Sanzioni tributarie, secondo la Corte Costituzionale devono essere proporzionate

La Corte Costituzionale con la sentenza 46 del 17 marzo 2023 ha sancito un importante principio di diritto, cioè le sanzioni tributarie devono essere proporzionate soprattutto nel caso in cui emerga la volontà del contribuente di non evadere le imposte.

Omessa presentazione dichiarazione del consolidato e presentazione della dichiarazione del singolo conctribuente: il caso

A sollevare la questione di legittimità costituzionale è la Commissione tributaria provinciale di Bari (Ctp Bari) e ha ad oggetto l’articolo 1 comma 1 del decreto legislativo 471 del 1997 che statuisce : “nei casi di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive, si applica la sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell’ammontare delle imposte dovute, con un minimo di euro 250”.

Nel caso in oggetto il contribuente aveva omesso la presentazione della redditi relativa al regime fiscale del consolidato (regime che si applica per il calcolo dell’Ires di gruppo), ma aveva presentato nei termini la propria dichiarazione dei redditi e aveva versato, sebbene in ritardo, le imposte da lui dovute. Sebbene le imposte erano state versate in ritardo, con sanzioni ridotte grazie al ravvedimento operoso, il pagamento comunque era avvenuto prima dell’accertamento fiscale, comportamento che denota la mancanza di volontà di evadere il fisco.

Nonostante questo, l’Agenzia delle Entrate aveva inviato l’avviso di accertamento per la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi per un ammontare di 17.637,60 e 1.256.652,00 euro corrispondenti al 120% delle imposte da versare.

Corte Costituzionale: le sanzioni tributarie devono essere proporzionate

La Commissione tributaria ha ritenuto che l’applicazione dell’articolo 1 del decreto legislativo 471 del 1997 costituisca violazione dell’articolo 3 della Costituzione per violazione dei principi di proporzionalità, uguaglianza e ragionevolezza laddove non preveda l’esenzione dall’applicazione delle sanzioni dal 120% al 240% per i contribuenti che abbiano volontariamente, e prima dell’avviso di accertamento, adempiuto al versamento delle imposte. La Corte Costituzionale sposa la teoria della Commissione Tributaria Provinciale e stabilisce che le sanzioni possono essere applicate ma solo sulla quota non ancora versata e non sull’intero importo.

La Corte sottolinea che deve trovare applicazione l’articolo 6 del decreto 472 del 1997 che statuisce: Qualora concorrano circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo a cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta al minimo

Modello 730/2022, cosa cambia per i controlli fiscali? Vantaggio per i contribuenti

Ormai è imminente il via alla nuova stagione delle dichiarazioni dei redditi. Si parte come sempre con il modello 730. Quest’anno la nuova dichiarazione dei redditi sarà riferita all’anno di imposta 2021. Presto i sostituti di imposta metteranno a disposizione degli interessati il modello CU (dal 16 marzo). E presto si potrà iniziare a presentare la dichiarazione con il modello 730,ordinario ma anche precompilato.

Qualcosa per il precompilato cambia nel 2022. Sarà più semplice apportare modifiche senza rischiare di finire in un controllo del Fisco con la necessità di andare a fornire all’Agenzia delle Entrate tutti i dati della dichiarazione. Una cosa che va spiegata meglio visto che in passato c’era chi preferiva accettare di buon grado la dichiarazione precompilata, anche se con qualche inesattezza, pur di non finire ad accertamento.

Il 730 nella versione precompilata e i controlli fiscali

Il modello 730 precompilato è il modello dichiarativo con cui i lavoratori dipendenti e i pensionati, che non hanno altri redditi che li costringono ad optare per l’ex modello Unico, utilizzano. Nel cassetto fiscale dei contribuenti è presente il 730 precompilato, con una serie di dati prestampati da parte dell’Agenzia delle Entrate. Dati relativi anche a diversi oneri detraibili oltre che i dati reddituali e patrimoniali.

Il Fisco grazie all’incrocio delle banche dati può in effetti, inserire molti dati che altrimenti il contribuente avrebbe dovuto inserire da solo. L’unico onere in capo al contribuente è quello di verificare la veridicità dei dati e al più, correggerli.

Ma da sempre, la semplice correzione dei dati, che però comporta una minore imposta dovuta o un diverso dato imponibile, faceva scattare i controlli.

I controlli vecchi e nuovi su chi corregge il 730 precompilato

Inviare il modello 730 così come lo si trova nel cassetto fiscale, senza apportare alcuna correzione, significava evitare qualsiasi tipo di controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate. Questo è ciò con cui i contribuenti hanno dovuto confrontarsi negli ultimi anni. Con l’effetto di molti contribuenti che pur di evitare accertamenti, hanno preferito avallare ciò che il Fisco ha trovato a loro nome, senza intervenire.

Infatti correggendo il modello 730 magari, per oneri detraibili omessi da parte del Fisco ma di cui si ha certezza e documentazione che ne confermino il sostenimento, portava il contribuente di fronte all’obbligo di produrre, in caso di controllo, tutta la documentazione di tutti i dati inseriti nel 730.

Un esempio di ciò che accadeva e ciò che accade adesso

Per esempio, se per via di una fattura del dentista regolarmente pagata assente nella precompilata, ma poi inserita dal contribuente, quest’ultimo si trovava da una imposta a debito ad una a credito, è assai probabile che il controllo scattasse immediatamente. E per risolvere l’accertamento fiscale, oltre che la fattura del dentista aggiunta, il contribuente doveva presentare gli scontrini della farmacia, le ricevute delle spese scolastiche, della mensa scolastica e così via. In pratica, controllo totale sulla dichiarazione.

Adesso si cambia. Perché per espletare la pratica di accertamento, eventualmente, se ritorniamo all’esempio precedente, sarà da presentare solo la copia della fattura del dentista che in passato avrebbe provocato un adempimento enorme per il contribuente.

Modifiche possibili senza controllo del Fisco, o almeno con controlli meno approfonditi

Alcune novità per il nuovo 730 sono passate sotto traccia ma sono davvero importanti.  Cambiano i controlli a cui si è assoggettati quando si va a modificare la versione precompilata del modello di dichiarazione reddituale. La novità è stata prevista dal decreto Fiscale.

E riguarda tutti i contribuenti che scelgono di presentare direttamente la dichiarazione dei redditi per il tramite del proprio cassetto fiscale.

La modifica dei dati precaricati dal Fisco, produrrà controlli che riguarderanno solo i dati in considerazione dei quali è stata apportata una modifica al 730. Va ricordato che tutto questo si applica esclusivamente al modello 730 precompilato e non al modello Redditi PF (ex modello Unico PF). Naturalmente i controlli formali del Fisco restano sempre possibili anche se non si corregge la precompilata. Infatti se emergono errori e correzioni da parte dei sostituti di imposta per le CU preventivamente caricate dal Fisco, il controllo documentale può essere necessario.

Quando si può parlare di 730 senza modifiche alla precompilata

Il 730 precompilato è considerato modificato solo se le correzioni incidono sul calcolo del reddito imponibile, del reddito complessivo o dell’imposta dovuta. Per esempio, cambiare l’indirizzo di residenza piuttosto che cambiare un sostituto di imposta che deve effettuare i conguagli, è possibile. Variazioni queste che non incidendo sui dati prima citati, fa risultare la precompilata come inviata senza correttivi.

Va detto infine che se si utilizzano i professionisti abilitati e i Caf per la presentazione della dichiarazione, tutto cambia.  Eventuali controlli come quelli prima citati saranno a carico del professionista e non  del contribuente. Per questo il professionista o il contribuente interessato, dovranno apporre il visto di conformità su tutta la dichiarazione e su tutta la documentazione prodotta dal contribuente. In questo caso il contribuente stesso è tenuto a presentare al Caf o a chi per lui, tutta la documentazione relativa a redditi, patrimoni, oneri e così via.

Accertamento fiscale, cosa è?

In questa rapida guida andremo a scoprire cosa è un accertamento fiscale e sostanzialmente come ci si difende da esso e quali rischi può comportare.

Che cosa è un accertamento fiscale

Una domanda piuttosto frequente per il contribuente è quali siano le possibili contestazioni che si possono sollevare contro un atto dell’Agenzia delle Entrate, del Comune o della Regione? Od anche quando può essere fatto un accertamento fiscale? Scopriamo insieme di cosa si tratta e come dare risposta a queste domante.

Sostanzialmente, quando si parla di «accertamento» si fa riferimento, in linea di massima, al provvedimento con cui il Fisco (sia quello Statale che degli enti locali, come i Comuni e le Regioni) chiede il pagamento di ulteriori tributi rispetto a quelli già versati o non versati affatto dal contribuente. Quindi si parla anche di provvedimento impositivo o, ancora, di recupero a tassazione. 

Nello specifico, un atto di accertamento può essere emanato solo da un ente pubblico: canonicamente, l’Agenzia delle Entrate per i tributi dovuti allo Stato; ma esso può anche essere emesso da un ente locale (come ad esempio il Comune che potrebbe contestare il mancato pagamento dell’Imu o della Tari, l’imposta sui rifiuti; o alla Regione che potrebbe richiedere il bollo auto non versato dall’automobilista). 

Al di fuori delle diverse denominazioni che l’atto può assumere (avviso di accertamento, avviso di liquidazione, atto impositivo, atto di recupero a tassazione, ecc.), tale atto ha comunque sempre lo stesso contenuto e le medesime caratteristiche di base. Scopriamo di più di seguito.

Impugnazione dell’accertamento fiscale

Va sempre aggiunto, a quanto detto sopra, che l’accertamento fiscale deve essere motivato: deve pertanto, cioè, spiegare in una modalità chiara e comprensibile le ragioni che si pongono alla base della richiesta di maggiori pagamenti, indicando sia i fatti rilevanti, sia le norme di diritto che si ritengono violate.

Tutto ciò a garanzia del contribuente, nella maniera di consentirgli di contestare la pretesa impositiva e poter presentare eventualmente ricorso al giudice, in modo da potersi difendere in merito al ragionamento fatto dal Fisco. E qualora l’accertamento andasse a richiamare altri atti o documenti, che ne integrano la motivazione, questi dovranno essere necessariamente allegati. 

Occorre specificare che qualunque accertamento fiscale può essere impugnato dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale in primo grado e, successivamente dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale in appello.

Il termine fissato per l’impugnazione è di 60 giorni che scattano dalla avvenuta notifica, una volta scaduto l’atto, seppur illegittimo, assume forma definitiva ed immediatamente esecutiva, consentendo così l’iscrizione a ruolo del tributo e l’avvio delle pratiche di riscossione che avviene attraverso l’Agente per la riscossione (con la notifica della cartella esattoriale). 

Ad ogni modo, lo Statuto dei contribuenti impone che l’accertamento fiscale debba contenere tutte le informazioni necessarie all’impugnazione, dovendo indicare sia il giudice innanzi al quale il ricorso può essere presentato, sia i termini entro cui va effettuato, sia il nominativo del responsabile del procedimento. Pena la nullità dell’atto.

Come pagare in forma ridotta

Qualora il contribuente non intendesse fare ricorso contro l’accertamento, ritenendosi pertanto d’accordo con la pretesa impositiva dell’amministrazione finanziaria, andando a pagare nei termini può definire le sanzioni in via ridotta. Quindi, ottenendo così una riduzione dell’imposta sull’ accertamento fiscale.

Questo, dunque è quanto vi fosse di più necessario da sapere in merito ad una situazione di accertamento fiscale.

Come aderire all’accertamento fiscale con adesione e quali sono i vantaggi

In Italia, nel rapporto tra il contribuente ed il Fisco, ci sono degli strumenti che sono in grado di garantire il giusto equilibrio tra la pretesa erariale da un lato, ed i diritti del cittadino o dell’impresa dall’altro. E questo, tra l’altro, tenendo conto pure dell’effettiva capacità contributiva del soggetto.

Tra questi strumenti cosiddetti deflativi, in particolare, spicca l’accertamento fiscale con adesione. Ed allora, nell’ambito del rapporto tra l’Agenzia delle Entrate ed il contribuente, vediamo come si fa a aderire al cosiddetto accertamento fiscale con adesione. Analizzando, inoltre, pure quali sono i vantaggi previsti rispetto, per esempio, all’insorgere di una lite tributaria.

Cos’è l’accertamento fiscale con adesione e chi può accedervi

Nel dettaglio, l’accertamento fiscale con adesione si presenta in tutto e per tutto come una forma di definizione concordata del rapporto tributario. E quindi si tratta di un accordo tra un ufficio del Fisco ed il contribuente. Con quest’ultimo che può avvalersi di questo strumento deflativo non solo prima, ma anche dopo l’emissione di un avviso di accertamento. Ma sempre a patto che il contribuente rinunci poi a presentare il ricorso davanti al giudice tributario.

Detto questo, all’accertamento fiscale con adesione possono potenzialmente accedere tutti i contribuenti. Quindi, non solo le persone fisiche, ma anche le società di persone e le società di capitali. E lo stesso dicasi per gli enti, per i sostituti di imposta e per le associazioni professionali.

Quando un ufficio del Fisco può proporre l’accertamento fiscale con adesione

Oltre che prima o dopo l’emissione di un accertamento fiscale, un ufficio del Fisco può proporre al contribuente l’accertamento fiscale con adesione pure dopo un controllo delle Entrate ed anche a seguito di un controllo eseguito dalla Guardia di Finanza tramite gli accessi, le verifiche e/o le ispezioni.

Vantaggi dell’accertamento fiscale con adesione, dalle sanzioni amministrative a quelle penali

A favore del contribuente, l’accertamento fiscale con adesione offre un vantaggio in termini di sanzioni. In quanto queste vengono applicate nella misura di un terzo del minimo che è previsto dalla legge. Inoltre può scattare, nel rispetto delle condizioni previste, pure un effetto premiale quando il contribuente per le violazioni rilevate è perseguibile anche penalmente.

Ai sensi di legge, infatti, l’accertamento fiscale con adesione costituisce una circostanza attenuante. Fino a permettere la riduzione fino a un terzo delle sanzioni penali previste. Nonché l’azzeramento delle sanzioni accessorie.

Come si presenta la domanda di richiesta di accertamento concordata

In più, si legge altresì sul sito Internet dell’Agenzia delle Entrate, pure il contribuente può spontaneamente chiedere  l’accesso allo strumento deflativo che è rappresentato proprio dall’istituto dell’accertamento fiscale con adesione. Per farlo, in particolare, basterà al contribuente presentare al Fisco una domanda in carta libera.

Nella quale si chiede all’ufficio delle Entrate la formazione di una proposta di accertamento concordata. Per trovare un accordo tra le parti, in ogni caso, possono essere necessari più incontri tra il Fisco e il contribuente che al riguardo può pure farsi rappresentare o assistere da un procuratore.

Avviso di accertamento fiscale, cosa succede se il contribuente rinuncia al ricorso

Quando il Fisco rileva delle anomalie o delle irregolarità, ed anche quando viene riscontrato il mancato pagamento delle tasse nei termini previsti, in Italia l’Agenzia delle Entrate prima effettua delle verifiche e dei controlli. E poi può pure inoltrare al contribuente un avviso di accertamento.

Nella fattispecie, il contribuente ha sempre la possibilità non solo di far valere le proprie ragioni, ma anche di opporsi presentando un ricorso. Pur tuttavia, in caso di avvio di un accertamento fiscale, da parte dell’Agenzia delle Entrate, cosa succede se il contribuente rinuncia al ricorso? Ecco cosa accade in questo caso specifico. Quali sono i vantaggi e pure gli eventuali rischi se ce ne sono.

Cosa succede se il contribuente rinuncia al ricorso dopo un avviso di accertamento fiscale

Al riguardo c’è da dire, prima di tutto, che per il contribuente che non ha pagato le tasse, con il Fisco che al riguardo ha emesso un avviso di accertamento, la presentazione di un ricorso è inutile. In quanto l’Agenzia delle Entrate vincerebbe facile nell’ambito dell’avvio di un contenzioso tributario.

In più, c’è da dire che il contribuente che riceve un avviso di accertamento, e che non si oppone, può comunque avvantaggiarsi di una riduzione delle sanzioni. A livello giuridico, infatti, si parla di acquiescenza quando il contribuente accetta l’atto del Fisco e, pagando, provvede a sanare la propria posizione senza opporsi. Inoltre in Italia, ai sensi di legge e della normativa fiscale vigente, con l’acquiescenza il contribuente ottiene una riduzione pari ad un terzo delle sanzioni amministrative irrogate.

Pure gli atti di contestazione, inoltre, possono essere definiti per acquiescenza quando per questi vengono irrogate solo sanzioni. E quindi anche nella fattispecie il contribuente potrà avvantaggiarsi della riduzione pari ad un terzo delle sanzioni amministrative irrogate.

Quando e come scatta l’acquiescenza dopo un accertamento fiscale

Dopo un accertamento fiscale, l’acquiescenza scatta a patto che, riporta altresì il sito Internet dell’Agenzia delle Entrate, vengano rispettate tre condizioni. Ovverosia, e prima di tutto, il contribuente rinuncia ad impugnare l’avviso di accertamento. Inoltre, il contribuente deve pure rinunciare a presentare istanza di accertamento con adesione.

In più, l’acquiescenza comporta, come sopra accennato, il pagamento delle somme complessivamente dovute tenendo conto della sopra citata riduzione delle sanzioni. Il versamento di quanto dovuto al Fisco, inoltre, deve avvenire entro il termine di proposizione del ricorso che di norma è pari a 60 giorni dalla notifica dell’atto.

Come versare le somme dovute al Fisco dopo un accertamento fiscale

In base al tipo di tassa da pagare, con l’acquiescenza, e quindi rinunciando al ricorso, il contribuente può sanare la propria posizione nei confronti del Fisco attraverso il versamento con il modello F24 oppure, a seconda dei casi, con l’F23.

Il Fisco al riguardo permette sia di saldare il tutto in un’unica soluzione, sia di pagare a rate. In quest’ultimo caso, sulle rate dopo la prima versata, scattano le maggiorazioni che sono rappresentate dagli interessi che, in particolare, si calcolano a partire dal giorno successivo al termine di versamento della prima rata.

Lettera inviata dall’Agenzia delle Entrate, cosa fare per evitare un accertamento fiscale

Prima di avviare un contenzioso con i contribuenti, in Italia il Fisco, dopo aver rilevato errori e/o anomalie, invia sempre una lettera che non è altro che un invito a regolarizzare la propria posizione.

In questo modo, per gli obblighi fiscali e tributari, l’Agenzia delle Entrate attiva un canale di dialogo finalizzato ad incentivare l’adempimento spontaneo proprio da parte del contribuente. Vediamo allora cosa fare quando arriva una lettera dell’Agenzia delle Entrate e, soprattutto, cosa fare per evitare sia un accertamento fiscale. sia l’avvio di un contenzioso.

Cosa fare per evitare un accertamento fiscale quando arriva una lettera del Fisco

La lettera inviata dall’Agenzia delle Entrate può permettere al contribuente di correggere errori ed omissioni. Anche in base a dati che il Fisco non conosce o che, per qualche ragione, non ha potuto prendere in considerazione.

Ottemperando alla richiesta dell’Agenzia delle Entrate, anche avvalendosi eventualmente dell’istituto del ravvedimento operoso, il contenzioso con il Fisco termina ancor prima di iniziare. Ovverosia, risolta la questione, il contribuente, come sopra detto, eviterà di subire da parte dell’Agenzia delle Entrate un accertamento fiscale.

Nella lettera inviata dall’Agenzia delle Entrate, inoltre, sono sempre indicate sia le modalità di accesso e di utilizzo del servizio relativo al ‘Cassetto Fiscale’, sia quelle per ‘CIVIS’, il servizio che permette di trasmettere e di far acquisire al Fisco dati e documenti utili legati proprio alla comunicazione ricevuta. Nella lettera, inoltre, il Fisco fornisce pure le modalità di compilazione della dichiarazione integrativa. Sulla base degli errori e/o delle omissioni che sono state riscontrate.

Al servizio CIVIS si accede dal portale dell’Agenzia delle Entrate tramite le credenziali. Quindi con un’identità digitale ed anche con le credenziali del Fisco se il contribuente è un professionista o un’impresa. Le tre identità digitali ammesse sono la Carta di Identità Elettronica (CIE), la Carta Nazionale dei Servizi (CNS) ed il Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID).

Quando il Fisco invia al contribuente una lettera di invito alla verifica della propria posizione fiscale

La lettera inviata dall’Agenzia delle Entrate al contribuente non è altro che una comunicazione di invito alla compliance nell’ottica di un rapporto che è basato sulla trasparenza e sulla collaborazione. Detto questo, sono tanti i motivi per cui il Fisco può decidere di inviare una lettera al contribuente al fine di verificare prima e, eventualmente, regolarizzare poi la propria posizione fiscale.

Per esempio, questo accade quando nella dichiarazione sono stati omessi o sono stati comunicati solo in parte dei dati chiave sui redditi. Dai redditi da fabbricati a quelli da lavoro, o di pensione, e passando per i redditi da lavoro autonomo e per i redditi diversi.

Se le omissioni e/o gli errori segnalati dal Fisco sono stati effettivamente commessi dal contribuente, allora si dovrà presentare la dichiarazione integrativa. Con il conseguente versamento di maggiori imposte. Ma a fronte del pagamento delle sanzioni che saranno in misura ridotta. Rispetto a quelle che, invece, potrebbero essere applicate dopo l’avvio da parte dell’Agenzia delle Entrate di un accertamento fiscale.

Quali sono gli atti derivanti dai controlli fiscali e come difendersi

Nel rapporto tra il contribuente e l’Agenzia delle Entrate spesso non sempre va tutto nel verso giusto. Anche quando si pensa d’aver versato tutte le tasse dovute, ed anche quando si ritiene d’aver assolto a tutti gli adempimenti nei termini previsti ai sensi della normativa fiscale vigente. E questo perchè, nell’ambito del contrasto all’evasione, l’Agenzia delle Entrate ha sempre il potere, a seguito di verifiche, di avviare dei controlli fiscali.

Cosa che in genere accade quando il Fisco rileva delle anomalie o delle incongruenze. Vediamo allora al riguardo quali sono gli atti derivanti dai controlli fiscali, e come eventualmente il contribuente può impostare la propria difesa se ritiene illegittima la pretesa del Fisco.

Ecco quali sono gli atti derivanti dai controlli fiscali

L’Agenzia delle Entrate, tra i compiti affidati, ha quello di contrastare i fenomeni elusivi ed evasivi. Nel farlo, con l’attività di controllo, punta sempre a favorire, prima di tutto, l’adesione spontanea da parte del contribuente.

Solo dopo il Fisco, proprio a seguito dei controlli e delle verifiche incrociate, può procedere all’emissione di atti. Che derivano proprio dai controlli fiscali e che sono rappresentati dal processo verbale di constatazione e dall’avviso di accertamento. Vediamo allora, nello specifico, di cosa si tratta.

Cos’è il processo verbale di constatazione legato ad una verifica fiscale

Il processo verbale di constatazione, noto anche con la sigla pvc, è legato all’attività di controllo in sede dei contribuenti. A seguito di verifica fiscale in loco frutto dell’attività di controllo svolta dall’Agenzia delle Entrate ma in certi casi pure da parte della Guardia di Finanza. Nel pvc consegnato al contribuente ci sono indicate le eventuali violazioni rilevate a conclusione della verifica fiscale. Nonché i relativi e corrispondenti addebiti.

Cos’è l’avviso di accertamento legato alle attività di controllo del Fisco

A conclusione di un’attività di controllo sostanziale, il Fisco può inoltrare al contribuente un avviso di accertamento. Che rappresenta in tutto e per tutto una pretesa tributaria per la quale è in ogni caso possibile opporsi. Ovverosia, un contribuente che riceve un avviso di accertamento può impugnarlo. Oppure può presentare l’istanza di accertamento con adesione.

Rinunciando a tutto ciò, invece, il contribuente che paga e basta, alla ricezione di un avviso di accertamento, si avvarrà di quella che è definita come l’acquiescenza. Ed in tal caso il Fisco, tra l’altro, permetterà al contribuente di avvalersi di una riduzione delle sanzioni amministrative irrogate.

Come parte un controllo fiscale dell’Agenzia delle Entrate?

Per arrivare al processo verbale di constatazione o all’avviso di accertamento, l’Agenzia delle Entrate, come sopra detto, a monte effettua sempre dei controlli e delle verifiche fiscali. Al riguardo l’Amministrazione finanziaria dello Stato fa leva su tutta una serie di strumenti.

Che spaziano dai controlli automatizzati e formali delle dichiarazioni dei redditi presentate alle attività istruttorie esterne. E passando per le indagini finanziarie, per gli inviti al contraddittorio e per i questionari. Così come, per le imprese che sono di grandi dimensioni, le verifiche fiscali e tributarie possono scattare anche a seguito dell’attività di tutoraggio.

Il Redditometro sotto la lente d’ingrandimento

Strumento principe nella lotta all’evasione, complesso modello statistico, specchio impietoso dell’Italia post crisi, “psicodramma nazionale” e nelle ultime ore pure “riccometro”. Si moltiplicano le definizioni ma il nostro grande indiziato di questa settimana è lui:  il Redditometro.

Quest’oggi abbiamo deciso di passarlo sotto la lente di ingrandimento dei veri addetti ai lavori, i commercialisti. Per cercare di fare un po’ di chiarezza tra accertamenti sistematici, parametri statistici, scostamenti marginali, beni rilevanti e beni simbolici.

Infoiva ha intervistato Alessandro Solidoro, Presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano.

Redditometro 2013: criticato, temuto, passato sotto la lente di ingrandimento. Quali sono secondo lei le maggiori criticità?
Il redditometro è riconducibile agli “accertamenti sintetici”, che sono presenti nel nostro ordinamento da diverso tempo.
La principale criticità di questa tipologia di accertamenti consiste nel pericolo di cadere, in sede di verifica della singola posizione fiscale di un contribuente, in “automatismi” nell’applicazione dei parametri previsti, che potrebbero non tener conto della specifica situazione del contribuente medesimo. La Cassazione al riguardo ha ricordato a più riprese che l’accertamento fiscale non può mai essere “standardizzato” ed effettuato applicando acriticamente una metodologia matematico-statistica. Oltre a ciò, vi sono diverse criticità di natura “tecnica”, derivanti dalla scelta del Legislatore di voler considerare alcune rilevanti spese (ad esempio l’acquisto di immobili) come effettuate utilizzando il reddito di un unico periodo di imposta.

Quali invece i vantaggi?
Le modifiche recentemente apportate al redditometro hanno il pregio di coprire uno spettro più ampio di voci rispetto a quanto fosse precedentemente fatto. Ciò consente di non limitare l’analisi ad alcuni “beni rilevanti” (immobili, automezzi, barche e simili), ma di estendere l’esame del tenore di vita (e dunque della congruità del reddito dichiarato) attraverso un ampliamento delle spese, degli investimenti e dei risparmi presi in esame.

Le 100 voci del redditometro analizzano praticamente ogni ambito della vita di una famiglia, gli italiani dovranno cambiare le proprie abitudini per rientrare nei parametri del redditometro, o chi non evadeva prima può semplicemente mantenere la propria routine invariata ?
No, non è necessario cambiare le proprie abitudini: al riguardo desidero infatti ricordare che il redditometro si basa sul semplice assunto per cui il tenore di vita deve essere compatibile con il reddito dichiarato al Fisco. In linea generale, chi non evadeva precedentemente non ha nulla da temere dall’applicazione di questo strumento, anche se dovranno essere adottate alcune precauzioni circa la tracciabilità delle risorse finanziarie e reddituali impiegate per il sostenimento di alcune spese rilevanti (automobili, immobili, investimenti e simili).

La franchigia di tolleranza di 12 mila euro è a vostra parere ben ponderata?
E’ opportuno premettere che il riferimento a una franchigia quantificata in 12.000 euro non è prevista dalla normativa (che invece stabilisce che il redditometro è potenzialmente applicabile a coloro che, in un dato periodo d’imposta, hanno sostenuto spese in misura superiore a 1,20 volte il reddito dichiarato). Ritengo che l’adozione di una franchigia “quantitativa” possa essere un utile ed efficace accorgimento per evitare di sottoporre a verifica quelle posizioni con scostamenti “marginali”; tuttavia non dovrà essere possibile prescindere dalla situazione specifica del singolo contribuente.

Veniamo al capitolo beni simbolici: l’allargamento dello spettro e l’analisi effettuata su dati certi dell’Agenzia delle Entrate porterà ad una maggior efficacia dello strumento di lotta all’evasione?
La motivazione sottostante l’inclusione delle spese per “beni simbolici” tra quelle da considerare ai fini del redditometro, risponde all’esigenza di meglio profilare il tenore di vita in relazione al reddito dichiarato. Dalle prime elaborazioni effettuate e apparse sulla stampa specializzata, sembra comunque di capire che questa categoria di spese non sarà di per sé “decisiva” nella valutazione di congruità del reddito di un singolo contribuente, mentre avranno una particolare significatività le spese per beni rilevanti e investimenti.

Il rischio che la presunzione di capacità di spesa delle famiglie si allontani dalla realtà è concreto o si può contenere limitando il ricorso a meccanismi statistici?
I meccanismi statistici contenuti nel decreto attuativo del redditometro dovrebbero avere l’esclusiva finalità di stabilire una “misura media” (statisticamente comprovata) per la spesa delle famiglie: in questo senso, l’inserimento di tale categoria di spese ai fini del redditometro potrebbe forse essere rivisto e meglio rimodulato (magari prevedendo ulteriori soglie di franchigia al di sotto delle quali non procedere a verifica con redditometro) , soprattutto al fine di evitare qualsiasi applicazione “automatica”.

A suo avviso il redditometro è uno strumento valido nella lotta all’evasione o si poteva fare qualcosa di più?
In linea di principio il redditometro è un valido strumento nella lotta all’evasione, in quanto è basato sull’assunto di comparare il tenore di vita rispetto alla congruità del reddito dichiarato. Tuttavia, dato l’elevato potere conoscitivo e il meccanismo di presunzione su cui esso si basa (che comporta un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente), si deve evitare che nella pratica diventi uno “studio di settore per famiglie”, censurando qualsiasi automatismo in sede di verifica che non tenga conto della specifica situazione del contribuente.

Alessia CASIRAGHI

Cassazione: valida la percentuale di ricarico

Con la sentenza 4952 del 28 marzo, la Cassazione ha stabilito che l’Amministrazione può avvalersi, nell’accertamento del reddito, di dati o notizie comunque raccolti, con la conseguenza che la percentuale di ricarico può essere legittimamente determinata con riferimento alla dichiarazione del contribuente relativa al periodo di imposta precedente, a fronte di un volume di vendite accertato sulla base di dati afferenti all’esercizio in corso.

Il fatto
La vicenda giudiziale di una Srl che aveva fatto opposizione a un avviso di accertamento per Irpeg, Irap e Iva, si è risolta con l’annullamento dell’atto impositivo, trovando poi conferma anche in secondo grado.
Il ricorso proposto dalla soccombente Amministrazione finanziaria si articola in due motivi, con i quali la ricorrente lamenta, rispettivamente, violazione di legge (articolo 36 del Dlgs 546/1992) per mancata indicazione delle ragioni che sorreggono la decisione impugnata, e violazione dell’obbligo di motivazione, per motivazione insufficiente e illogica sul punto decisivo della controversia, atteso che, nella sentenza impugnata “non viene precisato quali ipotetici fattori impedirebbero di assumere per il 2003 la medesima percentuale applicata nel 2006“.

Prima di procedere oltre, ricordiamo che la percentuale di ricarico è il rapporto tra i ricavi dichiarati e gli acquisti registrati in contabilità, in relazione ai principali prodotti commercializzati, attribuendo, sovente, le medie ponderate di settore.
Normalmente, viene applicato, al costo del venduto (costo sostenuto dall’impresa per l’acquisto della merce ritenuta più rappresentativa, rivenduta durante l’anno), il coefficiente di ricarico medio ritenuto congruo sulla base spesso di medie teoriche (ricavate da quelle che pervengono da altri operatori del settore).
I valori percentuali medi del settore non costituiscono un “fatto noto”, storicamente provato, dal quale argomentare, con giudizio critico, quello ignoto da provare, ma soltanto il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei, che fissa una regola di esperienza (Cassazione, nn. 7914/2007, 641/2006, 18038 e 26388 del 2005).

La decisione
La Corte suprema ha ritenuto infondata la prima censura, perché l’indicazione da parte del secondo giudice dei motivi di fatto e di diritto della decisione rendono possibile individuare sia il thema decidendum sia le ragioni che stanno a fondamento del dispositivo.

Invece, coglie nel segno la seconda censura, atteso che effettivamente, nel caso concreto, la sentenza del riesame non risulta motivata in modo sufficiente e giuridicamente corretto, non essendo state esposte sufficientemente le rationes decidendi sull’argomentazione sollevata dall’ente impositore circa l’insussistenza, tra gli anni considerati, di eventi significativi che potessero avere condizionato le scelte commerciali della ditta in ordine all’ammontare del ricarico.
Riguardo all'”ultrattività” delle percentuali di ricarico nell’accertamento induttivo, sia il fondamentale principio dell’imposizione fiscale, che impone l’inerenza dei dati raccolti a un determinato e specifico periodo di imposta, attesa l’autonomia di ciascun periodo di imposta (articolo 1 del Dpr 600/1973), sia il principio della effettività della capacità contributiva, posto dall’articolo 53 della Costituzione a fondamento della legittimità di qualsiasi prelievo fiscale, escludono la validità della “supposizione della costanza del reddito” in anni diversi da quello per il quale è stata accertata la produzione di un determinato reddito, ma non escludono il potere dell’ufficio di avvalersi, nell’accertamento del reddito o del maggior reddito, di dati e notizie comunque raccolti. La percentuale di ricarico è quindi legittimamente determinata con riferimento alla dichiarazione del contribuente relativa al periodo di imposta precedente, a fronte di un volume di vendite accertato sulla base di dati afferenti all’esercizio in corso come sono le rimanenze iniziali e finali di magazzino (Cassazione 5049/2011).

L’affermazione, peraltro, è una costante nella giurisprudenza di legittimità, considerato che in una similare occasione in materia di Iva, la Corte suprema ha affermato che la percentuale di incidenza di una determinata materia prima sul totale degli acquisti può essere utilizzata anche per la determinazione del volume d’affari relativo a diversi anni di imposta, tenuto conto della commercializzazione dei vari prodotti nell’anno precedente e della mancanza di mutamento delle condizioni della merce, come pure della sua tipologia (Cassazione 1647/2010).

D’altronde, è legittima la presunzione che quanto riscontrato in sede di accesso corrisponda all’andamento dell’attività anche in altri periodi solo se il contribuente non provi, in ipotesi anche per presunzioni – ovvero non risulti in punto di fatto -, che l’attività sottoposta ad accertamento va incontro a periodi disomogenei con riguardo all’andamento delle vendite e dei ricavi (Cassazione 12586/2011).

Fonte: fiscooggi.it

Comune di Belluno: stretta antievasione

di Alessia CASIRAGHI

Belluno sottoscrive un patto con l’Agenzia delle Entrate per la partecipazione del comune all’attività di controllo fiscale. Dopo Padova, Venezia e Vicenza, tocca ora al capoluogo veneto firmare il patto per combattere l’evasione fiscale.

Sono sei gli ambiti in cui si concentreranno le attività di controllo e revisione:

  • Il commercio e le professioni, ovvero tutti coloro che esercitano un’attività economica senza partita Iva o enti non profit che svolgono tuttavia attività commerciali a fini di lucro
  • Urbanistica e territorio: tutti contribuenti che hanno venduto aree edificabili senza dichiararne il ricavo economico o che hanno partecipato ad abusivismi edilizi, siano essi di tipo residenziale che industriale
  • proprietà edilizia e patrimonio immobiliare: i proprietari di seconde/terze case no dichiarate, i locatori che non registrano i contratti o che omettono dichiarazioni Ici e Tarsu
  • residenze fittizie all’estero: tutti coloro soggetti che dichiarano la residenza all’estero mantenendo però i loro interessi familiari ed economici in Italia;
  • tutti i contribuenti che possiedono una beni economicamente rilevanti non coerenti con i redditi dichiarati.

Sarà l’amministrazione comunale di Belluno ad inviare per via telematica all’Agenzia delle Entrate tutte le informazioni utili ai fini dell’accertamento fiscale. Come corrispettivo riceverà fino al 100% delle imposte recuperate e delle sanzioni.

“Considero questo accordo molto importante perché mette a regime una stretta collaborazione fra le istituzioni, assolutamente necessaria in questo difficile momento – Antonio Prade ha affermato il sindaco di Belluno – perché ci consente di realizzare, scambiando informazioni, un fisco più equo”.