Tra antisemitismo e sport: proposta l’eliminazione del numero 88 dalle maglie dei calciatori

Inneggiare al nazismo e al fascismo come si sa è un reato perseguibile per legge. Si chiama apologia di reato quello che commettono quanti, in barba agli orrori del passato che fascismo e nazismo hanno provocato, oggi inneggiano a quel particolare è tremendo periodo storico. A più livelli l’antisemitismo è combattuto, proprio perché si tratta di uno dei periodi storici più terribili di cui si ha memoria. Proposte e interventi normativi che riguardano questo argomento, sono assai frequenti. Alcuni però sono assai particolari come per esempio questo che ha come promotrice Milena Santerini, che è la coordinatrice nazionale per la lotta dell’antisemitismo. La proposta della Santini è stata recapitata al Presidente del Consiglio dei ministri.

La proposta di cancellare il numero 88 dalle maglie dei calciatori

Sicuramente farà discutere perché da qualcuno verrà considerata forse esagerata, ma fatto sta che Milena Santerini, molto impegnata in materia di antisemitismo, ha prodotto una proposta alla presidenza del Consiglio dei Ministri. Nello specifico si tratta di eliminare dalle maglie di calcio a tutti i livelli, il numero 88. Da quando sono sparite le numerazioni classiche sulla maglie delle squadre di calcio, i numenri utilizzati sono davvero molteplici. E nonostante in campo le quadre scendono in 11 calciatori, i numeri di maglia sono assai variabili. E non sono pochi i giocatori che hanno scelto come numero di maglia l’88. Un numero che evidentemente nasconde delle problematiche se Milena Santerini arriva a proporne l’eliminazione.

Perché nel mirino in fila proprio la maglia numero 88?

La coordinatrice del movimento contro l’antisemitismo ha chiesto che venga bloccato l’utilizzo della maglia numero 88 per i calciatori. Perché proprio la maglia numero 88? Perché questo numero pare abbia un collegamento molto stretto con il nazismo e con il gerarca Adolf Hitler. Come si legge sul sito tg24.it, il numero 88 esprime il saluto al leader nazista (heil Hitler). Per questo andrebbe tolto da dietro le maglie dei calciatori.

La proposta nello specifico

Secondo la proponente, anche se inconsapevole per molti, l’utilizzo di questa numerazione va contro la morale etica dello sport. Pertanto si suggerisce alle squadre di calcio, soprattutto quelle professionistiche e quindi molto seguite dagli appassionati, di non ammettere il numero tra quelli che i calciatori possono scegliere. Come si legge sul quotidiano di Napoli, Il Mattino, ad oggi il calciatore più popolare a indossare quel numero nella nostra Serie A è Mario Pasalic, calciatore dell’Atalanta. Lo scorso anno invece, anche il giovane centrocampista polacco del Verona, Mateusz Praszelik la indossava. Nel passato però l’88 è stato il numero di calciatori assai noti come gli italiani Gigi Buffon e Marco Borriello o il brasiliano Hernanes. E già allora le polemiche, soprattutto per Borriello furono aspre.

Nessuna imposta di registro per queste cause di primo grado ma non solo

L’Italia è un paese dove la tassazione è ai più alti livelli tra tutti i paesi della Comunità Europea. Una delle imposte più frequenti a cui sono chiamati i contribuenti nel momento in cui effettuano alcuni atti pubblici è l’imposta di registro. Con una circolare recente però l’Agenzia delle Entrate ha chiarito alcuni aspetti di questa imposta, sottolineando il fatto che essa non è dovuta in determinate circostanze. Un argomento che riguarda i contribuenti interessati da cause legali giudiziarie, a prescindere dal grado di giudizio.

Imposta di registro, ecco quando c’è l’esonero

Come si legge sul sito “informazionefiscale.it“, vige una esenzione dall’imposta di registro per le cause che hanno una soglia entro i 1.033 euro. È ciò che si evince dalla circolare numero 30 che l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato venerdì 29 luglio 2022. Ciò che il fisco italiano sottolinea con la circolare è che tale esonero dal versamento di questa imposta di registro non riguarda soltanto le cause di fronte al Giudice di Pace. In pratica non riguarda soltanto le cause di primo grado. Infatti l’esonero dal versamento dell’imposta di registro per le cause fino a 1.033 riguarda anche i gradi di giudizio successivi al primo.

L’Agenzia delle Entrate recepisce l’orientamento della giurisprudenza

Il chiarimento dell’Agenzia delle Entrate si è reso necessario dopo che la Suprema Corte di Cassazione ha confermato la ragione che impone il non caricamento dell’imposta di registro su quelle cause di importo irrisorio e sotto la determinata cifra prima citata. E tale esenzione per i contribuenti italiani interessati riguarda qualsiasi grado di giudizio e qualsiasi tribunale ordinario. In altri termini, il fisco italiano ha recepito quello che può benissimo essere considerato l’orientamento della giurisprudenza in materia, indicando la novità ai contribuenti.

Il provvedimento delle Entrate in estrema sintesi

Ricapitolando, le Entrate sottolineano che per tutte le cause di conciliazione che hanno in 1.033 euro la soglia massima, non si versa l’imposta di registro ma solo il cosiddetto contributo unificato. Una novità che interesserà molti contribuenti interessati da contenziosi e conciliazioni. Ciò che va sottolineato è l’apertura a tutti i gradi di giudizio, cosa questa che prima non era molto conosciuta. Erano in molti a considerare questo esonero valido solo per le cause di primo grado.

Un sostegno per famiglie che vivono in affitto, ecco di cosa si tratta

Dare una mano a chi non ha una casa propria e vive in una casa su cui paga un canone mensile di affitto. Questo ciò che da tempo il governo fa con misure di favore per queste famiglie. Naturalmente si tratta di misure collegate alla situazione economica della famiglia, ma le dotazioni finanziarie introdotte dal Ministero delle infrastrutture tramite il decreto Aiuti è imponente. E sono dotazioni recentemente implementate che si collegano alla miriade di benefici di questo genere che singole Regioni e singoli Comuni da tempo adottano.

Ripartiti i soldi per il benefit sui contratti di affitto

Con 100 milioni di euro in più aggiungi tramite il decreto Aiuti i soldi disponibili per il fondo affitti per il 2022 sono passati da 230 milioni di euro a 330 milioni di euro. In pratica dopo i già imponenti stanziamenti introdotti nella legge di Bilancio di inizio anno, il decreto Aiuti ha rincarato la dose, aumentando i fondi a disposizione per le famiglie. Adesso si è dato il via libera alla suddivisione delle risorse su base regionale. Infatti la ripartizione su base regionale è già stata prodotta e resa pubblica dai dati del Ministero delle infrastrutture. Per esempio in Basilicata sono stati messi in dote 3,7 milioni di euro come ha confermato il Sicet Cisl, cioè la branca della sigla sindacale per gli inquilini.

La nota del sindacato degli inquilini che fa capo alla Cisl sul bonus affitto

Con una nota il sindacato degli inquilini della Cisl ha spiegato come dovrebbe funzionare l’aiuto. Pare che nulla cambierà rispetto al passato, e quindi all’aiuto erogato nel 2021. Ciò che sostiene la Cisl è quanto ha confermato il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile durante un incontro proprio con le associazioni sindacali di categoria. Lo Stato quindi ha provveduto a dividere i soldi tra le varie Regioni che a loro volta sono chiamate a provvedere a fare altrettanto Comune per Comune.

I sindacati spronano la Regione ad adoperarsi presto

Come si legge sul sito “Lasiritide.it”, sono stati i rappresentati del sindacato ad annunciare l’avvenuta ripartizione dei fondi. Vincenzo Cavallo e Roberto Taratufolo, rispettivamente segretario generale della Cisl Basilicata e segretario generale del Sicet Cisl Basilicata, hanno sottolineato come il via libera ai versamenti per le famiglie deve passare in coordinamento con i versamenti dal fondo per la morosità incolpevole. La situazione di grave crisi economica con cui le famiglie hanno a che fare da tempo, impone questo genere di calcolo. I due sindacalisti confermano che mentre si attende la pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale, l’auspicio è che la Regione Basilicata si adoperi quanto prima per mettere a punto la struttura operativa. E si chiede alla Regione di collegare a questo incentivo anche gli incentivi regionali della stessa natura. Un modo per avere più risorse e per estendere la platea dei potenziali aventi diritto agli aiuti nel momento in cui vivono in casa d’affitto.

Tettoie, gazebo e pergolati, ecco le norme e i controlli 

Mettere una tettoia in giardino, piuttosto che sul terrazzo, oppure montare pergolati e gazebo sono azioni assoggettate a determinate normative. Possono sembrare cose di poco conto ma invece non lo sono. Infatti le leggi in materia sono piuttosto stringenti e soprattutto espongono chi non le segue, a irregolarità e sanzioni non certo irrisorie. Infatti anche da questo punto di vista esistono soggetti adibiti a controllare proprio la regolarità di queste strutture rispetto alle normative vigenti tanto nazionali che regionali o comunali.

Cosa sono tettoie, gazebo e pergolati

Non sono pochi gli italiani che hanno già montato o che pensano di montare un gazebo, delle tettoie, una verande o dei pergolati, magari in giardino. Ogni Comune ha le sue regole e i suoi regolamenti. Per questo occorrerebbe controllare il sito istituzionale del proprio Comune per verificare se esiste e come fare ad adeguarsi ad una normativa vigente in materia. Proprio perché comunale, l’organismo deputato al controllo della regolarità di queste installazioni è la Polizia Locale. Sono i vigili urbani infatti l’organismo deputato al controllo di queste iniziative da parte dei cittadini, su ordine degli uffici tecnici dello stesso Comune. La polizia municipale è l’organismo  su cui grava il compito di accertare eventuali violazioni che rientrano nel campo di quelle edilizie anche se si tratta di strutture diverse da quelle in muratura. Le tettoie e apparati simili infatti non sono in muratura, ma rientrano comunque nelle normative edilizie. E questo vale per tutte le strutture, come sono quelle prima citate.

Come fare per montare tettoie o simili

Montare una struttura di questo genere senza seguire le normative rientra nel perimetro delle violazioni edilizie. Infatti nei regolamenti comunali di competenza, sono indicati tutti i cavilli da seguire, dalle autorizzazioni ai permessi, dalle distanze agli appesantimenti delle strutture. Inoltre va sottolineato il fatto che in ogni Comune ci sono zone particolari, centri storici, zone franose e così via. In altri termini ci sono zone dove anche il semplice montaggio di una tettoia non è ammissibile. Bisogna fare i conti con normative piuttosto stringenti in materia, e come detto dipende molto dalle singole amministrazioni locali. Per esempio ci sono tettoie che possono essere montate soltanto se lasciano due dei quattro lati scoperti. Oppure tettoie che non possono essere chiuse come perimetro, nemmeno da strutture scorrevoli.

Cosa fa la Polizia Locale in materia

Ed è la Polizia Locale l’organismo deputato a controllare e che può avviare una denuncia alle autorità competenti in materia contro il cittadino che monta una tettoia o un pergolato senza seguire la normativa vigente. Un reato significa essere esposti a sanzioni. Il primo effetto del montaggio di una struttura non a norma, è quello della sua rimozione. In pratica qualora la polizia municipale riscontrasse anomalie da parte di un contribuente, potrebbe imporre immediatamente lo smontaggio della struttura precedentemente installata. La prima cosa da sottolineare è che per il montaggio di strutture del genere, servono le autorizzazioni. Senza il nulla osta del Comune quindi. Infatti è severamente vietato installare anche una tettoia senza la previa autorizzazione. In questo caso si va nell’abusivismo edilizio. Spesso oggetto di sanatorie, ma che nel presente rappresenta un serio pericolo per chi non si attiene alle regolamentazioni. Per gazebo leggero o pergolato però, non sempre è necessaria l’autorizzazione, anche perché si tratta di strutture semovibili e facilmente disinstallabili o montate soltanto nel periodo estivo.

Cosa produrre per montare una tettoia

In linea di massima occorre tutta una serie di documentazione da presentare al comune insieme a distanza con cui si chiede il permesso a montare una struttura non semovibile come può essere una tettoia abitata a terra. Come si legge sul sito “businessonline.it” servono quasi sempre:
  • L’attestazione sulla legittimazione a costruire;
  • Il progetto di un tecnico;
  • Visto di conformità.

Il lavoratore può rifiutare di lavorare se fa troppo caldo? ecco alcune novità e le regole su lavoro e ammortizzatori

Da settimane ormai in Italia, da nord a sud il clima ha assunto le sembianze di quello tropicale. Caldo torrido e temperature elevatissime sono una costante in tutto il territorio italiano. Soffrono i fragili, gli anziani, i bambini, ma soffrono anche i lavoratori, soprattutto quelli che sono impegnati all’aperto e al sole cocente. Lavoratori edili, lavoratori agricoli, addetti alla manutenzione delle strade, il verde cittadino e così via. Il paesaggio in Italia oggi si divide tra vacanzieri e turisti e tra lavoratori e addetti ancora in servizio. Il caldo però mette a rischio la salute di questi lavoratori, che hanno necessità di strumenti e servizi atti a detonare il pericolo. In questo scenario, ecco alcune novità che possono tornare utili sia alle aziende che ai lavoratori. Novità a tutela di entrambe le parti in causa, soprattutto nelle fasi di cessazione delle attività dovute proprio al gran caldo di queste settimane.

Tra lavoro e salute, ecco cosa nasce per il gran caldo di questi giorni

Il diritto al lavoro e la tutela della salute dei lavoratori sono due tra i principi fondamentali della Legge italiana. Principi fondamentali che anche la Costituzione sancisce. Oltre alle normative generali, non mancano interventi regolamentari eccezionali sulla medesima materia, che guardano la salute del lavoratore durante le ore di lavoro. Soprattutto alla luce delle condizioni climatiche proibitive di questi ultimi tempi, le novità introdotte sono all’ordine del giorno. In alcune Regioni per esempio sono state introdotte normative che prevedono la pausa lavorativa pomeridiana in agricoltura. Una pausa dettata proprio dal gran caldo di questa settimana che di fatto mette a rischio la salute dei lavoratori impegnati al sole e nei campi. Durante le ore della giornata più calde, niente lavoro nei campi quindi. Almeno secondo i dettami normativi in alcune Regioni dove il caldo è maggiore e dove è maggiore la presenza di lavoratori agricoli nei campi.

Per il caldo il lavoratore può rifiutare di lavorare

L’articolo 2087 del codice civile stabilisce che un datore di lavoro deve tutelare la salute del lavoratore adottando tutte le misure necessarie per perseguire l’obbiettivo. Il datore di lavoro è obbligato a valutare tutti i rischi del lavoratore, anche quelli da esposizione a condizioni climatiche proibitive. In questo caso è il decreto legislativo 81 del 2008, altrimenti detto Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro a stabilire tutto questo. La Suprema Corte di Cassazione ha stabilito con una famosa sentenza del 2015 che per il gran freddo un lavoratore può rifiutare di lavorare, senza perdere il diritto alla retribuzione. Ed inevitabilmente quella sentenza si apre anche al grande caldo e non solo al freddo. Il Ministero della Salute e l’INAIL hanno prodotto anche un opuscolo che mette in evidenza cosa fare quando si lavora con il troppo caldo.

INPS e INAIL insieme per la tutela dei lavoratori dal gran caldo

Provvedimenti di questo genere non sono affatto rari da parte di autorità locali quali sono le Regioni o i Comuni. E adesso si implementano di un’altra novità. Come riportato dal sito “TPI.it”, sembra che l’INAIL, ovvero l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, abbia aperto alla possibilità per le aziende di avviare e richiedere periodi di cassa integrazione e quindi di ammortizzatori sociali anche con la motivazione del gran caldo. Un vantaggio soprattutto per i lavoratori che per attività svolta, sono messi a dura prova dalle alte temperature di questi ultimi tempi.

La nota dell’INAIL chiarisce le novità normative temporanee ed eccezionali

Con una nota l’INAIL ha reso pubblico quanto deciso in solido con l’INPS, proprio in relazione a queste problematiche relative alla gran caldo e al lavoro. Pare infatti che con temperature che superano i 35 gradi centigradi le aziende potranno godere di un periodo di cassa integrazione per i loro addetti. In ogni caso di interruzione o sospensione delle attività dovute proprio al clima, ecco spuntare un ammortizzatore sociale ad hoc. Nella nota l’INAIL spiega la procedura operativa da utilizzare in questi casi. Pertanto, in ogni caso di interruzione lavorativa per quei lavoratori sottoposti ad attività con il clima torrido di questi giorni, le aziende potranno godere di questo ammortizzatore sociale.

Cosa si intende per gran caldo secondo l’INAIL

Ricapitolando, le imprese potranno chiedere la Cassa Integrazione all’INPS in caso di temperature elevate. Il limite dei 35 gradi centigradi è fisso, anche se nella nota si legge che ogni qualvolta la temperatura percepita potrà mettere a repentaglio la salute dei lavoratori, le aziende potranno sfruttare questo ammortizzatore sociale. In altri termini, non è strettamente necessario che la colonnina di mercurio segnali 35 gradi centigradi per poter avviare la tutela sociale della cassa integrazione.

Alcuni esempi di attività che possono dare diritto all’ammortizzatore sociale

Prima abbiamo citato alcune delle attività più a rischio per il gran caldo, dagli edili agli agricoli per esempio. Ma sempre nella nota dell’INAIL si legge che tale facoltà è aperta alle aziende che hanno addetti che svolgono lavori in luoghi che non possono essere protetti da sole o calore. Alcuni altri tipici esempi sono gli addetti al rifacimento dell’asfalto. Ma per esempio, a rischio ci sono anche gli addetti al rifacimento di strade e marciapiedi, quelli che devono essere muniti di indumenti di protezione che amplificano la temperatura esterna  e così via dicendo.

Ecco cos’è il principio di cassa per le dichiarazioni con il 730 o il Redditi PF

La fase della dichiarazione dei redditi 2022 è ormai entrata nel pieno, con moltissimi contribuenti che hanno già provveduto ad effettuare la dichiarazione mediante modello 730 o mediante il modello Redditi persone fisiche.  Molti contribuenti sono finiti a credito d’imposta perché avevano spese da scaricare o non avevano goduto in pieno delle detrazioni spettanti. Altri invece hanno versato l’Irpef eccedente dovuta come differenza tra quella che per esempio è stata trattenuta dal datore di lavoro durante l’anno di lavoro è quella che effettivamente dovuta con la dichiarazione dei redditi. Molti altri però hanno commesso alcuni errori sia dal punto di vista  dei redditi percepiti che agli oneri scaricati. Errori dovuti ad un principio che molti non considerano come importanza  oppure che non conoscono bene come applicazione. Parliamo naturalmente del principio di cassa, un principio fondamentale per le dichiarazioni dei redditi.

Cosa significa principio di cassa per 730 o modello Redditi PF

La possibilità di scaricare dal reddito le spese sostenute l’anno precedente quello utile per la dichiarazione dei redditi è sancito dal TUIR. Si tratta del testo unico delle imposte sui redditi. Ciò che molti non considerano e che causa un grave e comune errore è quello che si chiama comunemente principio di cassa In altri termini così come i redditi anche gli oneri devono essere stati pagati nel 2021 se l’anno di presentazione è il 2022.

Quali gli errori più comuni

Un errore comune a molti è quello di inserire spese ed oneri  detraibili basandosi esclusivamente sulla data della fattura e non sulla data del pagamento. Si tratta come dicevamo di un errore niente affatto raro. Un errore senza dubbio amplificato oggi dal fatto che nella stragrande maggioranza dei casi per diventare detraibile sul reddito oggi l’onere deve essere stato pagato tramite strumenti tracciabili di pagamento. Il pagamento di questi oneri in contanti, escludendo farmacie e visite presso strutture ASL o convenzionate con il SSN, non è ammesso più.

Come funziona il sistema del principio di cassa

Ciò che vogliamo dire è che anche se la fattura del dentista per esempio è datata 2021, se il pagamento della stessa è stato effettuato nel 2022, la detrazione non è ammessa. Tutto viene posticipato alla dichiarazione dei redditi dell’anno dopo. In altri termini si tratta di un onere che potrà essere scaricato dal reddito soltanto nel 2023 e non con le odierne dichiarazioni dei redditi.  Questo è il principio di cassa di cui parlavamo prima. In pratica la spesa è detraibile solo se è stata sostenuta dal contribuente fisicamente nell’anno di imposta precedente quello della dichiarazione. Questo principio vale anche per le voci attive delle dichiarazioni, cioè per i redditi percepiti.

Occhio ai bonifici in entrata, vale lo stesso principio

Ricapitolando, lo stesso principio di cassa si applica anche alle voci attive della dichiarazione dei redditi. Parliamo proprio del reddito prodotto dal contribuente è percepito dallo stesso. Infatti un reddito deve fare riferimento a dicembre 2021. Ma si tratta dell’anno di incasso e non soltanto dell’anno di destinazione del reddito. In altri termini, anche un reddito deve essere stato incassato fisicamente (deve essere entrato nelle tasche del contribuente), nel 2021 per poter essere riportato in dichiarazione. Redditi di dicembre 2021, ma incassati con bonifico solo a gennaio per esempio, potrebbero dover slittare alla dichiarazione dei redditi 2023.

Per gli autonomi rischi maggiori

Un problema questo che riguarda più i professionisti che i lavoratori dipendenti. Infatti sono sostanzialmente sulle evidenze della certificazione unica rilasciata dal datore di  lavoro ogni anno che un lavoratore dipendente si basa. Per un professionista invece o per chi lavora in maniera automatica il principio di cassa diventa fondamentale. Infatti se il contribuente ha incassato soldi a gennaio 2022 per un lavoro effettuato a dicembre 2021 dovrà posticipare l’inserimento di questo reddito con il modello 730 o con il modello Redditi persone fisiche dell’anno successivo.

Quali conseguenze a non seguire il principio di cassa

Sembrano errori di poco conto questi ma finiscono con l’essere molto pericolosi per il contribuente. Sia per oneri detraibili che per redditi prodotti i rischi sono notevoli. In entrambi i casi infatti si va a incidere o sul reddito complessivo e quindi sulla base disponibile, oppure direttamente sull’imposta da versare. Inserire un reddito in meno, oppure inserire una spesa detraibile in più, produce un esito erroneo della dichiarazione. CI si troverà di fronte ad una minore imposta versata o ad un minor reddito dichiarato. Ma lo stesso vale per un maggior reddito dichiarato o per una minore detrazione sfruttata.
In questi casi il contribuente che ha sbagliato, finirà con il dover pagare oltre alle eccedenze di imposta, anche interessi e sanzioni. Senza considerare il pericolo che gli errori diventino cartelle esattoriali.

Lavoro nei campi, novità dalla Puglia per la tutela dei lavoratori della raccolta dei pomodori

Che il lavoro nei campi sia duro lo sanno anche i muri. Parliamo naturalmente di lavoro agricolo. E che proprio in questo periodo dell’anno sia ancora più duro è un evidenza che non può essere contestata. Il gran caldo di questi giorni, con la carenza di piogge e la siccità, rendono il lavoro nei campi una tra le attività lavorative più dure oggi esistenti. Le temperature di queste settimane oltre che danneggiare le coltivazioni, mettono a dura prova anche chi nei campi ci lavora ogni giorno. È naturale che in materia di lavoro agricolo siano necessarie delle attenzioni particolari oltre che a tutela delle produzioni anche a tutela dei lavoratori. E in questo scenario si incastona una novità normativa introdotta in Puglia proprio adesso che parte la raccolta dei pomodori per la salsa.

Il gran caldo e il lavoro nei campi, le difficoltà e le problematiche spesso invisibili

Dopo la raccolta del grano ecco la raccolta dei pomodori. Con una differenza sostanziale e di non poco conto. Infatti se il grano in linea di massima viene raccolto con mietitrebbie che oggi sono sempre più all’avanguardia e dotate di sistemi di aria condizionata anche al loro interno, con i pomodori la situazione diversa. Il pomodoro raccolto a mano dagli operai agricoli è una situazione che sta ormai da giorni in pieno svolgimento. Soprattutto in Puglia, dove la produzione di pomodoro è tra le principali attività agricole della Regione, l’attenzione è massima. Oggi non è raro imbattersi tra gli splendidi paesaggi della Regione, in campi di pomodori con dentro operai dediti alla raccolta. Stare nei campi con queste alte temperature mette a dura prova il fisico anche di persone che non hanno problematiche di salute. Figuriamoci chi invece, anche non essendone a conoscenza, ha problemi fisici. Per questo nel foggiano, si corre ai ripari, introducendo norme di salvaguardia e di tutela della salute degli addetti del settore.

L’intesa parte nel foggiano e mira a tutelare la salute dei lavoratori dei campi

Per la raccolta dei pomodori nel foggiano vengono impiegati circa 100.000 operai agricoli. Come si legge sul sito “l’immediato.net“, la raccolta dei pomodori incide al livello occupazionale per il 22% del totale delle giornate di lavoro agricolo svolte nella zona. E al riguardo va sottolineata una intesa trovata tra tutti i principali soggetti interessati, Coldiretti compresa. Un accordo che mira alla tutela dei lavoratori impiegati nei campi, oltre che alla tutela delle imprese che operano nel settore in maniera regolare.

Cosa è l’intesa Salva salute

L’intesa è stata ribattezzata subito “Salva salute”. Un nome che la dice lunga proprio perché prevede una serie di azioni volte alla prevenzione del rischio cardiovascolare di questi operai agricoli che sono costretti a lavorare a queste alte temperature nei campi. Ciò che balza gli occhi leggendo il protocollo d’intesa è che adesso tra visite mediche preventive e periodiche, si apre alla cosiddetta sorveglianza sanitaria degli operai agricoli stagionali. Sorveglianza sanitaria che sarà a carico delle Asl che apriranno un ambulatorio riservato proprio a questa tipologia di prevenzione.

Riforma delle pensioni: le proposte dei partiti per la campagna elettorale, le ultime

Con il governo Draghi ormai caduto l’agenda della politica cambia radicalmente. Tutte le misure, le proposte, le ipotesi e le idee che circolavano in vista della solita legge di Bilancio di fine anno, vengono di fatto congelate. Inizierà quella che pare sarà una dura campagna elettorale. Ed i temi su cui i partiti si andranno a scontrare saranno sempre quelli ormai conosciuti. C’è da scommetterci che lo scontro sarà sempre sui temi di stretta attualità. Parliamo naturalmente di reddito di cittadinanza, emergenza pandemica, vaccini, tasse e pensioni. Proprio su quest’ultimo argomento si parlava tanto di una ipotetica nuova riforma della previdenza da mettere in cantiere da qui a fine anno. Già appariva una cosa assai difficile prima, figuriamoci adesso. Basandosi sulle tante ipotesi e proposte che sembra diventeranno il cavallo di battaglia dei vari partiti politici, ecco il punto della situazione.

Le pensioni ago della bilancia nella nuova campagna elettorale

Il punto nevralgico della situazione è che la riforma delle pensioni dovrebbe garantire il non ritorno alla legge Fornero. Infatti venendo meno quota 102 a fine anno, senza mettere mani al sistema, le uniche uscite che rimarrebbero vigenti sono quelle legate proprio alla riforma del 2011 . Parliamo di quella del governo Monti, della tanto discussa riforma lacrime e sangue della Professoressa Elsa Fornero. È evidente che bisogna fare qualcosa, cioè provvedere a sistemare questa situazione per non penalizzare quanti per età o per contributi non sono riusciti a rientrare nelle nuove misure introdotte da questa legislatura. Va detto che oltre a quota 102, dal primo gennaio 2023 dovrebbero sparire anche Ape sociale ed opzione donna. Usare il condizionale è d’obbligo, perché si tratta di due misure su cui spesso si parla di nuove proroghe. Resta confermato però che in assenza di nuove misure, non resterà che uscire dal lavoro con le pensioni classiche, collegate inevitabilmente al decreto Salva Italia del vecchio governo tecnico condotto da Mario Monti.

Le proposte dei partiti, tra cavalli di battaglia e nuova campagna elettorale anche per le pensioni

Partiamo dal Partito Democratico, perché sembra l’area politica più legata al passato. Infatti sembra pressoché certo che la proposta previdenziale del PD sarà quella di prorogare due misure molto importanti per il sistema previdenziale. Due misure che in questi anni hanno consentito un pensionamento anticipato tanto alle donne quando a determinate categorie di lavoratori e soggetti. Infatti il PD dovrebbe arrivare a proporre l’estensione anche nel 2023 sia dell’Ape sociale che di opzione donna. Forza Italia il partito del redivivo Silvio Berlusconi, va sempre nella direzione classica. Come sempre Forza Italia punta sugli importi delle prestazioni pensionistiche. Infatti Silvio Berlusconi viene ricordato sempre per l’incremento al milione delle prestazioni pensionistiche. E adesso in vista della nuova campagna elettorale probabilmente gli azzurri punteranno tutto sul portare le minime a mille euro. Una soluzione alla pochezza delle pensioni dal punto di vista degli importi. Il quadro della situazione è messo nero su bianco anche dal noto quotidiano economico politico “Il Sole 24 Ore”.

Da quota 41 per tutti alla flessibilità da 62 o 63 anni, con il contributivo o senza penalizzazioni

La posizione dei sindacati da tempo è chiara e verte sempre su due misure fondamentali secondo le parti sociali. La prima è la flessibilità in uscita a partire dai 62 anni con 20 anni di contributi versati. La seconda invece è la quota 41 per tutti. In entrambi i casi si tratta di due prestazioni molto onerose per lo stato soprattutto come le interpretano i sindacati. Infatti pretendono la completa assenza di penalizzazioni e tagli di assegni per chi riesce a sfruttare queste due misure. Tagli di assegni che invece sembrano necessari vista la situazione delle casse pubbliche. Quota 41 per tutti però è anche un cavallo di battaglia della Lega di Matteo Salvini. E sarà praticamente inevitabile che con la nuova campagna elettorale e con i nuovi programmi elettorali la Lega punterà forte su questa proposta. Va ricordato infatti che già nella campagna elettorale del 2018 la Lega e il suo leader Matteo Salvini, vedevano nella quota 41 per tutti la misura successiva alla quota 100. Dopo la misura fortemente voluta proprio dalla Lega che la mise come concessione necessaria per dire di si al reddito di cittadinanza del Movimento 5 Stelle, la quota 41 per tutti era il fisiologico proseguo.

Anche il riscatto della laurea finirà con l’essere al centro del dibattito

Sulle minime a mille euro sembra ci sia convergenza anche verso Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che ad oggi sembra la più papabile leader di un eventuale nuovo governo. Per quanto riguarda invece il Movimento 5 Stelle la posizione sulle pensioni viaggia sul concedere la possibilità di uscita a partire dai 63 anni ma con il sistema contributivo. Altre ipotesi che viene collegata da indiscrezioni, ai grillini, è quella che va nella direzione di concedere il riscatto della laurea completamente gratuito a tutti i lavoratori. Una misura questa che sarebbe molto importante per riempire le carriere contributive dei lavoratori che si trovano con carenze da questo punto di vista. In altri termini chiunque abbia centrato la laurea, vorrebbe trovarsi fino a 5 anni di contributi in più senza dover sborsare un solo euro di riscatto.

Prezzo del grano giù ma pasta e pane salgono, ecco perché e come risolvere

Fondamentale come prodotto, il grano sta diventando un argomento abbastanza caldo di questi tempi. Sul grano si dice tutto il contrario di tutto. L’Italia, e soprattutto il Sud Italia, sono tra i principali produttori di grano. Ma è un settore piuttosto complicato soprattutto alla luce di questa grave crisi economica che si sta abbattendo ormai da tempo sull’economia nazionale. È proprio il grano sta subendo le conseguenze maggiori sia dal punto di vista dei consumatori dei prodotti da esso derivati, che dal punto di vista di chi il grano lo produce, cioè gli agricoltori.

Molte le anomalie che accompagnano il grano in Italia di questi tempi

L’argomento è assai discusso perché presenta una enorme anomalia che molti non considerano. Molti altri però se ne rendono conto. Parliamo di grano e soprattutto di prezzi del grano o dei prodotti derivati dalla materia prima. Il prezzo del grano per i consumatori sta salendo a livelli esponenziali, a tal punto che pasta, pane e altri derivati sono saliti di prezzo in maniera considerevole. Ciò che però rappresenta l’anomalia principale è il fatto che è se da un lato il prezzo per i consumatori sale, da un altro lato scende il prezzo pagato alla fonte, cioè ai produttori. E di questo si lamentano molte associazioni di categoria. Lamentele sul prezzo a cui però, sempre dalle associazioni, vengono aggiunte potenziali risoluzioni e suggerimenti. Ed anche la politica sembra iniziare a muoversi.

Le istituzioni sembrano iniziare ad accorgersi del problema grano

Anche la politica si sta interessando di ciò che sta accadendo al grano in Italia. Dalla Basilicata alla Puglia, dove il grano è uno dei principali prodotti dell’Agricoltura, escono fuori le dichiarazioni di De Bonis, senatore di Forza Italia. Dichiarazioni che mettono in luce l’anomalia di cui parliamo, senza però tralasciare alcuni suggerimenti atti a risolvere la questione. Secondo quanto riporta il sito basilicata24.it, il senatore azzurro sottolinea come sia davvero particolare che sui consumatori Italiani si sia battuto un incremento del 20% sul costo di acquisto della pasta per esempio. Se da un lato sui consumatori si abbattono questi incrementi, dall’altra sugli agricoltori che producono il grano si registra un calo del prezzo di vendita del prodotto pari anche in questo caso al 20%. Sempre dal lato degli . A questo va aggiunto per questioni climatiche il calore dell’evoluzione superiore al 40%.

L’operato delle istituzioni è tangibile

Secondo il senatore, occorre continuare con il lavoro svolto dal CUN, acronimo di Commissione unica nazionale. Un organismo nato affinché non solo sul grano si mettano in campo delle iniziative per rendere più trasparente la modalità di definizione del prezzo, soprattutto del prodotto iniziale. Ciò che incide molto sono le borse merci locali, che determinano i prezzi senza considerare diversi fattori che poi sono quelli che portano all’anomalia prima citata.
Inoltre, intermediazioni e speculazioni devono essere debellate perché sono tra i fattori determinanti di questa situazione. Gli agricoltori vivono sicuramente una fase delicata, perché hanno dovuto subire l’incremento dei costi di produzione. Per esempio quelli  del gasolio o anche dei fertilizzanti. Aumento dovuto anche alla grave crisi e bellica in Ucraina.
Quello che si suggerisce è di dare maggiore forza agli aiuti comunitari previsti dal piano PAC. Infatti le quote del premio di produzione dei cereali che tutti gli agricoltori conoscono, dovrebbe arrivare almeno a 1.000 euro ad ettaro. Questo si che potrebbe essere un valido salvagente per un settore produttivo che come abbiamo visto è piuttosto in difficoltà.

Stellantis: l’indotto destinato a sparire? ecco le ultime notizie

Dopo la mobilizzazione di venerdì scorso con tanto di sciopero dei lavoratori del settore logistica dello stabilimento Stellantis di Melfi, sono diverse le novità che emergono per quanto riguarda la fabbrica di auto Lucana. Ma sono novità che per forza di cose finiscono con l’essere interessanti anche per tutte le altre sedi produttive dell’ex FCA. In località San Nicola di Melfi sorge uno dei più importanti poli produttivi del colosso dell’Automotive nato dalla fusione di PSA con FCA. Ormai da tempo sono balzate agli onori della cronaca le vicissitudini del colosso italo francese dell’industria automobilistica. È tra i settori in sofferenza in tutti gli stabilimenti Italiani nel gruppo, senza dubbio l’indotto, naturalmente servizi compresi.

Cosa sta accadendo all’indotto di Stellantis in Italia

Stellantis è il quarto produttore di auto al Mondo, un autentico colosso del settore automobilistico che ha diversi stabilimenti in Italia, da Nord a Sud. A Melfi da tempo si parla sempre di lunghi periodi di cassa integrazione, di chiusure periodiche delle lavorazioni, di esodi incentivati o contratti di solidarietà. E gli operai si mobilitano. Con lo sciopero del settore logistica di venerdì scorso sono emerse alcune considerazioni relative all’indirizzo che sta prendendo la direzione aziendale di Stellanti nello stabilimento di località San Nicola di Melfi in Basilicata. Uno dei settori forse sottovalutato, ma oggettivamente tra i più importanti da sempre, è rappresentarlo all’indotto. In Italia si tratta di uno spaccato degli stabilimenti produttivi dell’ex Fiat, composto per lo più da tante piccole realtà industriali. Piccole fabbriche che danno lavoro a tantissimi operai. E che, soprattutto in Basilicata, rappresentano una soluzione al problema occupazionale quasi pari pari a quelle di Stellantis intesa come casa madre.

Dall’esterno all’interno, ecco cosa succede alle lavorazioni di Melfi

Pare che dal punto di vista organizzativo l’azienda stia vertendo verso l’internazionalizzazione di numerose attività che prima erano dislocate proprio alle piccole fabbriche della linea dell’indotto. Stellantis in parole povere sta portando molte delle attività dell’indotto all’interno di Stellantis stesso. Gli operai interni della società iniziano già a svolgere attività che prima non svolgevano proprio perché assegnate all’esterno. “Stellantis vuole produrre tutto da sola”, questo è quello che molti lavoratori hanno esternato il giorno dello sciopero che ha riguardato proprio l’indotto. Come si legge sulle pagine del sito “basilicata24.it”,  c’è addirittura chi pensa che presto saranno gli stessi operai assunti direttamente da Stellantis ad occuparsi perfino di servizi quali le pulizie o la gestione degli spazi comuni del polo produttivo.

La linea aziendale è stata chiara fin da subito

Abbattere i costi di produzione è uno dei principali obiettivi che è il CEO Carlos Tavares si è prefissato film dal momento del suo insediamento a capo del gruppo. Il manager portoghese ha immediatamente criticato le modalità produttive italiane, stabilendo la necessità di contenere i costi. E ridurre i costi significa, secondo gli allarmismi dei lavoratori, anche eliminare gran parte delle produzioni prima riservate proprio all’indotto. Secondo i lavoratori presto molti di loro dovranno svolgere attività che prima non erano loro demandate. Il principale timore è quello che è presto in Stellantis si adotterà anche in Italia quello che molti considerano il modello francese. In altri termini, ciò che succede in Francia per le produzioni di Peugeot. Produzioni quindi senza indotto, con l’azienda madre che fa tutto da sola.

Nonostante lo sciopero, auto prodotte comunque a Melfi da Stellantis

La dimostrazione si è avuta, anche se a ritmi ridotti, proprio venerdì con lo sciopero dell’indotto. Infatti pare che è le auto siano state prodotte lo stesso, anche se in numero inferiore rispetto al solito. In altri termini le attività dell’indotto sono state coperte durante lo sciopero dal lavoratori interinali, i cosiddetti somministrati. È quello che emerge dalle dichiarazioni di alcuni lavoratori rilasciate proprio al sito primato; e il segnale che conferma i timori di una azienda madre che vuole annettere al suo interno gran parte delle attività che portano all’auto finita è completata.