Quattordicesima 2023: a chi spetta e a quanto ammonta?

La quattordicesima mensilità è una somma aggiuntiva versata sulla pensione nella mensilità di luglio. L’importo e la spettanza dipende dal reddito e in particolare sono determinati in base alla pensione minima. Naturalmente cambiando gli importi delle pensioni in base all’inflazione, cambia anche il limite dell’assegno mensile che consente di ricevere la quattordicesima mensilità. Vediamo quindi a chi spetta la quattordicesima 2023 e quanto percepiranno i pensionati.

Quattordicesima 2023: a chi spetta?

La quattordicesima mensilità è una somma aggiuntiva pagata sulle pensioni nel mese di luglio. Non spetta a tutti i pensionati, ma solo a coloro che hanno un reddito particolarmente basso e quindi è una sorta di aiuto per coloro che possono avere difficoltà economiche. La quattordicesima mensilità viene erogata a coloro che hanno un assegno pensionistico non superiore due volte al trattamento minimo. Fino al 2017 veniva erogata esclusivamente a coloro che avevano un trattamento pensionistico fino a 1,5 volte il minimo. Questo vuol dire che ogni anno deve essere rideterminato l’importo mensile che porta ad avere diritto a questa prestazione.
La pensione minima per il 2023 passa da 525,38 euro a 563,73 euro, il totale annuo è quindi pari a 7.328,49 euro, ma per coloro che hanno compiuto 75 anni di età l’importo minimo è di 597 euro. Questo implica che l’importo massimo di reddito annuo che può portare alla corresponsione della quattordicesima mensilità è di 14.657 euro annui.

Hanno diritto alla somma aggiuntiva coloro che percepiscono:

  • pensione di vecchiaia;
  • pensione di anzianità;
  • nuova pensione anticipata;
  • pensione superstiti;
  • pensione di invalidità ordinaria (IO) e inabilità.

La quattordicesima invece non spetta a percettori di:

  • invalidità civile,
  • pensione sociale o assegno sociale;
  • rendita inail;
  • pensione di guerra

Vi sono ulteriori limiti alla percezione della quattordicesima mensilità, infatti non viene erogata a coloro che hanno un’età pari o superiore a 64 anni.

A quanto ammonta la quattordicesima mensilità?

Gli importi della quattordicesima 2023 cambiano in base ai redditi percepiti dal pensionato.

In particolare per chi ha un reddito fino a 10.992,93 euro annui, quindi fino al limite di 1,5 volte il trattamento minimo gli importi sono:

  • 436,80 € per anzianità contributiva fino a 18 anni (15 per lavoratori dipendenti);
  • 546 € con anzianità contributiva tra i 18 anni e i 28 anni (da 15 a 25 anni per lavoratori dipendenti);
  • 655,20 € con anzianità superiore a 28 anni di contributi (oltre 25 anni per lavoratori dipendenti.

Per redditi fino a 14.657,24 euro gli importi previsti sono:

  • 336 euro per anzianità contributiva fino a 18 anni (15 anni per i lavoratori dipendenti);
  • 420 euro con anzianità contributiva compresa tra 18 e 28 anni (15-25 anni per i lavoratori dipendenti);
  • 504 euro con anzianità contributiva superiore a 28 anni ( 25 anni per i lavoratori dipendenti).

Come stabilito nella circolare Inps 130 del 2015, nel computo dei redditi che danno diritto alla percezione della quattordicesima mensilità 2023, non devono essere inseriti:

  • trattamenti di famiglia;
  • assegno di accompagnamento;
  • pensioni di guerra;
  • compensi arretrati sottoposti a tassazione separata;
  • tfr;
  • reddito della casa di abitazione;
  • indennità per i ciechi parziali e dell’indennità di comunicazione per sordi prelinguali;
  • indennizzo previsto della legge n. 210 del 25/02/1992;
    sussidi economici che comuni ed altri enti erogano agli anziani in difficoltà.

Leggi anche: Rivalutazione pensioni: chi la riceverà a marzo 2023?

 

Opzione donna 2023: è possibile presentare domanda

L’Inps con il messaggio 467 del 2023 ha reso noto che è ora possibile presentare istanza per accedere alla pensione anticipata Opzione Donna 2023 secondo i requisiti aggiornati con la legge di Bilancio 197/2022, articolo 1, comma 292.

Chi può presentare la domanda per la pensione anticipata Opzione donna 2023

Occorre ricordare che la pensione anticipata Opzione Donna nella legge di bilancio ha visto cambiare in modo netto le sue caratteristiche. Attualmente possono accedere al beneficio della pensione anticipata le donne lavoratrici dipendenti o autonome che abbiano maturato almeno 35 anni di contributi e un’età anagrafica di 60 anni. Il requisito anagrafico si riduce di un anno per ogni figlio fino a un massimo di 2 anni.

Non bastano però questi requisiti deve infatti verificarsi almeno un’altra tra queste circostanze:

  • essere care giver e in particolare occuparsi da almeno sei mesi del coniouge o altro parente di primo grado convivente che abbia un handicap grave. Oppure  prestare assistenza a un parente o affine di secondo grado se lo stesso non ha un parente di primo grado o coniuge che possa occuparsene in quanto abbiano a loro volta già compiuto 70 anni o siano a loro volta colpiti da handicap grave;
  • la richiedente la pensione opzione donna 2023 anni ha un’invalidità riconosciuta almeno del 74%;
  • lavoratrici che abbiano perso il lavoro in seguito a una crisi aziendale per la quale sia stato aperto un tavolo di confronto.

Come presentare la domanda per la pensione anticipata

La domanda per la pensione anticipata Opzione Donna 2023 può quindi ora essere effettivamente presentata. La donna può inoltrare la domanda in autonomia attraverso il sito dell’Inps autenticandosi con un codice di identità digitale ad esempio Spid, Cie o Cns. Per inserire la domanda occorre seguire il percorso “Prestazioni e servizi” – “Servizi” – “Pensione anticipata “Opzione donna” – Domanda”.

In alternativa è possibile rivolgersi a un patronato oppure chiamare il Contact Center Integrato al numero verde 803164 (gratuito da rete fissa) o il numero 06164164 a pagamento secondo il proprio piano tariffario.

Pensione, bastano 15 anni di contributi, ma solo in alcuni casi

Andare in pensione con soli 15 anni di contributo è possibile. Ma è possibile solo in alcuni casi specifici e soprattutto a che età è possibile farlo?

Pensione, la Legge Amato

E’ possibile, anche per il 2023, andare in pensione con 67 anni di età e con 15 anni di contributi versati, invece dei soliti 20 richiesti. Questo deriva dall’applicazione della Legge Amato 503/1992 che ha introdotto tre deroghe alla pensione di vecchiaia. La prima deroga lo consente qualora tutti i 15 anni di contributi, ovvero 780 settimane contributive, facciano riferimento a periodi antecedenti al 31 dicembre 1992. Per il calcolo si tiene conto di tutte le tipologie di contributi, quindi anche quelli figurativi, quelli volontari e quelli da riscatto. Altro requisito è che il lavoratore deve essere iscritto al Fondo lavoratori dipendenti o alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi dell’INPS, o anche Ex Enpals e INPDAP.

La seconda deroga consente di andare in pensione con 15 anni di contributi. Qualora con un provvedimento antecedente al 31 dicembre 1992 si sia stati autorizzati al versamento dei contributi volontari, anche nel caso in cui non si sia proceduto a farlo. Come nel caso precedente valgono tutti i contributi, ma solo per i lavoratori dipendenti e autonomi iscritti all’Assicurazione generale obbligatoria dell’INPS, nonché gli iscritti ex Enpals.

La terza deroga della legge Amato

La terza deroga della legge Amato prevede un requisiti contributivo che viene tagliato per coloro che hanno un’anzianità assicurativa di 25 anni. Vuol dire che il primo contributo deve essere stato versato almeno 25 anni dalla data del raggiungimento dei requisiti per la pensione. Tuttavia è necessario avere 15 anni di contributi da lavoro dipendente versati all’Assicurazione generale obbligatoria o ad un fondo sostitutivo.

Infine, di questi 15 anni almeno 10 devono essere stati lavorati per periodi non inferiori alle 52 settimane. E’ importante sottolineare che la terza deroga Amato si applica solamente nei confronti dei lavoratori dipendenti iscritti all’Assicurazione generale obbligatoria o ad un fondo sostitutivo o esonerativo della medesima.

Quando si può andare in pensione nel 2023 con 15 anni di contributi?

A conti fatti e dopo aver realizzato tutte le deroga, si può dire che è possibile andare in pensione nel 2023, con 15 anni di contributi se si è iniziato a lavorare non più tardi del 1995 e quindi avere un’anzianità assicurativa di almeno 28 anni. Una cosa è comunque certa quando si va in pensione occorre fare i conti con tantissime variabili. Ma forse è il momento che il Governo possa mettere in campo una Riforma sulle pensioni che le riorganizzi in modo definitivo.

 

 

Invalidità civile 2023: nuovi importi e limiti di reddito

L’assegno di invalidità è una prestazione economica erogata in favore di coloro che hanno un’invalidità riconosciuta con percentuale che varia dal 74% al 99%. Viene erogata in favore di persone di età compresa tra i 18 e i 67 anni di età, cioè prima che maturi il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia.

Invalidità civile 2023: aggiornati gli importi in base all’inflazione

I percettori dell’assegno di invalidità riscuotono lo stesso ogni mese per 13 mensilità annue. L’importo dell’assegno varia in base alla tipologia di patologia che ha portato al riconoscimento del diritto. In alcuni casi la corresponsione è legata anche a requisiti reddituali. In ogni caso l’importo viene di anno in anno aggiornato in base all’andamento del costo della vita e come sappiamo per il 2023 l’inflazione è stata registrata al 7,3% di conseguenza sono stati aggiornati gli importi. I nuovi importi sono:

  • per i ciechi civili assoluti l’importo dell’assegno è di 339,48 euro, mentre il limite reddituale è fissato a 17.920 euro;

  • per i ciechi civili assoluti ricoverati presso strutture di assistenza l’importo mensile è di 313,91, il limite di reddito è 17.920 euro di reddito,

  • i ciechi civili parziali, gli invalidi civili totali e i sordo muti ricevono un importo di 313,91 euro fino a un reddito di 17.920 euro;

Nel frattempo è bene ricordare che l’Inps ha reso note anche le patologie che più frequentemente in Italia portano al riconoscimento dell’invalidità civile e purtroppo i dati non sono incoraggianti, infatti nel 22% dei casi i soggetti riconosciuti invalidi con una percentuale minima del 74% sono purtroppo afflitti da patologie tumorali. Al secondo posto di questa particolare classifica si pongono invece le patologie psichiche che rappresentano il 21,5% delle istanze per il riconoscimento dell’invalidità civile.

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Invalidità civile: come presentare la domanda e tempi di attesa per la visita

Pensione a 70 anni: l’ultima novità del Governo

Il tema pensioni è tra i più caldi da sempre perché arrivare all’agognato traguardo del riposo dal lavoro è interesse di molte persone. Il Governo ha annunciato di voler mettere mano a una riforma strutturale del sistema pensionistico in modo da superare la legge Fornero ed evitare tutti gli scivoli pensionistici. Tra le ipotesi che stanno circolando vi è anche la pensione a 70 anni, ma per quali lavoratori? Ecco una delle proposte.

Perché è difficile scrivere la riforma delle pensioni?

Quando si tratta di pensioni l’interesse delle persone è sempre molto alto. Il Governo intende superare la Legge Fornero, ma deve fare i conti con ostacoli di tipo economico. Dai calcoli dell’Inps emerge che attualmente il rapporto tra lavoratori e pensionati è di 1,4, nel 2029 scenderà a 1,3, continuando di questo passo nel 2050 arriverà a 1. Per avere conti stabili il rapporto dovrebbe essere a 1,5, cioè per ogni 1,5 lavoratori vi dovrebbe essere un pensionato. Siamo quindi già fuori nonostante, anche se può sembrare cinico dirlo, l’emergenza Covid abbia aiutato l’Inps ha tenere sotto controllo i conti.

Le ipotesi allo studio per la riforma delle pensioni parlano di una Quota 41, cioè possibilità di andare in pensione dopo aver maturato 41 anni di contributi senza alcun riferimento all’età anagrafica. L’Inps rende però noto che è necessario pensare anche ai giovani che hanno rapporti di lavoro discontinui e rischiano di non arrivare mai alla pensione.

Pensione a 70 anni: i lavoratori coinvolti

Proprio per questo motivo il Governo sta pensando a diversificare le ipotesi e quindi prevedere il pensionamento a 70 anni per gli statali. Naturalmente attraverso degli incentivi economici che stimolino i lavoratori a restare ancora in attività. Tra le proposte vi è anche innalzare l’età del pensionamento per i medici a 72 anni. Sembra che l’obiettivo non sia solo ridurre l’impatto economico sul sistema pensionistico, ma anche evitare buchi nel personale addetto alla sanità e al pubblico impiego.

La proposta in oggetto è parte di un emendamento al decreto Milleproroghe che deve essere convertito nelle prossime settimane ed è a firma dell’onorevole Domenico Matera di Fratelli d’Italia. In base a quanto contenuto nell’emendamento tale opzione sarebbe esercitabile dai dipendenti che hanno compiuto 67 anni di età e quindi hanno il requisito anagrafico per andare in pensione con la legge Fornero (tutt’ora in vigore), ma non hanno raggiunto i 36 anni di anzianità contributiva. In base alle disposizione il pensionamento a 70 anni dovrebbe essere richiesto dal lavoratore, ma l’Amministrazione Pubblica interessata può rifiutare tale proposta.

Naturalmente i sindacati sono scettici su tale proposta e il tavolo delle trattative è aperto.

Leggi anche: Bonus 10% per chi rimanda la pensione: a quanto ammonta davvero al netto delle tasse?

Rivalutazione pensioni: chi la riceverà a marzo 2023?

Non tutti i pensionati hanno ricevuto la rivalutazione della pensione nel mese di gennaio 2023, infatti chi ha un assegno pensionistico 4 volte superiore al minimo ha visto posticipare tale diritto. Con un comunicato del 24 gennaio 2023 l’Inps ha reso noto quando potranno ricevere l’importo definitivo per l’anno 2023.

Comunicato Inps: ecco quando i pensionati potranno ricevere la rivalutazione pensioni

I pensionati con un assegno pensionistico 4 volte superiore al minimo nel mese di gennaio hanno avuto la brutta sorpresa di non ricevere l’importo rivalutato in base all’inflazione registrata nel mese di novembre 2022. Naturalmente non sono mancate le polemiche. Inizialmente l’Inps aveva annunciato che tali soggetti avrebbero ricevuto la rivalutazione nel mese di febbraio 2023, ma con un comunicato pubblicato il 24 gennaio hanno purtroppo ricevuto un’ennesima delusione, infatti viene ancora posticipata la rivalutazione delle pensioni per coloro che percepiscono un importo superiore a 4 volte il trattamento pensionistico minimo, cioè 2.101,52 euro.

In base a quanto emerge dal comunicato, questi soggetti potranno ricevere il trattamento pensionistico rivalutato dal mese di marzo. Fortunatamente non perderanno gli arretrati, infatti nello stesso mese riceveranno anche gli importi maturati e non percepiti nei mesi di gennaio e febbraio. Formalmente tale slittamento è dovuto al tentativo da parte dell’Inps di erogare trattamenti pensionistici non dovuti per dover poi introitare nuovamente le somme indebitamente corrisposte.

A quanto ammonta la rivalutazione pensioni?

A questo proposito deve essere inoltre ricordato che la rivalutazione delle pensioni fino all’importo di 2.101,52 euro è al 100%, ma la legge di Bilancio 2023 al comma 309 dell’articolo 1 ha stabilito percentuali di rivalutazione diverse per gli importi superiori a tale somma. In particolare la rivalutazione viene effettuata al:

  • 85% per importi compresi tra 2.101,52 e 2.625 euro;
  • 53% per importi compresi tra 2.626 e 3.152 euro;
  • 47% per importi compresi tra 3.153 e 4.203 euro;
  • 37% per importi compresi tra 4.204 e 5.253 euro;
  • 32% per importi superiori a 5.254 euro.

Leggi anche: Allarme pensioni: brutte notizie per chi aspetta la riforma

Limiti del pignoramento sulle pensioni, come sono cambiati nel 2023

I limiti del pignoramento sulle pensioni Inps sono cambiati già a partire dal 2023, vediamo quindi cosa dice la normativa di riferimento.

Limite del pignoramento sulle pensioni, la legge di riferimento

La base del pignoramento è un debito non pagato da parte del pensionato. La legge 21 settembre 2022 n. 142, che ha convertito il Decreto Legge 9 agosto 2022 n. 115 (Decreto Aiuti bis), ha modificato i limiti di impignorabilità delle pensioni. Infatti l’art. 21 bis così prevede “Il settimo comma dell’ art. 545 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

“Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell’assegno sociale, con un minimo di 1.000 Euro. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, dal quarto e dal quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge

Limiti del pignoramento sulle pensioni, innalzato valore

Il legislatore ha innalzato il limite sul pignoramento perché si è innalzato anche il valore del minimo vitale. Per quanto riguarda il pignoramento sulle pensioni è bene ricordare che queste possono essere pignorati presso l’Inps o presso il conto corrente dove questa è accreditata. Però se la pensione viene pignorata presso l’Inps, il creditore non può pignorare più di un quinto. Questo si calcola sul netto della pensione mensile, detta appunto minimo vitale.

Il minimo vitale è pari al doppio dell’assegno sociale e non può essere mai inferiore a mille euro. Pertanto se oggi l’assegno minimo è pari a 503,27 euro, il minimo vitale per il 2023 è di 1.006,54 euro. Ciò significa che ogni pensione può essere pignorata per massimo un quinto della parte che accedere i 1.006, 54 e comunque non può mai essere pignorata se non supera i mille euro. Per fare un esempio una pensione di 1200 Euro mensile, può essere pignorata solo per la parte eccedente i 1.000 Euro, ovvero solo un quinto di 200, per la somma trattenuta sarà pari a 40 Euro.

Il caso in cui il credito è l’Agenzia delle entrate

Una nota particolare spetta quanto il creditore è l’Agenzia delle entrate. Se il creditore è l’Agenzia Entrate Riscossione, il pignoramento ha una proporzione diversa. Infatti non è più un quinto, ma un decimo se la pensione mensile non supera le 2.500 euro. E’ invece di un settimo se la pensione supera i 2.500 euro. Infine per pensioni mensili superiore a 5.000 euro il pignoramento è di un quinto, sempre al netto del minimo vitale.

 

 

 

 

 

Allarme pensioni: brutte notizie per chi aspetta la riforma

Come promesso il Governo è al lavoro per una riforma strutturale del sistema pensionistico che consenta di superare la Legge Fornero che prevede il pensionamento a 67 anni di età. La strada sembra però in salita perché Pasquale Tridico, presidente Inps, lancia l’allarme sulla sostenibilità del sistema pensionistico. Si ha quindi un vero allarme pensioni perché gli italiani rischiano di veder applicata dal 2024 la legge Fornero senza alcuno scivolo.

Perché è allarme pensioni?

Attualmente ci sono tre scivoli pensionistici prorogati di anno in anno, si tratta di Quota 103, Ape Sociale e Opzione Donna, questi consentono di andare in pensione prima di aver maturato i requisiti anagrafici previsti dalla Legge Fornero. Si lavora a Quota 41 cioè una riforma strutturale che consenta di andare in pensione con 41 anni di contributi a prescindere dall’età, ma su questa possibilità vi sono molti dubbi. Infatti consentirebbe a molte persone di andare in pensione in netto anticipo rispetto al requisito anagrafico dei 67 anni di età e quindi per le casse dello Stato potrebbero esservi uscite elevate.

Ad oggi rispetto a un anno fa i conti sono peggiorati e questo perché entro il 2029 si passerà da un rapporto tra lavoratori e pensionati di 1,4 a un rapporto 1,3 e nel 2050 è previsto un pareggio, cioè per ogni lavoratore attivo ci sarà un pensionato. La soglia minima del rapporto per una stabilità a medio e lungo termine per i conti dell’Inps sarebbe 1,5. Il sistema diventa quindi insostenibile e pensare di allargare le maglie è davvero improbabile.

Pasquale Tridico ha sottolineato nella riunione di Governo a cui hanno partecipato anche i rappresentanti sindacali, che nei conti dell’Inps c’è una criticità generata anche dall’inflazione. Viene sottolineata la necessità di lavorare a una pensione per i giovani in quanto la precarietà che sta caratterizzando questi anni, sta portando i giovani ad accumulare pochi contributi e a rischiare in futuro di avere una pensione non utile a una vita dignitosa in vecchiaia.

Allarme pensioni: i sindacati delusi dal Governo

L’incontro sembra quindi essere stato poco proficuo e a sottolinearlo sono anche i sindacati e in particolare Maurizio Landini, CGIL, che ha sottolineato come non siano emerse reali proposte, termini temporali per la riforma che secondo Landini dovrebbe concludersi entro il mese di aprile. Infine, secondo Landini non vi sarebbero risposte neanche sulle risorse disponibili.

Ape sociale 2023: requisiti e termini per la richiesta

In questo anno ci sarà ancora la possibilità di andare in pensione con l’Ape sociale 2023, ma quali sono i nuovi requisiti per accedervi?

Ape Sociale 2023: chi può accedere all’anticipo pensionistico?

L’Ape Sociale 2023 è l’anticipo pensionistico rivolto ai lavoratori che si trovano in una particolare condizione di difficoltà e non possono accedere alla pensione di vecchiaia o con Quota 103.

Quota 103 è il nuovo scivolo pensionistico. Tutte le novità sulle pensioni

Anche nel 2023 possono accedere all’anticipo pensionistico i lavoratori (autonomi e dipendenti) che abbiano almeno 63 anni di età, ma a condizione che:

  • siano disoccupati e al momento di presentazione della domanda abbiano cessato di percepire da sussidi di sostegno al reddito, ad esempio Naspi. Questa categoria di lavoratori può accedere all’Ape Sociale 2023 nel caso in cui abbia maturato un’anzianità contributiva di almeno 30 anni;
  • soggetti a cui sia stata riconosciuta invalidità civile almeno al 74% e che abbiano un’anzianità contributiva di almeno 30 anni;
  • caregiver che assistano un parente di primo grado e che abbiano almeno 30 anni di contributi;
  • infine possono ottenere l’Ape Sociale 2023 coloro che abbiano svolto lavori gravosi. In questo caso è però necessario avere maturato un’anzianità contributiva più elevata rispetto ai precedenti casi, infatti occorrono 36 anni di contributi.

Per conoscere le categorie di lavori gravosi che possono accedere all’Ape Sociale è consigliata la lettura dell’articolo: APE Sociale 2022: tutte le novità introdotte con la legge di bilancio

Quanto si riceve con l’anticipo pensionistico?

L’ammontare dell’assegno mensile può essere considerata la nota dolente dell’Ape Sociale 2023, infatti non si tratta di un vero assegno pensionistico, ma di un’indennità sostitutiva che non comprende la tredicesima mensilità.

Per quanto riguarda l’importo mensile è pari alla pensione maturata se inferiore a 1.500 euro, ma non può essere superiore a 1.500 euro. Non è prevista la rivalutazione annuale, con il raggiungimento dell’età anagrafica per la pensione di vecchiaia viene quindi corrisposto l’assegno effettivamente maturato. Gli anni durante i quali è stata percepita l’Ape Sociale non hanno valore come contribuzione figurativa.

Al maturare dei requisiti la domanda può essere presentata telematicamente attraverso il sito dell’Inps rispettando tre finestre:

  • 31 marzo 2023;
  • 15 luglio 2023;
  • 30 novembre 2023.

La pensione sarà erogata dal mese successivo rispetto a quello in cui è stata inoltrata la domanda.

Modello Red: cos’è, chi deve presentarlo e i termini da rispettare

I pensionati che usufruiscono di prestazioni previdenziali e assistenziali correlate al reddito devono annualmente presentare il modello Red. Ecco i termini da rispettare per l’anno 2023.

Chi deve presentare il modello Red

Il modello Red e un modello dichiarativo di redditi, si tratta però di redditi particolari, generalmente non dichiarati in altri modelli. Deve essere presentato entro il 28 febbraio 2023 da pensionati:

  • presentano il modello 730 o il modello Persone Fisiche ma possiedono anche altri redditi che non vanno indicati in dichiarazione;
  • presentano il modello redditi 730 o Persone Fisiche e sono titolari di pensioni estere o redditi da lavoro autonomo;
  • persone che non hanno fatto la dichiarazione dei redditi.

In particolare in base alle precisazioni fornite dall’Inps, devono presentare il modello Red:

  • tutti i pensionati che nell’anno di verifica hanno avuto delle variazioni reddituali percependo redditi ulteriori rispetto a quelli da pensione;
  • persone titolari di prestazioni previdenziali e assistenziali correlate al reddito che nell’anno di verifica hanno percepito redditi che non devono essere dichiarati nei modelli generalmente predisposti, ad esempio redditi da lavoro autonomo prestato all’estero, interessi bancari, postali, da BOT o altri titoli di Stato, proventi di quote di investimento, redditi sottoposti a ritenuta d’acconto. Insomma trattasi di redditi che vengono tassati separatamente e che quindi possono non essere dichiarati, che di fatto vanno ad incidere sulla misura di prestazioni previdenziali o sul diritto a percepire queste prestazioni;
  • devono presentare il modello Red anche soggetti che non sono tenuti alla presentazione della dichiarazione dei redditi e che percepiscono un reddito ulteriore, ad esempio da abitazione;
  • Infine, l’Inps ha precisato che devono presentare la dichiarazione Red i titolari di tipologie di redditi che devono essere dichiarati in maniera diversa ai fini fiscali, ad esempio redditi derivanti da collaborazione coordinata e continuativa.

Leggi anche: Tassazione separata: cos’è, come si calcola e quando si applica

Come presentare il modello Red

Attualmente sono attive due campagne per il modello Red, la prima ordinaria ed è relativa a coloro che nel 2021 hanno ricevuto tali prestazioni.

La seconda campagna è definita “solleciti” ed è riservata a coloro che nel corso del 2021 non hanno provveduto alla comunicazione ordinaria relativa al 2020 e quindi hanno ricevuto un sollecito da parte dell’Inps.

La presentazione può avvenire da parte del pensionato utilizzando il sito Inps e accedendo con:

  • codice Spid;
  • Carta di identità digitale;
  • CNS.

Occorre seguire il percorso “Prestazioni e servizi” e selezionare la voce “Dichiarazione Reddituale – RED Semplificato” (per la dichiarazione RED).

In alternativa è possibile presentare il modello attraverso il Contact Center Inps utilizzando i numeri:

  • 803 164 da rete fissa e gratuito;
  • 06 164 164 da rete mobile e con tariffa del proprio operatore.

Infine è sempre possibile rivolgersi a Caf e patronati.