Nuovi strumenti di aiuto per famiglie e imprese indebitate

In tempi di crisi e di imprese indebitate, andiamo insieme a scoprire quali possono essere quei nuovi strumenti utili all’aiuto di famiglie e imprese che non se la passano bene. Scopriamolo assieme, nella guida di seguito.

Il quadro generale per i nuovi strumenti di aiuto

Stando al decreto legge giustizia del 5 agosto 2021 vi è il rinvio al prossimo 16 maggio 2022 l’entrata in vigore del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, e addirittura al 31 dicembre 2023 l’applicazione delle misure d’allerta. Ha inoltre previsto, dal 15 novembre, una nuova procedura negoziale di composizione della crisi.

Vediamo, invece come si presenta il Decreto Ristori che gioca di anticipo l’entrata in vigore di alcune novità del Codice per andare in aiuto alle famiglie e agli imprenditori in crisi per situazioni debitorie insostenibili:

  • le procedure per rientrare dai debiti diventano più accessibili ed efficaci;
  • viene introdotto il “sovraindebitamento familiare”;
  • viene ammessa la domanda del debitore incapiente;
  • viene sanzionato il creditore che aggrava la situazione di indebitamento.

Le norme si applicano anche alle procedure pendenti alla data di entrata in vigore della legge di conversione n. 176/2020 del Decreto Ristori (pubblicata in G.U. il 24 dicembre 2020) ed entrata in vigore il 25 dicembre 2020, modificando la legge n.3/2012 sulle crisi da sovraindebitamento. Le norme sono indirizzate a facilitare l’accesso alle procedure per gestire il debito, previste dalla legge e si pongono l’obiettivo di intervenire in un momento  delicato come quello attuale, generato dalla pandemia da Coronavirus.

Sovraindebitamento, a chi spetta

Dunque, al sovraindebitamento familiare possono accedere le seguenti categorie:

  • i consumatori: nella definizione di consumatore vi rientrano anche gli eventuali soci di una società di persone, purché il suo sovra-indebitamento sia inerente solo a debiti personali;
  • l’imprenditore agricolo;
  • la cd. start-up innovativa;
  • l’ex imprenditore;
  • lo studio professionale;
  • tutte le altre (piccole) imprese non fallibili (che, cioè, rientrano nella “soglia fallimentare”).

Debito familiare, a chi spetta

Ci troviamo dinnanzi ad un ampliamento della platea dei beneficiari che introduce il “debito familiare”:

  • la possibilità che i membri della stessa famiglia presentino un’unica procedura di composizione della crisi di sovraindebitamento, se conviventi, o quando la situazione di crisi ha un’origine comune;
  • vanno considerati familiari i parenti entro il quarto grado e gli affini entro il secondo, le parti dell’unione civile e conviventi di fatto.

Va detto che la norma dovrà evitare superflue ripetizioni di adempimenti procedurali e, quindi, ridurre i costi che in questo modo vengono suddivisi tra i vari soggetti sovraindebitati, in proporzione ai rispettivi debiti.

Meritevolezza e esdebitazione

Vediamo quali sono le condizioni oggettive di meritevolezza e quali sono le possibilità di esdebitazione del debitore incapiente:

  • il debitore-consumatore deve essere  meritevole, ovvero non deve avere determinato il sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode;
  • il debitore-imprenditore, per accedere all’accordo di composizione, non deve aver commesso atti  diretti a frodare le ragioni dei creditori.

Stando alla Legge di conversione del Decreto Ristori, dunque risulta possibile l’esdebitazione per il debitore totalmente incapiente, ovvero quella persona fisica che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità neppure in prospettiva futura, purché:

  • risulti meritevole (come visto poco sopra)
  • venga fatto l’obbligo di pagamento del debito entro un tempo di 4 anni, qualora sopravvengano utilità rilevanti che consentano di soddisfare i creditori almeno per il 10%.

Creditori e sanzioni

Ma quali sono le sanzioni per i creditori che non rispettano le verifiche del caso verso i propri debitori?

Il creditore che ha colpevolmente determinato o aggravato la situazione di sovraindebitamento non potrà quindi:

  • esporre osservazioni al piano;
  • esporre reclami verso l’omologazione;
  • far valere eventuali cause di inammissibilità a patto che non derivino da comportamenti dolosi del debitore.

Tempi e procedure di sovraindebitamento

Andiamo in ultimo a vedere quali possono essere i tempi e le procedure.

Vediamo, quindi in breve, come funziona la situazione di sovraindebitamento:

  • il debitore presenta una proposta per il rientro del debito o per la liquidazione del patrimonio;
  • il gestore della crisi, ovvero l’esperto nominato dall’OCC va ad analizzare la situazione debitoria e la attesta in una relazione;
  • il Tribunale, stando ad istanza del debitore, potrà omologare la proposta oppure rigettare l’istanza.

Questo, dunque è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito alla situazione di nuovi strumenti in aiuto e a sostegno di famiglie e imprenditori indebitati.

Prendere a prestito del denaro, quali diritti e come fare a sapere se si è cattivi pagatori?

Quali sono i diritti che spettano a chi prende in prestito del denaro? Dall’esperienza passata e dalle criticità emerse, ad oggi sono vari i diritti che spettano a chi si indebita. Innanzitutto, l’entità e le condizioni del prestito devono essere riassunte prima dell’avvenuta ricezione del denaro. E, pertanto, prima che il debitore concluda il contratto di prestito, deve ricevere una informativa dettagliata sul prestito. Questo documento di sintesi si chiama Secci.

Recesso del prestito entro 14 giorni dalla sottoscrizione

Chi ha sottoscritto un contratto di prestito ha 14 giorni di tempo per poter recedere. Il recesso avviene senza costi, a parte quelli che sono già maturati. Si tratta degli interessi già maturati per il periodo e delle tasse. Per poter recedere è necessario inoltrare una comunicazione al creditore o finanziatore. In questo caso vanno seguite le indicazioni contenute nel contratto.

Come recedere da un prestito: la somma ricevuta va restituita?

Per poter recedere non serve alcuna motivazione. Inoltre, se al momento del recesso il debitore ha ricevuto il finanziamento, anche in parte, deve restituirlo entro i 30 giorni successivi alla comunicazione del recesso. Il debitore deve corrispondere gli interessi già maturati fino al giorno della restituzione.

Cosa avviene con il credito finalizzato?

Può avvenire che il debitore abbia contratto il prestito per acquistare beni o per ricevere dei servizi. È il caso del credito finalizzato nel quale se il venditore non presta il servizio o non consegna il bene acquistati, il consumatore può sciogliere il contratto che ha fatto con il finanziatore per richiedere il prestito. In alcuni casi è previsto che il debitore possa sciogliere il contratto di finanziamento anche nel caso in cui riceva delle merci difettose. In questo caso, è necessario richiedere per iscritto al venditore la consegna di quanto dovuto.

Richiedere un prestito ed essere buoni o cattivi pagatori

Nel momento in cui ci si rivolge a una società finanziaria per richiedere un prestito, l’operazione può andare a buon fine o meno a seconda del trascorso del richiedente in merito ai prestiti stessi. Vige, cioè, il merito creditizio, ovvero il comportamento del debitori per precedenti prestiti ottenuti. In buona sostanza, dunque, la valutazione del debitore fatta dalla società finanziaria tiene conto:

  • dell’essere stato o meno protestato in passato;
  • essere stato puntuale nel pagamento delle rate dei precedenti prestiti;
  • la mancata restituzione del precedente prestito.

Cosa succede se il debitore non paga le rate del prestito ricevuto?

Se il debitore non paga le rate del finanziamento, il creditore può ricorrere alle varie azioni previste dalla legge per ottenere quanto gli spetti. In questo caso, il creditore può procedere con l’invio dei solleciti formali. In ultima analisi, la società finanziatrice può ricorrere al giudice. Inoltre, il mancato pagamento anche di una delle rate previste dal finanziamento può implicare dei costi maggiori a debito di chi ha richiesto il prestito. In tal caso, il debitore deve corrispondere anche gli interessi di mora che non sono compresi nel Taeg.

Come fare per sapere se si è finiti nella lista dei cattivi pagatori?

In caso di mancato pagamento di quanto dovuto, il debitore finisce inevitabilmente tra i cattivi pagatori. E pertanto si finisce con la segnalazione negativa alla centrale che riporta tutte le situazioni di debiti non rispettati. Come si può fare per sapere se si è finiti nella lista di cattivi pagatori? Innanzitutto si può fare una richiesta all’intermediario finanziario. In alternativa, si può inoltrare la domanda alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia. In ultima analisi si può fare richiesta alle centrali rischi private. Si tratta di quelle che vengono chiamate Sistemi di informazioni creditizie (Sic).

Come rivolgersi alle Centrali dei Rischi private?

La Centrale dei Rischi della Banca d’Italia è una base che raccoglie i dati di tutti i cattivi pagatori provenienti da inadempienze verso banche e società finanziaria. I dati, pertanto, riguardano tutti i crediti e le garanzie concessi. Accanto alla Cr della Banca d’Italia, vi sono i Sistemi di informazioni creditizie (Sic) privati. Si tratta di società private come Cerved, Experian, Crif, Assilea, Eurisc, Ctc che gestiscono e archiviano dati sui crediti. Per poter conoscere tali dati ed eventualmente richiederne una rettifica, è necessario presentare domanda diretta al Sistema di informazioni creditizie.

 

Come essere cancellati dal CRIF e dalla banca dati dei cattivi pagatori

Oggi andiamo a vedere cosa vuol dire il termine CRIF e come si può essere rimossi da una situazione di cattivi pagatori che mette piuttosto a disagio ai fini bancari. Lo scopriremo nella rapida, ma esaustiva guida di seguito.

CRIF di cosa si tratta

Con il termine CRIF si rivela l’acronimo di Centrale Rischi di Intermediazione Finanziaria, ed è una società privata che gestisce un sistema di informazioni creditizie, in particolare quelle riguardanti eventuali posizioni debitorie dei soggetti censiti.
In pratica, è un sistema che raccoglie le generalità di chiunque abbia fatto ricorso a forme di finanziamento e a ognuno assegna un punteggio di affidabilità
Ma come si fa per vedere se si è finiti nel CRIF?
Occorre ovviamente, innanzitutto, accedere ad internet, e recarsi all’indirizzo: www.modulorichiesta.crif.com
In questa pagina, occorrerà cliccare sul pulsante “Persona”, il quale lo si può trovare nella parte in basso. Quindi, per sapere se si è segnalati al Crif, nella pagina successiva scegliere le caselle A e D, e quindi cliccare su “Continua”.
Qui, sapremo dunque tutta la verità sulla nostra eventuale posizione.

Banca dati dei cattivi pagatori, cosa vuol dire

Cosa si intende con il finire nella banca dati dei cattivi pagatori? Questa è una domanda centrale per la questione.

cattivi pagatori per dirla in breve sono coloro che in passato non sono riusciti a far fronte al rimborso di una o più rate di un finanziamento così come stabilito nei termini del contratto, per negligenza o per difficoltà nell’assolvere al debito contratto.

Possiamo dire che la principale conseguenza dell’essere annoverato tra i cattivi pagatori è quella di perdere la fiducia delle banche, le quali ovviamente non avranno di che fidarsi per concedere prestiti a chi è risultato moroso in passato.

Una brutta posizione certo, soprattutto se si vuole avviare un mutuo o aprire una nuova attività o fare un leasing.

Come si cancella il debito dei cattivi pagatori

Ovviamente, il nodo della questione sarà capire come estinguere tale posizione da cattivo pagatore e quindi cancellare il debito.

Possiamo dire che la migliore soluzione è quella di rivolgersi direttamente alla banca o all’istituto di credito, per estinguere il proprio debito da cattivi pagatori. Il Crif, infatti, prima di cancellare un nome dall’elenco dei cattivi pagatori, controlla con l’istituto di credito che tutte le posizioni creditizie siano chiuse e in regola.

Un’ altra domanda che ci si pone in merito alla questione del debito da cattivi pagatori è quanto possa durare questa condizione bancaria.

La risposta, in tal senso è presto data. Il tempo massimo è di 36 mesi in caso di prestiti non rimborsati o con morosità gravi. Le tempistiche si intendono a partire dalla comunicazione di avvenuta messa in regola con i pagamenti. Nei casi più gravi di definitivo mancato pagamento, comunque entro 36 mesi il dato viene cancellato.

Quale è il costo per la cancellazione dal CRIF?

Per ottenere la cancellazione su richiesta dal CRIF è previsto un piccolo pagamento di 4 euro con IVA inclusa, qualora la verifica non offrisse alcun esito e non ci sono informazioni sul proprio conto, mentre per la cancellazione vera e propria sono in tutto 10 euro IVA inclusa per cancellare i dati.

Questo, dunque, era quanto di più necessario ed essenziale vi fosse da sapere in merito alla questione della cancellazione del debito, una volta finiti nella banca dati dei cattivi pagatori e nell’occhio del ciclone del CRIF.

Sovraindebitamento autonomi e imprese: ecco come superare la crisi

In tempi di crisi e di ripartenze, per lasciarsi le crisi alle spalle, andiamo a vedere come superare i pericoli dei debiti. In questa rapida ma esaustiva guida andremo a vedere come superare la crisi da sovraindebitamento per autonomi e imprese.

Sovraindebitamento, di cosa si tratta

Il sovraindebitamento è senza ombra di dubbio una forma di malus nell’attività di un lavoratore. Una particolare e irrisolvibile forma di debito. Viene, di fatto, definito sovradebito quando colui che per motivazioni di qualunque natura non riesce a far fronte ai debiti e non dispone di “patrimonio prontamente liquidabile” per onorare il debito scaduto.

Andiamo a vedere, in tal senso, come e quando è possibile risolvere questa situazione piuttosto annosa che, dal 2020 ad oggi sta prendendo di mira fin troppi lavoratori autonomi e imprese.

Superare la crisi, scopriamo come

La sopra citata crisi da sovraidebitamento è quella definita di perdurante o definitivo squilibrio fra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina:

  • la incombente difficoltà
  • e la definitiva incapacità a risolversi

e quindi di adempiere con regolarità alle proprie obbligazioni.

Si parla quindi di insolvenza, ossia dell’incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni da parte:

  • delle imprese che non sono soggette al fallimento ed alle altre procedure concorsuali,
  • da parte del consumatore, “la persona fisica che agisce (acquistando per sé o per altri beni o servizi) per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale (cioè lavorativa, sia autonoma che dipendente) eventualmente svolta”  (ai sensi della lettera a) dell’art. 3 del Decreto Legislativo n° 206 del 2005 (il “Codice del consumo”)
  • da parte degli enti privati senza scopo di lucro (art. 6° e 7°, 2° comma, lettera a della Legge n° 3 del 2012: queste norme parlano genericamente di “debitore” non soggetto al fallimento, compreso il consumatore, per cui deve intendersi incluso anche l’ente privato non profit).

Ma quali sono le procedure per ricomporre e sanare la crisi?

Potremmo, in breve dire che le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento (le cosiddette procedure paraconcorsuali) sono tre:

  • l’accordo di composizione delle crisi da sovra indebitamento
  • il piano del consumatore
  • la liquidazione del patrimonio del debitore.

Come funziona per le imprese e per i professionisti, la fuga dal sovraddebito?

Per rispondere a questa domanda, possiamo dire che quanto alle piccole imprese individuali o collettive (società di persone, di capitali o cooperative, comprese le cooperative sociali) a cui si applicano queste procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento sono quelle che NON possono essere assoggettate alle procedure concorsuali,

Ciò equivale a corrispondere quelle che presentano tutte e tre le seguenti caratteristiche:

  • hanno avuto, negli ultimi tre anni (esercizi) o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un totale annuo dell’attivo dello stato patrimoniale inferiore od uguale a 300.000 Euro (per ogni anno e non in media per tre anni);
  • hanno realizzato ricavi lordi, cioè un fatturato complessivo negli ultimi tre anni (esercizi) o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, per un ammontare annuo inferiore od uguale a 200.000 Euro riteniamo IVA esclusa) (idem sopra);
  • serbano un ammontare totale di debiti, anche non scaduti, inferiore o uguale a 500.000 Euro (dati dal totale dei debiti dello stato patrimoniale).

Per concludere possiamo aggiungere che non sono soggette a fallimento pure le imprese agricole, perciò a queste si possono applicare le procedure paraconcorsuali previste dalla Legge 3/2012, come confermato dal comma 2°-bis dell’art. 7 della Legge 3/2012.

Stessa cosa vale per i lavoratori autonomi, siccome anche questi ultimi possono ritrovarsi in una situazione di sovraindebitamento e nessuna norma della Legge 3/2012 li esclude dall’applicazione delle procedure previste in merito.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito alla complicata e spiacevole questione del sovraindebitamento, in merito a lavoratori autonomi e imprese, in stato di crisi.

Associazione culturale con personalità giuridica: come si costituisce

Nei precedenti articoli presenti sul sito e inerenti le associazioni culturali si è detto che è possibile costituire due tipi di associazione, cioè quella senza personalità giuridica e quella con personalità giuridica, vedremo ora in cosa si differenziano e soprattutto quali sono i passi per costituire un’associazione culturale con personalità giuridica.

Differenza principale tra l’associazione culturale con personalità giuridica e senza

Le associazioni culturali sono enti no profit, cioè non possono perseguire scopo di lucro, da intendere come impossibilità di dividere gli utili tra gli associati. Per portare avanti la loro attività di promozione culturale hanno bisogno di fondi e questi derivano dalle quote versate dagli associati, ad esempio quelle di iscrizione, ma anche donazioni, raccolte fondi e attività svolte (ad esempio, se l’associazione culturale ha come obiettivo la promozione della cultura teatrale e organizza spettacoli, il prezzo del bigliettocostituisce incasso da utilizzare per le attività della stessa). Naturalmente possono stipulare contratti e svolgere attività da cui derivano responsabilità verso terzi o verso le stesse parti, degli impegni economici rispondono con il patrimonio.

Bisogna però fare delle differenze, infatti, le associazioni culturali che non hanno personalità giuridica, ma che comunque devono essere costituite seguendo le disposizione di legge, rispondono dei debiti con il patrimonio dell’associazione. Se questo non è sufficiente, rispondono anche con il patrimonio personale di coloro che hanno agito in nome e per conto della società e laddove l’atto costitutivo lo preveda, rispondono anche con il patrimonio degli associati.

Vuoi leggere un approfondimento su chi risponde dei debiti dell’associazione culturale? Puoi trovarlo QUI.

Come nasce un’associazione culturale con personalità giuridica: atti pubblici

Per evitare questo rischio la soluzione è creare un’associazione culturale con personalità giuridica, vedremo ora i passi. Alcune incombenze sono comuni, cioè devono essere espletate sia per la costituzione di un’associazione culturale senza personalità giuridica, sia per un’associazione con personalità giuridica. Di conseguenza devono essere presenti almeno 3 soci fondatori che assumano le principali cariche previste per l’associazione stessa: assemblea, presidente, consiglio direttivo.

Per poter procedere è necessario redigere atto costitutivo, definito dai giuristi come  un contratto plurilaterale e aperto in quanto altre persone successivamente possono aderire diventando così associati, e statuto dell’associazione in cui sono delineate le regole per il funzionamento dell’associazione. Su questo punto c’è una prima differenza tra associazione culturale con personalità giuridica o riconosciuta e quella senza personalità giuridica, infatti gli elementi necessari di questi atti sono uguali, ma per ottenere il riconoscimento della personalità giuridica devono essere redatti alla presenza di un notaio, devono quindi avere la forma dell’atto pubblico e sottoscritti da tutti gli associati presenti al momento della fondazione dell’associazione stessa.

Patrimonio

Per ottenere il riconoscimento della personalità giuridica e quindi la separazione tra il patrimonio dell’associazione e quella degli associati, evitando così che i creditori possano aggredire il patrimonio degli associati, occorre ovviamente costituire un patrimonio iniziale su cui i creditori possono trovare soddisfazione. Di conseguenza per ottenere il riconoscimento della personalità giuridica, l’associazione culturale deve costituire un patrimonio il cui valore minimo è 15.000 euro.

Registrazione dell’associazione presso la Prefettura

Per procedere è necessario quindi richiedere il codice fiscale e la registrazione dell’ente, per ottenere questi occorre versare l’imposta di registro e applicare le marche da bollo sulle 2 copie dell’atto costitutivo e dello statuto. Solitamente il costo totale è di circa 300 euro, infatti è necessario inserire una marca da bollo da 16 euro ogni 100 righe o due fogli (quattro facciate).

Se si ha intenzione, attraverso l’associazione culturale riconosciuta di svolgere delle attività commerciali che diventano parte dell’attività istituzionale, occorre avere anche la partita IVA che va a costituire un ulteriore costo per la sua gestione in quanto è necessario rivolgersi a un commercialista. A questo proposito occorre ricordare che le entrate istituzionali delle associazioni no profit o senza scopo di lucro sono detassate.

Per ottenere il riconoscimento la domanda deve essere presentata presso la Prefettura della provincia in cui ha sede l’associazione stessa, alla domanda devono essere allegati gli atti visti, cioè atto costitutivo e statuto che devono seguire le regole indicate dall’articolo 16 del Codice Civile “L’atto costitutivo e lo statuto devono contenere la denominazione dell’ente, l’indicazione dello scopo, del patrimonio e della sede nonchè le norme  sull’ordinamento e sulla amministrazione. Devono anche determinare, quando trattasi di associazioni, i diritti e gli obblighi degli associati e le condizioni della loro ammissione. L’atto costitutivo e lo statuto possono inoltre contenere le norme relative alla estinzione dell’ente e alla devoluzione del patrimonio e, per le fondazioni, anche quelle relative alla loro trasformazione

Controlli della Prefettura

Al momento del deposito della domanda per l’iscrizione nel Registro delle Persone Giuridiche, la Prefettura rilascia una ricevuta che attesta l’avvenuta richiesta. Entro 120 giorni dalla data di presentazione, se la documentazione è idonea, cioè rispetta le condizioni previste dalla legge, si può ottenere il riconoscimento della personalità giuridica con atto del Prefetto. Ricordiamo che lo scopo deve essere possibile e lecito e il patrimonio deve essere adeguato al raggiungimento dello scopo, inoltre la consistenza del patrimonio deve essere dimostrata. Nel caso in cui rilevi dai controlli effettuati che lo scopo non appare lecito e possibile o che il patrimonio sia insufficiente, la Prefettura entro 30 giorni richiede delle integrazioni o modifiche.

Il Codice del Terzo Settore e il RUNTS 2021

Deve però essere ricordato che tale disciplina può oggi essere considerata transitoria in quanto è stato emanato il Codice del Terzo Settore. Questo prevede l’istituzione del RUNTS Registro Unico Nazionale del Terzo Settore in cui devono confluire tutti i dati presenti nel Registro delle Persone Giuridiche detenuto dalle Prefetture.

Il RUNTS prevede dei tempi inferiori per i controlli sull’atto costitutivo e sullo Statuto, cioè il notaio deve depositare l’atto costitutivo e lo statuto presso il RUNTS entro 20 giorni dalla loro stipula, ed entro 60 giorni la richiesta di iscrizione deve essere apporvata, in caso di mancata risposta/conferma da parte del RUNTS, si applica il principio del silenzio diniego . Di fatto l’entrata in vigore del RUNTS è slittata nuovamente dopo diverse proroghe e di conseguenza si applica ancora la procedura vista in precedenza e da espletare presso la Prefettura.  Ciò almeno fino al 2022, sperando in tempi brevi di avere l’attuazione di questa importante riforma.

Per un approfondimento sul RUNTS leggi QUI.

Ulteriori oneri per la costituzione dell’associazione con personalità giuridica

Tra gli oneri che affiancano la costituzione di un’associazione culturale riconosciuta o con personalità giuridica vi è l’apertura di un conto corrente, lo stesso è necessario per depositare le somme. Naturalmente anche questo ha un costo di gestione.

Dalla disamina vista emerge che per aprire un’associazione culturale con personalità giuridica è necessario avere una certa disponibilità economica questo è il motivo per cui molte associazioni culturali almeno nella fase iniziale svolgono le loro attività senza ottenere il riconoscimento della personalità giuridica. Questa scelta merita certamente attenzione alla gestione perché coloro che agiscono in nome e per conto dell’associazione possono ritrovarsi a dover rispondere con il loro patrimonio, ma non preclude alcuna altra possibilità, infatti per ottenere i benefici fiscali previsti dal Codice del terzo Settore per gli Enti del Terzo Settore, ETS, non è necessario avere personalità giuridica, così come questa non è richiesta per poter ottenere il 2×1000.

Se vuoi conoscere maggiori dettagli sul 2×1000 alle associazioni culturali leggi questo ARTICOLO.

Associazione culturale: chi risponde dei debiti maturati?

L’associazione culturale, come visto, può svolgere diverse tipologie di attività e per farlo ha dei fondi derivanti dai conferimenti degli associati e atti di liberalità. Naturalmente può porre in essere diverse attività al fine di raggiungere lo scopo sociale e stipulare dei contratti, la domanda a cui si tenterà di rispondere ora è: Chi risponde dei debiti di un’associazione culturale?

Associazioni culturali riconosciute e non riconosciute

Rispondere alla domanda su chi paga i debiti di un’associazione non è semplice, infatti, occorre fare una preliminare differenza tra associazioni culturali riconosciute e quindi con personalità giuridica e associazioni non riconosciute, quindi che non hanno personalità giuridica. Le prime, in base all’articolo 14 del codice civile,  sono costituite con atto pubblico, quindi redatto da un notaio; le associazioni non riconosciute invece devono avere un atto costitutivo e uno statuto, ma questi non assumono la forma dell’atto pubblico. Per ottenere la personalità giuridica, l’atto costitutivo e lo statuto devono quindi essere registrati all’Agenzia delle Entrate e si deve procedere a richiedere la personalità giuridica presso la Prefettura della provincia dove ha sede l’ente. Un’altra differenza è data dal capitale sociale: per le associazioni culturali riconosciute è previsto un capitale che varia dai 15.000 ai 50.000 euro in base alle attività svolte.

Responsabilità per debiti dell’associazione culturale

Ora che abbiamo fatto questa differenza, è possibile delineare chi risponde dei debiti dell’associazione culturale. La premessa da fare è che anche le associazioni non riconosciute hanno un patrimonio, questo però è variabile e soprattutto chi entra in contatto con le associazioni culturali non riconosciute non sa a quanto ammonta realmente tale patrimonio e quanto possa essere facile liquidarlo, ad esempio il patrimonio potrebbe essere costituito da beni immobili oppure beni mobili, quadri e simili non facilmente liquidabili.  Proprio per i motivi elencati, delle obbligazioni contratte e dei danni causati a terzi l’associazione risponde prima con il suo patrimonio e in seconda istanza, nel caso in cui questo sia incapiente, con il patrimonio di coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione.  Ciò implica che ad essere responsabili sono i membri del consiglio direttivo e gli amministratori in genere.

Patrimonio separato per le associazioni con personalità giuridica

Diverso è il caso dell’associazione culturale registrata, in questo caso coloro che entrano in contatto con la stessa stipulando ad esempio un contratto per la fornitura di beni, possono sapere qual è il capitale sociale sul quale possono fare affidamento. Di conseguenza sono consapevoli del fatto che l’associazione potrebbe non essere in grado di rispondere delle obbligazioni assunte. Si assumono quindi il rischio di insolvenza. Le associazioni culturali riconosciute hanno quindi un patrimonio separato rispetto a quello degli associati e in particolare dei membri del consiglio direttivo e degli amministratori. Nel caso prospettato siamo di fronte alla responsabilità contrattuale, derivante cioè dall’aver stipulato un contratto, ma l’associazione culturale riconosciuta risponde con il patrimonio della stessa anche nel caso in cui si è di fronte a responsabilità extracontrattuale.

Il codice civile prevede che chiunque cagioni un danno ad altri soggetti attraverso un comportamento doloso o colposo è tenuto al risarcimento del danno, nel caso in cui il danno sia derivato da un atto ascrivibile ad un’associazione, questa risponde con il suo patrimonio, ma ha un’azione di rivalsa nei confronti del soggetto che ha materialmente agito. Ad esempio nel caso in cui l’associazione organizzi una manifestazione sportiva e il titolare di un negozio si ritrovi con una vetrina rotta a causa dell’azione di uno degli organizzatori, del danno cagionato risponde l’associazione con il suo patrimonio, ma la stessa può esercitare un’azione di rivalsa nei confronti del soggetto che materialmente ha compiuto l’atto, ad esempio nei confronti del soggetto che ha materialmente rotto la vetrina ad esempio mentre stava allestendo il palco.

Associazioni non riconosciute: come rispondono dei debiti

Nel caso in cui l’associazione non abbia personalità giuridica, per la responsabilità sia contrattuale sia extracontrattuale, risponde prima con il patrimonio dell’associazione e in subordine con quello personale di coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione.  Molti si chiedono se in tal caso deve rispondere chi materialmente ha agito oppure il consiglio direttivo, la giurisprudenza è incline a favorire la seconda versione, sempre facendo salvo il diritto di ripetizione delle somme nei confronti di chi ha materialmente agito.

Imposte e sanzioni

Gli stessi principi visti finora si applicano anche nel caso in cui il debito sia nei confronti dell’erario per imposte e sanzioni di tipo amministrativo. Per le associazioni riconosciute e quindi con personalità giuridica si applica il principio di separazione del patrimonio. Di conseguenza per le associazioni non riconosciute l’Agenzia delle Entrate o altro ente di riscossione provvederà a inviare la notifica della cartella all’associazione e a colui che ha agito in nome e per conto dell’associazione (in questo caso può trattarsi anche di un dipendente che ha il ruolo di gestire la contabilità). Si parla di responsabilità in solido: nei confronti della Pubblica Amministrazione basta che paghi uno dei soggetti e di fatto libera gli altri. Diversa però può essere la ripartizione della responsabilità all’interno della stessa associazione.

Di converso l’atto costitutivo può prevedere una specifica norma che preveda che nel caso in cui ci siano state delle sanzioni conseguenti a violazioni che i rappresentanti della stessa e i loro amministratori commettono nello svolgimento delle mansioni e le stesse violazioni siano state commesse senza dolo, l’associazione si assume il debito anche nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni. Tale norma inserita nell’atto costitutivo/statuto porta a esonerare da responsabilità coloro che hanno ruoli di direzione all’interno dell’associazione senza personalità giuridica. Ci si potrebbe chiedere: ma in questo caso, se l’associazione non ha sufficienti fondi per pagare le sanzioni, chi dovrà effettivamente pagare? In questo caso, avendo fatta salva la responsabilità di coloro che hanno agito materialmente, dei debiti rispondono tutti gli associati che in effetti nell’associarsi hanno accettato anche tale clausola contenuta nell’atto costitutivo.

Come evitare che il patrimonio personale dei membri di un’associazione sia intaccato?

Costituire un’associazione culturale non riconosciuta ha sicuramente dei vantaggi perché l’iter burocratico è semplificato e di fatto occorrono meno soldi per poter iniziare l’attività. E’ però ovvio che a nessuno piaccia l’idea di dover rispondere con il proprio patrimonio personale delle obbligazioni assunte, per evitare questo inconveniente una strada c’è: la stipula di una polizza assicurativa che vada a coprire eventuali danni causati a terzi nell’esercizio dell’attività dell’associazione.

Segnalazione Centrale Rischi: cos’è e come funziona

Hai mai sentito parlare di segnalazione Centrale Rischi? Ecco cosa devi sapere su questa particolare procedura che può riguardare chiunque chieda un prestito/mutuo.

Cos’è la Centrale dei Rischi

La Centrale dei Rischi, anche conosciuta semplicemente come CR o CdR,  è una banca dati gestita dalla Banca d’Italia, in cui sono contenuti le informazioni inerenti il merito creditizio di coloro che hanno richiesto crediti e prestiti presso istituti finanziari e banche. L’obiettivo è fotografare la situazione debitoria delle famiglie  e delle imprese verso il sistema bancario e finanziario.  Sebbene sia vista con una certa diffidenza, in realtà non dovrebbe essere così, infatti questo database raccoglie i dati di chiunque chieda un prestito/mutuo, ciò ha una valenza positiva nella ricostruzione della storia creditizia di un soggetto, soprattutto quando è regolare nei pagamenti.

Fin da subito deve essere precisato che in Italia esistono altri archivi simili, ma non gestiti dalla Banca d’Italia, il più conosciuto è sicuramente il CRIF (Centrale Rischio Finanziario), in questo caso si tratta di una banca dati gestita da un soggetto privato a cui le banche possono o meno aderire, di fatto è ritenuto molto affidabile.

Funzione della segnalazione Centrale Rischi

Ritornando alla Centrale Rischi, deve essere sottolineato che ha due obiettivi. In particolare per coloro che hanno richiesto dei prestiti e dei finanziamenti e li hanno estinti in modo regolare  rappresenta una sorta di garanzia perché, se dovessero avere bisogno nuovamente di liquidità, ad esempio per investimenti, saranno ritenuti affidabili da banche e istituti di credito in generale.

Per le banche, la Centrale Rischi rappresenta un modo per valutare la solvibilità di coloro che richiedono un prestito e per determinare se concederlo e le condizioni a cui concederlo, ma anche per studiare soluzioni personalizzate. Ad esempio, un cliente può essere restio a dare informazioni su altri finanziamenti in corso, se  si recasse in banca e questa concedesse semplicemente il prestito senza valutare la capienza effettiva, potrebbe generarsi una posizione di sovraindebitamento, mentre il controllo della posizione di colui che ha chiesto il prestito può aiutare la banca a studiare soluzioni che il cliente può gestire al meglio, ad esempio con una rata piccola e un piano di ammortamento più lungo.

Gli intermediari possono chiedere informazioni esclusivamente sui loro clienti e su soggetti che si sono rivolti ad essi per chiedere un finanziamento, questo implica che non possono indagare su chiunque, ma solo su soggetti determinati.

Soggetti che agiscono nella Centrale dei Rischi

Presso la banca dati della Centrale Rischi sono inseriti:  finanziamenti come mutui, prestiti personali, aperture di credito e le garanzie.

L’inserimento di tali dati presso la Centrale Rischi avviene da parte di:

  •  banche;
  •  società finanziarie;
  • società di cartolarizzazione dei crediti;
  • organismi di investimento collettivo dei risparmi (OICR);
  •  Cassa Depositi e Prestiti.

La soglia di censimento e le segnalazioni a sofferenza

Affinché possa essere formalizzata la segnalazione è necessario che siano presenti delle condizioni. In questo caso si parla più propriamente di soglia di censimento, la stessa è stabilita in 30.000 euro di esposizione, soglia che però viene ridotta a 250 euro nel caso in cui il debitore risulti essere in sofferenza; si parla di “segnalazione a sofferenza”, per poterla effettuare in modo corretto occorre  una segnalazione preventiva al cliente. Per il mancato preavviso il cliente non può ottenere la cancellazione della segnalazione, se comunque oggettivamente valida, ma può ottenere un risarcimento per il mancato preavviso.

La segnalazione non viene più fatta nel momento in cui si estingue il debito oppure nel caso in cui l’ammontare dello stesso scende sotto la soglia di censimento. Le informazioni restano però registrate per tre anni decorrenti dal momento in cui cessano le condizioni per il censimento.

Precisazioni sulla segnalazione a sofferenza

Purtroppo i dubbi sorgono proprio sulla qualificazione di un debitore come “sofferente” perché non sono indicati dei criteri uniformi e proprio per questo vi è una certa discrezionalità da parte della banca creditrice. I criteri delineati dicono che non basta valutare un singolo rapporto contrattuale in sofferenza per determinare il verificarsi della soglia di segnalazione, ma occorre guardare la situazione complessiva del debitore.

Per la segnalazione con la soglia di 250 euro, non basta il ritardo nel pagamento di una singola rata, la Corte di Cassazione ha stabilito che un nominativo può essere iscritto presso la centrale rischi solo se si tratta di un’insolvenza conclamata, occorre inoltre un’indagine sulla natura delle difficoltà che affronta il debitore per capire se si tratta di una situazione meramente temporanea e quindi se il cliente può rientrare in breve tempo. La Corte di Cassazione ha inoltre stabilito che non si può procedere alla segnalazione alla Centrale Rischi nel caso di scopertura del conto corrente. La Corte ha ribadito che per la segnalazione alla centrale rischi occorra un’oggettiva situazione debitoria difficile da coprire.

Note sulla Segnalazione alla Centrale Rischi

Devono però essere fatte alcune precisazioni, infatti si viene segnalati alla CR non solo se si è debitori principali, ma anche nel caso in cui si assuma il ruolo di garante in una fideiussione e l’importo della fideiussione supera il limite per il censimento.

Un’altra precisazione riguarda i soggetti che possono accedere alle informazioni presenti presso la CR, si tratta dei soggetti che possono eseguire le segnalazioni (visti in precedenza), le autorità di vigilanza del settore ad esempio CONSOB e IVASS, ma nell’esercizio delle proprie funzioni e, infine, l’autorità giudiziaria nell’ambito di procedimenti penali in cui tali informazioni possano avere rilevanza.

Ognuno può inoltre accedere ai propri dati personali attraverso il sito della Banca d’Italia e registrandosi con le proprie credenziali, un codice SPID, CNS o CIE (Carta Identità Elettronica), naturalmente si può avere accesso solo alle proprie informazioni personali. Nel caso si persone giuridiche può accedere alle informazioni il legale rappresentante.

E’ bene ribadire che la Centrale Rischi gestita dalla Banca d’Italia deve essere disgiunta dal CRIF, di cui si parlerà a breve.

 

Società con debiti, come può essere chiusa?

Molto spesso un imprenditore o un gruppo di imprenditori decide di aprire una società con l’obiettivo di fare buoni affari. Ma altrettanto spesso, purtroppo, le cose poi nel tempo non vanno propri per il verso giusto. Ed allora si decide di chiudere la società seguendo l’iter di legge che, tra l’altro, prevede la cancellazione dal registro delle imprese. Ma se la società ha dei debiti, questi che fine fanno se l’attività viene chiusa? Ed in che modo si può chiudere una società che ha ancora dei debiti da onorare senza infrangere la legge?

Società chiusa, chi risponde dei debiti ancora da onorare?

Al riguardo c’è da dire, in linea di massima, che una società si può chiudere anche se questa ha dei debiti. E questo perché, sebbene la società che è stata chiusa non esista più, i soci in automatico diventano in genere responsabili di tutti i debiti che ancora l’impresa non ha pagato.

E questo vale, tra l’altro, pure per i crediti che la società non ha ancora riscosso o che, per qualsiasi ragione, non è riuscita ancora a riscuotere. Ma detto questo, in che modo i soci di un’impresa che è stata chiusa rispondono dei debiti ancora da onorare? In questo caso tutto dipende dal tipo di impresa, ovverosia se trattasi di una società di capitali oppure di una società di persone.

Nel dettaglio, se l’impresa è una Srl, una Spa oppure una Sapa, ovverosia una società di capitali, allora i soci risponderanno solo del capitale sociale versato ed il loro patrimonio personale non sarà aggredibile. Mentre lo stesso non vale per le società di persone, ovverosia per le società semplici, per le Snc e per le Sas. In questo caso, infatti, chiudere la società con debiti porterà i soci ad essere responsabili dell’indebitamento e sono chiamati a risponderne con il proprio patrimonio personale.

Come chiudere una società con debiti senza infrangere la legge

Detto questo, e come sopra accennato, una società con debiti per essere chiusa deve seguire sempre l’iter di legge. Per esempio, una società di capitali che non ha abbastanza liquidità per soddisfare tutti i creditori nella maggioranza dei casi ha come unica strada percorribile quella dell’accesso all’istituto giuridico del fallimento.

In altre parole, una società con debiti può essere sempre chiusa, ma mai con l’intenzione di cercare di sfuggire ai creditori anche attraverso eventuali artifici contabili. Altrimenti si può incappare nel reato bancarotta fraudolenta che rientra nel codice penale e che prevede, di conseguenza e tra l’altro, anni di carcere in ragione della gravità degli atti che sono stati commessi.

Come liquidare una società con debiti fino a arrivare alla cessazione

In alternativa al fallimento, inoltre, un altro tipo di operazione, che porta poi alla chiusura di una società con debiti, è la liquidazione. La società, nello specifico, può essere messa in liquidazione quando da un lato ha dei debiti, ma dall’altro ha crediti ed un patrimonio tale che, se convertito in liquidità, potrà andare a coprire l’indebitamento. In questo modo, vendendo tutti i beni, riscuotendo di tutti i crediti e pagando tutti i debiti, la società in liquidazione potrà poi avviare le operazioni di cessazione con la conseguente conclusione di tutte le attività aziendali.

Debiti Pubblica Amministrazione: Il Governo non comprende


Dopo aver visto l’ultimo via libera del CDM e aver confermato il provvedimento, possiamo confermare che il Governo dimostra ancora una volta di non aver compreso il sistema delle imprese del terziario di mercato, dell’artigianato e dell’impresa diffusa ormai al collasso.
Da tantissimi mesi si va avanti a parlare di indicazioni per rispondere alle esigenze delle imprese. La delusione vien confermata da parte del Presidente di Rete Imprese Italia, dopo il via libera del CDm su debiti.
A quanto sappiamo il provvedimento non produrrà alcun effetto se non arriveranno gli interventi da parte del Parlamento. In questo modo le imprese si vedranno costrette a dover affrontare gli stessi problemi di qualche mese fa.
E’ grave che il governo non calcoli la sofferenza delle imprese, ormai schiacciate dai consumi in caduta libera e dalla pressione fiscale da record mondiale. In sostanza il meccanismo proposto non permetterà alle aziende di recuperare i crediti.
Ancora una volta le associazioni del settore, fanno appello al Parlamento per rendere il provvedimento interessante e pronto a rispondere alle esigenze delle Pmi.

Barista si impicca a Treviso

 

W l’Italia, dopo otto anni sono finalmente libero” ha affidato il suo testamento a queste poche parole Manuele Barbisan, un foglio bianco abbandonato sotto una bottiglia dietro il bancone del suo bar, prima di impiccarsi nel retrobottega del locale che gestiva in Piazza San Vito a Treviso.

Una piccola attività imprenditoriale, il Caffè la Corte, che da sogno per il futuro di un ragazzo di 37 anni si è trasformato nella sua condanna a morte. I debiti, la paura di non riuscire a far fronte ai pagamenti, i sensi di colpa e la paura di dover ‘scaricare’ le sue angosce e le sue difficoltà economiche sul padre lo hanno strangolato, fino a condurlo alla decisione ultima, tragica ed estrema.

Lunedì notte, invece di tornare a casa, Manuele ha preso le chiavi del bar, si è diretto fino a piazza San Vito e lì, nel retro del suo Caffè, si tolto la vita. Qualche minuto prima aveva inviato un sms alla collega Mara, con scritto “Non aprire domani, lascia stare, ci pensa Mario nel pomeriggio”. Poco prima delle 14 di martedì il suo cadavere è stato rinvenuto nel retro del bar, illuminato dai flash delle foto della polizia scientifica.