Scalapay, che cos’è e come funziona?

Si sta sempre diffondendo, tra i metodi di pagamento, il “Compri ora e paghi poi”. Tra i sistemi di pagamento rientranti tra le offerte degli operatori si ritrova Scalapay. Bastano pochi click per attivare il procedimento che si conferma facile e immediato. Con Scalapay, inserendo immediatamente i dati della carta, si ottiene da subito il saldo suddiviso in tre rate. È uno dei metodi di pagamento di beni non essenziali sia per comprare on line che nei negozi fisici.

Tra i metodi di pagamento Bay now pay later c’è Scalapay: compra adesso e paghi dopo

Scalapay rientra nei metodi di pagamento “Bay now pay later” (Bnpl), ovvero “Compra adesso e paghi dopo”. Si può differire il pagamento grazie al piano di rateazione di piccoli importi senza che su di essi siano applicati degli interessi o costi di transazione per chi compra. Il metodo di pagamento rateale è utilizzato soprattutto sulle piattaforme di market place, senza che vengano richiesti gravosi adempimenti burocratici. Infatti, quasi sempre, i controlli sulla capacità di rimborsare le tre rate previste sono pressoché poche. In generale, la procedura per il pagamento dura pochi minuti se si paga con la Visa Gold. Ma si può utilizzare anche una carta prepagata.

Bay now pay later, quali vantaggi ha il venditore?

Le condizioni di vendita e di pagamento utilizzate da chi vende il bene fanno pensare a quale possa essere il vantaggio per il venditore utilizzando un metodo di pagamento Buy now pay later, ovvero il servizio Scalapay. Anche il venditore ottiene il suo vantaggio. Con una commissione piuttosto limitata, incassa subito il pagamento o nel giro massimo delle successive 48 ore. Inoltre, il venditore non va incontro al rischio di insoluto. Il fenomeno dei metodi di pagamento Compra adesso e paghi dopo stanno avendo notevole utilizzo grazie allo sviluppo del commercio elettronico. Il valore complessivo delle transazioni del 2021 si è aggirato in circa due miliardi di euro. Si attende una crescita annuale del 40% fino a raggiungere transazioni per 10 miliardi di euro nel 2025.

Scalapay, come utilizzare il metodo di pagamento a rate?

Uno dei maggiori player della scena internazionale per i pagamenti Compra adesso e paghi dopo è Scalapay. Rappresenta un modo per suddividere la spesa per l’acquisto effettuato (soprattutto on line) in tre rate. Tuttavia, presto Scalapay prevederà la possibilità di poter pagare fino a 4 rate mensili. L’importo massimo della transazione può arrivare a 1.000 euro. Il servizio, inoltre, è totalmente gratuito per il cliente che effettua acquisti. È il venditore che paga una commissione che può andare dal 3,5% al 6%. Tuttavia, il venditore riceve nell’immediato l’importo pagato da chi ha effettuato l’acquisto.

Scalapay, quali sono i passaggi per procedere con il pagamento?

Per poter procedere con il pagamento mediante Scalapay, il soggetto che effettua acquisti on line deve procedere con il selezionare l’opzione di pagamento preferita. In tal caso, l’opzione “Scalapay” va selezionata nel momento in cui si effettua il check out. Risulta necessaria la registrazione. In tal caso vanno immessi i dati della carta di credito del compratore. Ma si può procedere anche con l’inserimento dei dati della carta di debito oppure di una prepagata. In automatico, il saldo rappresentato dal prezzo del bene o dei beni acquistati, viene suddiviso in 3 rate.

Scalapay, quando vanno pagate le rate con l’addebito?

Il pagamento della prima rata di Scalapay per un bene acquistato avviene all’istante. La seconda e la terza rata, invece, vengono addebitate a distanza di un mese, l’una dall’altra, rispetto alla prima. Nel caso in cui il pagamento avviene in un negozio fisico, il cliente deve registrarsi al portale di Scalapay. Per l’acquisto occorre selezionare il retail presso il quale si effettua l’acquisto e la spesa prevista. Il sistema Scalapay genera, dunque, un codice a barre che deve essere presentato alla cassa per il pagamento. Avviene dunque alla cassa il completamento della transazione per ciò che si acquista.

Scalapay, le novità in arrivo per i metodi di pagamento

Oltre alla possibilità di suddividere in quattro rate mensili (la prima va pagata all’istante, le altre a distanza di un mese l’una dall’altra), presto arriveranno delle novità sul metodo di pagamento Scalapay. Infatti, è previsto uno snellimento del sistema di identificazione del cliente che verrà collegato ai dati anagrafici. Nel caso in cui il cliente non paga, l’account viene bloccato. Oppure, si cerca un accordo con il team di supporto. L’insoluto, in ogni caso, fa sapere uno dei fondatori di Scalapay Simone Mancini, si aggira intorno alla percentuale dell’1%.

Scalapay, quali alternative in Italia? Ecco PagoLight di Compass

In Italia l’alternativa principale a Scalapay si chiama PagoLight di Compass. A luglio dello scorso anno, il metodo di pagamento Compass aveva raggiunto le 45 mila richieste per una cifra di transazioni pari a 30 milioni di euro circa. Gli importi spesi dai clienti partono, mediamente, dai 100 o 150 euro, per raggiungere cifre più alte, soprattutto nei settori del fashion, del beauty e del wellness.

Contributi volontari INPS: si può chiedere la restituzione?

I contributi volontari sono uno strumento messo a disposizione dall’INPS per poter integrare i versamenti contributivi nei periodi di inoccupazione. Cercheremo ora di capire se è possibile chiedere la restituzione dei versamenti di contributi volontari.

In quali casi si versano i contributi volontari?

Sono diversi i motivi che possono portare una persona a scegliere di versare contributi volontari, ad esempio nel caso in cui sia vicino a raggiungere i requisiti per la pensione di vecchiaia, ma perde il lavoro e non ha raggiunto il minimo dei venti anni previsti.

Oppure quando si è vicini a raggiungere il requisito contributivo, ma si perde il lavoro. In questi casi viene concessa la possibilità di versare contributi volontari e quindi raggiungere il tanto agognato traguardo della pensione. Deve essere sottolineato che essi possono essere versati solo limitatamente a periodi di inoccupazione. Naturalmente è conveniente solo nel caso in cui manca poco a raggiungere l’obiettivo, infatti se è necessario integrare molte settimane contributive, il peso economico potrebbe essere davvero rilevante.

Perché chiedere la restituzione degli importi versati?

Ci sono però dei casi in cui il contribuente può avere la necessità di recuperare le somme già versate, potrebbe ad esempio accadere che per motivi economici non riesca più a sostenere il peso del versamento dei contributi e quanto già versato sia insufficiente a maturare il diritto alla pensione, di conseguenza i soldi già versati per i contributi volontari risultano persi.

Può inoltre capitare che ci sia stato un errore di calcolo e quindi il soggetto in realtà non aveva bisogno di versare quegli oneri. Infine, il contribuente potrebbe decedere prima di maturare i requisiti per la pensione quindi tali versamenti potrebbero essere stati inutili, in questo caso potrebbero essere i familiari a voler recuperare le somme. Il contribuente a questo punto si chiede: posso recuperare i contributi volontari già versati?

La risposta è no. Questo per il principio generale in materia di assicurazioni sociali che si applica anche all’INPS. Di conseguenza i contributi incamerati e non utilizzati non devono essere restituiti. Questo non implica che le somme siano perse, infatti i contributi versati contribuiscono comunque a modificare l’importo della pensione, ad esempio se per errore sono stati versati più di 20 anni di contributi, comunque questo consente di avere un assegno maggiore. L’eventuale decesso invece porta comunque un eventuale titolare del diritto alla pensione superstiti a poterne beneficiare. Nel caso in cui la contribuzione volontaria sia stata versata a una gestione diversa rispetto a quella in cui è stata maturata la pensione è possibile chiedere l’erogazione di una pensione supplementare.

Casi in cui è possibile richiedere la restituzione dei contributi volontari

Ci sono però tre casi in cui il contribuente può ottenere la restituzione delle somme. Ora vediamo quali.

Le tre ipotesi di obbligo di restituzione dei contributi volontari da parte dell’INPS sono disciplinate dal DPR 1432 del 1971 all’articolo 10. Si tratta dei casi in cui i versamenti sono indebiti perché:

  • versati in ritardo rispetto alla data prevista per l’assolvimento;
  • in contrasto con le disposizioni dello stesso decreto 1472, ad esempio perché il soggetto è già titolare di pensione diretta;
  • infine, nel caso in cui i periodi per i quali il soggetto versa i contributi volontari è in realtà già coperto da contribuzione effettiva o figurativa (ad esempio i periodi in cui si gode di cassa integrazione).

Oltre queste tre possibilità il contribuente che ha versato contributi volontari non può chiederne la restituzione anche se dovesse accorgersene che questa contribuzione è stata in realtà inutile.

Sei interessato al pagamento di contributi volontari? Per sapere in quali casi si può fare e quanto costa, leggi l’articolo: Contributi volontari pensione: quando, come si versano e quanto costa

 

Cartella esattoriale, come si legge e cosa fare dopo averla ricevuta

La cartella esattoriale è la paura di molti italiani, e quando arriva al suo interno ci sono sempre dolori, alcune indicazioni in merito.

Cartella esattoriale, cos’è?

La cartella esattoriale è un terrore degli italiani, liberi professionisti e commercianti. Contiene al suo interno una richiesta di pagamento. E’ un atto che l’Agenzia delle entrate-Riscossione invia ai contribuenti al fine di recuperare i crediti vantati dagli enti impositori. Infatti tramite una cartella esattoriale possono richiedere i propri soldi la stessa Agenzia delle entrate, i Comuni, l’INPS, e la pubblica amministrazione in generale.

La cartella esattoriale contiene la descrizione delle somme dovute all’ente creditore. Al suo interno vi è sempre una lettera di accompagnamento che indica i termini in cui provvedere al pagamento, la data di notifica e le informazioni sulle modalità di pagamento. Inoltre sono anche definite le istruzioni per la sospensione, il ricorso o per richiedere una eventuale rateizzazione.

Dall’iscrizione al ruolo alla consegna al debitore

La cartella esattoriale prima di arrivare nelle mani del debitore, com’è noto, ha un percorso che parte dall’accertamento del debito. Infatti una volta accertato viene iscritto al ruolo. Il ruolo non è altro che un elenco che contiene tutti i nominativi dei debitori (ben definiti), la tipologia del credito e le relative somme dovute.

Il ruolo formato dall’ente viene trasmesso all’Agenzia delle entrate-Riscossione. Quest’ultima ha il compito di provvedere a notificare le cartelle, riscuotere le somme indicate, concedere la rateizzazione e valutare le varie situazioni. In particolare l’Agente della riscossione può, a seguito di istanza del contribuente, concedere la rateizzazione della cartella ai sensi dell’art. 19 del D.P.R. 602/73, salvo diverse indicazioni dell’ente creditore.

Tuttavia una volta ricevuto il pagamento del debito, l’Agenzia delle entrate lo riversa all’ente che lo aveva emesso per la chiusura della situazione debitoria. Mentre nel caso di mancato pagamento, avvia le procedure cautelari o esecutive per il recupero delle somme dovute.

Come si leggono i documenti ricevuti

Quando si riceve una cartella è opportuno saper leggere i documenti che ci sono all’interno. Nella prima pagina è indicato, in alto a sinistra, il numero identificativo dell’atto, e sotto il creditore. Mentre nel lato a desta, sono riportati i dati del destinatario e l’eventuale indicazione della qualità di coobbligato. Si tratta di colui che è il soggetto tenuto al pagamento in pari grado insieme ad altro o ad altri soggetti.

Sempre nella prima pagina sono riportati:

  • i riferimenti degli enti creditori che hanno affidato all’Agenzia delle entrate-Riscossione l’incarico di riscuotere i ruoli contenuti nella cartella di pagamento e ai quali è necessario rivolgersi per avere informazioni o approfondimenti sulla natura del tributo e sulla correttezza delle somme dovute (a sinistra);
  • la causale del debito (parte centrale) e la somma da pagare distinta per ente creditore e l’importo da corrispondere per il rimborso dei diritti di notifica (a destra).

Tuttavia nelle pagine successive sono indicate le modalità sia per la sospensione, per la rateizzazione e per la riscossione. Infine viene anche indicato da quale ente è stato emesso il ruolo e il dettaglio delle somme da pagare.

 

Bonus facciate eco e non eco: ecco quali visti e asseverazioni sono necessari

Quali visti e asseverazioni sono necessari per il bonus facciate “eco” e “non eco” ai fini del beneficio della detrazione fiscale diretta, dello sconto in fattura o della cessione dei crediti di imposta? Ecco in rassegna quali adempimenti sono richiesti ai contribuenti che vogliano far svolgere lavori di bonus facciate alla luce anche dei recenti cambiamenti normativi intercorsi con la legge di Bilancio 2022 e con i vari decreti “Antifrodi” e “Frodi”.

Bonus facciate, quali interventi sono previsti e quali asseverazioni bisogna fare?

Il bonus facciate prevede la detrazione fiscale Irpef e Ires, o la cessione del credito di imposta o lo sconto in fattura, per una percentuale pari al 90% per i lavori svolti nel 2020 e nel 2021. A partire dal 2022 la percentuale di detrazione fiscale è scesa al 60%. La misura è disciplinata dai commi dal 219 al 224 dell’articolo 1. della legge numero 160 del 2019.

Bonus facciate 2022, quali asseverazioni sono previsti per i requisiti tecnici in caso di detrazione fiscale diretta?

In caso di detrazione fiscale diretta del bonus facciate nella dichiarazione dei redditi o nel modello 730, è necessaria l’asseverazione dei requisiti tecnici. In particolare, l’asseverazione deve essere rilasciata alla conclusione dei lavori. Fanno eccezione gli eventuali stati di avanzamento dei lavori (Sal), ai fini dell’opzione o al termine dell’anno per gli interventi infrannuali. Non è occorrente l’utilizzo dell’Allegato B del decreto sulle asseverazioni del ministero per lo Sviluppo Economico (Mise) del 6 agosto del 2020. Pertanto, all’Enea deve essere inoltrata la scheda tecnica “ecobonus”. La scadenza per inviare il documento è fissata in 90 giorni dal giorno di conclusione dei lavori. Tale asseverazione va ottemperata non solo nel caso di detrazione fiscale diretta, ma anche nei casi di cessione dello sconto in fattura o di cessione dei crediti di imposta.

Asseverazione di congruità delle spese per il bonus facciate in caso di detrazione fiscale diretta

Per gli interventi rientranti nel bonus facciate, nel caso di detrazione fiscale diretta nella dichiarazione dei redditi o nel modello 730, è dovuta anche l’asseverazione di congruità delle spese sostenute. L’asseverazione è necessaria solo alla conclusione dei lavori effettuati, per gli interventi iniziati a decorrere dalla data del 6 ottobre del 2020. In questo caso, l’asseverazione è già contenuta nell’asseverazione tecnica necessaria alla conclusione dei lavori. Fanno eccezione gli eventuali stati di avanzamento dei lavori (Sal) o al termine dell’anno per gli interventi infrannuali. L’asseverazione quindi non va inoltrata all’Enea, ma solo quella tecnica.

Congruità delle spese sostenute nel bonus facciate, quale asseverazione va inviata per la cessione del credito di imposta o per lo sconto in fattura?

Diverso è il caso di asseverazione di congruità delle spese sostenute per gli interventi effettuati in regime di bonus facciate per la scelta dell’opzione, ovvero per lo sconto in fattura o per la cessione del credito di imposta. In questi casi, è necessaria l’asseverazione di congruità delle spese a decorrere dal 12 novembre 2021, giorno di entrata in vigore del decreto “Antifrodi”. L’asseverazione è contenuta nell’asseverazione tecnica alla conclusione degli interventi (e non va inviata all’Enea). È possibile anche l’asseverazione in carta libera per le operazioni inerenti gli stati di avanzamento dei lavori (Sal).

Visti di conformità delle spese nel caso di bonus facciate: quando sono occorrenti?

Per quanto attiene ai visti di conformità delle spese dei lavori rientranti nel bonus facciate, è necessario considerare che:

  • il visto di conformità non è necessario nel caso di detrazione fiscale diretta nel modello di dichiarazione dei redditi o di 730;
  • risulta necessario il visto di conformità delle spese nel caso di sconto in fattura o di cessione del credito di imposta a partire dal 12 novembre 2021.

Bonus facciate ‘non eco’: quali interventi interessano e quali asseverazioni sono necessarie?

Il bonus facciate con la detrazione fiscale originaria del 90% rientra in quelli che vengono definiti interventi “non eco”. Per questi interventi, non risultano necessarie:

  • l’asseverazione dei requisiti tecnici sia nel caso di detrazione diretta nella dichiarazione dei redditi o nel modello 730;
  • la cessione del credito di imposta o lo sconto in fattura non necessitano dell’asseverazione dei requisiti tecnici.

Asseverazione di congruità delle spese per il bonus facciate ‘non eco’ per dichiarazione redditi o sconto in fattura e cessione del credito

A partire dal 12 novembre 2021 è necessaria l’asseverazione di congruità delle spese anche per gli interventi rientranti nel bonus facciate ‘non eco’. Il che significa che si fa l’asseverazione sia se si tratta di opzione dello stato di avanzamento dei lavori che alla conclusione degli interventi per ottenere lo sconto in fattura o per procedere con la cessione del credito di imposta. Inoltre l’asseverazione va fatta in carta libera. Non necessita dell’asseverazione di congruità delle spese la detrazione fiscale diretta nella dichiarazione dei redditi o nel modello 730.

Visto di conformità delle spese nel caso di bonus facciate: quando sono occorrenti?

Per quanto attiene ai visti di conformità delle spese dei lavori rientranti nel bonus facciate ‘non eco’, è occorrente considerare che:

  • il visto di conformità non è necessario per la detrazione fiscale diretta nel modello di dichiarazione dei redditi o in quello del 730;
  • risulta occorrente il visto di conformità delle spese per lo sconto in fattura o per la cessione del credito di imposta a partire dal 12 novembre 2021.

Pensione di vecchiaia, come cambia l’età di uscita dal 2022 al 2030

Arrivano novità sull’età di uscita della pensione di vecchiaia. Nei giorni scorsi, infatti, sono state rese note le proiezioni della Ragioneria generale dello Stato in merito alla speranza di vita e alla possibilità che il requisito anagrafico della pensione di vecchiaia rimanga congelato fino al 2026. Il che significa che, per andare in pensione, serviranno 67 anni di età, unitamente a 20 anni di contributi, fino al 31 dicembre 2026. Poi l’età della pensione continuerà a salire ogni due anni.

Pensione di vecchiaia, età bloccata sicuramente a 67 anni fino al 31 dicembre 2024

La novità sulle pensioni di vecchiaia arriva dal Documento sulle tendenza del medio e del lungo periodo del sistema pensionistico, sociale e sanitario della Ragioneria Generale dello Stato. Il rapporto sintetizza l’andamento della speranza di vita e dei requisiti necessari per andare in pensione. Tali requisiti dovrebbero rimanere costanti anche nel biennio del 2025 e del 2026. Infatti, proprio nelle scorse settimane l’età della pensione di vecchiaia era stata confermata a 67 anni anche negli anni 2023 e 2024. Tale conferma è arrivata dal decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze del 27 ottobre 2021, poi reso operativo dall’Inps con la circolare numero 28 del 18 febbraio 2022. In base a quanto stabilito dal ministero, l’età della pensione di vecchiaia rimarrà congelata a 67 anni fino al 31 dicembre 2024.

Pensioni di vecchiaia nel biennio 2025 e 2026: ecco le tendenze della speranza di vita che fanno pensare al blocco età

Il congelamento dell’età della pensione di vecchiaia anche oltre il 2024 dovrà risultare dalle tendenze demografiche e della speranza di vita che verranno rilevate e confermate nei prossimi anni. Ad oggi, il Documento della Ragioneria Generale dello Stato costituisce una base solida per le proiezioni della speranza di vita. Il congelamento anche al 2025 e 2026 dell’età di uscita per la pensione deriverebbe dall’entrata nel calcolo della speranza di vita degli anni 2020 e 2021, segnati dal cambio di tendenza della mortalità a causa della pandemia da Covid-19.

Pensione di vecchiaia, a che età si potrà uscire da lavoro dal 2027 al 2030?

Per effetto del Rapporto della Ragioneria Generale dello Stato, dunque, l’età della pensione di vecchiaia dovrebbe tornare a salire solo a partire dal 1° gennaio 2027. E dovrebbe tornare ad aumentare ogni due anni a seconda delle stime sulla speranza di vita osservate nei prossimi anni. Per effetto delle stime pubblicate nel rapporto nei giorni scorsi, l’età della pensione di vecchiaia rimarrà costante fino al 31 dicembre 2026 a 67 anni. Poi, nei due anni del 2027 e 2028 dovrebbe salire di 2 mesi, decretando l’età di uscita a 67 anni e due mesi. Più consistente sarebbe l’aumento nel 2029 e 2030, quando si accederà alla pensione di vecchiaia all’età di 67 anni e 5 mesi, con un aumento di tre mesi.

Pensioni di vecchiaia, le proiezioni della Ragioneria Generale dello Stato negli anni dal 2030 al 2065

Peraltro, la Ragioneria Generale dello Stato ha stimato anche l’aumento dell’età per la pensione di vecchiaia nei decenni successivi al 2030. Per effetto delle stime pubblicate nel rapporto, per andare in pensione occorrerà l’età di:

  • 68 anni e due mesi a partire nel 2035;
  • 68 anni e sei mesi nel 2040;
  • 69 anni nel 2045;
  • 69 anni e 4 mesi nel 2050;
  • 69 anni e 9 mesi nel 2055;
  • 70 anni nel 2060;
  • 70 anni e 4 mesi nel 2065.

Pensioni anticipate, quanti anni di contributi serviranno per uscire da lavoro fino al 2026?

Se l’età della pensione di vecchiaia è ancora in bilico nel biennio 2025-2026, per la pensione anticipata fino al 31 dicembre 2026 serviranno:

  • 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini;
  • 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne.

Il blocco dei requisiti contributivi, a prescindere dell’età di uscita da lavoro, è stato decretato dal provvedimento numero 4  del 2019. Si tratta del decreto che ha istituito la quota 100. Per effetto del provvedimento, dunque, i contributi per le pensioni anticipate rimarranno congelati ancora per oltre quattro anni.

Pensione anticipata, come cambieranno i contributi per uscire da lavoro dal 2027?

Solo a partire dal 1° gennaio 2027 potranno cambiare gli anni di contributi richiesti per le pensioni anticipate. In particolare, il Documento della Ragioneria Generale dello Stato stima gli aumenti dei bienni:

  • 2027 e 2028: 43 anni di contributi per gli uomini, 42 per le donne;
  • 2029 e 2030: 43 anni e 3 mesi di contributi per gli uomini, 42 anni e 3 mesi per le donne;
  • 2035: 44 anni di contributi per gli uomini, 43 anni per le donne;
  • 2040: 44 anni e 4 mesi di contributi per gli uomini, 43 anni e 4 mesi per le donne;
  • 2045: 44 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 43 anni e 10 mesi per le donne;
  • 2050: 45 anni e 2 mesi di contributi per gli uomini, 44 anni e 2 mesi per le donne;
  • 2055: 45 anni e 7 mesi di contributi per gli uomini, 44 anni e 7 mesi per le donne;
  • 2060: 45 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 44 anni e 10 mesi per le donne;
  • 2065: 46 anni e 2 mesi di contributi per gli uomini, 45 anni e 2 mesi per le donne.

Leggi anche sullo stesso argomento: La riforma delle pensioni perfetta: ecco come sarebbe

Cattivo pagatore: ecco come si finisce nelle liste nere

La crisi economica di oggi non potrà non influire sull’aumento delle problematiche economiche delle famiglie. Le spese che aumentano, le tasse da pagare, l’aumento del costo di beni di prima necessità ma non solo. E aumenteranno le richieste di aiuto di queste famiglie. Tradotto in termini pratici, chiedere un prestito, un finanziamento per l’acquisto di un bene necessario, saranno pratiche sempre più diffuse e adottate. Essere in una lista nera come cattivo pagatore potrebbe essere un gravissimo problema per molti.

Esistono infatti delle liste dove finiscono persone che nel passato, anche lontano, hanno avuto problemi con il pagamento di prestiti e finanziamenti. E finire in questi elenchi porta inevitabilmente a essere bloccati quando si va a richiedere nuovi finanziamenti, prestiti o fidi. Sono le regole del sistema finanziario, con i soggetti che prestano i soldi che vogliono essere sicuri di prestarli ad altri soggetti che onorano l’impegno della restituzione.

Cattivo pagatore e lista nera, come si finisce nell’elenco

Finire in una lista nera come cattivo pagatore è una spiacevole situazione. Nemmeno un telefonino può essere comperato a rate se l’acquirente che chiede la rateizzazione, è in una lista nera. Spiacevole trovarsi spalle al muro con una richiesta di rateizzazione fermata da un problema precedente con una finanziaria piuttosto che con una banca. Può sembrare un pericolo raro, ma a dire il vero interessa una moltitudine di persone, famiglie e imprese.

Non sono pochi gli interessati che in tempi più o meno recenti hanno avuto a che fare con periodi di crisi di liquidità tali da non aver potuto far fronte a rateizzazioni precedentemente spillate. E non è raro che questi stessi soggetti oggi si ritrovano a dover riaprire una linea di credito senza la possibilità di ottenerla.

Le liste del sistema bancario e finanziario

Ogni qual volta si chiede una linea di credito, un prestito, un finanziamento e così via, si finisce in una banca dati. Una lista costantemente aggiornata dalla Banca d’Italia e da altre società private.

Ad ogni apertura di credito, o meglio, a periodi prefissati, una banca o una finanziaria, trasmettono i dati all’archivio gestito come dicevamo, anche da Banca d’Italia.

Una lista che contiene tutte le informazioni sullo stato delle varie linee di credito dei clienti delle banche o delle società finanziarie. In pratica, finiscono in elenco tutti i soggetti che aprono finanziamenti. Privati, famiglie o imprese, sono tutti segnalati alla Banca d’Italia da parte della loro banca cliente. È il nome dell’archivio a dirla lunga sul perché viene aggiornato. Infatti si chiama “Centrale Rischi”.

Come detto, ci sono anche archivi gestiti da società private che hanno la medesima funzione. Parliamo del CRIF o del Cerved, che sono a tutti gli effetti Società di Informazioni Creditizie.

Elenchi, liste e archivi che servono per differenziare la potenziale clientela delle aziende che concedono fidi e prestiti, in base al rischio. Un rischio derivante dal loro trascorso, ovvero, da come si sono comportanti con i precedenti prestiti ottenuti.

Liste cattivi pagatori non esistono nel vero senso della parola

Si chiamano liste dei cattivi pagatori ma a dire il vero sono elenchi generali dove confluiscono pure quelli che non hanno mai avuto problemi con il rimborso delle rate. Scopo definitivo di questi archivi è il mettere a disposizione di chi svolge l’attività creditizia, le informazioni sulla virtuosità dei potenziali richiedenti linee di prestito.

Lo scopo è quello di rendere disponibili agli intermediari del credito, informazioni sulla vostra capacità di rimborso vale a dire sul vostro merito creditizio. E’ facile comprendere che non è l’iscrizione in sé il problema, quanto invece cosa quelle segnalazioni dicono di voi.

Problemi con precedenti rate, prestiti o sconfinamenti in conto, sono informazioni che l’Istituto di Credito a cui ci si rivolge per ottenerne uno nuovo, ha a disposizione proprio grazie alla banca dati. Oltre che per capire a chi concedere un nuovo finanziamento e a chi non concederlo perché ha mancato precedenti piani, questi archivi servono per altro.

Scovare situazioni vicine al sovraindebitamento. Questo l’altro obbiettivo degli archivi. Infatti non è raro vedere una richiesta di credito respinta, nonostante la virtuosità nei precedenti piani dilazionatori. Una persona che in base al suo reddito e ai piani di credito avviati, ne chiede un altro, può vedere la sua nuova richiesta respinta perché è già troppo esposto.

Come ripulire la propria posizione con CRIF e liste SIC

Per ottenere un prestito senza troppi problemi, la soluzione principale è quella di saldare i precedenti e naturalmente, non avere arretrati e pendenze con i vecchi piani. Una volta finiti negli archivi SIC, uscirne fuori è abbastanza semplice anche se non immediato. La cancellazione avviene automaticamente decorsi 180 giorni se si tratta di semplice finanziamento. Lo stesso accade decorsi 90 giorni dalla data del rifiuto da parte della banca a concedere il finanziamento. Sempre 90 giorni si resta nell’archivio, anche solo richiedendo un prestito, ma non accettandolo nonostante venga concesso.

Si resta negli archivi fino a 5 anni a partire dalla data di estinzione del finanziamento, cioè dall’ultima rata pagata.

Molto varia in base al numero di rate di cui si è debitori non adempienti. Per coloro i quali hanno saltato massimo 2 rate di un finanziamento, si viene cancellati dagli archivi decorsi 12 mesi dalla comunicazione di avvenuta regolarizzazione che la banca creditrice invia a Banca d’Italia o società private. Se le rate pendenti sono state più di due, la stessa operazione prima descritta dura 24 mesi.

Devono passare tra i 3 ed i 5 anni per la cancellazione in caso di finanziamenti non rimborsati del tutto.

Centrale Rischi, come si cancella il cattivo pagatore

Quanto detto prima riguarda il CRIF o simili, ma per la Centrale Rischi della Banca d’Italia il sistema è differente. SI viene cancellati dal novero dei cattivi pagatori, quando l’interessato non è più insolvente o rimborsa interamente il debito precedente. Lo stesso accade nel momento in cui una banca da per terminata la procedura pur non avendo incassato il dovuto. È il caso questo di un debito che è impossibile da riscuotere da parte dell’Istituto.

Infine, dalla Centrale Rischi si esce fuori per prescrizione dei termini, ovvero 10 anni dall’ultima rata di finanziamento dovuta.

In ogni caso, i periodi di tempo prima citati devono essere prolungati di 3 anni. Questo infatti è il tempo messo a disposizione di banche ed istituti di credito, per poter visionare ancora le informazioni a partire dalla data di cancellazione dalla Centrale Rischi.

Agricoltura: primavera precoce e coda inverno, danni ingenti, come risolvere

Di calamità naturali l’agricoltura ne è piena nella sua storia. Grandini, alluvioni, gelate. Il clima incide come nessun’altra cosa nel mondo dell’agricoltura.

Ma anche senza per forza di cose arrivare a parlare di eventi calamitosi come quelli prima citati, il clima può fare la fortuna di una campagna agricola, così come segnarne il fallimento.

E ciò che in questi mesi sta accadendo, non sarà una calamità naturali, ma ci va molto vicino. Freddo inaspettato adesso, con neve a bassa quota anche al Sud. Ma pochi giorni fa, caldo primaverile ovunque ed alberi in fiore. Sbalzi climatici di 20 gradi che non sono certo la miglior cosa per l’agricoltura e le colture.

Frutteti a rischio, anche Confagricoltura parla di calamità naturali

Da Confagricoltura ecco l’allarme per i frutteti in Emilia Romagna per esempio. Ma anche la richiesta di una soluzione che produca la protezione dal rischio climatico.

Perché di questo si tratta, di rischio per l’agricoltura per via del clima. La precoce primavera che ha portato i fiori di diversi alberi da frutto a schiudersi quasi, non è una notizia positiva. Il brusco calo di temperatura di notte, vista l’anomala temperatura diurna può essere dannoso per le colture.

Figuriamoci questa coda di inverno nel Centro Sud Italia.

Sull’Ansa si riportano le dichiarazioni di Marcello Bonvicini, presidente di Confagricoltura Emilia-Romagna.

“Sollecitiamo l’attuazione di un modello efficace di protezione dal rischio climatico, con nuovi strumenti assicurativi, polizze meno costose, che diano garanzie e certezze alle aziende nel momento in cui ripartono a pieno ritmo tutte le attività agricole”.

La ripresa vegetativa tipica della primavera quest’anno (ma è un trend che ormai si ripete da diverso tempo), è scattata in anticipo.

Sempre il presidente di Confagricoltura sottolinea che solo l’anno 2019 è stato risparmiato da quello che resta un grave problema per l’agricoltura.

Occorrono piani assicurativi precisi e innovativi, ma che costino poco

Alberi da frutto penalizzati pesantemente da questo clima “impazzito”, e nonostante negli ultimi anni non è  la prima volta che si verificano queste situazioni, non sono poche le aziende che non sono riuscite ad assicurarsi in tempo. Senza considerare anche gli indennizzi sulle calamità naturali sono sempre scarni.

Per questo le associazioni di categoria chiedono a gran voce la modifica del Fondo di solidarietà nazionale e della legge 102 del 2004.

Agricoltura, danni da calamità naturali, cosa si è deciso a fine 2021

Argomento particolare quello delle calamità naturali, soprattutto se slegate da eventi eccezionali e collegate solo al clima, come dicevamo, “impazzito”. A fine dicembre fu trovata una intesa con la Conferenza Stato-Regioni per ripartire in tutte le Regioni la parte spettante dei 70 milioni di euro in aiuto alle imprese agricole colpite anche dalle gelate tardive della primavera 2021.

Cartelle esattoriali: dal 2022 non si paga il servizio di riscossione

La notizia è ufficiale e l’ha resa nota Direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, che ha comunicato anche l’approvazione di un nuovo modello di cartella esattoriale. Dal 1° gennaio 2022 non sono più applicati gli oneri per il servizio di riscossione, anche chiamato aggio. Ne deriva che le cartelle esattoriali saranno più leggere.

Nuove cartelle esattoriali senza più l’aggio

Le nuove regole sono operative con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 18 gennaio 2022. Questa importante novità arriva in realtà dalla legge di bilancio 2022 (Legge 234 del 2021 comma 15) che ha disposto che il costo relativo alla riscossione delle cartelle esattoriali non deve essere più a carico del contribuente, ma a carico del bilancio statale. Secondo l’articolo in oggetto la finalità di questa nuova regola è sostenere, dare impulso all’ “adesione spontanea agli obblighi tributari e per il presidio della funzione di deterrenza e contrasto dell’evasione”. Lo stesso articolo sottolinea che restano a carico del debitore “spese esecutive”, correlate all’attivazione di procedure esecutive e cautelari da parte dell’agente della riscossione.

Quando entrano in vigore nel nuove regole sulle cartelle esattoriali?

Dal punto di vista temporale questa modifica entra il vigore il 1° gennaio 2022, ma è bene sottolineare che si applica alle cartelle che a partire da tale data sono state affidate all’agente di riscossione. Non si applica invece alle cartelle che sono state affidate all’agente di riscossione nei mesi precedenti, ad esempio dicembre 2021 e che vengono però notificate dopo il 1° gennaio 2022.

A quanto ammontano gli oneri di riscossione o aggio?

Per capire il peso di questa importante novità occorre ricordare quali erano le tariffe applicate per gli oneri di riscossione sulle cartelle esattoriali.

Se il pagamento avviene:

  • entro il 60° giorno dalla notifica della cartella, l’aliquota dell’aggio è del 3% delle somme iscritte a ruolo;
  • oltre il 60° giorno dalla notifica della cartella, in questo caso l’aggio è il 6% ;
  • in caso di riscossione spontanea, l’aggio è 1% delle somme iscritte a ruolo.

Naturalmente maggiore è il peso della cartella esattoriale e più elevato è il risparmio prodotto con le nuove regole. Il nuovo modello delle cartelle esattoriali quindi non avrà più alcun riferimento alle spese di riscossione o aggio.

Impianto fotovoltaico, ecco come istallarlo in condominio

Impianto fotovoltaico è la soluzione per prodursi l’energia di cui si ha bisogno. E cosa fare quando si vive in condominio? La soluzione.

Impianto fotovoltaico e condominio, sono compatibili?

La riforma di condominio legge n.220 del 2012 ha dato ampio valore all’importanza dell’istallazione dell’impianto fotovoltaico negli edifici. Una prima distinzione è capire se l’impianto è richiesto dal singolo condomino per la propria abitazione, oppure è una richiesta congiunta. Ma facciamo un pò di chiarezza su quanto affermato dalla norma.

Quanto agli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, la riforma ne consente l’istallazione per servire singole unità immobiliari “sul lastrico solare” e “su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuale dell’interessato”, anche da parte di singoli condomini. Tuttavia in tali casi l’assemblea deve provvedere, a richiesta degli interessati, a ripartire l’uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni. Ma ciò non deve pregiudicare le forme di utilizzo in atto o previsto dal regolamento di condominio. Inoltre la norma prevede che, per la progettazione e l’esecuzione dell’impianto, i condomini devono lasciare libero accesso alle loro proprietà individuali.

Quando l’interessato all’impianto fotovoltaico è un condomino, cosa fare?

Il lastrico solare o i tetti sono di proprietà di tutti i condomini. Tranne il caso in cui si cono dei titoli di proprietà che ne dispongono diversamente. Il singolo condomino può manifestare la volontà di installare il suo impianto fotovoltaico nella porzione di tetto gli spetta.

Qualora si rendano necessario modificazioni delle parti comuni, l’interessato ne dà comunicazione all’amministratore di condominio, indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi. L’assemblea può prescrivere, adeguate alternative di esecuzione e imporre cautele per la salvaguardia della stabilità, del decoro e della sicurezza architettonica dell’edificio. L’assemblea, con la medesima maggioranza, può altresì subordinare l’esecuzione alla prestazione, da parte dell’interessato, di idonea garanzia per i danni eventuali.

Il fotovoltaico non è altro che un’innovazione per il condominio

Il fotovoltaico fa parte delle innovazioni di cui all’art. 1120 e 1121 del codice civile. La Corte di Cassazione ha infatti definito “innovazioni” tutte quelle modifiche che, determinando l’alterazione dell’entità materiale o il mutamento della destinazione originaria, comportano che le parti comuni, in seguito all’attività dell’opera eseguite, presentino una diversa consistenza materiale.

Pertanto l’impianto fotovoltaico rientra tra le innovazioni, così come:

  • le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti;
  • le opere per l’abbattimento delle barriere architettoniche;
  • gli interventi per il contenimento del consumo energetico degli edifici;
  • la realizzazione dei parcheggi,
  • interventi per l’istallazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva

Cosa deve fare un condomino che vuole un impianto?

Come prima cosa un soggetto proprietario di immobile (condomino) che vuole realizzare un impianto fotovoltaico deve farne comunicazione all’amministratore di condominio. Questo è tenuto a convocare l’assemblea entro 30 giorni dalla richiesta anche di un solo condomino interessato all’adozione dei sistemi di cui abbiamo parlato. La richiesta deve contenere l’indicazione del contenuto specifico e delle modalità di esecuzione degli interventi proposti.

E’ chiaro non ci sarà mai il consenso per quelle innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro o che rendano parti comuni inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino.

Impianto fotovoltaico e bonus 110%

L’istallazione di un impianto fotovoltaico è uno degli interventi trainanti, che richiedono la realizzazione di un intervento trainante, per poter essere ammessi al beneficio fiscale del superbonus 110%. Fino al 31 dicembre 2022 nel caso di condomini e in presenza di determinate condizioni, per beneficiare del super bonus 110% l’installazione dei pannelli deve avvenire contestualmente a uno degli interventi trainanti come ad esempio l’isolamento termico delle superfici opache verticali, orizzontali e inclinate esclusi gli infissi o la sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale presenti con impianti centralizzati per il riscaldamento, il raffrescamento o l’acqua calda.

Ma oltre a tutte le spese fin ora citate, il vero risparmio sta nell’utilizzo dell’energia solare per la produzione domestica. Possiamo dire dal produttore, al consumatore in un unica persona, un unico sistema capace di inglobbare l’energia del sole e trasformarla in elettricità per l’uso quotidiano. E a prescindere da come andrà il livello del petrolio, ognuno può avere la sua energia, sfruttando semplicemente i tetti di casa.

 

 

Effetto Ucraina, bollette e nuova stangata per le famiglie

L’effetto Ucraina, anche dal punto di vista economico, sta producendo degli effetti negativi. Bollette su, nuova stangata per le famiglie, facciamo il punto della situazione.

Effetto Ucraina, ancora su il prezzo del gas

A seguito delle sanzioni imposte dai rappresentanti del G7, la Russia non ha tardato a dare la sua risposta. Infatti, l’interruzione del gasdotto Yamal- Europa, ha fatto registrare un costante aumento dei prezzi del gas. Ad Amsterdam le quotazioni del gas sono volate alla cifra record di 208 euro al megawattora. Quindi è ora di tentare nuovi accordi che permettano all’Europa di rifornirsi.

Tuttavia nel vecchio continente sembra che le scorte siano sufficienti per tutto l’inverno, ma occorre prevenire la situazione, qualora il cessate il fuoco, non venisse firmato. Ma i reali effetti di quello che sta accadendo oggi, si sentiranno a luglio, con 140 euro al megawattora per il gas. Gli aumenti saranno per tutti imprese e famiglie, senza alcuna distinzione, nonostante i primi interventi approntati dal nostro governo.

Continua a salire anche il prezzo della benzina

Due euro a litro e quanto si paga la benzina in questo momento. Anche il gasolio è aumentato, se pur meno rispetto alla benzina. Aumenti che sono dovuti a tanti fattori. Il primo è dato dal costo del singolo barile. Ma non solo, a pesare c’è anche alla debolezza dell’Euro sul dollaro. E che dire delle accise, sempre presenti, nonostante la situazione odierna.

Oltre a quanto detto cominciano a scarseggiare anche il quantitativo di benzina presente sul territorio italiano. Ma la guerra continua e anche alcune compagnie petrolifere fanno sentire la loro voce. Infatti il gigante russo del petrolio Lukoil ha chiesto di porre fine rapidamente alla guerra in Ucraina. E’ stata la prima compagnia nazionale ad opporti all’inversione del Paese da parte di Mosca.

Effetto Ucraina, il caso delle acciaierie

Un altro problema è quello legato alla scarsità dei metalli che l’Italia importa proprio dalle terre di guerra. In questo momento di conflitto, l’Italia rischia di bloccare il settore siderurgico. Nei giorni scorsi le acciaierie Ferriere Nord e le fonderie Zanardi hanno annunciato i primi fermi. Lo stabilimento Stellantis di Melfi chiuderà invece la prossima settimana, a causa delle difficoltà di rifornire le centraline a motore.

Oltre agli aumenti luce, gas c’è quello del grano. La Russia e l’Ucraina rappresentato quasi un terzo del commercio mondiale di grano. Sulla borsa di Parisi una tonnellata di grano si acquista a 400 euro (38% di incremento). Prezzi su anche per mais, frumento, avena. Inoltre l’Ucraina è il secondo fornitore di mais per l’Italia. Quindi l’Italia importa circa il 64% del grano tenero per pane e biscotti. Ed ancora il 44% di grano duro per la pasta, il 47% di mais e soia. Elementi base per molti dei prodotti maggiormente apprezzati dagli italiani.