Credito di imposta IMU 2022 per imprese del turismo: chi può usarlo?

Il settore del turismo negli ultimi 2 anni ha subito pesantemente gli effetti della crisi pandemica, proprio per questo ora sono previste agevolazioni proprio per le imprese che operano in questo settore e tra le novità che prendono forma vi è il credito di imposta IMU 2022. Ecco come funziona.

IMU: come si calcola?

L’IMU è l’Imposta Municipale Unica, il suo importo viene calcolato avendo come riferimento la rendita catastale rivalutata al 5%. Alla rendita rivalutata viene applicato il coefficiente previsto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in base alla categoria catastale. Per gli immobili D/2 il coefficiente è 65. Viene così determinata la base imponibile a cui applicare l’aliquota prevista dal Comune ( nel limite del range previsto dalla normativa).

Chi può avvalersi del credito di imposta IMU 2022?

Il nuovo bonus IMU 2022, introdotto con il decreto Ucraina, decreto legge 21 del 21 marzo 2022, articolo 22, prevede il beneficio in favore di imprese che operano nel settore turistico. Vi rientrano agriturismi, imprese che svolgono attività ricettive all’aperto, attività impegnate in ambito fieristico e congressuale, centri termali, parchi tematici, acquatici e faunistici.

Il beneficio può essere richiesto per immobili appartenenti alla categoria D/2, inoltre il proprietario dell’immobile deve coincidere con il gestore dell’attività.

Requisiti per accedere al credito di imposta IMU 2022

I requisiti per poter accedere al credito di imposta IMU 2022 non finiscono qui. La normativa richiede anche che il titolare dell’attività dimostri una reale perdita economica dovuta alla crisi pandemica. Si prevede che nel secondo trimestre 2021 risulti una riduzione del 50% del fatturato rispetto allo stesso periodo del 2019, cioè prima che iniziasse la crisi pandemica.

Il bonus prevede il riconoscimento di un credito di imposta pari al 50% della seconda rata pagata di IMU 2021. Ad esempio se alla scadenza del 16 dicembre 2022 l’impresa ha pagato un imposto di 500 euro, potrà avvalersi di una somma pari a 250 euro.

Il credito di imposta può essere usato in compensazione con il modello F24, ma solo nel caso in cui gli importi relativi all’imposta municipale unica 2022 siano stati correttamente versati. Il Modello F24 è generalmente utilizzato per pagare le imposte, quindi questo credito può essere facilmente scontato. Il bonus IMU maturato non è cedibile a terzi.

Ricordiamo che le scadenze IMU sono prima rata entro il 16 giugno e seconda rata entro il 16 dicembre. L’importo scontato non potrà comunque superare i 700.000 euro. Il fondo che finanzia il credito di imposta IMU 2022 è di 15,6 milioni di euro. Trattandosi di un aiuto di Stato è necessario anche produrre auto-dichiarazione di non aver superato i limiti previsti per i sostegni alle imprese.

Bonus pos 2022, come recuperare i costi sulle commissioni

Il bonus pos 2022 serve a sostenere gli imprenditori e i professionisti che sostengono i costi dell’utilizzo del dispositivo, ecco come funziona.

Bonus pos 2022, di cosa si tratta?

Il bonus pos 2022 spetta a tutti coloro, negozianti, imprenditori e professionisti che si dotano del dispositivo all’interno delle loro attività. Tuttavia dal primo luglio 2022 sarà obbligatorio dotarsene. E quindi è una corsa a mettersi anche in regola. Dalla parte del cliente è sicuramente un modo veloce e semplice per poter pagare i proprio acquisti e le prestazioni di servizio.

Comunque sia si tratta di un bonus in forma di credito d’imposta disponibile da calcolare sulle commissioni dei pagamenti singoli, ma anche su eventuali abbonamenti mensile che si paga per l’utilizzo del pos. In altre parole il costo viene detratto dalle tasse. Il credito d’imposta sulle commissioni per le transazioni effettuate tramite sistemi di pagamento elettronico è una agevozione. Possono usufruirne gli imprenditori o i professionisti che non risultino aver conseguito nell’anno precedente ricavi o compensi maggiori di 400 mila euro. 

Bonus Pos 2022, a quanto ammonta il credito d’imposta?

Fino al 30 giugno 2022 il credito d’imposta è pari al 100% delle spese. Ma superata tale data il credito d’imposta sarà pari al 30% delle commissioni addebitate per le transazioni effettuate con privati consumatori mediante strumenti di pagamento tracciabili.

Con provvedimento del 29 aprile 2020 sono state definite le modalità per la comunicazione dei dati delle commissioni applicate, registrate a decorrere dal 1° luglio 2020, su cui calcolare il credito d’imposta spettante all’esercente. Infatti l’agenzia mette a disposizione più file che permettono di indicare ed inviare tutti i dati necessari.

Come devono essere comunicati i dati all’Agenzia delle entrate?

Per l’nvio della comunicazione è obbligatorio l’utilizzo del Sistema di Interscambio flussi Dati (SID) dell’Agenzia delle entrate, previo accreditamento allo stesso servizio. Ma le informazioni relative al SID sono disponibili sul sito dell’Agenzia delle entrate al seguente link:  https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/it/web/guest/servizi/servizitrasversali/altri/sid2.

Tutti coloro che vogliono accedere al credito devono comunicare all’Agenzia delle entrare, entro il 20 del mese successivo a quello di riferimento. I dati da comunicare devono essere:

  • costi pagati all’azienda fornitrice del servizio Pos;
  • il numero delle operazioni di pagamento incassate.

In altre parole è un obbligo mensile inviare questa comunicazione all’agenzia. Inoltre la comunicazione deve essere fatta attraverso l’apposito software messo a disposizione dall’Agenzia delle Entrate e può essere anche fatta dal commercialista.

Tutti gli altri bonus previsti

Il bonus fino a qui indicato non è l’unico ad essere a disposizione. Infatti in realtà ne esistono altri due, che riguardano ad esempio i canoni d’affitto o l’acquisto di questi dispositivi. Ad esempio un bonus arriva fino a 320 euro e può coprire fino al 100% delle spese sostenute per l’acquisto ed il noleggio dei dispositivi. Questo risarcimento è suddiviso in varie categorie:

  •  100% della spesa per i soggetti che hanno ricavi inferiori ai 200 mila euro;
  • 70% per coloro che hanno ricavi compresi tra 200 mila euro e 1 milione di euro;
  • 40% per ricavi superiori a 5 milioni di euro.

Mentre un altro bonus prevede un massimo di 160 euro se si acquistano strumenti di pagamento legati a registratori telematici. In questo caso rientrano nei costi anche le spese relative al registratore di cassa. La percentuale del rimborso è:

  • del 70% per i soggetti con ricavi e compensi relativi al periodo d’imposta precedente inferiori ai 200.000 euro;
  • del 40% quando i ricavi e compensi relativi al periodo d’imposta precedente sono tra i 200.000 euro e 1 milione;
  • e del 10% per quei soggetti che hanno avuto ricavi e compensi relativi al periodo d’imposta precedente tra 1 milione e i 5 milioni.

Infine si ricorda che, come tutti i crediti d’imposta, va utilizzato il modello F24 per la loro indicazione. Il codice da scrivere è il 6916, che corrisponde alle spese di commissioni del Post.

 

 

Crediti edilizi, imprese con crediti ma senza liquidità

I Crediti edilizi stanno mettendo a dura prova molte imprese operanti nel settore. Sono piene di crediti, ma senza liquidità, ecco perché.

Crediti edilizi, molte imprese rischiano il fallimento

I crediti edilizi, come il superbonus 110%, sono ben voluto dal Governo. E anche se in un primo momento fosse l’idea giusta per riavviare il comparto edile, adesso c’è molta perplessità. Tutti pronti a fare ristrutturazione con i soldi dello Stato, si diceva, ma oggi le cose sembrano un pochino diverse. E a pagarne di più lo scotto siano le imprese artigiane a causa della cessione dei crediti legati a questo tipo  di bonus.

Rallentamenti e burocrazia che stanno portando circa 33 mila imprese artigiane a rischio di fallimento o al blocco dei cantieri. Accanto a questo c’è il problema dei 150 mila posti di lavoro del settore che rischiano di essere persi. Aggiungendo così disoccupazione su disoccupazione, altro grande problema dei giorni nostri. E dietro ai lavoratori anche le famiglie da mantenere sono un risultato negativo da non sottovalutare.

Crediti edilizi, le cause delle difficoltà

Secondo la Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa (Cna) i crediti fiscali delle imprese che hanno riconosciuto lo sconto in fattura e non monetizzati attraverso la cessione dei crediti ammontano a quali 2.6 miliardi di euro. Questa strozzatura nel trasformare il credito in liquidità sta mettendo a dura prova migliaia di imprese operanti nel settore edile.

Il 48,6% del campione intervistato dalla Confederazione parla di rischio fallimento mentre il 68,4% prospetta il blocco dei cantieri attivati. L’effetto negativo è a cascata. Per non essere schiacciate dalla mancata cessione dei crediti, quasi un’impresa su due sta pagando in ritardo i fornitori, il 30,6% rinvia tasse e imposte e una su cinque non riesce a pagare i collaboratori.

Inoltre il 47% delle imprese dichiara di non trovare soggetti disposti ad acquisire i crediti. Mentre il 34.4% sostiene che i tempi di accettazione dei documenti contrattuali sono troppo lunghi, rispetto alla velocità con cui vengono eseguiti i lavori. Per risolvere il problema molti sono rivolti alle banche, più del 60%, altri a Poste italiane (22%) e per la parte restante società che si occupano della intermediazione finanziaria.

Cosa fare per superare questo grave problema

A questo punto è doveroso ricordare che attraverso lo sconto in fatture l’impresa ha anticipato per conto dello Stato un beneficio al cliente. L’anticipo deve essere poi essere recuperato, attraverso la cessione dei crediti, così come previsto dalla legge. Ma se questo non avviene, anche a causa dei continui stop & go, le imprese si trovano i cassetti fiscali pieni di crediti, ma le casse vuote.

Occorre quindi trovare delle soluzioni per svuotare questi cassetti e fare in modo, così, che le imprese abbiano la capacità finanziaria reale per portare al termine i cantieri. Inoltre i bonus per l’edilizia hanno offerto un contributo molto rilevante al rimbalzo del Pil l’anno scorso e oltre il 90%. Ma se non si avviano nuovi cantieri e non si completano quelli già in essere, ci potrebbero essere gravi ripercussioni su tutta la filiera. E non solo, perché se non si trovano soluzioni e al più presto, l’Italia non potrà rispettare gli accordi presi con l’Unione Europea in merito all’efficienza energetica.

 

 

Deducibilità dei contributi previdenziali anche per i familiari a carico e fondo pensione: come procedere?

Come procedere con la deducibilità dei contributi previdenziali versati per se stessi o a favore di familiari a carico nel modello 730 della dichiarazione dei redditi? Ci si riferisce sia ai contributi obbligatori che a quelli volontari. Tra questi ultimi sono inclusi anche i contributi di adesione ai fondi pensione che si possono dedurre dal reddito totale ai fini dell’Irpef. Leggiamo dunque quali sono le regole da seguire in sede di dichiarazione dei redditi, quali sono i limiti della deducibilità dei contributi e le condizioni affinché possano essere dedotti da quanto versato a favore dei familiari a carico.

Contributi previdenziali per i familiari a carico: come riportarli nel modello 730 per la dichiarazione dei redditi?

Per la deducibilità dei contributi previdenziali versati per se stessi o a favore dei familiari a carico si utilizza la Sezione II del quota E del modello 730, ai fini della dichiarazione dei redditi. In questa sezione, infatti, si possono iscrivere le spese e gli oneri ai quali si è fatto fronte durante l’anno di imposta. La condizione essenziale per la detraibilità è quella che prevede che i contributi non siano già stati inseriti dal datore di lavoro per determinare il reddito da lavoro dipendente o il reddito assimilato.

Quando è il datore di lavoro a procedere con la deducibilità dei contributi previdenziali?

In quest’ultimo caso, è il datore di lavoro a procedere con la deducibilità dei contributi previdenziali dal reddito imponibile. Le informazioni sulla deducibilità si possono leggere sulla Certificazione unica. Spetta, dunque, al contribuente procedere con una verifica della correttezza degli importi portati a deduzione rispetto agli ammontari riportati nel modello 730.

Contributi della previdenza obbligatoria e deducibilità nella dichiarazione dei redditi

Se si tratta di contributi della previdenza obbligatoria, si procede con la sottrazione dal reddito complessivo dell’importo dei contributi previdenziali obbligatori oppure volontari, versati alle varie gestioni previdenziali. La sottrazione può essere fatta fino alla concorrenza del reddito totale e anche a favore dei familiari a carico.

Familiari a carico, qual è il limite del reddito per procedere con la deduzione dei contributi?

Peraltro, sono considerati a carico (e dunque si può procedere alla deduzione dei contributi previdenziali versati a loro favore) i familiari che abbiano:

  • un reddito che non eccede i 2.840,51 euro;
  • i figli entro l’età di 24 anni che non abbiano un reddito eccedente i 4 mila euro.

Come si procede con la deduzione nel modello 730 di dichiarazione dei redditi dei contributi obbligatori versati per i familiari a carico?

Per procedere con la deduzione dei contributi obbligatori versati a favore dei familiari a carico si deve far riferimento alla Sezione II del modello 730, nel quadro E e al rigo 21. Anche in questo caso, è necessario che i contributi, volontari od obbligatori, non siano stati già dedotti dal datore di lavoro. In tale situazione, la verifica deve essere fatta confrontando quanto riportato nel modello 730 con il punto 431 della Certificazione unica. La verifica, pertanto, deve mirare a confrontare gli importi relativi a questa tipologia di oneri e ai corrispondenti importi.

Contributi volontari versati alla gestione previdenziale: quali sono e come procedere con la deducibilità?

Accanto ai contributi obbligatori versati alla gestione previdenziale, si possono dedurre anche quelli volontari. Si tratta, in particolare, dei contributi versati in via facoltativa alla gestione alla quale si appartiene e in ottica di ricongiunzione di periodi contributivi. Ma si applicano le stesse regole anche per i versamenti occorrenti per il riscatto della laurea, sia ai fini delle future pensioni che per la buonuscita. E, inoltre, nel caso di contributi versati per scelta volontaria. Rientrano tra i versamenti facoltativi anche i contributi versati dal coniuge superstite e intestati al coniuge defunto. In questo caso, si provvede a proseguire nella contribuzione a favore di eredi che possano beneficiare di trattamenti di pensione.

Quali sono i contributi previdenziali che non possono essere dedotti dalla dichiarazione dei redditi?

Non possono essere dedotti dalla dichiarazione dei redditi i seguenti contributi previdenziali:

  • importi versati all’Inps per richiedere l’abolizione del divieto di cumulo tra redditi da lavoro e pensioni di anzianità (ad esempio, quota 100 o quota 102);
  • somme versate all’Inps per regolarizzare periodi contributivi pregressi;
  • importi versati all’Inps per le sanzioni e i relativi interessi moratori dovuti per aver violato il versamento dei contributi.

Come dedurre i contributi versati al fondo pensione nella dichiarazione dei redditi?

Analogamente ai contributi obbligatori e facoltativi ai fini previdenziali, dalla dichiarazione dei redditi si possono dedurre anche i contributi versati al fondo pensione in vista della previdenza complementare. Relativamente a questa tipologia di contributi, e a differenza dei contributi obbligatori e facoltativi, il contribuente può non compilare il quadro E del modello 730 nel caso in cui non abbia contribuzione da far valere ai fini della dichiarazione dei redditi. Questa situazione si può verificare nel caso in cui mancano ulteriori contributi o premi non dedotti inerenti la previdenza complementare. In questo caso, nella Certificazione unica, al punto 413, non è riportato alcun importo.

Previdenza complementare, qual è il limite di deduzione dei contributi?

Invece, nel caso in cui il contribuente abbia pagato dei contributi alla previdenza complementare senza l’intermediazione del sostituto di imposta, risulta necessario compilare i campi del modello 730 relativi al quadro E. Il limite della deducibilità dei contributi versati al fondo pensione è di 5.174,57 euro. Nel caso in cui i contributi sono versati al fondo pensione per il tramite del sostituto di imposta, i relativi importi si ritrovano nel quadro E al rigo E 27. Il confronto si può fare con gli importi inseriti nella Certificazione unica, ai punti 412 e 413. In questo caso, i due campi si popolano se è stato riportato il codice “1” al punto 411. Infine, nel caso in cui i contributi sono stati pagati al fondo pensione senza ricorrere al sostituto di imposta, è il contribuente stesso a dover indicare l’importo dei versamenti e la relativa deducibilità.

Credito di imposta Società Benefit: c’è tempo fino al 15 giugno per la domanda

Con il decreto legge 34 del 2020 è stato previsto un importante incentivo in favore delle società benefit, si tratta di un credito di imposta fino al 50% delle spese sostenute, ecco chi può riceverlo, come proporre la domanda, le spese agevolabili e i termini per la presentazione delle domande.

Cosa sono le società benefit?

Le società benefit sono una particolare forma societaria che affianca allo scopo principale ( fine di lucro) un ulteriore scopo che può essere definito altruistico o solidale.

Per saperne di più su tale tipologia di società è possibile leggere l’approfondimento: Società benefit: cosa sono, come funzionano e quali benefici portano.

Proprio in virtù di tale fine altruistico e solidaristico e allo scopo di incentivare ulteriormente la costituzione di tale tipo di società, sono previste delle agevolazioni per le imprese che operano utilizzando tale schema. Tra questi vi è anche il credito di imposta per le società benefit. Lo stesso viene riconosciuto alle PMI a fronte dei costi sostenuti per la costituzione della SB o per la trasformazione di una preesistente società in Società Benefit. Sono comprese nell’agevolazione le spese sostenute a decorrere dal 19 luglio 2020 fino al 31 dicembre 2021.

Chi può richiedere il credito di imposta per società benefit?

Affinché si possa accedere al beneficio è necessario svolgere attività economica in Italia avvalendosi sul territorio di una sede principale o secondaria. Inoltre è necessario essere nel libero e pieno esercizio dei propri diritti quindi non essere sottoposti a procedure concorsuali o in liquidazione volontaria.

La disciplina per l’ottenimento del credito di imposta per le società benefit è contenuta nel decreto interministeriale 12 novembre 2021. Prevede che il credito di imposta possa essere ottenuto per un ammontare massimo di 10.000 euro. Il fondo stanziato è di 7 milioni di euro.

Quali spese possono essere dichiarate per ottenere il credito di imposta?

Non tutte le spese sostenute possono essere dichiarate al fine di ottenere il credito di i mposta per le società benefit, le spese ammissibili sono:

spese per la costituzione e trasformazione della SB. Rientrano tra queste le spese notarili, le spese di iscrizione nel Registro delle Imprese, spese di consulenza e assistenza professionale. Non sono ammesse all’agevolazione le spese relative a tasse, con l’eccezione dell’Iva, che può essere agevolata nel caso in cui non sia recuperabile dal beneficiario.

Il credito di imposta per le Società Benefit rientra tra gli aiuti de minimis, di conseguenza è necessario che sia rispettato il limite previsto per tale tipologia di aiuto.

Per conoscere i limiti, c’è la guida: Aiuti de minimis: cosa sono, limiti, ammontare e come ottenerli

Come presentare la domanda per ottenere il credito di imposta società benefit?

La domanda per accedere al credito di imposta per le società benefit può essere presentata a decorrere dal 19 maggio 2022 ore 12:00 al giorno 15 giugno 2022 ore 12:00 attraverso la procedura telematica. La piattaforma per la richiesta è gestita da Invitalia https://agevolazionidgiai.invitalia.it/

La domanda può essere presentata dal legale rappresentante risultante dal certificato camerale della società benefit. Naturalmente al momento della presentazione della domanda devono essere indicate le spese sostenute.

Terminata la fase della presentazione delle domande, inizia la fase del controllo delle stesse. Le domande che presentano i requisiti sono ammesse al beneficio fiscale, nel caso in cui i fondi dovessero essere insufficienti, gli stessi saranno ripartiti proporzionalmente tra gli aventi diritto.

Trattandosi di un credito di imposta, il richiedente non otterrà il versamento delle somme riconosciute, ma di un credito di imposta utilizzabile in compensazione attraverso il modello F24. Tra i vantaggi del credito di imposta per le società benefit vi è il riconoscimento in favore di tutti gli operatori economici, indipendentemente dal settore in cui operano, inoltre viene riconosciuto su tutto il territorio italiano.

Scontrino parlante della farmacia per la detrazione delle spese: che cos’è?

Che cos’è lo scontrino parlante della farmacia utile per la detrazione delle spese sanitarie nella dichiarazione dei redditi? Chi fa acquisti in farmacia deve accertarsi di documentare le spese mediante la fattura oppure un documento cosiddetto “parlante”. Nel documento devono essere riportati:

In mancanza del codice fiscale dell’acquirente, la spesa non può essere oggetto di detrazione fiscale. Non si può procedere, a posteriori, a colmare questa mancata informazione.

Codice fiscale sullo scontrino della farmacia, quando può essere riportato dopo l’acquisto?

Vi è un unico caso nel quale il codice fiscale di chi provvede a comprare beni in farmacia può essere inserito successivamente all’acquisto. Si tratta del caso in cui si facciano acquisti in una farmacia estera. In questa situazione, il contribuente può riportare a mano, sul documento attestante la spesa, il proprio codice fiscale. Il contribuente può, inoltre, farsi rilasciare dal farmacista l’ulteriore documentazione attestante la spesa sanitaria effettuata ai fini della detrazione fiscale. In questo modo, il contribuente può integrare la documentazione di vendita delle informazioni richieste per l’operazione fiscale.

Quali sono le spese sanitarie che si possono effettuare in farmacia ai fini della detrazione fiscale?

Gli acquisti in farmacia ammissibili alla detrazione fiscale nella dichiarazione dei redditi riguardano:

  • i farmaci, inclusi quelli omeopatici;
  • le prestazioni galeniche. Si tratta di preparati in farmacia per i quali nel documento di vendita o nello scontrino parlante deve essere riportata la quantità;
  • i dispositivi medici, quali cerotti, siringhe, test autodiagnostici, provette, gel lubrificanti e saturimetri. Nella fattura o scontrino parlante devono essere indicati la quantità dei prodotti acquistati, la dicitura “CE” e il regolamento europeo (2017/746/Eu o 2017/745/Ue)oppure la direttiva europea (90/385/CEE, 93/42/Cee oppure 98/79/Ce);
  • l’eventuale ticket a vantaggio del compratore nel caso in cui la Regione partecipi alla spesa sanitaria. In questo caso si può non conservare la ricetta del dottore.

Servizi sanitari offerti dalle farmacie: quali sono ai fini della detrazione fiscale?

Nella dichiarazione dei redditi si possono detrarre le spese sostenute nell’anno di imposta per i servizi sanitari. Si tratta di dispositivi medici (apparecchiature per l’aerosol o per misurare la pressione, i tiralatte) e di prestazioni sanitarie fornite da professionisti abilitati negli ambienti della farmacia. Oppure può trattarsi di test autodiagnostici. Per queste tipologie di spesa, attendendo ulteriori delucidazioni sulla detraibilità fiscale, è consigliato procedere con il pagamento mediante mezzi tracciabili.

Si possono detrarre le spese effettuate nelle farmacie on line?

Ai fini della detrazione fiscale, gli acquisti di beni e di prestazioni sanitarie devono essere effettuati nelle farmacie autorizzate. Per i farmaci senza ricetta vanno bene anche le parafarmacie. Sugli acquisti on line, la normativa ammette alla detrazione gli acquisti effettuati solo da portali italiani autorizzati dal ministero della Salute. L’elenco delle farmacie on line autorizzate è verificabile sul sito del ministero della Salute seguendo il percorso: “Logo Commercio Elettronico” e “Cerca sito Ecomm”.

Detrazione fiscale dei dispositivi medici, l’acquisto può essere fatto anche in esercizi diversi dalle farmacie

È importante sottolineare che chi compra dispositivi medici può detrarre la relativa spesa anche se l’acquisto è stato effettuato in esercizi differenti rispetto alle farmacie. La stessa possibilità è offerta pure per gli acquisti effettuati on line. Se il dispositivo medico viene realizzato su misura, non c’è bisogno della dicitura “Ce” presente nello scontrino parlante. Tuttavia, il contribuente è tenuto a conservare i documenti di conformità alla normativa europea come prevede il decreto legislativo numero 46 del 1997.

Quali sono le diciture presenti sullo scontrino parlante per i farmaci acquistati in farmacia?

L’acquisto di farmaci, con relativo rilascio da parte del farmacista dello scontrino parlante, deve riportare nel documento di vendita determinate diciture:

  • il classico numero di Aic. Si tratta di un codice identificativo dei medicinali ad uso umano riportante un numero attribuito dall’Agenzia Italiana del Farmaco all’atto dell’autorizzazione dell’immissione in commercio in Italia;
  • la dicitura di “farmaco”. Può essere riportata anche un’abbreviazione che può essere Med; Fco; Classe A; Classe C; Sop; Fascia A; Otc; Fascia C; generico; etico; equivalente.

La guida al Superbonus e le differenze tra banche e operatori finanziari

La più grande novità di questi ultimi anni è senza dubbio il Superbonus al 110%. Un bonus molto appetibile che ha trovato subito l’interesse di cittadini e contribuenti nelle opere di ristrutturazione. Il Superbonus tra i suoi obbiettivi aveva senza dubbio quello di rilanciare il settore dell’edilizia e dei lavori simili. Obiettivo raggiunto come è evidente visti i numeri delle richieste. L’appetibilità del Superbonus 110%, che come si nota offre un ristoro del 10% superiore alla spesa sostenuta, non riguarda soltanto i cittadini contribuenti. Infatti si tratta di un bonus che è diventato il principale obiettivo anche di banche e intermediari del credito.

Le differenze tra banche sul superbonus 110%

Come ogni cosa anche per il Superbonus al 110%, banche e intermediari, sono scesi in concorrenza tra loro. Inevitabilmente, tutte le condizioni e tutti i pacchetti di banche intermediari, sono stati diversi soprattutto per quanto riguarda lo sconto in fattura e la cessione del credito. In altri termini è partita un’autentica lotta ad accaparrarsi clienti. Superbonus, Ecobonus, bonus ristrutturazioni e Sismabonus sono diventati strumenti di concorrenza tra numerose banche, anche quelle più note banche e tra tutti gli istituti di credito

Perché le banche si fanno la guerra sul superbonus 110%

L’appetibilità del Superbonus quindi, riguarda tutti i soggetti interessati. L’utente che sistema casa senza spendere soldi propri o al massimo soltanto anticipandoli. L’Impresa che grazie alla misura per quei lavori, come dimostrano le statistiche, hanno aumentato di molto le commesse. Ed istituti di credito e banche che come vedremo traggono un netto vantaggio da questa misura. In effetti quando un utente accede alla banca cedendo il credito relativo al Superbonus, è la banca a pagare il 100% dei lavori al posto dell’utente. La struttura dello strumento però consente tra i 4 e i 5 anni a questo istituto di credito di recuperare tutto guadagnandoci anche sopra. Infatti il 10% differenza tra la spesa dei lavori è il bonus erogato è l’utile per l’istituto. È evidente che con la cessione del credito, il 10% che avrebbe dovuto sfruttare l’utente lo sfrutta la banca.

Cosa sta accadendo adesso è perché le offerte sono diverse

Detto così appare evidente che tutto dovrebbe essere identico tra banche. Infatti se è vero che la banca paga il 100% dei lavori al posto dell’utente che cede il credito, è altrettanto vero che il 10% dovrebbe essere l’utile di qualsiasi banca venga interessata dal cliente. Così non è vero, perché la situazione economica piuttosto drastica di questo particolare momento che la pandemia è la guerra in Ucraina hanno accentuato, ha rimescolato le carte in tavola. L’elevato numero di richieste di cessione del credito a tutte le banche, ha portato le stesse ad aumentare la percentuale di utile che si accaparrano dall’operazione. In genere nella cessione del credito le banche anticipano i soldi a nome e per conto del cliente. Si può operare o a fine lavori o in due stati di avanzamento.

Alcuni chiarimenti sul Superbonus al 100%

In base alla normativa del Superbonus, le banche possono liquidare la ditta appaltatrice dei lavori solo dopo aver completato una parte non minore del 30% dei lavori. Nel caso di due pagamenti il secondo non può sopraggiungere se non sono stati completati almeno il 60% dei lavori. Anche questo è un fattore determinante perché in base all’offerta della banca scatta anche la convenienza per l’utente. Infatti se è vero che la banca può decidere quando e come anticipare i soldi è altrettanto vero che ci sono banche che non erogano tutta la somma anticipatamente. In questo caso l’utente dovrebbe anticipare i soldi di tasca propria salvo poi recuperarli con la banca nel momento in cui la stessa effettua il secondo bonifico. Già questo è un fattore determinante nella scelta di quale stile utilizzare per la gestione del credito da parte dell’utente.

Quanto guadagna un assistente sociale

Andiamo a vedere, in questa rapida ma scrupolosa guida, come funziona fare l’ assistente sociale e quanto può guadagnare nel 2022.

Assistente sociale: di che lavoro si tratta

Lo svolgere il lavoro di assistente sociale non è semplice, trattandosi di un impiego a sostegno della collettività che si occupa dei più bisognosi.

Attualmente, però nel mondo del lavoro, sta diventando una figura professionale piuttosto ricercata. Ma, sostanzialmente, cosa fa e quanto guadagna un assistente sociale?

Di norma, possiamo dire che le sue mansioni sono finalizzate a prevenire e risolvere situazioni di disagio sociale.

Tra i suoi compiti ha quello di seguire le pratiche per l’adozione, l’affido e il pre-affido, sostenere le famiglie che si trovano in stato di difficoltà, ed occuparsi di soggetti con problematiche di salute mentale e di tossicodipendenza, od anche di minori a rischio, oltre che occuparsi dell’inserimento degli immigrati.

Come diventare assistenti sociali

Ma fare l’assistente sociale è un lavoro che può svolgere chiunque o occorrono requisiti specifici?

Occorre sapere che per poter diventare assistente sociale è obbligatorio essere in possesso di una laurea triennale appartenente alla classe L 39 Servizio sociale. Nel percorso di laurea, sono previsti dei periodi di tirocinio per iniziare a fare confidenza con la professione e acquisire esperienza sul campo.

Una volta finiti gli studi universitari, è previsto un esame di abilitazione professionale, il quale consente l’iscrizione all’albo professionale.

Dunque, per poter essere assistente sociale specialista occorre conseguire una laurea magistrale in Servizio sociale e politiche sociali. Pure in questo caso, occorre in seguito superare l’esame di abilitazione prima di potersi iscrivere all’albo professionale.

Quanto guadagna un assistente sociale

Veniamo, dunque al nocciolo della questione, ovvero il guadagno per questa professione.

Possiamo dire che per rispondere a questa domanda è importante il tipo di posizione che si ricopre ed anche i livelli raggiunti.

Ad ogni modo, si tratta di un lavoro non sempre semplice, che richiede una forte dose di motivazione e di consapevolezza. A volte, infatti, dall’attività dell’assistente sociale può dipendere il destino di intere famiglie e bisogna essere pronti ad affrontare anche le situazioni più delicate.

Tuttavia, per tracciare un quadro sul guadagno diciamo che si va da un minimo di 850 euro netti mensili fino ad arrivare ad un massimo di circa 2.000 euro.

In Italia, lo stipendio medio di un assistente sociale è di circa 1.350 euro netti al mese, ovvero circa 24.300 euro lordi all’anno. Quello che può fare la differenza è, come detto l’esperienza raggiunta, tanto è che un assistente sociale che non abbia almeno tre anni di esperienza lavorativa alle spalle arriva a guadagnare circa 900 euro al mese, mentre nella fascia intermedia della carriera, cioè con un’esperienza compresa tra i quattro e i nove anni, percepisce uno stipendio intorno ai 1.200 euro netti al mese.

Cos’altro c’è da sapere

Ad ogni modo, vanno considerate alcune variabili

Infatti, nello stipendio di un assistente sociale incidono oltre all’esperienza lavorativa le seguenti cose:

  • la tipologia di lavoro svolto. A tal proposito, possiamo dividere tre tipologie differenti – la prima, relativa al servizio sociale organizzativo; la seconda, inerente alle relazioni pubbliche sociali; la terza, inerente all’intervento psicosociale;
  • le fasce di età dei soggetti con i quali lavora (minori, anziani o persone di qualsiasi età);
  • l’ambito di riferimento: vale a dire, per porre un esempio, quello delle adozioni piuttosto che delle dipendenze o della tutela dei minori.

Questo, dunque è quanto di più utile e necessario vi fosse da sapere in merito alle modalità, alle funzioni per svolgere il ruolo di assistente sociale ed ai possibili guadagni del mestiere.

Crisi del settore e carenza semiconduttori: Stellantis a Melfi chiude di nuovo

Continuano gli alti e bassi di produzione per lo stabilimento Stellantis di località San Nicola Melfi. Continuano quindi i periodi di chiusura con relativa cassa integrazione dei lavoratori dello stabilimento ex FCA in Provincia di Potenza. È da quando si è insediata Stellantis, cioè da quando a seguito di fusione tra gli italiani di FCA e i francesi di PSA è nato il quarto produttore mondiale di auto, che a Melfi come negli altri stabilimenti del gruppo, continuano i periodi di chiusura. E notizia dell’ultima ora è che la settimana prossima a Melfi si tornerà a chiudere. Nuova chiusura e sempre per le stesse motivazioni. Infatti ecco di nuovo la carenza dei semiconduttori, a cui però stavolta si aggiungono le mancanze di altre componenti.

Nuove chiusure nello stabilimento Stellantis di Melfi

Stellantis ferma lo stabilimento di Melfi la settimana che va dal 6 giugno prossimo al 12 giugno. La carenza dei soliti microchip di provenienza asiatica, è alla base di questa nuova fermata. Ma la notizia, resa pubblica e confermata dai rappresentanti sindacali dei lavoratori, mette in evidenza che sono anche le altre componenti delle auto a mancare. Un problema in più quindi per il proseguo dell’attività in fabbrica. Si blocca di nuovo quindi la fabbrica dove Stellantis costruisce circa la metà di tutte le auto che ogni anno produce in Italia. Infatti ancora oggi nello stabilimento Lucano di Melfi, l’azienda produce le Fiat 500X e le due Jeep la Renegade e la Compass. E lo stabilimento sarà presto interessato dalla produzione di 4 nuovi veicoli elettrici al posto di quelli prima citati.

Ecco cosa sta per accadere a Melfi per lo stabilimento ex FCA

La chiusura è stata ufficializzata come avevamo detto, dai sindacati. È la UILM, cioè la branca dei metalmeccanici della UIL, per voce di Marco Lomio ha confermato che sono proprio le carenze di componentistica a minare la prosecuzione delle attività. Dopo il mese di maggio dove tutto era filato via liscio come l’olio, con attività costante e senza interruzioni, ecco che si torna a chiudere. Nuove giornate di stop quindi confermate e Stellantis chiuderà le operazioni per 5 giorni. Interessati 7000 e più operai che prestano servizio a Melfi. Lo stop si collega ad un periodo di ferie con tanto di ponte introdotto dal 2 giugno a seguito della ricorrente festa della Repubblica. Si presentano quindi gli stessi problemi per lo stabilimento lucano in Stellantis. E si torna a parlare di soldi di dubbi che accompagnano la permanenza a livello occupazionale e laboratori nella struttura.

Come risparmiare soldi ogni giorno

Siamo in un periodo in cui la crisi economica causata dalla Pandemia inizia a scontrarsi con quella causata dalla guerra in Ucraina. In questa rapida guida vedremo alcuni pratici consigli su come risparmiare soldi ogni giorno per superare il periodo critico.

Risparmiare soldi ogni giorno: consigli utili

Dunque, è bene sapere che un piano per risparmiare soldi è necessario, ma non è l’unica cosa importante per veder migliorare la propria economia domestica.

Il primo step da fare per iniziare a risparmiare di più è monitorare nel dettaglio le spese.

Pertanto, sarebbe molto utile dedicare almeno 2 o 3 mesi ad annotare assolutamente tutte le spese in un foglio di calcolo excel sul computer.

Pianificazione e priorità dei risparmi

Per molte persone, andare a cena una volta alla settimana è necessario, per altri può essere sciocco, così come andare in una palestra costosa piuttosto che in una piccola palestra sotto casa.

Se tutte le spese sono considerate una priorità, sarà impossibile risparmiare, quindi occorre stabilire quali spese si è disposti a tagliare se necessario.

Anche acquistare spesso cibo da asporto (ed in pandemia questa attività è aumentata notevolmente) può contribuire agli aumenti delle spese, anziché cucinare qualcosa in casa.

Questo tipo di controllo applicato a diverse tipologie di spese può fare la differenza e far risparmiare centinaia di euro.

Per acquistare, invece, televisori, computer o anche per andare in vacanza, un tempo lo si pianificava risparmiando finché non si avevano i soldi per farlo, cosa che oggi non sempre avviene.

Prima, le persone che non avevano soldi per andare in vacanza semplicemente non ci andavano, risparmiando quella spesa, forse recuperando l’anno successivo il mancato periodo vacanziero.

Al giorno d’oggi, invece chi non può andare in vacanza non ha problemi a richiedere un prestito, fatto che non solo implica spendere soldi che non ha, ma comporta anche oneri per interessi giganteschi.

Un prestito bancario come può gravare?

Vediamo, in questo paragrafo come può gravare quello che alla prima occhiata risulta un vero e proprio aiuto: il prestito bancario.

Ad esempio, per poter acquistare un’auto che costa 10.000 euro e ci si rivolge a una banca per richiedere un prestito, ottenendo le seguenti condizioni, che rappresentano una media di mercato.

  • Prestito richiesto € 10.000
  • Periodo di restituzione 60 mesi
  • Canone mensile € 200
  • Assicurazione obbligatoria sul pagamento e spese di apertura
  • TAEG: 7,02% – TAN: 5,95% (fisso nel tempo)
  • Importo totale da pagare alla banca € 11.826

Da questo rapido calcolo si evince che, acquistare un’auto da 10.000 euro con un prestito a condizioni non particolarmente negative rispetto a quanto si trova sul mercato costa 11.826 euro, il 18% in più.

In questo caso, la cosa più logica e prudente, potrebbe essere quella di trascorrere un periodo di 50 mesi risparmiando 200 euro prima di acquistare l’auto, invece di passare 60 mesi a ripagarla a causa degli interessi sul prestito.

Creare un budget familiare

Un altro modo per risparmiare denaro è quello di stabilire un budget mensile da poter spendere.

Se il proprio stipendio è di 1.000 euro ad esempio, e l’affitto di casa è di 500 euro, sarà necessario stabilire un tetto massimo di spesa da rispettare a fine mese.

Quindi, tra bollette e spese utili alla casa, occorrerà stabilire che, ad esempio 900 euro sarà il massimo di spese effettuabili. Quindi, ridurre al minimo – o azzerare – le spese per cose extra, per sfizi o comodità non richieste.

Nel corso dei mesi, quella 100 euro tenuta da parte potrà costituire un piccolo tesoretto.

Come ottimizzare e risparmiare sul caffè

Anche il caffè rappresenta una spesa quotidiana, ancor più per chi ne è dipendente.

Poniamo ad esempio che un caffè al bar ci costi 1 €. Bevendo 2 caffè al giorno, spendiamo 2 € al giorno,  addirittura 730 € all’anno.

Prendere un caffè al bar significa spendere quasi un mese di stipendio ogni anno per il caffè.

Poniamo invece ad esempio, di bere il caffè in casa, con le nostre comode capsule del caffè.

Ogni capsula costa circa 0,40 €. In alcuni casi – di marche non proprio illustri – anche meno. Spenderemo circa 0,80 € al giorno, quindi 24€ al mese, 288€ all’anno.

Il conto scende molto rispetto al primo caso di caffè al bar, ma 288 euro all’anno per il caffè sono ancora tanti e anche in questo caso si potrebbe ottimizzare, con la canonica caffettiera, usando il caffè nelle confezioni.

Questi, dunque erano alcuni consigli utili per poter risparmiare soldi ogni giorno e non finire in brutte acque economiche, in tempi di crisi.