Incentivi acquisto auto in arrivo: ecobonus fino a 6.000 euro

In arrivo i nuovi incentivi per l’acquisto dell’auto 2022. Gli ecobonus riguarderanno soprattutto le auto elettriche e green. L’intesa sul provvedimento ancora non c’è, ma il ministero per lo Sviluppo Economico (Mise) spinge per un decreto in tempi rapidi. L’effetto del rinvio degli incentivi, infatti, starebbe ulteriormente danneggiando il mercato delle auto. Le risorse a disposizione saranno pari a 700 milioni di euro per il 2022 e a un miliardo di euro a partire dal 2023 per ogni anno fino al 2030.

Ecobonus acquisto auto nuove, in arrivo 700 milioni per le auto elettriche e ibride

Il provvedimento sugli ecobonus per l’acquisto di auto nuove è atteso nel mese di marzo. Sarà un provvedimento interministeriale tra lo Sviluppo Economico, il ministero dell’Economia e delle Finanze, quello della Transizione ecologica e il dicastero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile. I 700 milioni di euro che verranno messi a disposizione andranno soprattutto ad agevolare le auto elettriche nuove e quelle a bassa emissione di CO2.

Ecobonus per l’acquisto di auto elettriche, ecoincentivi fino a 6mila euro

Il provvedimento atteso per gli incentivi sull’acquisto di auto nuove elettriche e a basse emissioni dovrebbe ricalcare i decreti degli scorsi anni. L’ecoincentivo più alto spetterebbe ai consumatori per l’acquisto di auto elettriche, quelle della fascia di emissioni da 0 a 20 grammi di CO2 per chilometro. L’ecobonus arriverebbe a 6 mila euro se si rottama un’auto appartenente alla categoria inferiore all’Euro 5. Se non si hanno auto da rottamare, l’incentivo scende a 4 mila euro. Il limite del prezzo di acquisto dovrebbe fermarsi a 35 mila euro, esclusa l’Iva.

Incentivi acquisto auto a basse emissioni o ibride: quali ecobonus sono in arrivo?

Sull’acquisto delle auto ibride, nella fascia di emissioni da 21 a 60 grammi di CO2 per chilometro, gli incentivi dovrebbero arrivare a 2.500 euro. Si tratta delle auto plug in che assicurano l’incentivo più alto solo in caso di rottamazione. In caso di acquisto senza rottamazione, lo sconto sarà di mille euro. Per le plug in il tetto di spesa massimo consentito è pari a 45 mila euro, esclusa l’Iva.

Ecobonus per acquistare auto da 61 a 135 grammi CO2 per chilometro: quali incentivi sono previsti?

La fascia più controversa degli ecoincentivi per l’acquisto di auto nuove è quella con emissioni da 61 a 135 CO2 per chilometro. In questo caso, dalle prime indiscrezioni sugli incentivi, il bonus si fermerebbe a 1.250 euro e verrebbe riservato solo agli acquirenti che hanno un’auto da rottamare. Inoltre, il tetto di spesa massimo si allineerebbe alle auto nuove elettriche, ovvero a 35 mila euro, più l’Iva.

Quante risorse verranno stanziate per gli incentivi per l’acquisto di un’auto elettrica, ibrida o con emissioni da 61 a 135 gr/CO2?

L’intesa sugli incentivi per l’acquisto delle auto è, in ogni modo, ancora da trovare. La bozza dei ministeri, al momento, favorirebbe soprattutto l’acquisto delle auto elettriche, penalizzando quelle ibride e, soprattutto, quelle con emissioni di CO2 da 61 a 135 grammi per chilometro. In questa fascia rientrano i modelli di Fca, dalla Renegade alla 500X, alla Panda.

Decreto in uscita per gli incentivi auto, i prossimi passaggi del 2022

Nella bozza, infatti, gli ecoincentivi auto del 2022 sarebbero distribuiti soprattutto per le prime due fasce di consumi, ovvero per CO2 fino a 60 grammi per chilometro, alle quali andrebbero 450 milioni di euro. Per la terza fascia sarebbero previsti incentivi per un totale di 150 milioni di euro. Ma il bilanciamento delle risorse non è ancora definitivo. Un ulteriore decreto del Presidente del Consiglio dei ministri potrebbe rivedere la ripartizione dei fondi.

 

Immigrazione e Ius Scholae: in classe si costruisce la cittadinanza

Nel settore dell’immigrazione potrebbero esservi importanti novità,  è iniziato l’iter alla Camera per l’approvazione dello Ius Scholae che prevede la possibilità di ottenere la cittadinanza italiana frequentando le scuole in Italia.

Immigrazione: come si ottiene la cittadinanza italiana?

La cittadinanza è alla base di molti benefici e privilegi che sono riconosciuti solo a coloro che vivono in Italia, da tempo si discute in Italia su una nuova base per diventare cittadini a tutti gli effetti e non mancano polemiche. Ora, dopo anni di tentativi, si prova di nuovo e stavolta con lo Ius Scholae, presentato alla Camera e in discussione alla Commissione Affari Costituzionali dal deputato del M5S Brescia, i tempi potrebbero essere maturi.

Attualmente la cittadinanza italiana si ottiene per:

  • nascita, cioè se si nasce da almeno uno dei due genitori con cittadinanza italiana (in questo caso si parla anche di ius sanguinis);
  • nascita su territorio italiano da cittadini stranieri, in questo caso per ottenere la cittadinanza è necessario il compimento del 18° anno di età, ma è necessario che in tale lasso di tempo, cioè dalla nascita al compimento della maggiore età, il soggetto abbia risieduto ininterrottamente e legalmente in Italia;
  • adozione, cioè un cittadino straniero adottato da un cittadino italiano;
  • matrimonio, quindi sposando una persona con cittadinanza italiana;
  • residenza.

Come si ottiene la cittadinanza per residenza?

Per la cittadinanza ottenuta per residenza è necessario fare qualche precisazione. Si può ottenere nel caso in cui il soggetto abbia un reddito nei tre anni antecedenti la proposizione della domanda di cittadinanza italiana di almeno:

  • 8.263,31 per richiedenti senza persone a carico;
  • euro 11.362,05 per richiedenti con coniuge a carico
  • il limite precedente viene aumentato di ulteriori 516 euro per ogni ulteriore persona a carico.

Tali redditi devono essere maturati ogni anno nei tre anni antecedenti alla presentazione della domanda.

Naturalmente questo requisito economico da solo non basta, ci vogliono ulteriori requisiti, le casistiche sono diverse. In particolare il richiedente deve:

  • essere legalmente residente in Italia da almeno 3 anni e deve esservi nato ( nasce in Italia, va all’estero, ritorna ed è residente per almeno 3 anni);
  • figlio o nipote in linea retta di cittadini italiani residente legalmente in Italia da almeno 3 anni (procedura utilizzata da molti calciatori);
  • cittadino straniero maggiorenne adottato da cittadini italiani e residente legalmente in Italia per almeno 5 anni successivi all’adozione;
  • cittadino straniero che ha prestato servizio per lo Stato Italiano per almeno 5 anni. Il servizio può essere stato prestato anche all’estero e la domanda deve essere proposta all’autorità consolare;
  • Cittadino UE residente in Italia da almeno 4 anni;
  • apolide residente legalmente in Italia da almeno 5 anni;
  • immigrato extracomunitario residente in Italia da almeno 10 anni.

Si ribadisce che in tutti questi casi deve coesistere anche il requisito reddituale.

Immigrazione: cosa prevede lo Ius Scholae?

Con la proposta di legge Ius Scholae l’obiettivo è semplificare questa procedura e dare la cittadinanza italiana a tutti quei bambini che frequentano per almeno 5 anni le scuole italiane. Secondo le stime fatte il provvedimento potrebbe interessare circa 800.000 persone, figli di stranieri, che di fatto hanno sempre vissuto in Italia, si sentono italiani e hanno frequentato le scuole italiane. Lo Ius Scholae andrebbe quindi a riguardare quelli che possono essere definiti gli immigrati di seconda generazione.

Il deputato Brescia nella presentazione del disegno di legge ha sottolineato che lo Ius Scholae potrebbe essere un importante fattore di integrazione. Questo anche grazie a un testo semplice che di conseguenza non può essere facilmente manipolato oppure strumentalizzato da chi fino ad ora si è sempre opposto a una riforma che rendesse più semplice l’ottenimento della cittadinanza italiana. Brescia ha sottolineato che il provvedimento pone al centro il sistema scolastico italiano alla base della costruzione della cittadinanza.

Nella proposta di legge si stabilisce che potrà ottenere la cittadinanza italiana il minore nato in Italia, o che vi abbia fatto ingresso entro il 12° anno di età, che abbia risieduto in Italia senza interruzione e frequentato le scuole in Italia per almeno 5 anni in uno o più cicli scolastici (ad esempio un anno di scuole elementari, tre anni di scuole superiore di primo grado, un anno di scuola superiore di secondo grado).

Per questo disegno di legge hanno già espresso soddisfazione Enrico Letta, segretario del Pd che ha sottolineato che si tratta di una questione di civiltà e di un provvedimento in linea con il sentire degli italiani

La riforma delle pensioni perfetta: ecco come sarebbe

In pensione dal 2023 con nuove misure? Si, ma quali. Domanda lecita questa, soprattutto perché pare che non ci siano tante speranze nemmeno per il 2023, di vedere una profonda riforma del sistema previdenziale. Troppe problematiche più urgenti pare abbia da affrontare il governo italiano. Rimanere ancorati anche nel 2023 alla quota 102 come unica o più o mento tale, alternativa ai vincoli Fornero, pare insufficiente.

Il sistema avrebbe bisogno di altro. Lo si evince non solo dalle proposte dei sindacati o dalle discussioni ai tavoli della politica. Lo si evince anche dalle chat social, dai forum e dai commenti dei diretti interessati, cioè i lavoratori. Ma quale sarebbe una ipotetica riforma delle pensioni che potrebbe essere considerata giusta da tutti?

Alcuni evidenti problemi del sistema pensionistico italiano

Ciò che attualmente manca al nostro sistema pensionistico è la flessibilità in uscita. Quando si parla di flessibilità si parla della possibilità da dare ai lavoratori, di scegliere quando uscire dal lavoro. Dal momento che il sistema previdenziale è contributivo e che più si lavora più si versano contributi, la scelta di andare prima in pensione prendendo meno di assegno, dovrebbe toccare al lavoratore.

Una cosa che oggi non è possibile, o almeno non lo è per tutti. Le alternative alla pensione di vecchiaia a 67 anni sono diverse, questo è vero. Ma parlare di flessibilità non è giusto. Quota 41 precoci e Ape sociale per esempio, sono misure che si rivolgono solo a determinate categorie. I disoccupati, gli invalidi e i caregivers, e nemmeno tutti dal momento che esistono per ogni categoria altri sotto requisiti. E poi i lavori gravosi, con 15 categorie per la quota 41 (dove bisogna essere anche precoci), e molte di più per l’Ape sociale (ma non tutti i lavoratori).

Quota 41 permette di uscire dal lavoro senza limiti di età, l’Ape sociale dai 63 anni. Ma se fai il barista o il falegname, entrambe le misure non sono fruibili.

La flessibilità di quota 100 e quota 102 non è certo una grande cosa

Per rispondere all’esigenza di flessibilità del sistema, i governi che si sono succeduti i questa particolare legislatura, hanno scelto la pensione per quotisti. Ma anche in questo caso, una vera flessibilità non è stata introdotta. Con la quota 100 era consentita l’uscita dai 62 anni di età. Con la quota 102 invece, dai 64 anni di età. In entrambi i casi il limite contributivo era a 38 anni. Troppi per molti lavoratori. Una flessibilità che calza a pennello solo per chi ha avuto la fortuna di avere carriere lavorative lunghe e durature, prive di interruzione e iniziate molto presto.

Per esempio, con la quota 100 un lavoratore per uscire a 62 anni esatti, avrebbe dovuto iniziare a lavorare a 24 anni di età senza più fermarsi dal momento che dei 38 anni di versamenti 35 devono essere effettivi dal lavoro come per le pensioni anticipate ordinarie con 42,10 e 41,10 anni di versamenti. Le altre vie di uscita esistenti sono ancora più limitate come perimetro e con più vincoli, tra importi minimi della pensione da raggiungere (le anticipate contributive o in genere le pensioni per contributivi puri), penalizzazioni da accettare (ricalcolo contributivo di opzione donna) e così via.

Quale sarebbe la giusta riforma delle pensioni?

Se flessibilità deve essere, questa non può che collegarsi alla pensione di vecchiaia. Infatti la normale quiescenza di vecchiaia si centra al raggiungimento dei 67 anni di età ed al contestuale completamento di una carriera contributiva minima di 20 anni. la flessibilità dovrebbe consentire di lasciare il lavoro a qualsiasi età o quasi (magari impostando il limite a 62 o 63 anni), sempre con 20 anni di versamenti.

Questo perché, se il lavoratore decide di accettare la pensione liquidata su 20 anni di carriera, dovrebbe essere libero di farlo. Conscio del fatto che se dai 62 ai 67 anni di età continuasse a lavorare, potrebbe arrivare a 25 anni di carriera e prendere di più di pensione. Sono le regole del sistema contributivo per cui più si versa più si percepisce di assegno. Ma sarebbe anche la soluzione per la pensione di quanti si trovano con perdita di lavoro e con difficoltà oggettive a trovarne un altro (a 62 anni chi perde il lavoro difficilmente per età, ne trova un altro).

E la flessibilità non dovrebbe prevedere penalizzazioni di assegno dal momento che sarebbe già tanto lo scotto da pagare interrompendo la carriera con 20 anni di contributi perdendone 5.

La pensione deve arrivare sempre una volta raggiunta una determinata carriera

E se si parla di carriera, bisogna impostare il limite oltre il quale dovrebbe essere giusto mettersi a riposo. Per esempio 40 anni potrebbero bastare. Le pensioni anticipate di oggi, prevedono soglie vicine ai 43 anni per gli uomini (42,10 per l’esattezza). Per uscire a 60 anni di età una persona dovrebbe aver iniziato a lavorare a 17 anni e poi senza interruzione per completare circa 43 anni di contributi versati. Una enormità evidente questa, che rende le pensioni anticipate non così anticipate come sembra. Infatti chi sfrutta tale misura ormai, arriva sempre più vicino ai 67 anni della pensione di vecchiaia ordinaria.

Infine, bisognerebbe consentire uscite vantaggiose per determinate attività lavorative. Lo stesso principio dell’Ape sociale o della quota 41 oggi in vigore. Ma fissando il limite contributivo a soglie più basse. Un lavoratore edile che ha iniziato tardi a lavorare o che oggi è alle prese con continue interruzioni di lavoro, dovrebbe poter uscire a prescindere dalla carriera. Anche perché ci sono lavori che non hanno nella continuità un loro fattore. Senza considerare ciò che sta accadendo oggi, tra crisi economiche varie da epidemie o guerre. Concedere le pensioni anticipate sarebbe un modo per limitare anche l’uso dell’assistenzialismo, perché al posto di chiedere sussidi che gravano in ugual misura sulle casse dello Stato, meglio andare sulle misure previdenziali.

E poi occorrerebbe alzare i minimi di pensione. Fissare la pensione ad una soglia minima sotto la quale non si deve scendere. Basi pensare che un pensionato con 20 anni di contributi a 67 anni spesso prende meno di un beneficiario del reddito di cittadinanza, magari più giovane e senza alcun contributo versato.

Caro gasolio, anche i pescherecci vanno in sciopero

Caro gasolio continuano a crescere i prezzi, aumentano anche i soggetti in difficoltà, e adesso tocca anche ai pescherecci.

Caro gasolio, anche il pesce rimane in mare

Sono giorni difficili, tra la crisi del settore energetico e gli effetti Ucraina e la guerra in corso. In molti settori dell’economia italiana gli operatori hanno avuto difficoltà nel far fronte alle difficoltà. Scuola, operatori sanitari, panettieri, tutti hanno dimostrato insofferenza ai continui rincari. Nei giorni scorsi anche i camionisti hanno bloccato intere tratte di autostrade per protestare contro l’aumento del costi da sostenere.

Ed oggi a scendere in campo sono anche i pescherecci. Anche loro hanno minacciato uno sciopero pari ad una settimana. I pescherecci per andare in mare e portare il pescato sulle nostre tavole, hanno bisogno di portare i loro mezzi in mare. E per muoverli ovviamente hanno bisogno del gasolio, che anche questo sta crescendo. Ma vediamo nel dettaglio in cosa consiste la protesta e da chi è stata promossa.

I motivi della protesta dei pescherecci

La decisione di iniziare uno sciopero è stata comunicata dall’Associazione produttori Pesca, durante una riunione avvenuta nella Marche. Tuttavia si è trattata davvero di un’assemblea che ha coinvolto circa l‘80% dei rappresentanti delle marinerie italiane.

Il caro gasolio non permette più di sostenere l’attività di pesca e il comparto ha deciso di fermarsi”. Queste le parole dell’Associazione produttori Pesca al termine dell’incontro e dopo aver proclamato lo stato di agitazione del settore. Un incontro con il ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali è stato comunque fissato per il prossimo mercoledì 9 marzo a Roma. Nel frattempo si attende un forte contraccolpo sulla disponibilità e sul prezzo del pescato in tutti i mercati italiani.

Caro gasolio, ecco come è aumentato il gasolio

Fare il pieno anche per le barche è diventato un salasso. E i pescatori di tutta Italia si sono riuniti per un fronte comune, uno sciopero nazionale che partirà da domenica. Purtroppo il carburante è sempre in aumento. E dietro queste difficoltà, ci sono delle famiglie che cominciano a fare i conti con il fine mese.

Facendo due conti, per capire la situazione anche sul nostro pescato. Prima della pandemia il gasolio era a 30 centesimi al litro. Mano mano il costo è aumentato ed a arriva a più di 1 euro e 10 centesimi. A conti fatti di parla di un rincaro del triplo rispetto a due anni fa. In altre parole una barca che prima consumava 1.000 euro, oggi ne consuma 2.500 euro. E come sempre accade, questo potrebbe ribaltarsi sul consumatore finale e comprare il pesce potrebbe diventare un lusso. Ma i pescatori non vogliono questo e provano a metterci una pezza, vedremo i risultati.

 

 

 

Bonus bollette, vantaggi e benefici del nuovo credito di imposta

Un nuovo credito di imposta per le imprese. Stavolta collegato alle bollette. È quanto prevede il nuovo bonus bollette, il cui decreto è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso primo marzo 2022.

Bonus bollette al via, quale agevolazione per le imprese

In Gazzetta Ufficiale dal primo marzo scorso, il bonus bollette per le imprese. Si tratta di un nuovo credito di imposta con una agevolazione per le imprese che hanno subito gli aumenti del costo energetico. Tutto come previsto dal decreto n° 17/2022.

Decreto bollette, il credito di imposta come bonus per mitigare i rincari di luce e gas

Con il decreto bollette, agli articoli n° 4 e 5  ecco la norma che prevede un nuovo bonus per le imprese. Il bonus previsto non eroga soldi ai richiedenti, ma da diritto, nei limiti della normativa vigente, ad un credito di imposta da utilizzare come prassi, in compensazione.

Tra le misure in favore di famiglie e imprese, di cui il decreto bollette è pieno, anche queste volte a detonare il rincaro dei prezzi di gas e corrente elettrica che è finito nelle bollette di questi ultimi mesi.

La misura passo a passo

“Contributo straordinario, sotto forma di credito d’imposta, a favore delle imprese energivore”, questo il nome dato alla misura dal decreto prima citato. Le imprese che potranno godere di questo benefit sono tutte quelle a grande consumo di energia elettrica e gas. Per capire se si rientra in queste imprese, occorre fare riferimento ad un vecchio provvedimento del MISE (Ministro dello sviluppo economico), datato 21 dicembre 2017.

La misura prevede il bonus per le attività, che oltre a rientrare nel decreto del MISE prima citato, dimostrano di aver subito i rincari sulle bollette. Tali rincari devono essere superiori al 30% tra le bollette dei secondi tre mesi del 2022, e quelle dello stesso periodo del 2019.

Perché l’anno 2019 preso a riferimento per il bonus bollette

Il fatto che si utilizza il 2019, cioè l’ultimo anno pre-pandemia, deriva dal fatto che 2020 e 2021, essendo anni interessati dall’emergenza epidemiologica, hanno prodotto inevitabilmente delle riduzioni nei consumi e nelle bollette.

Polemicamente, diciamo che è una specie di ammissione della realtà da parte del governo, che se avesse paragonato le bollette del 2022 a quelle del 2020 o del 2021, avrebbe dovuto erogare il bonus a molte più imprese. Una specie di “furbata” da parte dello Stato che limita la portata dell’intervento nonostante è palese che molte aziende che nel 2019 erano in piena salute, oggi vivono difficoltà dopo un biennio di limitazioni, restrizioni e così via.

Le percentuali di credito di imposta per energia elettrica e gas

Queste imprese hanno diritto a un credito d’imposta pari al 20% delle spese sostenute nel secondo trimestre del 2022.

Come specifica il decreto, il bonus verrà erogato anche sull’energia prodotta dalle imprese e auto-consumata, sempre nel corso dei secondi tre mesi del nuovo anno.

Nessun divieto di cumulo con altre agevolazioni relative ai costi delle stesse componenti energetiche. Il bonus va usato in compensazione ed è esterno alla  formazione del reddito d’impresa o delle basi imponibili per le imposte sui redditi.

Il bonus bollette 2022, anche il gas

Dello stesso tipo, quindi bonus con credito di imposta, per le imprese che hanno subito rilevanti aumenti per il consumo di gas, ma per usi non termoelettrici. L’aumento del costo sostenuto anche in questo caso deve essere del 30% almeno, sempre tra secondo trimestre 2022 e secondo trimestre 2019. Per il gas però, il credito di imposta di cui si ha diritto è del 15% sulla differenza.

Per il gas, occorre rifarsi all’elenco delle imprese previsto dal Ministero della Transizione Ecologica con in decreto del 21 dicembre 2021, precisamente nel suo allegato n°1.

Le imprese che rientrano nell’elenco, avranno diritto a questo sconto sulle tasse, a condizione di aver consumato, nel 1° trimestre del 2022, un quantitativo di gas di almeno il 25% rispetto al volume riportato dall’articolo n° 1 comma6 del decreto del Ministero della Transizione Ecologica prima citato.

Pensione di invalidità civile nel 2022: nuova procedura a scelta dell’interessato

Cambia molto per i pensionati titolari di pensione di invalidità civile. È sopraggiunto infatti un nuovo iter relativo ai controlli per le prestazioni di invalidità civile nel 2022. Come è noto infatti, l’INPS procede a delle verifiche periodiche per confermare la prestazione ai già beneficiari. Controlli periodici che servono all’INPS per verificare se il beneficiario di una prestazione a ancora diritto alla stessa. In altri termini, se permangono le patologie che sono state utili all’assegnazione del beneficio per il periodo precedente la visita di controllo.

La visita di controllo resta, ma al fine di velocizzare le procedure, cambia il meccanismo.

Chi percepisce la pensione può evitare la visita

Quale percentuale di invalidità per legge 104

Chiunque percepisce un assegno di invalidità civile sa che la prestazione, almeno inizialmente, è erogata provvisoriamente. Occorre infatti passare delle visite che potremmo definire di conferma. In genere la visita è triennale, ma non sono rari i casi di visite a periodi più brevi, in base ai dettami dell’INPS e alle patologie invalidanti di un soggetto.

In genere, dopo tre visite con conferma della prestazione, che significa, conferma dello stato di disabilità, la prestazione viene confermata per sempre. La novità riguarda l’iter a cui sono assoggettati quanti devono sostenere queste visite.

Al fine di facilitare il compito degli interessati e snellire le procedure, hanno pensato di aprire alla tecnologia. E per alcuni beneficiari chiamati all’adempimento, potrebbe diventare inutile presentarsi a visita.

Basterà infatti, inviare la documentazione medica richiesta, tramite procedura telematica, per consentire agli organi accertatori di confermare la prestazione. Naturalmente tutto questo si materializza nel momento in cui la documentazione risulta sufficiente. Infatti nel caso contrario la visita con conseguente convocazione da parte dell’INPS, tornerebbe necessaria.

La nuova procedura di conferma dell’invalidità civile

Naturalmente i rischi a non adempiere restano sempre gli stessi. In effetti, si rischia la sospensione della prestazione e la sua decadenza. Per sfruttare la nuova procedura, occorre allegare la documentazione utilizzando il servizio on line presente sul sito dell’INPS.

La procedura automatizzata, 4 mesi prima della data della visita, estrapolerà le posizioni dei diretti interessati attivando la procedura di caricamento e invio della documentazione. Deve essere il soggetto interessato ad inviare la documentazione che permetterà ai medici accertatori, di redigere il verbale anche solo sulla base della documentazione prodotta dall’interessato. Quest’ultimo riceverà una comunicazione da parte dell’Inps circa la scelta da operare.

Infatti l’utilizzo della nuova procedura è opzionale da parte dell’invalido che può comunque non inviare nulla ed attendere la visita alla vecchia maniera. Dal ricevimento della comunicazione di invito a scegliere, l’interessato ha 40 giorni di tempo per operare la scelta inviando la documentazione.

La procedura passo dopo passo

Il nuovo procedimento di revisione per l’accertamento della permanenza dell’invalidità civile è più semplice. Ricapitolando, per la nuova procedura i termini sono:

  • 4 mesi prima della visita comunicazione INPS con invito ad allegare la propria documentazione sanitaria;
  • 40 giorni dalla data in cui l’INPS ha spedito la lettera per inviare la documentazione.

Inoltre, senza invio della documentazione o se la documentazione non è sufficiente, si passa alla convocazione alla vecchia maniera. Si procede alla convocazione presso UOC (Unità Operativa Complessa) o UOS  (Unità Operativa Semplice).

App IO: cos’è, come scaricarla e quali servizi sono accessibili?

I tempi moderni sono frenetici e non sempre è semplice interagire con la Pubblica Amministrazione e soprattutto non perdere neanche una scadenza. L’App IO ha come obiettivo proprio questo, cioè facilitare l’interazione con la Pubblica Amministrazione e avere un pro-memoria per tutte le scadenze, inoltre può essere usata anche per effettuare i pagamenti e ricevere informazioni.

Cos’è l’App IO?

Grazie all’App Io la Pubblica Amministrazione entra nello smartphone di ogni utente. Si tratta di un applicativo sviluppato da Agenzia per l’Italia Digitale e può essere considerata una sorta di evoluzione di pagoPA. Con essa è possibile riunire in un unico canale tutte le comunicazione della PA, tra cui anche quelle degli enti locali. Ad esempio se c’è l’emissione di una cartella di pagamento, si riceve una notifica sull’APP, se c’è in scadenza il bollo auto idem. Per gli enti locali invece può essere comunicata, ad esempio, la scadenza della TARI o di altre imposte.

Per poter accedere a informazioni e scadenze relativi agli enti locali occorre però inserire questo tra le aree di proprio interesse. La maggior parte dei Comuni hanno provveduto ad adeguarsi a tale nuova tecnologia in caso contrario, il comune non sarà tra quelli disponibili attraverso questo sistema. Gli avvisi e le notifiche degli enti locali disponibili sull’APP IO dipendono da cosa è stato attivato dal singolo Comune.

Cosa si può fare con l’App IO

Per ogni atto notificato dall’App è possibile accedere all’ente che ha emesso l’atto stesso, quindi non si avrà semplicemente a portata di mano una nota sintetica, ma l’intero atto. Inoltre dall’App sarà possibile effettuare il pagamento, infatti è abilitata per i pagamenti aderenti alla piattaforma Pago PA. Effettuare i pagamenti è molto semplice, infatti basta inquadrare con la camera del proprio smartphone il QR Code presente sul bollettino cartaceo, oppure inserire il codice del pagamento.

Nell’app sarà comunque disponibile lo storico di tutti i pagamenti effettuati.

Sia chiaro, l’App non viene utilizzata solo per la notifica degli oneri dovuti, infatti può essere utilizzata anche per accedere ad agevolazioni e benefici, ad esempio per attivare la Carta Giovani Nazionale è necessario avere questa App e da essa è possibile visionare la lista degli sconti e delle agevolazioni a cui è possibile accedere.

Per conoscere i dettagli della Carta Giovani Nazionale, leggi la guida: Carta Giovani Nazionale: cos’è, come richiederla e come usarla. Guida

L’APP IO consente di ricevere la notifica anche nel caso di scadenza della carta di identità, del Pass ZTL e delle domande per iscrizione al nido. Inoltre si potrà ricevere una notifica per un’eventuale allerta meteo, nel caso in cui siano disponibili nuovi documenti oppure se si è nei pressi di una ZTL. Ogni utente può inoltre inserire ulteriori scadenze che non sono presenti nella App IO ma che per lui sono importanti.

Ulteriori funzioni saranno implementate a breve.

 

Come avere l’App IO

L’APP IO può essere scaricata su smartphone e dispositivi Android e iOS. Per attivarla è però necessario essere in possesso di un codice di identità digitale, si può usare una CIE, oppure uno SPID. Dopo la prima identificazione è possibile accedere semplicemente digitando il proprio PIN oppure optando per il riconoscimento biometrico con uso di impronta digitale o riconoscimento facciale.

L’APP IO non ha avuto fin da subito successo, molto probabilmente per una certa diffidenza degli italiani verso la tecnologia e verso la Pubblica Amministrazione in genere. Con alcune iniziative gli italiani sono stati incentivati a scaricarla. Ad esempio con il Bonus Vacanze poteva essere richiesto attraverso la App. Inoltre, durante la crisi pandemica, è stata un modo per essere in contatto con gli uffici pubblici nonostante la loro chiusura al pubblico. Le grafiche, come si può notare dalla immagini allegate, sono intuitive e semplici e questo sicuramente è un ulteriore vantaggio.

Autonomi che continuano a lavorare dopo la pensione: chi e quanti sono?

Sono in crescita i lavoratori autonomi e, nello specifico, i liberi professionisti che continuano a lavorare anche dopo essere andati in pensione. Il numero dei pensionati attivi è raddoppiato negli ultimi 15 anni. A eccezione dei geometri, tutti i professionisti iscritti alle Casse previdenziali continuano a lavorare anche dopo aver ottenuto il primo assegno di pensione. Soprattutto gli avvocati e i commercialisti, ma anche le altre libere professioni.

Lavoratori autonomi e liberi professionisti che continuano a lavorare dopo la pensione: quali tendenze?

La crescita del numero dei liberi professionisti che continua a lavorare anche dopo la pensione, rimanendo dunque attivi nel mondo del lavoro, è in costante aumento da 15 anni a questa parte. Nei quattro anni dal 2017 al 2020 (ultimo anno per il quale si hanno a disposizione dei dati), la crescita dei lavoratori autonomi pensionati ancora attivi è pari al 19%. La percentuale ricalca quella dei professionisti pensionati iscritti alle Casse previdenziali. I numeri degli ultimi quattro anni confermano una crescita che, in realtà, è iniziata già dal 2005. Una tendenza che, analizzandola, potrebbe andare a braccetto con le misure previdenziali introdotte nel corso degli ultimi decenni.

Liberi professionisti, quali sono quelli che lavorano di più dopo la pensione?

I numeri sui lavoratori autonomi e sui liberi professionisti pensionati ma ancora attivi nel mondo del lavoro sono stati forniti da Adepp. Se per i geometri si riscontra una flessione tra chi continua a lavorare dopo la pensione, i numeri sono in crescita per tutti gli altri professionisti. I biologi e i medici non dipendenti, ad esempio, mostrano una crescita del 42%. Ma i numeri più alti si riscontrano tra i veterinari, attivi dopo la pensione con crescita del 75% dei casi negli ultimi quattro anni.

Quanti sono i liberi professionisti che preferiscono continuare a lavorare anche dopo la pensione?

In totale, dunque, su un numero pari a 150.9891 pensionati tra i professionisti nel 2020, corrispondenti al 21% del totale dei pensionati, gli attivi nello stesso anno sono stati 81.697. Ovvero il 54% medio dei liberi professionisti iscritti alle Casse previdenziali ha preferito continuare a lavorare anche dopo la pensione. Il dato esprime, negli ultimi quattro anni, la crescita del 21% del numero dei professionisti andati in pensione e, parallelamente, l’aumento del 19% di chi rimane a esercitare la professione. È possibile prevedere una classifica dei professionisti che maggiormente tendono a rimanere a lavoro dopo la pensione.

Commercialisti, psicologi e avvocati, quanti rimangono a lavorare dopo la pensione?

I commercialisti iscritti alla Cassa previdenziale che nel 2020 sono andati in pensione sono stati pari a 6.364, dei quali 4.756 hanno continuato a lavorare. Il rapporto tra pensionati attivi sul numero di pensionati è pari, dunque, al 75%. Ciò significa che tre commercialisti su quattro preferiscono continuare a lavorare dopo la pensione. Percentuali in linea anche quelle degli psicologi dell’Enpap (4.842 in pensione nel 2020 ma 3.371 ancora a lavoro) con un rapporto tra attivi su pensionati pari al 70%. E degli avvocati: 19.819 in pensione nel 2020 ma 13.735 rimasti a lavoro per una percentuale attivi/pensionati del 69%.

Architetti, ingegneri e ragionieri: quanti preferiscono continuare a lavorare dopo la pensione?

A scorrere la classifica si ritrovano gli architetti e gli ingegneri dell’Inarcassa. A fronte di 22.869 pensionamenti nel 2020, il numero dei professionisti rimasti a lavoro è stato pari a 15.657. I rapporto tra pensionati attivi su pensionati è pari al 68%. A seguire i medici liberi professionisti dell’Enpam. Su 44.699 nuovi pensionati nel 2020, 24.950 sono rimasti a lavorare (il 56%). I ragionieri iscritti alla Cassa previdenziale andati in pensione nel 2020 sono stati 7.293, metà dei quali (49%) hanno preferito continuare a lavorare (3.539).

Tutte le libere professioni e quanti lavorano dopo la pensione

A seguire nella classifica dei liberi professionisti che rimangono a lavoro anche dopo essere andati in pensione si ritrovano:

  • i biologi dell’Enpab (1.610 in pensione, 710 rimasti a lavoro, il 44% degli attivi rispetto ai pensionati);
  • i periti industriali (4.413 in pensione, 1.963 ancora attivi, pari al 44%);
  • i pluricategorie (2.704 in pensione, 1.353 ancora attivi pari al 41%);
  • i consulenti del lavoro (8.427 in pensione, 3.641 rimasti a lavoro, il 43% ancora in attività);
  • i periti agrari (602 in pensione, 234 ancora attivi pari al 39%);
  • i geometri (19.094 in pensione, 6.635 ancora attivi ma in discesa del 7%, il 35% del totale dei nuovi pensionati continua a esercitare la professione);
  • gli agrotecnici (39 in pensione, 12 ancora attivi pari al 31%);
  • gli infermieri dell’Enpapi (2.776 in pensione, 419 ancora attivi pari al 15%);
  • i veterinari dell’Enpav (4.873 in pensione, 722 ancora attivi con percentuale di crescita del 75% per un totale del 15% dei nuovi pensionati ancora attivi).

Invalidità civile: come presentare la domanda e tempi di attesa per la visita

L’invalidità civile viene riconosciuta a coloro che hanno una disabilità e permette di accedere ad agevolazioni, contributi economici e tutele di varia natura in base al grado di disabilità. Scopriamo ora qual è l’iter da sostenere per poter accedere a questo beneficio.

Come presentare la domanda per l’invalidità civile?

La richiesta di riconoscimento dell’invalidità civile può avere input dalla persona che dovrebbe beneficiarne, in caso di minore da parte del genitore o del tutore, il secondo può dare l’input anche nel caso di soggetto interdetto, infine dal curatore per la persona inabilitata.

Per poter presentare la domanda è necessario recarsi dal medico curante che deve compilare il certificato online, lo stesso deve indicare i dati anagrafici del paziente e la patologia (o le patologie) per la quale si richiede l’invalidità civile e naturalmente deve indicarne la diagnosi. Il medico in questa fase deve indicare i codici nosologici internazionali (ICD-9). Deve inoltre indicare se si è in presenza di patologie stabilizzate o di gravità tale da dare diritto alla non rivedibilità. Infine, deve indicare se il paziente è affetto da patologia oncologica.

Al termine dell’inoltro viene rilasciata una ricevuta con codice univoco del certificato della procedura attivata. Il medico deve stampare tale ricevuta e consegnarla all’interessato che dovrà poi presentarla alla commissione medico competente al momento delle visita, insieme all’attestato di trasmissione (che deve consegnare sempre il medico al termine della fase di inoltro della domanda) e l’eventuale certificato di non trasportabilità con richiesta di visita a domicilio.

Inoltro della domanda sul sito INPS

Terminata questa prima fase, il richiedente il beneficio deve inoltrare all’INPS, entro 90 giorni, la domanda di riconoscimento dell’invalidità civile. Questa operazione deve essere compiuta telematicamente, può essere fatta personalmente o avvalendosi di patronati o enti abilitati, come le associazioni di categoria. Durante la fase di compilazione della domanda è necessario prestare attenzione, la stessa infatti deve essere completata in ogni sua parte, ma soprattutto deve essere indicato in modo esatto il numero del certificato rilasciato dal medico, cioè il codice univoco di cui abbiamo parlato in precedenza, in questo modo l’INPS abbina l’inoltro fatto dal medico alla domanda presentata dall’interessato e ha una documentazione completa.

L’interessato deve indicare i suoi dati anagrafici con codice fiscale, nome, cognome, luogo di nascita, data di nascita, indirizzo di residenza, deve indicare se si trova ricoverato in una struttura e l’indirizzo e-mail per ricevere eventuali comunicazioni dall’INPS, oltre al recapito telefonico. Terminato l’inoltro, l’interessato in ogni momento accedendo alla propria pagina personale sul sito dell’INPS, in questo caso è necessario identificarsi con SPID, CIE o CNS, è possibile controllare in ogni momento lo stato della domanda. Al termine dell’inoltro, l’INPS invia una ricevuta con indicato il numero di protocollo e la data dell’inoltro.

La visita della Commissione

A questo punto l’INPS trasmette la domanda all’ASL competente per territorio che generalmente entro 30 giorni dovrebbe comunicare la data prevista per la visita. In base alla normativa prevista, nel caso in cui il paziente sia portatore di patologia oncologica la visita deve essere fissata nell’arco di 15 giorni (legge 80 del 2006, articolo 6).

L’invito alla visita viene inviato con posta raccomandata oppure con posta elettronica, inoltre sul sito dell’INPS nella propria pagina è sempre possibile controllare la data prevista per la visita. Nell’invito sono indicati anche i documenti da portare.

Nel caso in cui il paziente non sia trasportabile, il medico curante, almeno 5 giorni prima rispetto a quello in cui è fissata la visita, deve inoltrare il certificato medico di richiesta di visita domiciliare. Il presidente della Commissione Medica deve quindi pronunciarsi sulla non trasportabilità e dare comunicazione della data in cui è prevista la visita domiciliare e l’orario. Nel caso in cui invece ritenesse non sussistenti i motivi di non trasportabilità dovrà indicare una nuova data per la visita ambulatoriale.

Cosa succede se non mi presento alla visita per l’invalidità civile?

In caso di assenza ingiustificata, la Commissione provvederà a fissare un nuovo appuntamento e a comunicarlo. Al verificarsi di due assenze consecutive, la domanda si intende rinunciata e quindi sarà necessario riprendere nuovamente l’iter dall’inizio.

Come è formata la Commissione ASL?

La Commissione ASL è una Commissione Medica Integrata composta da un medico specializzato in medicina legale e ulteriori due medici, di cui uno specializzato in medicina del lavoro. La Commissione è inoltre integrata da un medico INPS e un sanitario in rappresentanza dell’Associazione nazionale dei mutilati ed invalidi civili (ANMIC). Alla visita il “paziente” può farsi assistere da un medico di sua fiducia, nella maggior parte dei casi si predilige un professionista specializzato in medicina legale.

La percentuale di invalidità si calcola tenendo in considerazione le “tabelle dell’invalidità civile” contenute nel Decreto del Ministero della Sanità del 5 Febbraio 1992. Queste indicano per ogni patologia un diverso punteggio, inoltre per ogni patologia sono previsti diversi gradi di gravità che danno luogo a un punteggio diverso.

Al termine della visita la commissione redige il verbale con esito della visita, codici delle patologie, eventuale rivedibilità.

Occorre ricordare che l’INPS con il Messaggio 926 del 2022 ha reso operativo le nuove regole per la visita per l’invalidità civile con la possibilità di ottenere riscontro alla prima istanza e in fase di revisione con i soli documenti allegati.

Per conoscere il dettaglio delle nuove norme, leggi l’articolo: Invalidità civile: nuove procedure per le visite di prima istanza e di revisione

Riforma pensioni stop: Fornero e basta nel 2023

Ci si è messa pure la guerra a rimandare tavoli e summit in materia previdenziale e per le pensioni. Purtroppo, il già delicato momento che abbiamo vissuto col Covid, è peggiorato per via della guerra in Ucraina.
Si ripete la storia del 2020 e del 2021, quando l’emergenza epidemiologica cambiò le priorità del governo. E le pensioni indietreggiarono nell’agenda governativa.
Adesso il conflitto tra Russia e Ucraina sortisce il medesimo effetto.
E si rischia seriamente che il 2022 passerà come gli altri anni, senza grandi novità. E forse, pure con qualcosa in meno sul capitolo pensioni.

Riforma pensioni stop, ci si prepara al ritorno pieno alla Fornero

Senza grandi interventi in materia pensionistica dal 2023 si corre il rischio di vedere il pieno ritorno al regime Fornero, con quella scialuppa di salvataggio, per lo più deludente, di quota 102.
Infatti, come si legge dalle pagine del quotidiano “Il Giornale”, il tavolo governo-sindacati che avrebbe dovuto aprire alla riforma delle pensioni, è sospeso.
Le problematiche geopolitiche e la crisi Ucraina la fanno da padrona come operato del governo.
Difficile completare il progetto che voleva un primo assaggio di ciò che accadrà, nel Def (Documento di Economia e Finanza) di aprile.
Ma il perdurare del conflitto rischia di rendere improponibile perfino l’apparecchiare la riforma per la legge di Bilancio prossima.
Ed a rischio finiscono pure le conferme di Ape sociale e Opzione donna.

Unica variante, la quota 102 per tutti

Si resterebbe sostanzialmente con due possibili scenari. Le vie di pensionamento ordinario con pensione di vecchiaia e pensione anticipata, e due scivoli, uno per ciascuna di esse, cioè la
quota 102 e la quota 41 precoci.
Ben più di un allarme quello prodotto dal quotidiano prima citato. Stando così le cose, il più probabile scenario è quello di una conferma della quota 102, con 64 anni di età e con 38 anni di contributi. Resterebbe questa l’alternativa alla  pensione di vecchiaia. Ma a fronte di 3 anni di anticipo come età, la contribuzione minima necessaria sarebbe quasi il doppio, da 20 a 38 anni.
Una cosa simile il rapporto tra quota 41 e pensile anticipata ordinaria. Mentre la seconda si completa con 42 anni e 10 mesi di versamenti effettuati per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, più favorevole la prima.
Difatti bastano 41 anni di contributi versati, senza differenze di genere. Inoltre, occorre fare i conti con una serie piuttosto rigida e particolare di paletti e requisiti.
La quota 41 infatti è alternativa alla pensione anticipata ordinaria, ma è limitata a disoccupati, invalidi, caregivers e 15 attività di lavoro gravoso. Inoltre, dei 41 anni di contributi richiesti, almeno uno deve essere antecedente il 19imo anno di età.