Bonus pubblicità, domande del credito di imposta 2022 fino al 31 marzo

Si potranno presentare fino al 31 marzo 2022 le domande per la richiesta del bonus pubblicità. L’incentivo consiste in un credito di imposta per gli investimenti pubblicitari effettuati o da effettuare nel corso di quest’anno dalle imprese. Sono inclusi nella misura anche i lavoratori autonomi e gli enti non commerciali. Tutti i soggetti che presentano la domanda devono avere la residenza fiscale nel territorio nazionale. Il credito di imposta spetta nella percentuale del 50% del totale degli investimenti fatti nella pubblicità.

Bonus pubblicità, quali risorse sono a disposizione per il credito di imposta delle imprese e degli autonomi?

In totale, le risorse messe a disposizione delle imprese e dei lavoratori autonomi per il bonus pubblicità sono pari a 90 milioni di euro. Di questi, 65 milioni di euro andranno a coprire le spese effettuate sui quotidiani e i giornali, anche online. La restante quota è stata stanziata per gli investimenti effettuati in pubblicità sulle emittenti televisive e radiofoniche.

Bonus pubblicità, per quali spese può essere richiesto il credito di imposta del 50%?

In particolare, il bonus pubblicità del 50% del credito di imposta riguarda i costi sostenuti per:

  • gli investimenti pubblicitari effettuati sui quotidiani e sui periodici. Vanno bene anche gli investimenti verso i giornali on line;
  • le spese pubblicitarie sostenute a favore di emittenti radiofoniche e televisive a livello nazionale e locale, sia analogiche che digitali. Le emittenti non devono essere partecipate dallo Stato;
  • sono esclusi dal credito di imposta le altre formule pubblicitarie, ovvero la cartellonistica, il display, le affissioni e le pubblicità sui social network o simili.

Bonus pubblicità, come presentare domanda del credito di imposta del 50%?

La procedura per la presentazione delle domande del bonus pubblicità prevede, già a partire dal 1° marzo 2022, l’invio per via telematica all’Agenzia delle entrate della Comunicazione per l’accesso al credito di imposta. Si tratta, dunque, di una specie di prenotazione di quanto spettante con la specifica degli investimenti effettuati in pubblicità e di quelli da fare entro il termine del 2022. Gli investimenti devono avere decorrenza a partire dal 2022. Quelli del 2021 richiedevano la presentazione della domanda dal 1° al 31 ottobre scorsi. Pertanto, entro il prossimo 31 marzo si potranno prenotare le risorse attendendo poi l’esito della presentazione della domanda che arriverà dal Dipartimento per l’informazione e l’editoria. Sarà il Dipartimento a stilare il primo elenco dei soggetti che abbiano fatto richiesta del bonus pubblicità mediante graduatoria. Per ciascun ammesso in graduatoria, verrà indicato il credito di imposta in teoria spettante.

Credito di imposta, cosa fare dopo aver presentato la domanda del bonus pubblicità?

Inoltre, in tutto il mese di gennaio 2023 i soggetti che abbiano inviato nel 2022 la domanda per il credito di imposta del bonus investimenti dovranno integrare la domanda inviando la “Dichiarazione sostitutiva relativa agli investimenti effettuati”. Tale dichiarazione deriva dall’articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica numero 445 del 2000. Si tratta sostanzialmente di un’autodichiarazione attestante gli investimenti fatti nell’anno 2022. Successivamente, sul proprio portale internet, il Dipartimento per l’informazione e l’editoria pubblicherà l’elenco definitivo dei soggetti ammessi al bonus investimento. Inoltre, tra i requisiti richiesti per l’ottenimento del credito di imposta, i soggetti che possono presentare domanda devono essere registrati presso il Tribunale oppure presso il Registro degli operatori di comunicazione (Roc) ed essere dotati di un direttore responsabile.

Quali sono le aliquote e la base imponibile per le ritenute a titolo di acconto e di imposta

Per i compensi da lavoro autonomo, a titolo di acconto, si applica una ritenuta che è pari al 20%. Pur tuttavia, ci sono casi in cui al posto della ritenuta d’acconto, sempre sui redditi da lavoro autonomo, il prelievo fiscale è secco ed è pari al 30% a titolo di imposta.

In più, in base al tipo di reddito da lavoro autonomo varia pure la base imponibile su cui applicare la tassazione. Vediamo allora di fare chiarezza in merito. Ovverosia, andando ad elencare proprio quali sono le aliquote e la base imponibile per le ritenute a titolo di acconto e di imposta.

Ritenuta acconto o di imposta compensi lavoro autonomo, quando è al 20% e quando al 30%

Nel dettaglio, a titolo di imposta, la ritenuta è al 30% quando i compensi sono riconosciuti a soggetti che non sono residenti in Italia. E quando le somme corrisposte si riferiscono all’utilizzazione economica di brevetti, di opere dell’ingegno e di invenzioni industriali e simili così come riporta l’Agenzia delle Entrate attraverso il proprio sito Internet.

In tutti gli altri casi, ovverosia per i compensi corrisposti ai residenti, la tassazione per i redditi da lavoro autonomo è sempre pari al 20% a titolo di acconto. Ed è sempre al 20% pure quando i compensi sono riconosciuti a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti.

Qual è la base imponibile per l’applicazione della ritenuta d’acconto al 20%

Per l’applicazione della ritenuta d’acconto al 20%, sui compensi corrisposti al lavoratore autonomo, non sempre la base imponibile è quella piena, ovverosia al 100%. In particolare, la base imponibile, per esempio, è al 100% per le prestazioni di lavoro autonomo anche occasionale, per l’assunzione di obblighi di fare, non fare e permettere, ed anche per i compensi ad associati in partecipazione che apportano solo lavoro. E lo stesso dicasi pure per la partecipazione agli utili di soci fondatori o promotori.

Fanno eccezione, invece, i compensi riconosciuti per la cessione di diritti d’autore da parte dello stesso autore. In questo caso, infatti, la base imponibile su cui calcolare la ritenuta d’acconto è al 75% per i soggetti di età superiore a 35 anni. E scende al 60% per i soggetti di età inferiore a 35 anni.

Come e quando si versano le ritenute sui compensi lavoro autonomo

Con il modello F24, ed in modalità esclusivamente telematica, le ritenute sui compensi da lavoro autonomo, da parte dei sostituti di imposta, si versano sempre entro e non oltre il 16 del mese successivo a quello del pagamento. Pur tuttavia, se il 16 del mese cade di sabato, oppure in un giorno festivo, allora il termine slitta al primo giorno lavorativo successivo.

Cappotto termico, tutte le agevolazioni e il risparmio una volta montato

Molti ormai sanno di cosa si tratta quando si parla di cappotto termico, visto il suo largo utilizzo. Per cappotto termico, si intende quella tecnica che coibenta una casa, un edificio o un immobile in genere. Coibentare significa isolare e nello specifico l’isolamento a cappotto si fa installando diversi materiali sulle pareti di casa che aiutano a non disperdere il calore della casa verso l’esterno o al contrario, a non far salire il caldo dall’esterno all’interno.

La soluzione ideale per tenere sempre alla giusta temperatura la casa. Montare questi pannelli sulle pareti esterne della casa (ma ormai esistono anche cappotti interni), ha delle agevolazioni fiscali di non poco conto. Rientrando anche in una materia molto cara alle istituzioni, cioè il risparmio energetico, evidente che il montaggio di questi pannelli venga agevolato fiscalmente e con incentivi.

Un vantaggio non indifferente ma che non è l’unico. Agli incentivi che si possono sfruttare nel montare i pannelli vanno aggiunti i vantaggi dopo averli montati, cioè il risparmio energetico che si realizza.

Cappotto termico, tutte le agevolazioni

Istallare il cappotto termico su una parete la isola rispetto al clima esterno. Il montaggio e l’acquisto di questi pannelli che vengono messi sulla parete, possono dare diritto alle agevolazioni fiscali previste dalla normativa vigente.

È stato il Decreto Rilancio, cioè il DL n° 34 del 2020 a introdurre le detrazioni Irpef ed Ires per chi decide di istallare i pannelli termici su un edificio. Come dicevamo, parliamo di un lavoro che è indirizzato verso le problematiche ambientali e energetiche. Per questo rientra nell’ecobonus, con possibilità di recuperare il 110% . Un lavoro che mira alla riqualificazione energetica di un immobile e pertanto, agevolato fiscalmente.

Nello specifico l’articolo n° 119 del DL n° 34/2020, prevede che è possibile portare in detrazione dalle imposte sui redditi, le spese relative agli interventi di isolamento termico che riguardano le superfici dell’involucro della casa, sia verticali che orizzontali. Per poter godere dell’agevolazione il cappotto deve andare ad interessare il 25% della superficie lorda della casa, quella che è esposta al disperdere energia.

Quando si parla di cappotto termico, tutte le agevolazioni, è inevitabile fare riferimento alle detrazioni, ma come al solito sono limitate. Il tetto massimo di spesa che è possibile detrarre è 60.000 euro ad immobile. L’ammortamento di questa spesa può avvenire in 5 rate annuali di pari importo, cioè per 5 dichiarazioni dei redditi consecutive. Le spese oggetto della detrazione sono tutte quelle che i contribuenti hanno sostenuto tra il primo luglio 2020 e il 31 dicembre 2021.

Come alternativa alla detrazione c’è la possibilità ci sconto immediato in fattura o cessione dl credito fiscale.

Il risparmio energetico è garantito dal cappotto termico

L’isolamento a cappotto o cappotto termico, garantisce dalla dispersione di calore in inverno e dalla dispersione di aria fresca in estate. Inevitabile parlare di risparmio di energia elettrica per i condizionatori d’aria, o di gas metano per il riscaldamento.

Il cappotto quindi, torna utile sia in estate che in inverno, garantendo alla famiglie o alle imprese, il risparmio sulle bollette che mai come adesso è argomento caldissimo.

Con l’aumento di energia elettrica e gas, pagare di meno sulle bollette è una aspirazione di molti italiani. Grazie al cappotto termico è possibile ridurre sensibilmente i consumi sia dei sistemi di riscaldamento che dei sistemi di raffreddamento. Perfino uno dei maggiori siti di comparazione ha messo in evidenza cosa significa a livello di risparmio, montare il cappotto termico sul muro di casa.

In media, circa il 20% è il risparmio stimato in materia di luce e gas.  Il cappotto quindi può ottimizzare i consumi, ma non solo. Stando agli addetti del settore immobiliare, un edificio con il cappotto aumenta il valore dell’edificio stesso. Il 20% prima citato è un ottimo viatico di risparmio quindi. In pratica, una famiglia che spende 2.000 euro all’anno per il riscaldamento, arriverebbe a risparmiarne anche 800.

Aumento dei prezzi: dalla benzina al pane, l’analisi

Quando la crisi economica per l’emergenza Coronavirus impattò sulle famiglie, si disse una cosa che richiamava al passato. Per trovare una crisi del genere, tra crisi del lavoro e crisi dell’economia globale, bisognava risalire al dopo guerra. Si, si fece accenno a crisi successive a guerre. Immaginate ora cosa accade con l’arrivo di una guerra mentre la crisi economica per il Covid è ancora pienamente in atto (nonostante le istituzioni italiane parlano di ripresa).

L’aumento dei prezzi di qualsiasi cosa una famiglia ha bisogno, produrrà inevitabilmente una inflazione che non risparmierà nessuno. Imprese, commercianti, lavoratori, famiglie. Ecco che scenari rischiano di verificarsi se tra Ucraina e Russia non arriva la tanto agognata pace.

Bollette in aumento, le famiglie se ne sono già accorte

Il primo dato di fatto di questa grave emergenza economica è l’aumento del costo delle bollette energetiche. Luce e gas hanno avuto già da inizio anno una impennata clamorosa. Da gennaio il costo per le famiglie e per le imprese è raddoppiato quasi.

E adesso la guerra in Ucraina, con le sanzioni alla Russia rea di aver invaso lo Stato confinante. Sanzioni che hanno interrotto i rapporti tra Russia e Paesi Occidentali, rapporti economici e finanziari che però hanno il loro rovescio della medaglia. Noi italiani per esempio, dalla Russia ci approvvigioniamo di oltre il 40% del gas che serve quotidianamente.

Proprio ieri il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio gongolava per il fatto di aver trovato una intesa per le forniture con l’Algeria. Ma si tratta di un 8% delle forniture, ben lontano da oltre il 40% che ci verrà a mancare per via delle già citate sanzioni contro Putin.

In altri termini c’è il concreto rischio che saliranno ancora i prezzi di queste materie che i cittadini pagano con le bollette. I recenti aumenti di gennaio quindi non saranno gli ultimi, c’è da scommetterci.

L’aumento del prezzo del carburante

È notizia di qualche giorno fa, dell’ennesima risalita del prezzo del carburante, con la benzina salita a oltre 2 euro in alcuni posti. I camionisti e gli autotrasportatori hanno già manifestato e bloccato i trasporti pochi giorni fa.

Ma pensare che l’aumento del prezzo del carburante sia un problema solo degli autotrasportatori è profondamente errato. L’aumento del costo del rifornimento aumenta il costo di tutti i prodotti che vengono trasportati su gomma. E la guerra in Ucraina, aumenterà inevitabilmente tutto questo.  Le sanzioni con la Russia e il blocco dei trasporti marittimi e aerei nelle zone interessate dal conflitto, crea scompensi. Danni ingenti al mercato internazionale portando a rincari di numerosi prodotti.

I beni di prima necessità e l’aumento dei prezzi

Sono già tante le analisi che hanno portato a mettere in luce ciò che accadrà presto anche ai beni di prima necessità in Italia. A dire il vero gli aumenti sono scattati già ad inizio anno, ma adesso andrà sempre peggio. Detto di bollette e rifornimento di carburante, anche farina, pasta, e così via, saliranno di prezzo.

Saliranno i prezzi di grano e fertilizzanti. L’agricoltura rischia di finire ai primi posti come impatto di questa crisi. E se sale il prezzo del bene principale, è assai scontato che saliranno i prezzi della pasta, del pane e così via.

Ma le materie prime con prezzo in netto aumento, riguardano anche alluminio, rame, nickel, ghisa, palladio.

Le stime di questi aumenti fanno paura

Sul sito tg24.Sky, viene messa in luce una attenta analisi di Federalimentari, associazione di categoria molto nota. Secondo l’associazione, sono in imminente aumenti i prezzi di tutto ciò che deriva dei cereali. E l’aumento stimato non è irrisorio visto che si parla del 10% di aumento sulla pasta, che già da inizio anno è salito di molto. E per il pane ancora peggio, perché siamo nell’ordine del 30%.

Come riporta il Messaggero, in crisi ci andrà anche il settore degli allevamenti. Anche in questo caso tutto dipende da una materia prima, in questo caso il mais. Cia Agricoltori ha già sottolineato che il granturco che finisce con l’essere alimento principale per gli allevamenti di animali, proviene per oltre il 50% dall’Ucraina. Inutile dire ciò che accadrà adesso a causa del conflitto con la Russia.

Il mais diventerà introvabile e il suo prezzo è destinato a salire, secondo l’associazione degli allevatori, di oltre il 35%. con inevitabile ricaduta su carne e derivati dagli animali.

Il grano ai massimi livelli

Non è direttamente interessata l’Italia dall’importazione del grano russo e ucraino. L’Italia ne importa solo il 5% di quello che utilizza annualmente. Il fatto che dalla Russia siano i Paesi del Nord Africa ad approvvigionarsi in misura sostenuta di grano, mette a rischio anche l’Italia. Se il Nord Africa avrà carenze, gioco forza entrerà in concorrenza con l’Italia per il grano Australiano e Canadese. E il prezzo è destinato a lievitare sensibilmente, anche se già oggi è a livelli record.

Effettivamente erano 14 anni che il prezzo del grano non arrivava a questi livelli, cioè a 33,3 centesimi al Kg.

Altri prodotti che hanno un prezzo in crescita costante

In aumento anche i prezzi dell’olio di girasole. E non è un prodotto di poco conto visto che in Italia l’80% di quello utilizzato è importato. Ma uscendo fuori dall’alimentare, non è da meno l’aumento dei prodotti legati all’industria della siderurgia. L’acciaio l’Italia lo importa per la gran parte dalla Russia. Che ricordiamo, è il primo esportatore mondiale di questo materiale. E pare che le riserve italiane sono scarne, perché garantiscono massimo un paio di mesi di autonomia.

Senza importazioni dalla Russia quindi, serio pericolo di ingessare le attività.

Contributi a fondo perduto per la nascita di imprese al femminile e partite Iva: quali sono?

Sono tre le tipologie di contributi a fondo perduto e di finanziamenti agevolati per la creazione di imprese al femminile valide anche per le partite Iva e le lavoratrici autonome. La prima misura riguarda le nuove imprese, ovvero quelle costituite da non oltre i 12 mesi; la seconda misura è possibile per le imprese al femminile costituite tra i 12 e i 36 mesi; infine contributi sono previsti anche per le imprese costituite da oltre 36 mesi. Di particolare importanze è la misura per la nascita delle nuove imprese, disciplinata dagli incentivi previsti dal decreto interministeriale del 24 novembre 2021 del ministero per lo Sviluppo Economico (Mise) con il sostegno delle risorse a valere del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr).

Quali contributi a fondo perduto e finanziamenti per la nascita di imprese al femminile?

Nello specifico, i contributi a fondo perduto e i finanziamenti rientranti nell’obiettivo della creazione di nuove imprese al femminile, comprese le partite Iva e le lavoratrici autonome, riguardano la misura dell’investimento del Pnrr 1.2. Tale misura prevede la “Creazione delle imprese femminili” della Missione numero 5 del Pnrr, relativa all'”Inclusione e coesione”. Si tratta di politiche volte all’occupazione con interventi del Fondo imprese femminile. Il totale delle risorse stanziate per la creazione delle imprese al femminile è pari a 400 milioni di euro, considerando anche i fondi messi a disposizione per le imprese già esistenti.

Imprese femminili, quali sono?

Nel dettaglio, le imprese femminili sono quelle imprese:

  • individuali nelle quali la titolare è una donna;
  • società di persone oppure cooperative se le donne rappresentano minimo il 60% della compagine sociale;
  • società di capitali se le quote di partecipazione spettano per almeno i 2/3 a donne. Gli organi di amministrazione devono essere costituiti per non meno dei 2/3 da donne.

Aiuti a sostegno delle imprese al femminili: quali contributi a fondo perduto?

Oltre agli aiuti per le imprese al femminile già costituite, è dunque ampia la rassegna degli strumenti di contributi a fondo perduto e finanziamento previsti per la nascita delle imprese. Si tratta di contributi a fondo perduto per avviare una nuova imprese, con particolare obiettivo delle imprese individuali e delle attività delle libere professioniste. I fondi mirano a favorire le donne disoccupate a prescindere dall’età. Inoltre, sono previsti finanziamenti a tasso zero o, in ogni modo agevolati, per sostenere la nascita delle imprese. Già la legge di Bilancio 2021 aveva previsto anche la spesa annua di 800 mila euro dell’Ente nazionale per il microcredito: si tratta di un altro strumento finalizzare ad aiutare le donne nella creazione di nuove imprese.

Fondo impresa donna: che cos’è e come aiuta la nascita di imprese al femminile?

La legge di Bilancio 2021, inoltre, ha costituito il Fondo impresa donna. Si tratta di un finanziamento di 20 milioni di euro, sia per il 2021 che per il 2022, inteso a sostenere la nascita di nuove imprese (oltre a sostenere quelle già esistenti). Le nuove imprese devono essere a prevalente partecipazione femminile oppure deve trattarsi di lavoratrici autonome e professioniste. La sede legale oppure operativa può essere ubicata ovunque nel territorio nazionale e non vi sono limiti sulla dimensione aziendale. Il fondo sostiene l’avvio della nuova attività nei settori:

  • della produzione di beni per l’industria;
  • nell’artigianato;
  • nella trasformazione di prodotti agricoli;
  • nel commercio e nel turismo;
  • nella fornitura di servizi.

Chi può accedere al Fondo impresa donna per costituire una nuova impresa?

Per ottenere i contributi a fondo perduto e i finanziamenti a tasso zero o agevolati, la donne che vogliano avviare una nuova imprese devono tener conto dei criteri di ammissione. Sono infatti ammesse le imprese che abbiano una compagine sociale di almeno il 51% giovani under 35, ma anche da donne di tutte le età. Il 51% si riferisce alla componente di donne o di giovani nella partecipazione alle quote societarie. A titolo di esempio, se una società è composta da un uomo che abbia già superato i 35 anni e una donna (o uomo) entro i 35 anni, l’aiuto non è ammissibile. Risulta necessario l’ingresso di una terza persona con i requisiti richiesti.

Chi può avviare una nuova impresa con gli incentivi del Fondo impresa donna?

Diventa quindi utile chiarire che per ottenere gli incentivi per la nascita di nuove imprese al femminile è necessario che l’attività sia costituita da non oltre i 12 mesi. Il termine va calcolato dal momento in cui si presenta la domanda del contributo o del finanziamento. Nel caso di lavoratrici autonomo o di libere professioniste, è necessario che la partita Iva sia stata aperta da meno di 12 mesi rispetto al momento in cui si presenta la domanda. Tra i beneficiari dei contributi non vanno escluse le persone fisiche che intendano avviare una nuova impresa al femminile.

Quali spese sono finanziabili con i contributi del Fondo impresa donna?

Nel caso di avvio di una nuova impresa al femminile, i contributi a fondo perduto e i finanziamenti agevolati coprono le seguenti voci di spesa:

  • la produzione di beni per i settori dell’artigianato, industria e trasformazione dei prodotti agricoli;
  • la fornitura dei servizi, a prescindere d settore;
  • il commercio e il turismo.

I contributi e i finanziamenti ottenuti per il progetto approvato devono essere realizzati entro i 24 mesi susseguenti al giorno della trasmissione del provvedimento di concessione. È necessario che il provvedimento sia controfirmato dalla donna beneficiaria. Si può ottenere una proroga al massimo di 6 mesi.

Cosa finanziano i contributi a fondo perduto nella nascita delle imprese al femminile?

Nel dettaglio, i contributi a fondo perduto nella nascita delle imprese al femminile finanziano:

  • per i progetti di nuove imprese con spese non superiori ai 100 mila euro, le agevolazioni sono concedibili fino all’80% delle spese ammissibili. L’importo massimo del contributo è di 50 mila euro;
  • le donne in stato di disoccupazione che danno avvio a una nuova impresa individuale e per le lavoratrici autonome, la percentuale di copertura dei contributi arriva al 90%. L’importo massimo del contributo rimane di 50 mila euro;
  • per i progetti di nuove imprese con spese dai 100 mila ai 250 mila euro, la copertura scende al 50% delle spese ammesse.

Quali tipologie di spese si possono finanziare con i contributi a fondo perduto delle nuove imprese femminili?

Sia per il limite dei 100 mila euro di spesa che per quello dei 250 mila euro, i contributi a fondo perduto finanziano:

  • le immobilizzazioni materiali come macchinari, impianti e attrezzature, purché nuovi di fabbrica e coerenti con l’esercizio dell’attività da avviare;
  • immobilizzazioni immateriali, coerenti con l’iniziativa agevolata;
  • i servizi di cloud coerenti con la gestione aziendale;
  • le spese per il personale dipendente assunto a tempo determinato o indeterminato con data successiva a quella di presentazione della domanda dei contributi. Anche le assunzioni devono essere funzionali al progetto della nuova impresa;
  • le spese del capitale circolante. In tal caso il limite è del 20% rispetto al totale delle spese ammissibili.

Come si presenta la domanda dei contributi per le nuove imprese al femminile?

La procedura per la valutazione dei contributi per la nascita delle nuove imprese al femminile è a sportello. La domanda, tuttavia, deve essere compilata in via telematica. Le donne interessate a richiedere i finanziamenti devono accedere alla sezione apposita presente sul portale di Invitalia.

Riforma del catasto: via libera alle nuove regole su adeguamento rendite.

Per un solo voto di scarto, la maggioranza in Commissione Finanze alla Camera approva la riforma del catasto, proprio questa maggioranza molto risicata fa capire come si tratti di un tema caldo che spacca la maggioranza, come in passato è già stato il per tetto all’uso del contante che ha addirittura visto il Governo andare sotto. Cerchiamo quindi di capire cosa cambia con le nuove regole.

Come funziona il Catasto

La riforma del Catasto è una delle più difficili da digerire, basti pensare che l’attuale sistema è in gran parte lo stesso delineato nel 1939 e che nel tempo è diventato obsoleto, o meglio, incapace di definire il vero valore del patrimonio immobiliare italiano

Il sistema del 1939 prevedeva due “elenchi”: il Catasto Terreni comprendente aree non edificate e il Catasto Edilizio Urbano comprendente invece i fabbricati industriali, civili e commerciali.  Il Catasto Edilizio Urbano poi nel 1993 è stato trasformato in Catasto dei Fabbricati. Il classamento di fatto si realizza tenendo in considerazione la tipologia di fabbricato  attraverso la qualificazione e classificazione del Comune in cui è ubicato e tenendo conto di vani, metri cubi e metri quadri e moltiplicando il valore per la tariffa di estimo.

La rendita attualmente si determina in base alla classificazione come fabbricato civile, signorile, popolare, ultrapopolare, economico, rurale, villini, ville, palazzi, uffici e abitazioni tipiche. L’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha però rilevato che l’eccessiva ampiezza delle zone censuarie, unita a criteri di classamento obsoleti e all’eterogeneità del patrimonio immobiliare, fanno in modo che i valori rilevati siano molto distanti da quelli reali.

Le varie maggioranze hanno più volte proposto la riforma, ma di fatto non si è arrivati mai alla conclusione. Questa volta sembra che proprio non ci sia intenzione di tornare indietro.

Riforma del Catasto: cosa è successo in commissione Finanze il 3 marzo?

Il 3 marzo 2022 in Commissione Finanze, per un solo voto è stato bocciato l’emendamento volto a cancellare l’articolo 6 della legge di delega che ha come obiettivo la Riforma del Catasto. L’emendamento proposto da Forza Italia andava a minare la parte essenziale della Legge di delega fiscale, infatti proponeva di eliminare dalla stessa la mappatura dei dati catastali e la revisione delle rendite con criteri aggiornati, lasciando solo la parte della legge dedicata all’emersione dei fabbricati fantasma, o meglio abusivi. Il Governo è stato però irremovibile e ha sottolineato più volte che qualunque variazione alla norma sulla Riforma del Catasto avrebbe fatto saltare tutto in quanto la stessa è fondamentale al fine di ottenere i fondi del PNRR.

Questo implica che al centro della riforma fiscale che si sta scrivendo resterà proprio tale parte definita epocale, infatti la Sottosegretaria al MEF Maria Cecilia Guerra ha affermato che si tratta di uno dei punti fondamentali della legge delega per la riforma fiscale.

Cosa prevede la riforma del Catasto?

Il primo obiettivo della riforma del catasto è realizzare un piano di revisione del sistema catastale che consenta di rilevare i dati catastali in modo immediato e quindi possa far emergere i fabbricati abusivi. Il secondo passo sarà invece compiuto il 1° gennaio 2026 e prevede l’adeguamento delle rendite catastali ai valori di mercato e patrimoniali. Uno degli obiettivi della riforma è facilitare l’accesso ai dati da parte dell’Agenzia delle Entrate e dei Comuni attraverso la condivisione degli stessi.

La Legge di delega fiscale prevede anche che l’attualizzazione delle rendite avrà una sorta di eccezione per i fabbricati di interesse storico e artistico per i quali saranno previste riduzioni del valore patrimoniale medio ordinario. Ciò in considerazione del fatto che per questa tipologia di immobili ci sono maggiori oneri legati alla manutenzione ordinaria e straordinaria.

Tali valori, una volta determinati, in base al comma 2 dell’articolo 6, dovranno essere periodicamente aggiornati, ma dalle premesse fatte tali dati non saranno comunque utilizzabili al fine di determinare la base imponibile per la tassazione e quindi non avrà rilevanza a fini fiscali. C’è però da dire che se essi saranno i dati disponibili al catasto, appare evidente che dovranno essere dichiarati nei tradizionali appuntamenti fiscali degli italiani.

Proprio questo è il punto più discusso della riforma, infatti il sospetto di molti, e in particolare della Lega, è che siano utilizzati come strumento per un aumento delle tasse.

 

Pannelli solari o impianto fotovoltaico: quale conviene

In un periodo in cui l’energia rinnovabile è sempre più all’ordine del giorno, andiamo a scoprire quale cambiamento può essere più conveniente, in quali circostanze, tra un impianto fotovoltaico ed un uso dei pannelli solari.

Impianto fotovoltaico e pannelli solari: differenze

Partiamo con il definire una differenza sostanziale tra queste due tipologie di riscaldamento energetico. Mentre i pannelli solari termici sfruttano i raggi solari per scaldare l’acqua destinata a uso sanitario e/o all’impianto di riscaldamento, di controparte, i pannelli fotovoltaici convertono le radiazioni solari in energia elettrica per alimentare gli apparecchi domestici.

Quindi, in definitiva, un impianto fotovoltaico e i pannelli solari non sono la stessa cosa, ma possono ugualmente integrarsi bene nelle nostre case. Impianto fotovoltaico e impianto solare termico, dunque, sono due vie differenti per un simile traguardo. Il primo produce elettricità. Il secondo, invece produce calore, per mezzo di un fluido termovettore.

Una volta appurata questa sostanziale differenza, andiamo a vedere quali possono essere le convenienze per optare per l’uno o per l’altro sistema di consumo energetico.

Impianto fotovoltaico, quando conviene

Stando ai più recenti dati tecnici e quelli di mercato abbiamo una panoramica della situazione attuale dell’uso del fotovoltaico in Italia. Nel corso degli anni la tecnologia dei pannelli fotovoltaici è sensibilmente migliorata, facendo salire la sua efficienza dal 12 al 17%.

Anche gli inverter, ovvero quei dispositivi che convertono la corrente continua prodotta dai pannelli in corrente alternata, hanno ora un’efficienza pari al 98%: viene in pratica smarrito solo il 2% dell’energia prodotta dai moduli fotovoltaici.

In parallelo alla loro efficienza, in questi anni si è registrata una diminuzione dei prezzi degli stessi pannelli nei vari Paesi di produzione (Germania, Giappone, Cina, Asia), siccome è diminuito anche il costo di produzione.

Da questo rapporto risulta che il fotovoltaico conviene: passare a un’energia rinnovabile come il Sole ci ripaga della spesa iniziale e ci permette di ridurre l’inquinamento.

Quando non conviene l’ impianto fotovoltaico

Vediamo invece l’altra faccia della medaglia.

Quando il fotovoltaico non conviene? Esistono dei casi in cui installare un impianto fotovoltaico in casa o in azienda non dà alcun vantaggio, come nei seguenti:

  • L’impianto fotovoltaico non conviene in caso di consumi non sufficienti nella copertura della spesa e nel risparmio sulla bolletta: con un consumo meno di 2000 kWh all’anno non conviene installare il fotovoltaico, perché annualmente si avrà bolletta inferiore ai €400 con tempi lunghi di recupero per l’investimento.
  • Il fotovoltaico non conviene con un tetto non adatto, ad esempio orientato verso nord o ombreggiato per la maggior parte della giornata. In tali condizioni l’impianto non riuscirebbe a produrre abbastanza energia per coprire il fabbisogno necessario, quindi installare il fotovoltaico non sarebbe efficiente.

Pannelli solari, quando convengono

Si può dare una risposta molto rapida ed esaustiva a questa domanda.

L’impianto a pannelli solari conviene se i costi di installazione prevedono tempi di rientro medi non superiori ai 4-8 anni (i costi rientrano prima ad esempio per una installazione molto soleggiata e al sud perché i rendimenti annui di produzione dell’energia elettrica sono mediamente più elevati).

Ad ogni modo quando si tratta di scegliere un impianto a pannelli solari, si tratta di una scelta che azzera gli sprechi e abbassa decisamente i costi. I pannelli solari assicurano un risparmio dell’80 per cento sui costi per la produzione di acqua calda e del 60-70 per cento delle spese per il riscaldamento.

Questo, dunque è quanto di più utile e necessario vi fosse da sapere in merito alla possibilità di scegliere in tutta convenienza, nelle sottili differenze tra installare un impianto a pannelli solari o un impianto fotovoltaico.

 

Imprese cooperative, nuovi progetti per la digitalizzazione

Le imprese cooperative puntano verso nuove opportunità legate alla digitalizzazione attraverso il progetto “Cooperazione Digitale“.

Imprese cooperative il nuovo progetto promosso dal Ministero

Il Ministero dello sviluppo economico punta ancora verso la digitalizzazione. Prima con le imprese commerciali, con la società in genere. Ed adesso si punta al progetto “Cooperazione Digitale” promosso con un’alleanza tra le stesse cooperative italiane e Google.org. Si tratta della divisione filantropica di Google impegnata sulle principali sfide della nostra società. Tra questi anche la Digital trasformation su cui anche il mondo economico è proiettato.

Tuttavia attraverso i finanziamenti, le competenze tecniche e l’innovazione tecnologica si cerca di supportare le comunità più vulnerabili e offrire una maggiore inclusione ed equità. Inoltre è un progetto pluriennale che supporta la digitalizzazione delle imprese cooperative e imprese no profit italiane. Il contributo a disposizione è pari a 3,5 milioni di euro fa parte di Google.org.

Il contenuto del nuovo progetto di digitalizzazione

E’ stato siglato un manifesto condiviso: “Digitalizzare per cambiare l’Italia cooperando – Manifesto per l’innovazione e lo sviluppo dell’economia delle persone”. Il Manifesto è quindi rivolto alle imprese cooperative, con una visione comune di innovazione responsabile orientata verso un’economia di persone. Il tutto è incentrato sulla volontà dei partecipanti di voler condividere valori cooperativi e mutualistici in cui ci sono due punti fondamentali, la digitalizzazione e la sostenibilità.

In modo particolare la sostenibilità deve essere rivolta verso tutto ciò che sta intorno, come l’aspetto civico, ambientale economico e sociale. Le imprese cooperative e non profit possono essere degli attori per la trasformazione digitale dell’intero Paese. Tra gli obiettivi ci sono:

  • rafforzare la dimensione della rete spingendo più imprese ad avere una presenza maggiore online e non solo attraverso le piattaforme chiuse;
  • generare nuove opportunità per giovani, donne, soggetti disagiati con un modello di imprese che operano in armonia tra sia all’interno che all’esterno;
  • sviluppare e supportare l’utilizzo di piattaforme aperte fondate sulla condivisione e sulla cooperazione;
  • libero accesso alle informazioni e condivisione dei dati;
  • sostenere un modello di interscambio per generare un clima di benessere.

Le parole del Ministro Giorgetti sul progetto delle imprese cooperative

Sul sito del Ministero dello Sviluppo, il Ministro Giorgetti commenta così il nuovo progetto.

“Sono particolarmente soddisfatto per questo progetto con Google – ha proseguito il ministro – che valorizzerà la parte buona del mondo delle cooperative che potranno avere nuove opportunità di sviluppo grazie all’innovazione e digitalizzazione. In un periodo complesso e critico come quello che stiamo vivendo, dare il giusto sostegno alle cooperative rappresenta un riconoscimento nei confronti di una realtà che ha dimostrato negli anni di saper affrontare i momenti di crisi economica e sociale rispondendo prontamente alle esigenze dei mercati in cui operano. Da Ministro a loro tutela ho emanato – ha concluso Giorgetti – una direttiva per contrastare i fenomeni distorsivi della forma societaria cooperativa e per migliorare le attività di vigilanza anche attraverso un sano meccanismo premiale”.

 

 

 

Collocamento obbligatorio dei disabili: entra in vigore la nuova banca dati

Con il decreto ministeriale 29 dicembre 2021 firmato dal ministro del Lavoro Orlando, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 23 febbraio 2022, prende il via il nuovo sistema per il collocamento obbligatorio dei disabili realizzato attraverso una banca dati che metterà in connessione tutti i soggetti che intervengono nell’assunzione.

La nuova banca dati per il collocamento obbligatorio dei disabili

La nuova banca dati è uno strumento informatico che metterà in connessione datori di lavoro pubblici e privati, ANPAL, INAIL, INPS, Ministero del Lavoro, Regioni e Province e permetterà di accedere ad agevolazioni, domanda e offerta di lavoro, convenzioni e alle varie comunicazioni obbligatorie. Il decreto del Ministro Orlando ha reso operativo l’art. 8, comma 2, del d.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151 che ha l’obiettivo di “razionalizzare la raccolta sistematica dei dati disponibili sul collocamento mirato“, semplificare gli adempimenti e rafforzare i sistemi di controllo.

Il decreto chiarisce quali informazioni dovranno essere contenute all’interno della banca dati, chi sono i soggetti tenuti a comunicarle e le modalità di accesso alla banca dati. Tra i soggetti che avranno nel nuovo sistema maggiori obblighi ci sono sicuramente le aziende.

Dati che devono comunicare le aziende

Tra gli obblighi di comunicazione previsti per le aziende, vi sono i dati inerenti gli adeguamenti predisposti all’interno dello spazio di lavoro per il collocamento dei disabili, ad esempio ascensori o altri sistemi volti ad abbattere le barriere architettoniche, postazioni di lavoro e simili. Inoltre devono essere inserite le informazioni sui disabili già assunti in azienda. Le informazioni da immettere sono:

  • dati anagrafici dei disabili assunti;
  • data di assunzione, se il contratto è a tempo determinato deve essere indicata anche la data di scadenza del contratto;
  • tipologia di contratto (full time, part time…);
  • qualifica professionale;
  • trattamento economico e normativo applicato.

Le aziende devono inoltre comunicare se:

  • sono sospese dall’obbligo di assumere disabili in quanto è stata espletata la richiesta di integrazione salariale oppure è in corso una procedura di mobilità o concorsuale;
  • sono state esonerate dall’obbligo di assumere disabili in quanto ne hanno fatto richiesta e pagato i relativi oneri;
  • infine, devono comunicare se hanno firmato convenzioni di integrazione.

Informazioni inserite nella banca dati per il collocamento dei disabili da soggetti diversi dalle aziende

Ulteriori informazioni devono essere comunicate da altri soggetti, in particolare gli uffici competenti devono inviare le schede dei singoli lavoratori, il prospetto deve contenere indicazioni su capacità del lavoratore  grado di disabilità e natura, competenze e inclinazioni.

In questo caso si tratta dei dati inerenti le graduatorie delle persone disabili che sono in attesa di una collocazione lavorativa detenute dai Centri per l’Impiego.

Obblighi di comunicazione sono previsti a carico dell’INPS e dell’INAIL.

L’INPS deve inserire le informazioni inerenti le agevolazioni a cui possono accedere le aziende che assumono disabili. Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano inseriscono i dati inerenti le agevolazioni concesse a livello locale.

L’INAIL deve invece inserire informazioni inerenti gli interventi in materia di reinserimento nel mondo del lavoro.

Infine, tra i dati devono essere inseriti:

  • gli elenchi dei percettori di sostegno al reddito;
  • banche dati centrali e territoriali contenenti gli elenchi previsti dalla legge 92 del 2012, articolo 4 comma 151, cioè aggiornate con esperienze formative seguite nel tempo;
  • devono essere inserite le informazioni degli studenti e laureati in materie tecniche e scientifiche.

L’insieme di tutti questi dati deve essere fruibile, nel rispetto della privacy e a fini statistici, anche alle amministrazioni competenti. La compresenza di tutte queste informazioni in una sola banca dati che consente interoperabilità di tutti i soggetti coinvolti dovrebbe favorire il collocamento mirato. Di conseguenza aiutare le persone disabili a trovare più facilmente una collocazione che sia in linea con le esigenze e le caratteristiche del singolo disabile. Dovrebbe inoltre rendere più semplici i controlli sulle aziende tenute ad assumere disabili e invece non lo fanno.

Per conoscere quando scatta l’obbligo di assunzione disabili, leggi la guida: Assunzione come categoria protetta: caratteristiche e informazioni

Per approfondimenti: Assunzione disabili: dal 2022 aumentano sanzioni per le aziende

Canali di comunicazione con il Sistema di Interscambio, quali sono e come si attivano

In Italia per la fatturazione elettronica l’autorità competente e responsabile, per tutte le procedure, è l’Agenzia delle Entrate. La quale ha attivato un canale telematico per il transito di tutte le fatture elettroniche.

Ci riferiamo, nello specifico, al cosiddetto SDI, sigla che sta per Sistema di Interscambio, e che è l’unico canale attraverso il quale le fatture inviate possono arrivare al destinatario. Vediamo allora, al riguardo, quali sono canali di comunicazione con il Sistema di Interscambio, e come questi si attivano.

Quali sono i canali di comunicazione con l’SDI – il Sistema di Interscambio

Nel dettaglio, al fine di poter dialogare con il Sistema di Interscambio dell’Agenzia delle Entrate, gli operatori economici possono scegliere in base alle proprie esigenze quattro canali. Ovverosia, i web services, il Secure File Transfer Protocol, la posta elettronica certificata (PEC) ed il portale Fatture&Corrispettivi.

E questo anche quando occorre inviare una fattura elettronica ad una pubblica amministrazione. Il contribuente può dialogare direttamente con l’SDI, oppure può affidare il compito ad un intermediario abilitato. Ma in tal caso è necessaria la stipula di un accordo di servizio.

Come funziona il Sistema di Interscambio per la fatturazione elettronica

Per la fatturazione elettronica il Sistema di Interscambio garantisce, sia per l’invio che per la ricezione dei documenti digitali, sicurezza e consistenza. In quanto, alla consegna della fattura attraverso l’SDI, il sistema permette di ottenere la ricevuta di consegna. Cosa che garantisce, in maniera inequivocabile, che la fattura ha raggiunto il destinatario.

Come gestire la fatturazione elettronica dal portale Fatture&Corrispettivi del Fisco

La gestione della fatturazione elettronica, inoltre, è offerta gratuitamente proprio dall’Agenzia delle Entrate attraverso il portale sopra citato. Ovverosia, dal sito ‘Fatture&Corrispettivi‘ che permette non solo di emettere e di trasmettere le e-fatture, ma anche di conservarle e di consultarle in qualsiasi momento.

L’accesso al portale Fatture&Corrispettivi è possibile tramite le credenziali. Ovverosia, accedendo al sito con un’identità digitale. Precisamente, con il Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID) oppure con la Carta Nazionale dei Servizi (CNS). Ma anche utilizzando le credenziali che sono state rilasciate dall’Agenzia delle Entrate.

Quali sono le tempistiche di elaborazione per le fatture elettroniche

Per l’elaborazione delle e-fatture, fa presente l’Agenzia delle Entrate attraverso il proprio portale web, i tempi necessari dipendono dal canale di trasmissione che è stato scelto tra quelli sopra indicati.

Le tempistiche, inoltre, dipendono pure dal traffico corrente di fatture elettroniche che affluiscono al Sistema di Interscambio. Ed in ogni caso, per l’esito di elaborazione di una e-fattura, il tempo massimo può essere stimato in non più di 48 ore.