?

Abbiamo detto che questo professionista si occupa di gestire il patrimonio e di conseguenza opera con i vari prodotti finanziari, come le partecipazioni in società o holding di cui è parte il committente, consulenza gestionale, ma non solo. Sempre più spesso questo professionista viene coinvolto anche in processi per l’avvio di start up e venture capital. Con la famiglia il Family Office stabilisce una strategia, le parti devono insieme decidere il livello di rischio negli affari che vogliono seguire e quindi avere un approccio cauto oppure aggressivo.

Cessione del credito: la guida definitiva, di cosa si tratta, come funziona e le cose che pochi conoscono effettivamente

Diventato assolutamente popolare per via del superbonus del 110%,la cessione del credito ormai è diventata una parola di dominio pubblico. In pratica, lo Stato ha agevolato alcuni interventi su case ed immobili, ma se un contribuente interessato a riparare casa o ad adeguarla al risparmio energetico non ha soldi da anticipare, ecco che può cedere il superbonus. Oggi però non parliamo di superbonus in senso stretto, perché questo serve solo come esempio. Oggi parliamo della cessione del credito in quanto tale, non soltanto quella relativa alla novità del governo con il suo incentivo del 110%.

La cessione del credito secondo il Codice Civile

È l’articolo n° 1260 del Codice Civile a regolamentare la cessione del credito. L’istituto non fa altro che cambiare radicalmente il classico rapporto tra creditore e debitore, tra acquirente e cedente. Infatti, come si legge sul sito “laleggepertutti.it”, in ogni compravendita, sono sostanzialmente due le parti in causa. Una persona cede un bene o un servizio, mentre l’altra paga il relativo corrispettivo. Il corrispettivo non è altro che un credito vantato da chi cede o vende il bene o il servizio. Questo credito può essere pagato immediatamente all’atto dell’acquisto, o dopo in base alle condizioni iscritte nel contratto di compravendita di beni o servizi.

Ed essendo un credito, come previsto dal già citato articolo del Codice Civile, questo può essere ceduto a terzi. In pratica, se il soggetto X vende un bene al soggetto Y, il primo può cedere il credito vantato, ovvero il corrispettivo dovuto dal secondo, ad un terzo soggetto, in questo caso Z.  In pratica, la legge concede la  possibilità di vendere un credito. Con la cessione di questo credito, il soggetto Y non sarà più debitore del soggetto X, bensì di quello Z.

Alcuni chiarimenti sulla cessione del credito

Ricapitolando, per cessione del credito si intende il contratto con cui un creditore verso un debitore, cede il suo credito ad un soggetto terzo. Secondo le regole del Codice Civile, questa facoltà prescinde dal benestare del debitore. In pratica, la cessione del credito può materializzarsi con accordo tra soggetto X e soggetto Z senza passare dal soggetto Y. I primi due possono accordarsi senza l’ok di chi effettivamente deve rimborsare il debito. L’unico vincolo affinché sia efficace la cessione è che il debitore venga informato circa la cessione tra gli altri due soggetti. L’informativa deve avvenire tramite notifica che lasci traccia.

Cessione onerosa e notifica al debitore

Cosa ci guadagna il soggetto che entra al posto del creditore nel vantare soldi dal debitore? Una domanda lecita questa, dal momento che effettivamente, il soggetto X in questo modo si libera del credito e di ogni altra operazione nei confronti del debitore. La risposta può essere un tornaconto personale, dal momento che spesso la cessione del credito è onerosa. In pratica, il soggetto X che ha un credito di 10.000 euro nei confronti del soggetto Y, cede il credito a fronte di un suo debito nei confronti del soggetto Z, che però è inferiore a 10.000 euro. Questo accade anche nei contratti relativi al superbonus 110% dove la cessione del credito è verso la ditta che fa i lavori, verso il fornitore dei materiali o verso una banca.

La garanzia del debito e come funziona tra privati

Nel supebonus si parla di credito fiscale. Per quanto riguarda ciò che si legge sul Codice Civile, la cessione può riguardare anche crediti in moneta. A tutela di chi ottiene il credito, la garanzia di solvenza del debitore. Se per il superbonus 110% non ci sono problemi essendo lo Stato a dover garantire il credito fiscale, tra i privati la situazione cambia. Per questo nella cessione del credito in genere, il vero creditore garantisce per il debitore. In sostanza, se il soggetto Y non paga il soggetto Z che ha acquistato dal soggetto X il credito, sarà quest’ultimo a risponderne in toto.

Sempre secondo l’articolo n° 1260 del Codice Civile, tutti i crediti possono essere ceduti, ad esclusione di quelli personali.

Aziende, per la comunicazione sugli aiuti di Stato pronto il modello: la guida alla domanda e alla scadenza

Dallo scorso 27 aprile sono scattate le procedure operative per la dichiarazione che le imprese devono rilasciare riguardo agli aiuti di Stato. Con la predisposizione del relativo modello e con l’avvio della procedura, tutto è pronto quindi. L’Agenzia delle Entrate ha diramato il provvedimento che riguarda le aziende e le Partite Iva che hanno ricevuto questi sostegni.

Aiuti di Stato, ecco il modello auto dichiarativo sui sostegni ottenuti nell’emergenza

È stato predisposto dall’Agenzia delle Entrate il modello di dichiarazione sostitutiva che gli interessati devono inviare entro il 30 giugno prossimo. Si tratta del modello di auto dichiarazione che le imprese beneficiarie degli aiuti di Stato durante questi anni di emergenza dovuta alla pandemia da Coronavirus, devono inviare all’Agenzia delle Entrate.

Un documento obbligatorio, che ha come oggetto il fatto che le imprese sono tenute a comunicare, al Fisco nostrano,  l’importo complessivo dei sostegni economici ricevuti. La dichiarazione è necessaria perché occorre andare a dimostrare che non sono stati oltrepassati i limiti massimi concedibili, come previsto dal  Temporary Framework, il provvedimento tanto famoso introdotto dalla Commissione Europea a Bruxelles.

Cosa riporta il provvedimento n° 143438 dell’Agenzia delle Entrate

L’operazione auto dichiarativa è ormai partita. L’Agenzia delle Entrate infatti ha prodotto il provvedimento n° 143438 lo scorso 27 aprile e dalla stessa data le imprese possono trasmettere il documento. Invio per il quale ci sarà tempo fino al prossimo 30 giugno, come sempre nel provvedimento prima citato, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito.

Ciò che interessa maggiormente è il limite massimo di contributi concedibili. Infatti per chi ha superato questi massimali, le Entrate specificano anche le modalità, eventuali, di restituzione.

La dichiarazione quindi, è da inviare entro il 30 giugno 2022. La modalità di inoltro è sempre la stessa, ovvero quella digitale. Lo può fare da solo anche il lavoratore autonomo. Serve accedere alla propria area riservata del sito istituzionale delle Entrate con SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale), CIE (Carta di identità elettronica) o CNS (Carta Nazionale dei Servizi). In alternativa c’è la strada classica, quella che porta all’assistenza di un soggetto incaricato della trasmissione delle dichiarazioni. L’invio telematico viene confermato da apposita ricevuta di trasmissione che in generale verrà  rilasciata entro 5 giorni dall’invio.

Per chi ha sforato i massimali, ecco le regole di restituzione

Come dicevamo, ciò che è importante è il lato relativo all’eventuale restituzione delle somme percepite ma non spettanti perché oltre i massimali stabiliti dal Temporary Framework della Commissione Europea. La novità interessa quelle Partite Iva che al 23 marzo 2021 risultavano aperte e che hanno subito un calo di corrispettivi e fatturato superiore al 30%. Un calo dettato come è oggettivamente evidente, dalla grave emergenza epidemiologica che ha interessato il Paese. L’obbligo di inviare la documentazione riguarda anche i soggetti che hanno ottenuto lo sgravio dell’IMU per esempio.

Tornando ai massimali, va detto che il beneficiario che ha superato i limiti massimi spettanti, deve riversare gli aiuti eccedenti i massimali previsti.

Libretti postali dormienti: partono le chiusure di Poste Italiane. Che fare?

Poste Italiane ha iniziato la chiusura dei libretti postali dormienti, ma qual è la procedura adottata, chi è interessato, come evitare che ciò accada e quali sono le prossime date previste per la chiusura dei conti?

Quali sono i libretti postali dormienti?

I libretti di risparmio postale sono un metodo di risparmio e di investimento sicuro, i tassi di interesse sono molto bassi, negli ultimi anni praticamente quasi nulli, allo stesso tempo le somme depositate e maturate sono garantite dallo Stato attraverso Cassa Depositi e Prestiti. Proprio a causa del basso tasso di interesse le somme sono considerate al pari del denaro liquido e non investimenti e di conseguenza sono sottoposte a imposta di bollo come il conto corrente.

Sono molte però le persone che dimenticano anche di avere questi strumenti e per Poste Italiane mantenerli in vita rappresenta un onere. Proprio per questo si è stabilita la chiusura dei conti dormienti. La prima cosa da capire è quali rapporti rientrano in tale categoria. Si tratta di libretti di risparmio postale “non movimentati dal titolare da più di 10 anni, non sottoposti a procedimenti o blocchi operativi che ne impediscano la movimentazione delle somme e che abbiano un saldo superiore a 100 euro.” Questa la definizione data proprio da Poste Italiane.

Procedura per la disattivazione dei libretti postali dormienti

La disattivazione dei libretti postali dormienti non è automatica, infatti il singolo intestatario che è in possesso di un libretto di risparmio dormiente almeno 180 prima della chiusura dello stesso riceve una comunicazione. Nei successivi 180 giorni può effettuare un’operazione sul libretto oppure inviare una comunicazione all’indirizzo del mittente in cui manifesta la volontà di non chiudere il rapporto.

Se l’utente non si attiva nei termini visti, le somme residue presenti sul libretto saranno devolute al fondo gestito da Consap, istituito ai sensi dell’art. 1, comma 343, della legge n. 266/2005 e disciplinato dal Regolamento di cui al D.P.R. 22 giugno 2007 n. 116 . Le somme devolute al fondo gestito da Consap sono recuperabili, ma in questo caso il risparmiatore deve fare apposita istanza appunto al fondo.

Dove trovo l’elenco dei libretti postali dormienti?

Non ricordi se hai un conto dormiente? In questo caso all’indirizzo https://buonielibretti.poste.it/prodotti/libretti-dormienti.html puoi trovare l’elenco dei libretti postali dormienti e quindi provvedere a chiuderlo chiedendo la liquidazione delle somme oppure a compiere un’operazione prima ancora di ricevere la comunicazione da Poste Italiane.

Negli elenchi divisi per data sono indicati l’ufficio postale emittente e il numero del libretto, per ragioni di privacy non sono indicati i nomi. Certamente per la persona interessata potrebbe essere difficile ritrovare il proprio libretto di risparmio postale, magari è rimasto in qualche scatolone del nonno.

Gli ultimi elenchi pubblicati riguardano chiusure attuate dal 20 ottobre 2022, il penultimo elenco le chiusure al 21 giugno 2022. Gli elenchi precedenti riguardano conti già chiusi.

La liberatoria dell’amministratore nelle compravendite immobiliari

La liberatoria dell’amministratore è un documento che non si allega ad un atto di compravendita, ma contiene importanti informazioni.

La liberatoria dell’amministratore cos’è e a cosa serve

La compravendita immobiliare è un atto pubblico che è correlato di molteplici altri documenti. Alcuni obbligatori come l’attestato di prestazione energetica che identifica la rendita in termini di dispersione energetica di un immobile. Mentre ci sono altri documenti che non sono obbligatori, ma che contengono informazioni molto importanti, soprattutto in termini di condominio.

Infatti è il caso della liberatoria dell’amministratore di condominio, a firma dello stesso professionista. Chi compra un appartamento si fa, di solito, rilasciare questa delibera dal venditore, con cui l’amministratore dichiara che tutti gli oneri pregressi sono stati regolarmente assolti e che non ci sono debiti del condominio. La liberatoria può essere richiesta solo dal proprietario e dagli eventuali eredi. 

Per il rilascio della liberatoria solitamente viene richiesto un compenso minimo che solitamente si aggira sui 50/70€ poiché per poter attestare i debiti dell’anno corrente e dei 12 mesi precedenti è necessario che esso svolga un’accurata analisi del bilancio condominiale.

Gli elementi della liberatoria dell’amministratore di condominio

Quando un venditore sta per vendere casa chiede all’amministratore del condominio dell’appartamento di cui è proprietario di comporre questo documento. In realtà il professionista può disporre:

  • una quietanza liberatoria che rilascia a chi ha pagato le quote, nel momento stesso dell’avvenuto pagamento;
  • una attestazione dello stato dei pagamenti che rilascia a chi vuole vendere e che, pertanto, deve fornire tale garanzia all’acquirente.

E’ lo stesso ufficio notarile a richiederlo prima di leggere la compravendita tra le parti. Esso contiene, a volte, indicazioni di eventuali liti pendenti o in corso di giudizio. Del resto, la stessa legge non parla di «liberatoria», ma di un’«attestazione» che deve essere riferita ai pagamenti delle spese condominiali e delle eventuali liti in corso.

Cosa non può mancare in questo documento?

Nonostante la legge 11 dicembre 2012, n. 220 non esiste un’impostazione univoca di questo tipo di documento. Tuttavia l’attestazione dell’amministratore di condominio deve indicare:

  • l’intestazione del professionista che l’ha emessa con tutti i recapiti per poter richiedere ulteriori chiarimenti;
  • l’identificazione del proprietario;
  • l’identificazione dell’immobile oggetto di compravendita;
  • la dichiarazione di regolarità dei pagamenti;
  • eventuali pagamenti non avvenuti;
  • la data in cui è emessa;
  • la firma o timbro dello stesso amministratore

Il rilascio di questa liberatoria è un obbligo dell’amministratore, che può decidere autonomamente se essere compensato in seguito alle ricerche svolte sullo storico del venditore o che può corrispondere gratuitamente, in quanto la legge non dà chiare indicazioni su questo punto.

Altri requisiti che dovrebbero essere allegati

Altri requisiti che dovrebbero essere allegati possono essere così riassunti:

  • estratto dei pagamenti con saldo alla data del rogito del venditore;
  • dettaglio delle proprietà immobiliari del condominio;
  • situazione delle morosità, se presenti;
  • dettaglio dei fondi di riserva presenti nel condominio e relativi utilizzi deliberati;
  • elenco dei lavori deliberati o deliberandi;
  • indicazione di eventuali liti passive in cui il condominio è coinvolto;
  • lavori per i quali sono stati richieste agevolazioni fiscali;
  • situazione patrimoniale ed economica del condominio;
  • ultimo o ultimi due verbali dell’assemblea.

Tuttavia in caso di supercondominio, possono essere allegati anche altri documenti data la complessità anche degli impianti. Quindi il documento dell’amministratore è davvero importante proprio perché contiene tutta una serie di informazioni sul condominio stesso, con cui il compratore dovrà fare i conti di lì in avanti.