Permessi studio: chi può richiederli e come funzionano

Anche studiare e lavorare può essere un accostamento pratico per costruirsi il futuro, ma non sempre l’uno riesce a coesistere con l’altro. Talvolta, è necessario gestire bene i tempi e quindi ottenere dei permessi studio. Ma come funzionano e chi può usufruirne? Scopriamolo nella nostra guida.

Permessi studio: di cosa si tratta

permessi studio non sono altro che quello strumento che consente al lavoratore dipendente di potersi dedicare alla propria formazione senza crearsi problemi per lo stipendio. Entro un certo limite di ore, infatti, i permessi studio consentono di assentarsi dal lavoro a chi ne ha bisogno per sostenere un esame, od anche soltanto per prendere parte a un corso di formazione, senza perdere la retribuzione per la giornata di lavoro: difatti, i permessi studio, rientrano nell’insieme dei cosiddetti permessi retribuiti.

Il permesso studio è anche noto anche come le 150 ore di diritto allo studio, ovviamente in riferimento alle ore limite di permesso da non superare nell’arco dei tre anni.

Tuttavia, in alcuni casi quel limite può essere superato.

Permessi studio, come funzionano

La capacità di stabilire quante ore sono concesse col permesso di studio sono i singoli contratti collettivi nazionali (CCNL). Infatti, ogni contratto ha delle specifiche clausole che regolano questo punto.

Ad ogni modo, la normativa decreta che l’ammontare di ore massimo per il diritto allo studio è di 150 ore annue individuali, concesse solo al 3% dei lavoratori a tempo indeterminato in servizio. Solo nel caso in cui il lavoratore debba conseguire un titolo in una scuola dell’obbligo allora il permesso di studio può salire fino a 250 ore annuali.

Quindi se un corso professionale dovesse avere durata di 300 ore ripartite su due anni solari, allora si può provvedere a concedere 300 ore di permesso e si potranno richiedere i permessi per i due anni del percorso.

Permessi studio: cos’altro c’è da sapere

Dunque, l’utilizzo dei permessi studio è solo per la frequenza dei corsi svolti in contemporanea con l’orario di lavoro.

Per poter richiedere ed ottenere tali permessi di studio è necessario il rilascio di un attestato di frequenza che va a certificare la presenza al corso durante l’orario lavorativo.

Non è possibile chiedere permessi studio per:

  • corsi a frequenza serale, qualora l’orario di lavoro non coincida con l’orario di svolgimento del corso;
  • corsi telematici, siccome non hanno un orario di frequenza obbligatorio e non comportano uno spostamento.

Non è possibile, dunque, richiedere dei permessi di questo tipo per le ore di studio utili alla preparazione di un esame.

Inoltre, i lavoratori studenti possono usufruire di altri diritti, oltre ai permessi studio. In primis possono richiedere di essere inseriti in turni lavorativi che possano agevolare la frequenza dei corsi e la preparazione degli esami.

Non sono tenuti, inoltre, al lavoro straordinario, tanto meno a coprire turni nei giorni festivi e o nei giorni di riposo.

Possono essere richiesti anche dei permessi giornalieri per poter affrontare e sostenere gli esami e discutere la tesi. In questo caso non sono previsti limiti di tempo, il permesso può essere preso per l’intera giornata, purché venga presentato un attestato dell’effettiva presenza all’esame o alla discussione della tesi.

Questo, dunque è quanto di più utile e necessario da sapere in merito alle modalità e funzionalità di ottenere permessi studio.

Cedolare secca: come funziona al 10% con affitto a canone concordato

Cosa si intende quando si parla di cedolare secca e come funziona al 10% con affitto a canone concordato? A queste domande daremo risposta nella nostra rapida guida in merito alla questione.

Cedolare secca: di cosa si tratta e come funziona

Sostanzialmente, quando si parla di “cedolare secca” si intende un regime facoltativo, che si sostanzia nel pagamento di un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali (per la parte derivante dal reddito dell’immobile).

Quando si parla di cedolare al 10% si fa riferimento ad una tassazione del 10% per gli affitti a canone concordato consente al proprietario dell’immobile di risparmiare sulle imposte dovute e, in parallelo, questa tipologia di contratto presenta diversi vantaggi anche per l’inquilino.

Cedolare secca al 10% e canone concordato

Dunque, il canone concordato è quella formula che è ormai sempre più spesso utilizzata dai proprietari degli immobili. Il vantaggio di questa modalità consiste nella possibilità di accesso a numerose agevolazioni fiscali, tra cui la mini-cedolare secca.

La possibilità di scegliere la tassazione ridotta del 10 per cento è uno dei vantaggi maggiori degli affitti a canone concordato.
La cedolare secca sostituisce per l’appunto:

  • la tassazione Irpef
  • l’imposta di bollo
  • l’imposta di registro

Nello specifico la cedolare secca al 10% è il regime di tassazione agevolato che può essere utilizzato esclusivamente per affitti a canone concordato o equo canone determinato dalle associazioni di categoria, sindacati dei proprietari e degli inquilini.

Di base, l’aliquota prefissata è fissa nella misura del 21% del canone di locazione annuo ma si abbassa al 10% se proprietario e inquilino decidono di rispettare il canone concordato stabilendo i limiti minimi e massimi di affitto, imposti in maniera relativa alla località in cui è situata l’abitazione.

Cedolare secca, quando è possibile utilizzarla

Come abbiamo visto, la cedolare secca con aliquota al 10% è una tassazione fissa, agevolata e sostitutiva per gli affitti con contratto di locazione a canone concordato.

Ma cosa va a sostituire, questa aliquota?

Come accennato nel paragrafo precedente, sono le sole persone fisiche a poter fruire di questa tassazione agevolata che va a sostituire le seguenti imposte:

  • aliquote Irpef;
  • addizionali Irpef;
  • imposta bollo da 16 euro
  • imposta di registro del contratto di locazione;

Quindi, la suddetta cedolare al 10% è un’agevolazione fiscale importante ma non utilizzabile sempre e ovunque, come detto ci sono delle condizioni per l’utilizzo che di seguito andremo a vedere.

Sono diversi i casi in cui è possibile utilizzare la cedolare secca con tassazione agevolata al 10%.

Tale l’aliquota al 10 per cento è applicabile per i contratti a canone concordato 3+2 stipulati nei Comuni che presentano le seguenti problematiche:

  • carenza di soluzioni abitative;
  • alta densità abitativa;
  • colpiti da calamità naturali.

È, altresì possibile utilizzare la cedolare secca al 10% anche per la stipula di contratti transitori, che nello specifico sono contratti di locazione per un periodo non inferiore a un mese e per un massimo di 18 mesi.

Come pagare la cedolare

Vediamo in ultimo, ma non ultimo come pagare la cedolare al 10% con affitto a canone concordato.

Per coloro che si chiedono se conviene la cedolare secca, si ricorda che il confronto va sempre fatto con lo scaglione di reddito in cui rientriamo ossia il nostro livello di reddito annuo e anche il canone mensile d’affitto influisce nel reddito annuale.

Resta il fatto che l’aliquota Irpef minima è al 23%, contro il 10% della cedolare secca.

Possiamo dire che se l’inflazione dovesse continuare a crescere, l’adesione alla cedolare secca costringerebbe a rinunciare all’aggiornamento Istat del canone e potrebbe risultare conveniente tornare al regime di tassazione ordinaria Irpef.

Ci sono due modalità di pagamento della cedolare secca a seconda dei diversi casi:

  • lavoratori autonomi o delle imprese che presentano il Modello Unico per la dichiarazione dei redditi devono pagare la cedolare secca tramite il modello F24;
  • lavoratori dipendenti e i pensionati che dichiarano i redditi con il modello 730 devono versare l’imposta prevista dalla cedolare secca tramite la busta paga.

Va, inoltre, precisato che la cedolare secca si comincia a pagare dall’anno successivo al primo anno di affitto dell’abitazione, siccome il pagamento tiene conto delle entrate dell’anno precedente.

Le scadenze sono le stesse dell’Irpef, per quanto concerne le tempistiche.

La cedolare secca si paga nelle possibili modalità seguenti:

  • in un’unica soluzione entro il 30 novembre, se l’ importo dovuto fosse inferiore a 257,52 euro;
  • in due rate se l’importo dovesse essere superiore a 257,52 euro.
    • la prima rata entro il 30 giugno, pari al 40% dell’acconto dovuto (oppure entro il 30 luglio con la maggiorazione dello 0,40%);
    • la seconda rata entro il 30 novembre, per il restante 60%.

Questo, dunque è quanto di più utile e necessario vi fosse da sapere in merito alla cedolare secca al 10%.

Superbonus: prime indiscrezioni sulle modifiche delle norme

Cominciano a delinearsi i tratti di quello che potrebbe essere il nuovo Superbonus 110% per la ristrutturazione e l’efficientamento energetico degli edifici già esistenti.

Le norme del Superbonus 110% per condomini

Ricordiamo che il 30 settembre è scaduto il termine per il SAL 30% (Stato di Avanzamento dei Lavori) per il Superbonus 110% e che di fatto sono terminati i fondi e occorrono nuovi finanziamenti affinché siano approvati nuovi progetti. Ricordiamo che per i condomini e gli immobili formati da 2 a 4 unità anche appartenenti allo stesso proprietario i termini di scadenza sono:

  • fino al 31 dicembre 2023 al 110%;
  • finoal 31 dicembre 2024 al 70%;
  • fino al 31 dicembre 2025 al 65%.
  • il termine per gli istituti autonomi case popolari (Iacp) è al 31 dicembre 2023 con  Superbonus al 110%.

Proprio per questo motivo sono in tanti ad aspettare la formazione del nuovo esecutivo per capire cosa potrebbe accadere nei prossimi mesi. In campagna elettorale Giorgia Meloni, probabilmente il prossimo Presidente del Consiglio, aveva affermato che il Superbonus 110% nasceva con un nobile proposito, ma che è sfuggito di mano in quanto regolamentato male e applicato peggio. In effetti sono state scovate molteplici truffe e questo ha portato a un inasprimento delle norme, culminato nella circolare 23 dell’Agenzia delel Entrate che ha previsto la responsabilità solidale tra il cessionario e il beneficiario del Superbonus 110%. Questo ha portato gli intermediari a richiedere l’asseverazione dei lavori eseguiti tramite l’uso delle foto, e in alcuni casi ( società Deloitte che opera per Intesa San paolo) a richiedere anche le asseverazioni con i video. Video che deve avere determinate caratteristiche.

Per conoscere il dettaglio, leggi: Cessione del credito Superbonus 110%: serve il video dei lavori

Quali sono le modifiche al Superbonus 110%? Chi potrà percepirlo?

Ora iniziano ad esservi le prime indiscrezioni su quello che sarà il futuro del Superbonus 110%. Il programma prevedeva il riordino della materia e la salvaguardia delle situazioni in essere, quindi viene assicurata almeno a quanto sembra emergere la conclusione dei lavori per chi aveva già la pratica approvata, ma non riesce a trovare un cessionario (ad esempio). In questo modo si evitano problemi anche alle imprese che hanno già iniziato i lavori e ai lavoratori.

Il programma per i nuovi progetti di ristrutturazione prevede anche che l’entità del superbonus non debba mai superare l’80% dei costi sostenuti. Si parla di una percentuale intorno al 60%-70%, ma diversificata in base al fatto che ad usufruirne siano le prime case o le seconde case.

Un’altra ipotesi allo studio è differenziane l’aliquota del beneficio in base al reddito del richiedente.

Risparmiare sulla spesa è possibile, basta guardare l’etichetta

Risparmiare sulla spesa è possibile, ma richiedere maggiore attenzione anche alle etichette dei prodotti può essere una buona idea.

Risparmiare sulla spesa, inflazione al 9%

Gli italiani devono fare i conti con l’inflazione arrivata al 9% e la stangata d’autunno. Tutto costa di più, e anche quelli che sembrano piccoli aumenti di pochi centesimi, nel complesso gravano pesantemente nel portafoglio delle famiglie. Per non parlare del caro energia, un vero e proprio salasso per quanto riguarda l’elettricità ed il gas. Così è sempre più difficile arrivare a fine mese e sopportare tutte le spese.

L’aumento congiunturale dell’indice generale è dovuto prevalentemente ai prezzi dei beni alimentari non lavorati (+2,0%), dei beni semidurevoli (+1,0%), degli alimentari lavorati (+0,8%) e dei beni durevoli (+0,6%) ed è in parte frenato dal calo dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (-4,2% dovuto per lo più a fattori stagionali).

Risparmiare sulla spesa, tra mercati e discount

Per risparmiare sulla spesa si avverte sempre più uno spostamento dei consumatori verso i mercati rionali o i discount. Nel primo caso i consumatori riescono a comprare dei prodotti alimentari, che spesso sono a chilometro zero, risparmiando qualcosa rispetto alla grande distribuzione. Questo perché si accorcia la filiera e di conseguenza diminuiscono i prezzi. I prodotti sono comunque di buona qualità e locali. Oltre il portafoglio, anche la salute potrebbe essere grata di questa scelta.

Altro spostamento dei consumatori è rivolto verso i discount. Tuttavia ci sono ancora degli scettici sulla qualità dei prodotti, ma guardare l’etichetta potrebbe sfatare ogni dubbio. Infatti basta girare tra gli scaffali e prendere un prodotto tra le mani. Guardare l’etichetta o il retro e vedere lo stabilimento di produzione. Si può restare stupiti, è lo stesso di un grande marchio conosciuto, magari pubblicizzato in tv.

Stesso produttore? Ecco come scoprirlo

Il modo per scoprire il produttore di uno prodotto è davvero semplice. Ad esempio prendendo un prodotto di un nota marchio “in cui si fa la spesa intelligente” è possibile trovare delle belle scoperte. Basta leggere lo stabilimento di produzione. Inserirlo su un qualsiasi motore di ricerca e dopo pochi secondi apparirà il noto marchio. Basta quindi una semplice ricerca per stabilimento di produzione.

Quindi non c’è il marchio, ma sicuramente la qualità e soprattutto il risparmio sul carrello della spesa sono garantiti. Per verificare quanto detto basta fare la spesa al discount, scoprire i produttori con marchi noto, e comprare la stessa tipologia di prodotto al normale supermercato. La differenza sul budget alimentare di casa sarà una sorpresa. Ma del resto in questo periodo di difficoltà economica, qualche piccolo trucchetto per risparmiare fa sempre comodo.

 

Multa nei 5 giorni: si può pagare a rate?

Molti si chiedono se sia possibile pagare a rate una multa nel tempo limite dei 5 giorni. Scopriamo, in questa nostra rapida guida, se è possibile, ed in quali termini e condizioni.

Multa a rate: si può pagare?

La risposta a questa domanda è sì. E’ possibile pagare a rate una multa, usufruendo dello sconto del 30% per chi paga nei limiti dei 5 giorni. Tuttavia, anche oltre il tempo dei 5 giorni è possibile ottenere la rateizzazione del pagamento, ma senza più lo sconto previsto.

Ovviamente, in caso si voglia pagare oltre i 5 giorni previsti di default, la domanda di pagamento a rate deve essere presentata entro i 30 giorni dalla notifica della multa.

Come e chi può pagare la multa a rate?

Cosa c’è da sapere, dunque, in merito al pagamento di una multa a rate, vediamolo assieme in questo paragrafo.

C’è da sapere che tale rateizzazione della multa non è concessa a tutti gli automobilisti, bensì soltanto a coloro che hanno un Isee inferiore ad una certa soglia stabilita. Nello specifico, l’interessato deve avere un reddito imponibile ai fini Irpef, che nell’ultima dichiarazione non risulti superiore a 10.628,16 Euro. 

Va inoltre aggiunto che se chi deve pagare la multa convive con il coniuge o con altri familiari, i redditi in questione si sommano tra loro. In tal caso, tuttavia, il limite di 10.628,156 euro viene elevato di 1.032,91 euro per ogni familiare convivente.

Coloro che presentano una situazione di reddito superiore a quella sopra indicata dal Codice della strada non può chiedere la rateizzazione della multa all’amministrazione, pur potendo chiedere un prestito a una finanziaria o ad una banca e, in questo caso, usufruire dello sconto del 30% per poi restituire la somma all’istituto di credito a fronte di un tasso lievemente superiore rispetto a quello dovuto all’amministrazione.

Andiamo, dunque a vedere il come agire per pagare a rate.

Per quanto riguarda le multe effettuate dalla Polizia di Stato occorre presentare la domanda al Prefetto. Per quanto concerne le multe fatte da agenti delle Regioni, delle Province o dei Comuni, allora va presentata istanza al presidente della giunta regionale, a quello della giunta provinciale oppure al sindaco.

La domanda deve essere presentata entro 30 giorni dalla data di contestazione o di notificazione della violazione. 

Occorre presentare assieme alla domanda una dimostrazione della propria situazione reddituale.

Quante rate si devono pagare e cosa altro c’è da sapere

Andiamo a vedere cos’ altro c’è da sapere nel pagare una multa a rate, ma soprattutto in quante rate si può dilazionare il pagamento.

Stando alla base delle condizioni economiche del richiedente ed anche all’entità della somma da pagare, l’autorità dispone la ripartizione del pagamento fino ad un massimo di:

  • 12 rate se l’importo dovuto non supera euro 2.000; 
  • 24 rate se l’importo dovuto non supera euro 5.000;
  • 60 rate se l’importo dovuto supera euro 5.000.  

Ogni rata deve avere un importo minimo di 200 Euro.

Ma, ci sono svantaggi nel pagare una multa a rate?

Come detto in precedenza, il primo svantaggio nel pagare una multa a rate è quello di perdere lo sconto del 30% che si ottiene pagando nei 5 giorni di tempo dalla notifica.

Inoltre, se si paga la multa a rate si dovrà versare anche gli interessi secondo un saggio che è definito annualmente. E non può più fare ricorso al giudice o al prefetto, neanche se successivamente si accorge che il verbale è illegittimo. 

Quindi, sostanzialmente, può anche essere una scelta non del tutto ben ponderata, quella di non “levarsi il dente” entro i cinque giorni di tempo dalla multa ricevuta.

Questo, dunque è quanto di più utile e necessario da sapere in merito alle possibilità, modalità e condizioni del pagare una multa a rate.

Pignoramento pensioni, il tetto limite sale a 1.000 euro, cosa significa?

Il Decreto Aiuti bis, approvato dal Senato lo scorso 20 settembre, porta dei cambiamenti anche in ambito pignoramento pensioni. E la modifica in questione ha certamente rilevanza visto che alza il tetto limite pignorabile. Una buona notizia, quindi, soprattutto per chi ha una pensione relativamente bassa. Ma andiamo a vedere cosa cambia.

Limiti pignorabilità pensioni

Il decreto va a modificare il Codice di procedura civile  nella parta in cui limita i pignoramenti su stipendi e pensioni. Nello specifico si introduce un tetto limite per la pignorabilità delle somme che si ricevono a titolo di pensione mentre nessuna novità è stata introdotta per quello che riguarda l’accredito delle pensioni sul conto corrente postale o bancario.

La novità è illustrata nell’articolo 21 bis del decreto Aiuti bis che dispone che le somme ricevute a titolo di pensione, indennità equiparabili a pensioni e altri assegni di quiescenza possono essere pignorate solo per la parte eccedente al doppio della misura massima prevista per l’assegno sociale. E non sotto i 1.000 euro. La parte eccedente i 1.000 euro, poi, può essere pignorabile entro determinati limiti che possono essere un quinto, un quarto o un terzo.

Cosa cambia? Prima dell’intervento la parte di pensione impignorabile era pari a una volta e mezza l’assegno sociale  INPS (Che ricordiamo ammonta a 468 euro mensili) e quindi si parla di 702 euro. La somma eccedente risulta pignorabile nella misura di un quinto, un quarto e un terzo.

Appare chiaro che in questo modo chi percepisce una pensione fino a 1.000 euro può stare tranquillo che il reddito mensile non può in nessun caso essere attaccato da eventuale pignoramento.

Leggi anche: Pignoramento, esistono dei limiti di legge in base al tipo di bene

Assegno Unico: a chi spettano maggiori importi e arretrati?

Il decreto Semplificazioni ha previsto aumenti dell’Assegno Unico e Universale (istituito con il decreto legislativo 230 del 2021), gli stessi sono in favore delle famiglie in cui siano presenti dei disabili. L’INPS con il Messaggio 3518 del 27 settembre 2022 ha dato seguito alle indicazioni del decreto citato e, di conseguenza, saranno erogati i nuovi importi, la novità importante è che gli stessi sono retroattivi e quindi la loro erogazione parte dal mese di marzo 2022. Ecco cosa cambia per i percettori dell’Assegno Unico e Universale disabili.

Quali sono gli importi previsti dalla normativa dell’Assegno Unico per i disabili?

La prima cosa da dire è che le maggiorazioni previste sono assegnate solo in caso di disabilità media, grave o gravissima. In secondo luogo il decreto semplificazioni riconosce il diritto alle maggiorazioni solo per un anno e questo vuol dire che le stesse saranno erogate con gli arretrati maturati dal 1° marzo 2022, ma fino al mese di febbraio 2023. In seguito a tale data decadranno in modo automatico.

Le regole originarie prevedevano:

  • Fino a 18 anni Assegno Unico e Universale di 175 euro con Isee inferiore a 15.000 euro (importi a scalare con Isee superiore) a cui si aggiunge una maggiorazione pari a 105 euro per figli disabili non autosufficienti; maggiorazione di 95 euro per figli con disabilità grave; maggiorazione di 85 euro per figli con disabilità media;
  • da 18 a 21 anni la maggiorazione ha una componente fissa di 80 euro e un’ulteriore componente legata all’ISEE che varia da 25 a 85 euro in più al mese.
  • disabili con età superiore a 21 anni percepiscono 85 euro mensili se l’ISEE ha valore inferiore a 15.000 euro, per importi superiori, l’assegno viene modulato in base al reddito.

Maggiori importi e arretrati: ecco a chi spettano e quanto devono ricevere

Con le nuove disposizioni invece:

  • Figli disabili minorenni: restano le regole invariate;
  • disabili tra 18 e 21 anni sono parificati ai figli minorenni e quindi percepiscono gli stessi importi che abbiamo visto sopra per i minorenni;
  • età superiore a 21 anni potranno percepire l’Assegno Unico Universale di 175 euro se l’ISEE è inferiore a 15.000 euro, altrimenti viene modulato.

Come ribadito dall’INPS, tali importi sono retroattivi al primo marzo 2022 e restano in vigore fino a febbraio 2023. Tornano di seguito in vigore gli importi iniziali previsti dal decreto legislativo 230 del 2021 istitutivo dell’Assegno Unico e Universale.

Leggi anche: Assegno Unico Disabili: cambiano gli importi. Le novità del decreto Semplificazioni

Scadenze ottobre 2022, le date da non dimenticare

Arrivano anche le scadenze di ottobre 2022 a pesare sulle tasche degli italiani, soprattutto in quelle dei possessori di partita Iva.

Scadenze ottobre 2022, un inizio mese sereno

Archiviata la Dichiarazione dei redditi, avremo un inizio mese di ottobre abbastanza sereno. La prima scadenza riguarda solo le locazioni di immobili. In particolare il versamento, all’Agenzia delle entrate, dell’imposta di registro sui contratti di locazione di affitto. Quelli che sono stati stipulati in data 01/09/2022 o rinnovati tacitamente con stessa decorrenza.

Tuttavia per le imprese e per i professionisti è il mese per l’invio del modello 770, dichiarazione dei sostituti d’imposta. A questa si affianca anche la Certificazione Unica dei lavoratori autonomi. Si tratta del documento con il quale i sostituti d’imposta sono chiamati a certificare le ritenute di acconto. Mentre è previsto per il 10 ottobre il pagamento dei contributi per colf e badanti.

Scadenze ottobre 2022, aumentano gli adempimenti

Un adempimento del 15 ottobre riguarda l’emissione e registrazione delle fatture differite relativa a beni consegnati o spediti nel mese solare precedente e risultanti da documento di trasporto. Sempre il 15 ottobre, è invece prevista la scadenza per la comunicazione della cessione del credito e dello sconto in fattura per i bonus edilizi.

Inoltre spostato al 17 ottobre, in quanto il 15 è sabato, il  termine di invio più lungo per la comunicazione di cessione del credito da parte dei titolari di partita IVA e dei soggetti passivi IRES tenuti a inviare la dichiarazione dei redditi entro il 30 novembre.

In realtà in lunedì 17 ottobre sono concentrati ben 108 versamenti. Si tratta degli adempimenti periodici di Iva, Irpef, addizionali e Inps. Per coloro che hanno sottoscritto un contratto di locazione con cedolare secca, è previsto il  versamento della quinta rata dell’imposta sostitutiva operata a titolo di saldo per l’anno 2021 e di primo acconto per il 2022 con applicazione degli interessi nella misura dell’1,17%.

Le date da ricordare di fine mese

Giorno 20 ottobre è dedicato alle dichiarazioni IVA MOSS. Mentre il 25 ottobre è tempo di presentazione della dichiarazione integrativa (modello 730 integrativo) qualora si siano riscontrati delgi errori nella dichiarazione che incidono sulla determinazione dell’imposta. Tuttavia tale modello va presentato solo tramite intermediario abilitato o Caf. Sempre per la stessa data sono previste le dichiarazioni INTRASTAT.

Il mese di conclude con le scadenze del 31 ottobre. Ci sono ben 27 versamenti da eseguire tra Irpef, imposta di bollo, imposta di registrazione, addizionali e presentazione dati INTRA 12. Entro la stessa data è possibile effettuare la a trasmissione telematica delle certificazioni uniche contenenti esclusivamente redditi esenti o non dichiarabili mediante la dichiarazione dei redditi precompilata.