Concordato preventivo biennale esteso, cosa cambia

Tra le principali novità previste per i titolari di partita Iva, vi è la possibilità di accedere già a partire dal 2024 al concordato preventivo biennale, un vero e proprio accordo con il Fisco per la tassazione di due anni successivi.

Il concordato preventivo biennale in prima stesura

Il concordato preventivo biennale nasce con l’obiettivo di semplificare i rapporti con il Fisco attraverso una tassazione frutto di accordo e valida per due anni, in questo modo non è necessario presentare dichiarazioni e seguire adempimenti, inoltre si sa fin da subito quante tasse si pagheranno. Si tratta per il contribuente di una sorta di scommessa perché, se effettivamente c’è un maggiore guadagno rispetto all’anno preso come punto di riferimento, vi è un risparmio di imposta, ma se si guadagna di meno, vi è una perdita.

Nella prima formulazione disponibile, il concordato preventivo biennale prevede dei limiti, ovvero non possono accedervi i titolari di partita Iva che abbiano un punteggio ISA (Indici sintetici di affidabilità fiscale) inferiore a 8. Perché tale esclusione? Perché il Fisco parte dal presupposto che un contribuente che abbia un punteggio Isa inferiore a 8 non sia affidabile dal unto di vista fiscale e di conseguenza è bene applicare una tassazione analitica anno per anno anche con maggiori controlli.

Di fatto chi accede al concordato preventivo facendo un accordo che implica l’esclusione dalla tassazione sui redditi effettivi prodotti per i due anni, non è sottoposto a controllo sui redditi dichiarati.

Come cambia il concordato preventivo biennale

Partendo da tale riflessione è stata proposta l’estensione del concordato preventivo biennale anche ai contribuenti con un punteggio Isa inferiore a 8. Nonostante l’eliminazione del punteggio Isa come causa ostativa all’accesso, resta la valutazione da parte dell’Agenzia delle Entrate di tale parametro (ne deriva che nella proposta di tassazione l’AdE può prendere in considerazione l’affidabilità fiscale).

Queste non sono le uniche proposte formulate che potrebbero portare a modifiche al concordato preventivo biennale infatti è previsto anche il limite di aumento del reddito concordato fissato al 10% rispetto al reddito dell’anno di riferimento. Infine, sono previsti corsi di formazione professionale per professionisti a elevata specializzazione impegnati nel rilascio della certificazione del rischio fiscale le cui spese saranno a carico degli ordini professionali e della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione.

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Cosa c’è nel Milleproroghe? Superbonus, smart working e pensioni

Mentre ancora si lavora alla legge di Bilancio 2024, continuano i lavori per il decreto milleproroghe, ancora non vi sono novità certe, ma dalle prime indiscrezioni si lavora a una proroga delle condizioni del Superbonus per i condomini.

Superbonus nel decreto Milleproroghe

Il punto su cui molti sono in attesa è quello del Superbonus, il ministero dell’Economia ha più volte ribadito che non vi sono coperture per una proroga del Superbonus condomini, neanche in caso di cantieri già aperti, per tutti i lavori del 2024 la detrazione dovrebbe scendere al 70%. Nonostante questo, si continua a parlare insistentemente di una proroga perché in caso contrario i cantieri a rischio sarebbero circa 10.000.

L’ipotesi allo studio è quello di un Sal straordinario al 31 dicembre, che certifichi la detrazione completa per i lavori realizzati fino a fine anno, sarebbe quindi una misura molto ridotta. Non c’è molto spazio di manovra d’altronde in quanto si stima una spesa per il 2023 di 50 miliardi di euro, quattro volte rispetto alle previsioni iniziali.

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Pensioni e smart working, i nodi da sciogliere

Tra le ipotesi che sbucano c’è anche un nuovo innalzamento dell’età della pensione per i medici che da 70 anni potrebbe passare a 72 anni. Un’altra possibile novità potrebbe arrivare con lo smart working, prorogato dal decreto Anticipi fino al 31 marzo 2024 ma solo nel settore privato, sia per i fragili che per i genitori di under14. Nessuna novità per lo smart working per il settore pubblico, la misura è infatti in scadenza il 31 dicembre e sembra difficile una proroga a causa delle scarse coperture.

Queste le principali novità che dovrebbero entrare nel decreto Milleproroghe, ma per la prossima settimana c’è anche un’altra novità abbastanza importante, infatti dovrebbero arrivare nuovi decreto delegati per la riforma fiscale e in questo caso tra le novità più attese vi è la riduzione degli scaglioni Irpef da 4 a 3.

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Flat tax incrementale dal 2024 va in pensione

La legge di bilancio 2023 aveva previsto come misura sperimentale e quindi per il solo 2023, la flat tax incrementale, cioè la tassazione piatta, proporzionale, non progressiva. Questa misura non è tra quelle rinnovate nel disegno di legge di bilancio per il 2024, il testo ormai definitivo, arriva in Senato il 22 dicembre 2023.

Cos’è la flat tax incrementale e come funziona

La flat tax incrementale è un regime opzionale, quindi il titolare di partita Iva in regime ordinario può sceglierlo o meno. Prevede per gli incrementi di reddito rispetto ai redditi prodotti negli anni dal 2020 al 2022, con decurtazione di un importo pari al 5 per cento di quest’ultimo ammontare, l’applicazione di un’aliquota Irpef al 15%. La flat tax incrementale può trovare applicazione su una base imponibile massima di 40.000 euro.

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La flat tax si applica sui redditi prodotti nel 2023, quindi nella dichiarazione che sarà presentata nel 2024, non troverà poi più applicazione quindi solo per il prossimo anno ci sarà la necessità di effettuare il doppio calcolo dell’imposta.

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Il contribuente può comunque scegliere di evitare il doppio calcolo rinunciando all’aliquota opzionale, ovviamente dal punto di vista economico questa scelta non è conveniente, infatti nel 2023 la prima aliquota Irpef è al 23% per redditi fino a 15.000 euro, quindi aliquoita più elevata rispetto al 15%.

Quale sarà la tassazione dopo la flat tax incrementale?

Come detto, la misura non è prevista nella legge di bilancio 2024, questo vuol dire che non ci sarà una proroga e al 31 dicembre scadrà questa tassazione di favore.

Dal 2024 dovrebbero però entrare in vigore per i titolari di partita Iva le misure disposte dal concordato preventivo biennale. Attualmente non è possibile determinare se questa misura porterà effettivamente a pagare meno imposte, di sicuro aiuterà a ridurre la burocrazia perché partite Iva e Fisco concorderanno per due anni le imposte da pagare. Non mancano polemiche sui maggiori controlli a cui saranno sottoposti coloro che decidono di non aderire al nuovo regime fiscale.

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Settimana corta, sempre più aziende la stanno scegliendo

La settimana corta è la nuova “moda” che stanno scegliendo le aziende di tutto il mondo. Vediamo in cosa consiste e la situazione in Italia.

Settimana corta, lavorare meno per lavorare meglio

Se ne parla già da qualche anno, ma non tutti i paesi hanno adottato la settimana lavorativa corta. Con questo termini si intende dire lavorare solo 4 giorni su 7 alla settimana. Andare a lavorare quindi dal lunedì al giovedì, o secondo la turnazione prevista. Bene questo potrebbe significare lavorare meno per i dipendenti, e anche per le aziende risparmiare in termini di costi energetici. I dipendenti avrebbero più tempo per la famiglia, per i propri hobbies, lavorando così  meno, ma molto meglio. Almeno questo sembra essere lo slogan di coloro che sostengono l’introduzione della settimana corta lavorativa.

Ma ci sono anche coloro che sono contrari. Questo perché in settori come la sanità, la pubblica amministrazione, i trasporti dove questa scelta potrebbe comportare dei grossi problemi di continuità del servizio. Soprattutto nel tema della sanità italiana, dove già mancano davvero tanti medici. In ogni caso se ne parla già da un pò, tanto che alcune aziende, anche italiane hanno optato per questa scelta.

Settimana corta, cosa succede in Italia?

Una scelta che sta interessando sempre di più aziende in tutto il mondo. Alcuni Paesi come Islanda, Giappone e Regno Unito hanno ridotto l’orario di lavoro con risultati positivi.  ecco la situazione nel nostro Paese. La multinazionale Essilux (EssilorLuxottica) ha inserito per gli operai la possibilità di lavorare 20 ore a settimana, riducendo le giornate lavorative da 5 a 4. Anche il gruppo Sanpaolo ha introdotto la flessibilità dell’orario di ingresso ed uscita e lo smart working fino a 120 giorni all’anno. La distribuzione del lavoro, come da contratto bancari, potrebbe quindi essere spalmata in 4 giorni invece che 5.

Hanno introdotto la settimana corta anche le aziende del comparto alimentare come Lavazza e Rigoni. Anche la casa automobilistica Lamborghini sembra aver firmato l’accordo sulla settimana corta. Si prevede la riduzione dell’orario di lavoro, l’aumento del salario annuale, 500 nuove assunzioni, un percorso di miglioramento sugli appalti continuativi del sito, il consolidamento dei diritti e la tutela delle differenze.

 

 

Lavoro, mancano lavoratori specializzati in questi settori

Il mercato del lavoro è ancora in sofferenza, sono 5,5 milioni i contratti programmati dalle aziende, ma mancano le coperture. Ecco i lavori più cercati e per i quali le aziende fanno fatica a trovare lavoratori specializzati.

Mercato del lavoro, quali professioni sono da coprire?

Se da un lato vi sono tante persone che cercano un lavoro e fanno fatica ad arrivare a fine mese, ci sono tante aziende che cercano personale e non riescono a trovarlo. Lo squilibrio tra domanda e offerta è determinato prevalentemente dal fatto che spesso chi cerca lavoro non ha un grado di istruzione adeguato alle mansioni disponibili, in altri casi le posizioni restano scoperte perché poco allettanti dal punto di vista economico. Il quadro della situazione è stato riassunto il Bollettino annuale 2023 del sistema informativo Excelsior, targato Unioncamere-Anpal.

A sorpresa i settori dove si assume di più sono quelli che richiedono un titolo tecnico-professionale e di istruzione e formazione professionale. Proprio le difficoltà emerse ci dicono che c’è ancora distanza tra l’offerta formativa delle scuole e le richieste delle aziende.

Le imprese hanno avuto difficoltà a trovare il 65,5% dei diplomati presso gli istituti ITS, le difficoltà aumentano per lavoratori con diploma tecnici specializzati nei percorsi dell’area meccanica. Difficoltà elevate ci sono anche nella ricerca di tecnici ITC Information and Communication Technologies) Tecnologie riguardanti i sistemi integrati di telecomunicazione.

Per quanto riguarda invece le posizione aperte per laureati, ci sono settori dove sicuramente vi è un eccesso e altri invece in cui c’è penuria, tra questi ultimi vi sono laureati in materie tecnico-scientifiche.

Le mansioni per cui non si trovano lavoratori

Tra le mansioni più difficili da coprire vi sono:

  • ingegneri dell’informazione;
  • personale infermieristico;
  • ostetriche;
  • tecnici delle costruzioni civili.
  • Non si trovano inoltre idraulici, elettricisti, farmacisti e tecnici programmatori.

Si tratta a ben vedere di posizioni che possono fornire anche un buon riscontro economico e nonostante questo, sembra siano poco affascinanti per i giovani che preferiscono avere una formazione che porta in una direzione diversa rispetto a tali professioni.

Il presidente di Unioncamere, Andrea Prete, ha precisato che il problema della irreperibilità di questi professionisti è dovuta alla incapacità di orientare i giovani nel momento in cui devono scegliere il percorso formativo da seguire.

Il problema delle assunzioni in Italia è ciclico, infatti nelle stagioni ad elevato interesse turistico le aziende lamentano la scarsità di personale da adibire a mansioni come camerieri, cuochi, addetti alla reception, guide turistiche.

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Regime forfettario, addio semplificazioni. Cosa cambia dal 2024

Addio alle semplificazione per i contribuenti che hanno scelto il regime forfettario, a partire dal prossimo anno di imposta sarà necessario rilevare i costi di gestione. Ecco cosa cambia dal 2024.

Semplificazioni del regime forfettario

Il regime forfettario è caratterizzato dalla semplificazione degli obblighi tributari/fiscali. La semplificazione principale riguarda l’indicazione dei costi, infatti il reddito si calcola avendo come punto di riferimento l’ammontare di ricavi e compensi a cui si applica un coefficiente di redditività individuato per codici Ateco. Il coefficiente di redditività è stato calcolato avendo come riferimento la media dei costi sostenuti dalle imprese del settore.

Non applicandosi la deduzione dei costi con il metodo analitico, ma forfettario, chi è in regime semplificato forfettario fino ad ora non ha avuto obbligo di registrazione e di tenuta delle scritture contabili.

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Regime forfettario e concordato preventivo biennale, nuovi obblighi

Le nuove regole prendono il via dalle norme dettate per il concordato preventivo biennale, questo infatti prevede che Fisco e contribuente si accordino sulle tasse da pagare per due anni, prendendo come punto di riferimento le dichiarazioni presentate negli anni passati.

Il concordato preventivo biennale si articola in diverse fasi, la prima prevede che l’Amministrazione finanziaria metta a disposizione del contribuente una piattaforma attraverso la quale il contribuente deve fornire informazioni utili all’elaborazione di una proposta di tassazione da parte del Fisco. Molto probabilmente il questionario proposto è simile per imprese e professionisti in regime ordinario e forfetario e di conseguenza anche questi ultimi devono fornire informazioni inerenti i costi sostenuti. Ovviamente di queste spese deve esservi una traccia controllabile da parte dell’Agenzia.

Avendo presente queste basilari informazioni sul concordato preventivo biennale, emerge che con molta probabilità chi vuole aderire dovrà tenere traccia dei costi sostenuti.

Forfettario, si perdono gran parte delle semplificazioni fiscali

Questa non è l’unica semplificazione che si perde, infatti dal 1° gennaio 2024 ci sarà l’obbligo generalizzato di fatturazione elettronica anche per i forfettari. A ciò si aggiunge che già è stato introdotto l’obbligo di compilazione del Quadro RS nella dichiarazione dei redditi 2023.

Infine, si ricorda che a partire dal mese di aprile 2024 (negli anni successivi, marzo) l’Amministrazione Finanziaria dovrà mettere a disposizione del contribuente la piattaforma per fornire i dati. I contribuenti dovranno quindi provvedere a inviarli e successivamente sarà formulata una proposta di concordato, ma se il contribuente non aderisce o decade, saranno effettuati controlli.

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Black friday e cyber monday, attenti alle fregature. Guida

Il periodo degli sconti è ormai aperto, tra il week end black friday prorogato, sconti per le vicine feste natalizie e poi di nuovo saldi, si entra in un vortice di inviti a comprare. Ma come evitare truffe?

Un mese di sconti a cui prestare attenzione

Il culmine del black friday dovrebbe arrivare il 24 novembre, il condizionale è d’obbligo, infatti quello che dovrebbe essere un venerdì di sconti è di fatto diventato un mese di promozioni varie. Seguirà il cyber monday che dovrebbe riguardare solo i prodotti tecnologici, ma di fatto si estende a tutto l’immaginario possibile delle vendite. Seguiranno sconti vari fino ad arrivare ai saldi.

Gli sconti soprattutto se prolungati nel tempo possono nascondere molte insidie, infatti in molti casi le vendite effettuate in questo periodo non prevedono la possibilità di cambi, oppure si tratta solo di finti sconti.

Le pubblicità sugli sconti ormai arrivano quotidianamente e non sempre è semplice capire quando si tratta di veri affari e quando invece di semplici inviti a comprare facendo credere in un prezzo inferiore rispetto al normale.

Per evitare truffe è bene acquistare solo prodotti che realmente servono e si desiderano. Magari è bene farsi una lista prima che inizia il periodo degli sconti. Per quegli stessi prodotti è bene monitorare il prezzo, in questo modo si potrà realmente capire se sono scontati o meno.

Il nuovo codice del consumo

In soccorso dei consumatori arriva ora l’articolo 17-bis del codice dei consumo così come modificato. In particolare questo prevede che deve essere indicato sempre il doppio prezzo, prima degli sconti, sbarrato, e successivo allo sconto. Occorre però prestare attenzione perché non deve essere indicato l’ultimo prezzo previsto per il prodotto, ma il prezzo più basso tra quelli praticati sul prodotto negli ultimi 30 giorni. In aggiunta a queste informazioni il venditore può anche aggiungere ulteriori informazioni, ad esempio l’ultimo prezzo praticato o la media del prezzo per quel determinato prodotto, ma di fatto non può mai mancare l’indicazione del prezzo più basso praticato su quel prodotto nei 30 giorni antecedenti. Tale obbligo vige sia per le vendite presso esercizi fisici, sia in caso di acquisti presso store online.

Attenti agli acquisti online

Per evitare truffe online è bene anche cercare di capire l’affidabilità del sito e puntare su store su cui si hanno sufficienti informazioni, in molti casi vi sono store che compaiono e scompaiono sui vari social nel tempo di qualche giorno e che spediscono merce del tutto diversa rispetto a quella realmente ordinata. Prima di ordinare è bene anche controllare che siano chiari i recapiti da poter utilizzare per presentare reclami se ci si accorge che non sono affidabili, è bene tralasciare. Online si deve controllare che la pagina abbia il certificato Https e che i pagamenti siano sicuri.

Querela contro il datore di lavoro giustifica il licenziamento

Importante pronuncia della Corte di Cassazione, una querela contro il datore di lavoro può essere a base del licenziamento. Ecco in quali casi.

Rischia il licenziamento il lavoratore che presenta una denuncia falsa

La querela è un importante strumento dato al cittadino per denunciare comportamenti illeciti nei propri confronti, ad esempio se Tizio mi picchia io posso presentare denuncia in quanto le percosse sono reato. La querela deve però essere utilizzata in modo consono e può portare anche conseguenze importanti. Ad esempio, nell’ambito del diritto del lavoro se il datore di lavoro ha comportamenti illeciti nei confronti di un dipendente, come nel caso di molestie, è possibile presentare querela e nel caso in cui il giudice riconosca le ragioni del lavoratore non si può licenziare il dipendente, sarebbe una ritorsione.

Cosa succede invece se il giudice riconosce che il datore di lavoro non ha commesso il fatto denunciato dal lavoratore?

Questo è un caso interessante ed è stato trattato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 30866/2023.

Il caso, denuncia falsa giustifica il licenziamento per giusta causa

Nel caso in oggetto il lavoratore presenta querela contro il datore di lavoro per appropriazione indebita delle somme Tfr. Le accuse si rivelano infondate, ma soprattutto emerge dal procedimento che il lavoratore era consapevole del fatto che tali accuse fossero infondate. Scatta quindi il reato di calunnia che il datore di lavoro a sua volta denuncia. In questo caso siamo di fronte alla strumentalizzazione della denuncia in violazione dell’obbligo del dovere di fedeltà previsto dall’articolo 2105 del codice civile e i principi di correttezza e buona fede degli articoli 1175 e 1375 Cc.

A ciò si aggiunge che una denuncia penale infondata rappresenta un abuso nell’uso di strumenti del processo che, come sappiamo, determina delle spese a carico delle casse dello Stato.

Da qui arriva la pronuncia della Corte di Cassazione che può essere considerata storica, infatti, generalmente se anche un lavoratore denuncia il datore di lavoro e risulta soccombente, non vi è il diritto a licenziare da parte del datore di lavoro, ma solo se la parte non ha agito in malafede ma per un errore di fatto o di diritto, cioè senza premeditare di danneggiare il datore di lavoro con accuse false e infondate.

Nel caso in oggetto essendovi stata una calunnia, è legittimo il licenziamento in tronco (licenziamento per giusta causa) in quanto è venuto meno il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore.

Ricordiamo che affinché si possa configurare la calunnia è necessario il dolo, cioè l’aver agito con lo scopo di danneggiare il datore di lavoro, nel caso in cui il giudice dovesse rigettare il ricorso del lavoratore per insufficienza di prove, non scatta il reato di calunnia.

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Imprese, in caso di indagini sul conto corrente il contribuente deve fornire prova contraria

La Corte di cassazione con ordinanza n. 27301 del 25 settembre 2023 ha espresso un importante principio di diritto: in caso di indagini sul conto corrente è il contribuente a dover dimostrare che i fondi presenti non arrivano da evasione fiscale. Ecco la vicenda.

Impresa con redditi dichiarati di 1 euro, indagini sul conto corrente

Un’impresa agricola impegnata nella coltivazione di uve per la produzione di vino per diversi anni presenta una dichiarazione dei redditi dalla quale emergeva un reddito d’impresa di 1 euro per ciascun anno d’imposta. A questo punto l’Agenzia delle Entrate inizia le verifiche e chiede all’impresa di esibire le scritture contabili e, in particolare, i registri Iva e la documentazione dei componenti positivi e negativi del reddito inerente l’attività da lei esercitata.

Contemporaneamente avvia le indagini sui conti corrente richiedendo agli istituti di credito, con i quali la contribuente operava, di comunicare notizie in merito ai rapporti intrattenuti dalla contribuente. Da tale indagine emergono numerose movimentazioni nei conti corrente. Di conseguenza il Fisco ha chiesto delucidazioni al contribuente notificando tre avvisi di accertamento relativi a ciascun anno di imposta per il quale aveva dichiarato un euro di reddito. Con gli avvisi di accertamento sono stati rettificati i redditi di impresa dichiarati e sono stati recuperati a tassazione alcuni componenti positivi che non erano stati contabilizzati.

Il contribuente naturalmente ha impugnato gli avvisi di accertamento. Le commissioni tributarie, primo e secondo grado, accolgono i rilievi del contribuente accogliendo la tesi della ricorrente secondo la quale l’impresa non era titolare di terreni sui quali avrebbe potuto svolgere l’attività economica finalizzata alla produzione di uva secondo le dimensioni presunte dall’ufficio. Inoltre hanno evidenziato che l’ufficio non aveva fornito prova della titolarità, in capo alla contribuente, di terreni idonei a produrre il reddito accertato.

Ricorso in Cassazione, sui movimenti bancari vige la presunzione legale in favore del Fisco

L’Amministrazione finanziaria ha quindi proposto ricorso in Cassazione sottolineando che non toccava ad essa provare esistenza del presupposto per la produzione del reddito, considerato che, nel caso specifico, la rettifica era stata basata su indagini finanziarie e, in particolare, sul riscontro tra i versamenti ed i prelievi che non erano stati giustificati dalla contribuente.

L’Amministrazione ha inoltre sottolineato che non fosse necessaria la titolarità di terreni sui quali svolgere la propria attività da parte dell’imprenditore infatti è plausibile che l’attività agricola possa essere esercitata su terreni detenuti a vario titolo dalla contribuente, pur spettando la proprietà a altri soggetti.

La Corte di cassazione ha accolto il ricorso sottolineando per quanto riguarda gli accertamenti bancari opera un presunzione legale a favore dell’erario e di conseguenza è il contribuente che deve fornire prova contraria attraverso “una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili”.

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Accertamenti fiscali: i movimenti in conto corrente sono ricavi occulti

Agricoltura, disponibili contributi a fondo perduto con il Fondo per l’innovazione

Sta per partire il Fondo per l’innovazione in agricoltura di Ismea, l’obiettivo è finanziare l’acquisto macchine e attrezzature innovative per l’agricoltura e la pesca nel settore primario. Il fondo prevede lo stanziamento di 75 milioni di euro per l’anno 2023, 2024 e 2025.

Chi può accedere al Fondo per l’innovazione in agricoltura

Il fondo per l’innovazione in agricoltura è rivolto a imprese:

  • agricole;
  • ittiche;
  • agromeccaniche.

Per le imprese ittiche è possibile ottenere l’accesso al Fondo per l’innovazione in agricoltura per investimenti di valore minimo di 10.000 euro, negli altri casi l’investimento minimo previsto è di 70.000 euro, mentre l’investimento massimo che può essere agevolato è di 500.000 euro.

Il bando prevede la possibilità di ottenere un contributo da un minimo del 22,5% fino al 95% dell’importo ammissibile in base all’entità dell’investimento e e la tipologia di impresa.

Fondo per l’innovazione in agricoltura, come funziona

Per ottenere l’agevolazione è necessario che l’investimento sia stato effettuato successivamente alla presentazione della domanda di accesso al Fondo, inoltre il macchinario acquistato deve essere nuovo, non si ottengono i benefici nel caso di leasing. Il bando stabilisce anche che le Pmi agricole e della pesca potranno usufruire di una garanzia Ismea per i finanziamenti che può arrivare fino all’80% del valore nominale del finanziamento bancario.

Per un’impresa agricola operante nel settore della produzione primaria, trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli la percentuale di beneficio è così ripartita:

PMI AGRICOLE

  • fino a 100.000 75%
  • da 100.001 a 200.000 65%
  • investimenti da 200.001 a 300.000 55%
  • da 300.001 a 500.000 45%

Deve essere sottolineato che è prevista una quota dei fondi in favore delle zone alluvionate nel mese di maggio 2023, la stessa è di 10 milioni di euro per il 2023, 30 milioni di euro per il 2024 e 35 milioni di euro per il 2025.

Come presentare la domanda per accedere al Fondo

Per poter accedere al fondo è necessario presentare la domanda sul sito Ismea. La piattaforma sarà accessibile a partire dal 15 novembre 2023. Lo sportello telematico rimane aperto dal lunedì al venerdì dalle ore 9.00 alle ore 18.00 ad eccezione del primo giorno di apertura (dalle ore 12.00 alle ore 18.00).

Gli investimenti dovranno essere finalizzati ad ammodernare la produzione attraverso l’uso di tecnologie 4.0 per il risparmio dell’acqua e la riduzione dell’impiego di sostanze chimiche, nonché per l’utilizzo di sottoprodotti.

L’accesso al Fondo per l’innovazione in agricoltura è compatibile anche con altri aiuti di Stato, ma occorre prestare attenzione a non incorrere in doppio finanziamento per lo stesso investimento.

Le domande per l’accesso alle agevolazioni devono essere presentate presso il portale dedicato ISMEA all’indirizzo https://strumenti.ismea.it.

Per accedere al portale dedicato l’utente deve registrarsi; la procedura di accreditamento ha luogo esclusivamente tramite PEC.

Dopo la registrazione la piattaforma sarà accessibile.